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NUMERO 217 -MOLTE FRONTIERE E POCHE PAROLE.
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Fuggono da qualcosa o si dirigono verso qualcosa? Scappano dalla guerra o cercano l'ennesimo
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paradiso in terra? Incubo o miraggio?
Difficile rispondere senza allargare il quadro e senza capire che le
nostre parole per definirli appartengono a un lessico che non è più in
grado di cogliere i profondi processi in atto in Europa e alle sue
frontiere
Molte frontiere, poche parole.
Il nostro linguaggio è insufficiente. Parole come “migranti” o
“rifugiati” non colgono il senso dei flussi emergenti di gente sempre
più disorientata e disperata che si muove e attraversa il pianeta ma
senza avere una meta precisa. La loro migrazione viene da uno
sradicamento e produce sradicamento: questo in-
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Un mondo in frantumi, ma un Pil globale in crescita
Secondo le Nazioni Unite, la popolazione dell'Africa subsahariana
passerà dagli attuali 960 milioni a 2,1 miliardi di abitanti nel 2050.
Dinanzi a un'Europa che non genera più, l'Africa è ancora il continente
con il tasso di fecondità più elevato sull'intero pianeta.
Ricordiamo a titolo di esempio
che nel 1964, nella sola Germania si registravano 1milione 350mila
nascite l'anno, a fronte della attuali 600mila, mentre con 4,7 bambini
per ogni donna l'Africa è il primo continente rispetto a una media
mondiale di 2,5 bambini a donna. Oggi, la Germania è anche il Paese con
il più basso indice di natalità al mondo.
Flussi migratori e natalità zero sono due delle possibili cause di implosione del
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Nello studio, significativamente titolato Human tide, the real migration crisis (La marea umana, la vera crisi migratoria) si
legge che entro il 2050 il cambiamento climatico creerà in tutto il
pianeta almeno un miliardo di rifugiati. Un mondo con molti Darfur sta
diventando una minaccia sempre più reale. Dal documento di Christian
Aid apprendiamo che entro i prossimi quarant'anni, 645 milioni di
persone si troveranno costrette a lasciare il proprio Paese, la propria
casa e i propri affetti a causa di grandi progetti di sfruttamento
intensivo delle risorse minerarie, dalla svendita dei terreni
coltivabili alle multinazionali (land grabbing)e dalla costruzione di dighe per centrali idroelettriche.
Altri 250 milioni di personefuggiranno dalla desertificazione e da un
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È il paradigma dell'espulsione.
Espulsione di individui, comunità, imprese, luoghi e pratiche di vita.
Chi arriva, chi fugge, chi disperato eppure carico di speranza cerca; è
solo il terminale di una nuova logica, sistemica e devastante, che sta
prendendo corso nelle società avanzate: la logica dell'espulsione. Per
Sassen bisogna sì criticare chi alza muri e reclama nuovi confini, ma
bisogna preliminarmente e “concettualmente” rendere visibili gli
invisibili, illuminare le soglie, scoperchiare i limbi. Capire le nuove
soglie dell'esclusione non è mero esercizio accademico. È una necessità
per una società civile che rischierebbe, altrimenti, di venir meno ai
suoi presupposti.
Queste soglie “sono
tantissime, stanno crescendo e vanno diversificandosi. Sono
potenzialmente qui i nuovi spazi in cui agire, in cui creare economie
locali, nuove storie, nuovo modi di appartenenza”, spiega la Sassen. Ma per agire bisogna capire.
Le politiche europee
Che cosa sta accadendo in Europa? Le politiche europee in materia di
rifugiati sono sorprendenti per il cinismo e la schizofrenia, ma anche
per la lentezza con cui si articola il percorso decisionale di
Bruxelles. Al contrario, gli Stati membri si mostrano velocissimi
quando si tratta di alzare muri e confini materiali. Il livello della
responsabilità politica è sfidato dalla complessità dei flussi e dal
fatto che il potenziale totale di questi flussi è 15 volte superiore a quello finora affiorato
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sia una soluzione moralmente condannabile, ma politicamente realistica.
