NUMERO 217 - L'INTERVISTA DI FABRIZIO BARCA SUL PD






















Chi è  Fabrizio Barca.
Figlio di Luciano, storico esponente del PCI.
Barca prima di fare politica ha insegnato economia alla Bocconi di Milano, a Modena, Siena, Roma e Parigi.
E stato dirigente in Banca d'Italia e presso i ministeri dello Sviluppo e poi delle Finanze.
È ministro per la coesione territoriale nel governo Monti, dal 2011 al 2013. Poi ha aderito al Pd. Dopo Mafia Capitale, Matteo Orfini gli ha affidato la mappatura dei circoli del partito romano di cui ha  chiesto lo scioglimento di 27 sezioni su 108 in quanto “dannose”.






Fabrizio Barca e Tito Boeri (INPS) sono oggi forse la cambretta che potrebbero tenere assieme i resti dell'antico PCI al nuovo PD. Se nel frattempo non si sia squagliato del tutto al sole. Stimo che siano in molti del PD che la pensano come F. Barca e che oltre a non avere rinnovato la tesssera del PD magari non sono andati nemmeno a votare alle recenti amministrative.
Il fatto certo é che alla migrazione di massa della stragrande maggioranza dei segretari di sezione del PD dalle fila di Bersani a quelle di Renzi non ha corrisposto un'azione efficace degli stessi circoli. Laddove il PD era  ferreamente innestato nei mille gangli della società come distributore unico di  moneta al c.d. privato sociale, c'é stata la rivolta popolare e di massa contro una classe politica ormai sfatta, dedita solo al potere piuttosto che al servizio.
Il privato sociale pare diventato l'unico interlocutore del PD  nella società, pare diventato l'unico attore positivo.
Dirigenti di partito cui interessa più un convegno con un rappresentante della Confindustria piuttosto che pensare a come staranno gli operai nella fabbrica 4.0
A mia memoria da almeno dieci anni non vedo più una riunione del PD coi giovani disoccupati mentre gli anziani pensionati, tutti dotati di pensione , sono coccolati meglio dei neonati: affidati in gran parte non a pubbliche strutture ma al solito privato sociale che lo fa per soldi fingendo ipocrita passione.
Come se non fosse percepita dagli utenti....
Amministrazioni di centrosinistra che presentano i bilanci di previsione con l'evidenza del "o così o pomì" solo per raccogliere il plauso dei soliti noti in assemblee che scimmiottano i talckshow e tacciono accuratamente sui temi nazionali.

Il fatto è che il PD come tutti i partiti, financo i pentastellati, non hanno il coraggio di dire alla gggente che il futuro sarà un futuro di maggiore povertà perchè le esportazioni in un paese senza innovazione e senza giovani sono destinate a ridursi a quei pochi settori in cui (forse) hai qualcosa da dire.
Non hanno il coraggio di proporre alla gggente il patto di ridurre a poco cosa l'evasione e l'elusione fiscale. La politica non ha le mani pulite ed ogni giorno vengono beccati con le mani nella marmellata. Addirittura la "questione morale" pare diventata uno stucchevole rompicoglioni.

Ma il PD non si rende ancora conto che il Paese si sta spezzando tra una parte che bene o male  é entrato o sta entrando in un contesto internazionale giocando alla pari e un paese che arranca ed arretra chiedendo vieppiù protezionismo.
Che é poi la politica di Salvini.
Accade nel padronato, nello stato, ma anche nella forza lavoro dove ormai gran parte é divenuta irriciclabile. Da buttare insomma. 50-60enni che dovrebbero lavorare anche altri 15 anni e che sostanzialmente sono analfabeti.
Analfabeti e abbandonati e senza nessuna idea del che fare.

Sopratutto ci sarebbe da decidere che fare visto che domani si dovrà necessariamente lavorare di meno perchè occorre meno "roba" e quindi si dovrà decidere il che far fare a quella gente.






































Più poteri, più poteri, più pote­ri. La classe politica che ha guidato l'Italia in questi anni ha creduto che il potere fosse la soluzione a tutti i problemi. “E più ne ha avuto, meno ha combinato”. Fabrizio Barca ha alzato bandiera bianca: nell'ultima direzione del Pd, il 4 luglio, si è dimesso dalla commissione per la riforma del partito.

 Con queste paro­le: “Ha rivelato la sua assoluta inutilità”. Il suo lavoro è stato ignorato dagli stessi dirigenti che gli avevano conferito l'in­carico.

L'ex ministro conser­va la tessera, ma del Pd non salva né la maggioranza renziana, né la minoranza: “Chi lavora per far fuori Renzi ra­giona con la sua stessa logica di potere”. L'impegno di Bar­ca è soprattutto altrove: gira l'Italia dei “luoghi ideali”, del­le esperienze di democrazia dal basso e cittadinanza atti­va. “L'unico modo per ridurre il divario tra chi fa politica e i cittadini - dice - è la parteci­pazione, il confronto pubbli­co”.

Ha messo in fila una serie di considerazioni durissime sul partito in cui milita. Per­ché mantiene la tessera?
Perché rimane l'unico partito in Italia che abbia uno statuto comprensibile e un dibattito interno a volte sterile, ma tra­sparente. È fatto da gente che ha come unico obiettivo la propria carriera, ma ci sono pure centomila iscritti e tante persone per bene.
Nel Pd non c'è solo Renzi, c'è anche la minoranza.
Hanno la stessa logica di chi è al potere. Con gli stessi errori. Vogliono cambiare il perso­nale, non la struttura. Non so­no interessato.
È stato ministro, il suo lavo­ro è stato largamente ap­prezzato. Non le manca?
No. Non sapre inemmeno con chi farlo, il ministro... Guardi, mi trovo bene quando giro l'I­talia, quando vado all'Aquila, nelle Madonie, a Sibari.Mi piace stare sulla frontiera, ascoltare chi fa cittadinanza attiva.



















































































































































La partecipazione però è ai minimi storici.
La prima colpa è delle classi dirigenti, che hanno dimo­strato di essere inadeguate. Il personale alla guida del Paese - tra i 40 e i 60 anni - si è for­mato in una fase di autoreferenzialità fortissima della classe politica.
E la seconda colpa?
È collettiva. La cittadinanza attiva è molto efficace nei tanto meno nei 5 Stelle.
Come si spiega il loro suc­cesso allora?
Le masse popolari impoveri­te hanno visto scomparire completamente la parola “la­voro”. I cittadini ai margini avvertono l'impotenza di chi governa e cercano il nuovo, qualunque esso sia.

Non le pare una resa?
No. Me lo dicono in molti, ma in tutta onestà: non è così.
Suo padre Luciano è stato una figuri storica del Pei, lei non ha mai rinnegato la tra­dizione comunista. Quand'è che la sinistra italiana ha perso l'anima? Poteva anda­re in modo diverso?
Per rispondere a que­sta domanda ci vorrebbe un libro, abbia pietà. Ma certa­mente sarebbe potuta andare in modo diverso.
Conosce bene Padoan e De Vincenti: erano economisti del PCI, giovani comunisti. Oggi lavorano a fianco di Renzi. Com'è successo?
Hanno aderito al modello unico all'idea che il mondo non possa essere diverso da com'é.


















































































































Hanno trovato “il nuovo” due anni fa in Renzi. Ora ne cercano un altro. E un'eterna rincorsa.
Scusi, Barca: negli anni in cui è "scomparsa la parola lavo­ro” lei ha fatto il ministro nel governo Monti e ha militato nel Pd. Nessuna autocriti­ca?
Quello di Monti era un gover­no d'emergenza nazionale, aveva lo scopo di non farci fi­nire come la Grecia. Era l'ul­timo governo al mondo a cui si potesse chiedere di rimettere al centro il lavoro.
E il Pd?
Il Pd ha sempre avuto questo problema. Già con Veltroni, D'Alema, Bersani. Ha rimos­so dalla sua coscienza la cen­tralità del lavoro. Dall'inizio.
Nel suo documento per la ri­forma del Pd ha scritto che serve un "partito palestra", "ancorato a sinistra". Deci­samente non è il caso del Partito democratico.
No, il Pd non è affatto anco­rato (ride). Dentro convivono valori distanti e diversi. Con il mio lavoro ho provato a sol­levare un tema fondamenta­le, purtroppo con risultati ir­rilevanti: la selezione della classe dirigente di un partito non può avvenire attraversò la cooptazione dei fedeli, ma sulla base della capacità di la­voro, dei risultati concreti. Nel Pd il principio è la fedeltà. Ma non si può dare la colpa solo a Renzi: il partito è così da quando è nato, nel 2007.
Nel suo rapporto scrive a chiare lettere che il finanzia­mento pubblico non i affat­to stato abolito (come hanno rivendicato prima Letta e poi Renzi).
La nuova normativa introdu­ce una detrazione fiscale pari al 26% delle donazioni effet­tuate ai partiti, il costo stimato per lo Stato è di 61 milioni di euro. Una legge iniqua e as­surda.
Perché è stata "venduta" al pubblico un'abolizione ine­sistente?
Perché questo domandava il popolo al Colosseo (rìde). La domanda vera è: perché ci sia­mo lasciati prendere in giro':* E colpa nostra. In democra­zia, se la gente non si incazza ha quello che si merita.

Un'errata posizione “riformista”, nel senso peg­giore. Non hanno capito che il capitalismo stava subendo delle trasformazioni radicali che lo portavano alla crisi drammatica di oggi. Sono persone che lavorano tanto, con convinzione, in modo onesto. Ma a un certo punto si sono convinti che le loro idee fossero utopie.
Una fìnta telefonata della Zanzara le fece confessare di esser stato contattato per fare il ministro nel governo Renzi. Non ebbe parole lu­singhiere per lui. Con il pre­mier non vi siete molto sim­patici.
Da parte mia non c'è nessuna antipatia, né pregiudizio cul­turale. Non l'ho mai percepi­to nemmeno da parte sua. Certo, abbiamo idee diverse.
E il renziano Carbone che scrive "ciaone" agli elettori del referendum trivelle?
E stato patetico. Patetico. Fa tristezza, non rabbia.
Cosa voterà al referendum costituzionale?
Sto cercando di valutare in modo certosino tutte le parti della riforma. Non voglio af­frettare il mio giudizio. Deci­derò entro settembre.

Intervista di Tommaso Rodano.
Il Fatto Quotidiano
18 luglio 2016