NUMERO 216 -PAGINA 1 - MEGLIO AMMAZZARE IN NOME DI DIO CHE DI ALLAH?


















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Nell’ultima o penultima puntata della seconda serie di Gomorra (Sky Atlantic, 2016)-non ricordo bene- c'è la scena di Malammore, il fede lissimo di don Pietro
Savastano, che uccide Maria Rita, una ragazzina di undici o dodici anni, figlia di Ciro Di Marzio: un caso di vendetta trasversale, tanto più bestiale perché ad esserne fatto oggetto è un minore. Non è solo questo, tuttavia, a destare il comprensibile raccapriccio nello spettatore: prima di sparare, quasi per uno straccio di anticipata resipiscenza, Malammore prende il crocifisso che porta appeso ad una catenina che ha al collo, lo porta alle labbra e lo bacia. Anche con un certo trasporto, occorre dire.
È evidente che la religione c’entri poco o nulla, ma è altrettanto evidente che quel crocifisso è senza alcun dubbio un simbolo religioso. Come possiamo sciogliere il paradosso?
Una soluzione potrebbe essere quella di ascrivere il gesto a tutta quella serie di rituali che in passato precedevano le operazioni belliche che avessero per fine più o meno dichiarato quello dello sterminio di infedeli, e che ancora oggi persistono in forma residuale nella benedizione delle truppe inviate in guerra, in certi casi pefino delle loro armi, da parte dei cappellani militari, come a dare una sorta di copertura morale al

Prendercela con tutti i musulmani di casa nostra o con i soli musulmani d’origine bengalese? Dichiarare guerra al Bangladesh? «Quegli italiani erano certamente esperti del mondo e della vita», non c’è motivo per dubitarlo, non a caso facevano affari in un paese dove un salario medio è sui 60-70 euro, a fronte dei 1.600-1.700 che costerebbe in Italia: nulla a che vedere con l’esperienza che rende impossibile attendersi vendetta, per sensibilità cristiana, dai propri connazionali, men che meno da quelli licenziati perché la loro produzione veniva trasferita in Bangladesh. Diciamo che il mondo e la vita di cui erano certamente esperti li rendeva scettici sulla possibilità di essere vendicati, ma per tutt’altre ragioni che la nostra indiscutibile sensibilità cristiana.

«Verso la memoria di quelle vittime però, dovremmo tutti prendere almeno un impegno di serietà e di verità. