Perché facciamo così fatica a capire quel che sta accadendo?
Forse perché i fatti di queste settimane, dalla Brexit alla Turchia
fino al terrore di Nizza e a quello, recentissimo, in Germania, così
diversi tra loro, nella portata, negli effetti e nelle cause, hanno un
punto in comune: “i fatti” di queste settimane non sono più quelli di
una volta.
L'idea stessa di “fatto” o di avvenimento è tale perché riusciamo ad
inserirla in una cornice di pensiero più o meno consolidata.
Ora quella cornice che ha retto la seconda parte del Novecento non c'è
più. L'Inghilterra che ha salvato l'Europa decide di lasciarla,
possiamo assistere in Turchia a quello che è stato un golpe democratico
contro una democrazia autoritaria, possiamo vedere dei terroristi che
non hanno più un rapporto forte con un'ideologia, folle e totalitaria,
ma la prendono a prestito, in leasing, per poche settimane, mettendo in
gioco il loro corpo, la loro vita.
Ad essere più sotto attacco è quello che abbiamo chiamato a lungo
“vecchio mondo” — Europa e Medio Oriente, da Lisbona ad Ankara,
passando per Parigi e per Londra.
Certo, anche in America il nuovo potrebbe presto annunciarsi con il profilo, non proprio rassicurante, di Trump.
Ma finora i sussulti che la scuotono sembrano venire da lontano, dalle viscere del secolo scorso.
Dall'Alabama a Dallas, in una storia che ha visto alternarsi
Ku-Klux-Klan e Black Panthers, segregazione razziale e Martin Luther
King. Sono fantasmi di ritorno di un antico conflitto, apparentemente
sopito, ma in realtà sempre strisciante sotto le ceneri
dell'integrazione.
In Europa, invece, con la sua propaggine anatolica, il mutamento ha le sembianze di un vero cataclisma.
A collassare, prima dei confini geopolitici, sono le categorie che
hanno segnato in profondo l'intero orizzonte della modernità fino a
ieri.
Proviamo a mettere in fila gli eventi: Brexit, Nizza e Turchia sono le
tre onde d'urto che, a distanza di qualche giorno, vanno
sconquassando il paesaggio storico e mentale che abbiamo a lungo
percepito come nostro.
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Se si
pensa che l'attentatore ha fatto un numero di vittime pari a quelle
prodotte dal gruppo di fuoco organizzato al Bataclan con un camion
noleggiato per poche centinaia di euro, lo scarto appare netto.
L'escalation nichilistica senza paragoni.
Tale da rendere ancora più spettrale il panorama che abbiamo di fronte e più indistinto il nemico da combattere.
Infine la Turchia. Nel
golpe dell'altra notte — vero o falso che sia: le due cose nella
società dei nuovi media si accostano sempre più — va in frantumi una
categoria alla quale, almeno in Occidente, eravamo particolarmente
affezionati — quella di democrazia liberale. Dobbiamo abituarci a
pensare che questi due termini non vanno necessariamente insieme.
Che può esistere, a est del Bosforo, una democrazia illiberale e anzi decisamente autoritaria.
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In
coda all'aeroporto o seduti in metropolitana, per gioco macabro o vera
ansia, molti si saranno chiesti almeno una volta: chi ha il volto
dell'attentatore? Chi potrebbe farsi esplodere, o tirare fuori un
coltello? Il pregiudizio indurrebbe a fissare lo sguardo sul devoto in
djellaba e barba sul mento, segni visibili di lunga e convinta
appartenenza religiosa islamica.
Ma sul treno in Germania a colpire è un 17enne autoradicalizzato di
recente, e a Nizza il tir lo ha guidato «il George Clooney del
quartiere», come i vicini chiamavano l'assas- sino: sorriso da attore,
fisico scolpito in palestra, dedito all'alcol, al sesso con uomini e
donne, mai andato in moschea.
Sull'orlo della follia, ma reclutato in extremis da uno jihadista algerino dell'Isis. Terrorista islamico, quindi, anche lui.
Gli orrori di questi giorni mostrano che esiste il terrorismo dell'Isis,
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E
bisessuali, che l'organizzazione accoglie come suoi «soldati» a Orlando
e Nizza con solennità postuma mentre a Raqqa, capitale del Califfato,
verrebbero fatti volare giù da un palazzo per punizione.
È terrorismo islamico quello del 13 novembre a Parigi: un'azione
coordinata e complessa, ideata in Siria e portata a termine da
combattenti addestrati. Ed è terrorismo islamico pure quello del 14
luglio, un camion di 19 tonnellate che piomba sul lungomare di Nizza.
Il fatto che l'attentatore fosse un 31enne con problemi psichici che si
è radicalizzato — o meglio convertito — all'improvviso non toglie nulla
al carattere terroristico, ideologico e politico del suo gesto: ha
compiuto un'azione invocata già dal settembre 2014, e rivendicata
adesso, dallo Stato islamico.
Mohamed Bouhlel può non essere mai andato in moschea in vita sua, ma
l'Isis è stato comunque in grado di orientare la sua conversione e
dargli la copertura morale per la carneficina della Promenade des
Anglais.
E non importa se sia «artigianale», dipinta a mano, la bandiera dello
Stato islamico trovata a casa del ragazzo afghano autore due sere fa
dell'assalto sul treno in Germania. Quel simbolo gli ha fornito
comunque la forza per calare l'accetta sui passeggeri.
Il punto è che la propaganda dell'Isis è efficace quale che sia il
percorso religioso e culturale dei suoi seguaci. Anzi, prolifera
soprattutto tra quanti, nelle giovani generazioni, hanno abbandonato
l'Islam dei padri.
L'Isis arriva a colmare un vuoto, e fa presa persino su tanti europei che si sono formati lontano dall'Islam.
I famosi convertiti rappresenterebbero circa il 20 per cento dei combattenti stranieri nel Califfato.
Tra loro c'è Maxime Hauchard, un ragazzo dai lineamenti delicati e gli
occhi azzurri, nato e cresciuto non nelle «banlieue degradate», come si
è soliti dire, ma in una famiglia cattolica del piccolo villaggio di
Bosc Roger en Roumois, tra le mucche e i cavalli della Normandia, e
finito poi a tagliare teste in Siria con il nome di Al Faransi («il
francese»).
Certe volte i predicatori islamici preparano il terreno per il
passaggio alla jihad. Più spesso la stessa religione — l'Islam — serve
da argine, riesce a trattenere giovani che altrimenti sarebbero tentati
dall'Isis come da una setta.
Per questo lo Stato islamico tende a disprezzare i musulmani che
continuano a vivere in Europa (nella terra dei «miscredenti»): spesso
sono di cultura islamica ma ormai secolarizzati, quindi — nell'ottica
del Califfato — vicini all'apostasia meritevole della morte.
Oppure, se religiosi praticanti, i musulmani europei restano in
maggioranza fedeli a un Islam tradizionale che non ha la portata
rivoluzionaria auspicata dallo Stato islamico.
L'Isis sospetta i musulmani europei di connivenza con il nemico,
teorizza che siano vittime collaterali sacrificabili, e a Nizza lo ha
messo in pratica.
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Brexit.
È vero che il Regno Unito non è mai stato il Paese più europeista. È
vero che la sua opzione atlantica è antica quanto l'opposizione
simbolica tra terra mare. È vero, insomma, che la Gran Bretagna non ha
mai smesso di sentirsi Isola — fieramente autonoma rispetto al
Continente. Ma è anche vero che il vascello che negli anni Quaranta del
secolo scorso ha salvato l'Europa dai suoi demoni interni rompe gli
ormeggi, salpando verso una destinazione ignota.
Ignota per l'Europa, che perde un suo pezzo per molti versi insostituibile, insieme alla sua maggiore potenza militare.
E ignota anche al suo equipaggio, che ancora guarda, smarrito, la terra da cui si stacca senza sapere a quale porto approdare.
Nizza. Certo, si è trattato dell'ultimo colpo di una
deriva terroristica in atto da almeno quindici anni. Ma anche di un
salto di qualità nella furia distruttiva che lascia senza parole.
Non solo per la ferocia ottusa del terrorista, ma anche per l'anomalia della sua figura.
Non assimilabile sia a quella, ormai scomparsa, del partigiano, sia a quella del soldato della fede.
Diversa da l'una e dall'altra, la sua sagoma si perde nell'insensatezza assoluta della morte per la morte.
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Non troppo diversa, del resto, da quella russa con cui da tempo è in concorrenza nella stessa area.
Dobbiamo constatare che una tale democrazia può inglobare,
funzionalizzandolo al potere del suo capo, perfino un putsch militare.
Il quale anche, del resto, si è richiamato alla democrazia.
Come democratici sono presentati dai seguaci di Erdogan i mezzi
repressivi impiegati in queste ore alla luce del sole e nel buio dei
sotterranei.
Ce n'è abbastanza per dire che un intero universo concettuale sta andando in pezzi.
Nessuno dei parametri validi fino al secondo Novecento funziona più
nella globalizzazione e nella politica della vita e della morte.
Dove i corpi umani sono usati come bombe esplosive e il web appare l'unico spazio praticabile del confronto pubblico.
Tutto ciò non può non allarmare.
Ma, se vogliamo rispondere efficacemente alla sfida in atto, dobbiamo
attrezzarci a modificare rapidamente il modo di rapportarci al nostro
tempo — di affrontare le sue minacce e di adoperare le sue risorse.
Roberto Esposito.
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religione islamica e radicalismo islamista, bisogna provare a mettere insieme i fatti, senza processi alle intenzioni.
La storia personale di Mohamed Bouhlel, l'attentatore di Nizza, è
importante e va raccontata non perché qualcuno potrebbe usarla per
assolvere l'Islam incolpando la malattia mentale (poveri malati
mentali, tra l'altro), ma perché mostra chi sono i nemici che abbiamo
di fronte.
L'Isis si avvale — lo ha sempre fatto ma adesso appare più chiaro — di
chiunque sia utile ai suoi scopi. Esseri umani lucidi e determinati,
così come personalità disturbate e ingestibili.
Ubriaconi e delinquenti, magari
amanti della musica tanto odiata dai predicatori salafiti, così come
fedeli ligi ai precetti delle cinque preghiere e del Ramadan.
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Attribuire
al terrorismo islamico gli attentati compiuti da individui con scarsi
legami organici con l'Isis non significa essere «islamofobi».
Segnalare il rapporto spesso conflittuale tra religione islamica e
radicalismo islamista non è una tesi da «benpensanti» che non vogliono
aprire gli occhi.
Le due realtà convivono.
Lo dimostra l'attentato del 14 luglio a Nizza: sulle 84 vittime del terrorismo islamico dell'Isis, oltre trenta sono musulmane .
Stefano Montefiore.
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