Questa risposta configura al tempo stesso una forma nuova di brutalità e una soluzione fallimentare, ovvero non è una soluzione.
Credo invece che le soluzioni di cui avremmo bisogno dovrebbero
includere e comprendere ciò che sta accadendo nelle aree di origine e
provenienza dei migranti. Non possiamo spostare tutto il peso della
“soluzione” sulle spalle di donne, uomini e bambini in fuga da
situazioni d'inferno. C'è uno scenario più grande che deve essere
inquadrato e messo a fuoco.
L'Europa potrebbe offrire un punto prospettico
importante per mettere a fuoco questo scenario, eppure anche qui
difettiamo di sguardo. Tanti punti di vista, ma nessuna prospettiva e
la policy generale che si rapporta alla realtà dei crescenti
spostamenti di persone è oggi tutta orientata sulla guerra. La guerra è
vista come causa principale delle migrazioni. Abbiamo bisogno di
allargare il campo, come dicevo, capendo che ci sono altri fattori in
gioco oltre alla guerra.
Ci sono le tossicità prodotte dai pesticidi e dalle estrazioni minerarie,
gli effetti del cambiamento climatico e molte altre condizioni che
alimentano la rapida crescita del numero degli sfollati in tutto il
mondo. Abbiamo bisogno di una molteplicità di politiche e di una vasta
gamma di interventi.
Ci vuole una bella sveglia per la policy attuale, che non é preparata ad affron tare nuove condizioni che producono enormi
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-quieta.
Proprio nel cuore di questo processo di globalizzazione, in un'Europa
che si voleva senza confini, senza muri, senza barriere, muri, confini,
barriere hanno ricominciato a crescere. E a marcare uno spazio,
istituendo un dentro e un fuori, caratteristiche di ogni spazio chiuso,
ma anche limbi entro i quali è sempre più facile cadere, venendo
risucchiati in un “fine pena mai”.
Finora, i flussi massicci di sfollati, conseguenza
dei fenomeni di povertà estrema, di conflitti armati e disastri
ambientali solo in minima parte ricadevano sul “nord globale” del
pianeta. Fino al 2011, circa l'80% dei profughi era ospitato nei Paesi
del sud del mondo e circa 5 milioni di profughi risiedeva in Paesi con
un Pil pro capite annuo inferiore ai 3000 dollari. Poi le cose hanno
cambiato verso e alcune proiezioni importanti parlano di un esodo
potenziale e potenzialmente catastrofico per l'Europa entro il 2050.
Nel mondo polarizzato non solo fra nord e sud,
ma anche fra est comunista e ovest democratico l'Europa conosceva una
forma di migrazione interna, orizzontale, che è stata capace di
armonizzare, puntando su valori inclusivi. Ricordiamo solo il fatto
che, nel 1956, dopo la repressione militare più di 250.000 persone
lasciarono l'Ungheria cercando e trovando riparo nell'Europa non
comunista. O che oltre 2 milioni di cittadini polacchi, in vent'anni,
dal 1980 al 2000, hanno fatto lo stesso percorso. Il crollo del Muro di
Berlino ha significato, non solo simbolicamente, l'apertura al mondo,
ma anche la caduta della tensione est-ovest e l'intensificazione del
rapporto fra nord e sud del mondo. Oggi, questo rapporto ha subito
un'accelerazione radicale per quanto riguarda i flussi migratori.
Sono le cifre a dircelo:
l'Alto Commissariato per i Rifugiati (UNHCR) stima che lo scorso anno
siano state 590.585 le persone arrivate in Europa via mare, su un
totale di 700.000 persone. Ben diversa, in termini quantitativi dalla
migrazione dei 250mila dopo i fatti di Ungheria. Tra i richiedenti
asilo in Europa, l'UNHCR ci ricorda che 1 persona su 4 è un bambino.
In totale, tra gennaio e luglio 2015, 141.525 bambini hanno richiesto
asilo in Europa, con una media di 20.217 al mese, secondo i dati
Eurostat del 9 ottobre 2015.
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sistema Europa.
Negli ultimi dieci anni la percentuale di povertà complessiva in Africa
è diminuita, ma il numero totale di africani che vivono sotto la soglia
di povertà - stimata in 1,25 dollari statunitensi al giorno - è
aumentato.
Un paradosso? Secondo logica e buon senso sì,
ma secondo la logica e il non senso di questa deriva speculativa che ci
ostiniamo a chiamare "globalizzazione" questa è la norma: i ricchi sono
sempre più ricchi, i poveri sempre più poveri e gli Stati mantengono
brandelli di inutile sovranità, là dove ciò che è decisivo è stato
dislocato altrove, in zone extragiuridiche (offshore) o nelle mani
delle corporations che controllano ogni fonte primaria, dal petrolio
all'acqua.
Analisti geopolitici, con realismo affermano
però che proprio da qui - e proprio da ciò che, se visto sotto altri
aspetti, "accelera" la crescita del Pil - verrà la migrazione sistemica
prossima ventura, di cui oggi l'Europa sta solo iniziando a vedere i
primi effetti.
I nuovi migranti saranno environmental migrants, profughi totali costretti a muoversi senza fine.
A sradicare i nuovi profughi non sono più solo guerre e privazioni, ma
anche progetti di sostegno e sviluppo. In un mondo multipolare, non
esistono "migrazioni a somma zero" e non esistono "grandi opere" che
non abbiano un impatto sistemico.
Sistemico significa che, date certe cause -
ad esempio la costruzione di una diga - non sapremo dove e come si
verificheranno le conseguenze ultime di quell'azione. La reazione è a
catena, a effetto domino. Ma talvolta è carsica o a spirale, come nel
fenomeno delle migrazioni.
Prove del Grande Esodo
Nel 2007, in un rapporto di Christian Aid, Organizzazione non
governativa caritatevole, che raggruppa chiese inglesi e irlandesi e
lavora sui temi della lotta alla fame, alla povertà e alla
desertificazione globale - di parlava di un settimo della popolazione
mondiale che, nel 2050, sarà costretta a lasciare il proprio Paese per
fuggire non solo da situazioni di conflitto dichiaratamente bellico,ma
dai disastri direttamente o indirettamente provocati dal cambiamento
climatico.
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surriscaldamento
climatico il cui impatto sarà avvertito soprattutto in determinate aree
del pianeta, mentre 50 milioni di persone fuggirannoda conflitti armati
generati da quelle stesse catastrofi o dalle conseguenze delle
stesse migrazioni.
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a quello finora affiorato.
Mentre perdiamo tempo, le guerre continuano senza sosta.
A questa sfida l'Europa risponde guardandosi alle spalle. Viene data
così una risposta regressiva: reinstallare i confini e costruire muri
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spostamenti di massa, ma non è nemmeno disposta a far fronte alle conseguenze di questi spostamenti. Questo
cambio di azione e di visione richiederà la presenza di reti globali di
policy makers che affrontino le istanze specifiche di determinate
regioni o Paesi,
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Già oggi l'Europa accoglie la quota maggiore, pari al 31,3% del totale dei migranti globali.
Masse o moltitudini spinte dalla desertificazione, dalla crisi
economica e dal panico riconfigureranno completamente il volto
economico, demografico e culturale anche di quella parte del pianeta
che ancora si definisce "Occidente", in primis l'Europa.
Un nuovo paradigma: dalla migrazione all'espulsione
Secondo la sociologa Saskia Sassen della Columbia University di New
York c'è un nuovo, terribile paradigma col quale dobbiamo fare i conti.
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in cima
ai vecchi confini. E si abbandona la Grecia, ma anche l'Italia, a una
soffe renza che è anche economica ma non solo. La storia non sarà
tenera con i responsabili delle politiche europee. Abbiamo però bisogno
di un altro linguaggio, ci serve una nuova lingua.
C'è stato un tempo in cui le differenze erano chiare e l'immigrato si
lasciava una casa alle spalle. Oggi che il migrante non si lascia più
nulla alle spalle, c'è comunque chi pensa che per affrontare un
problema tanto complesso “riman- darlo a casa” anche se la casa non c'é
più sia una
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riconoscendo ad esempio la necessità di nuovi tipi di politiche sovranazionali.
Mario Dotti
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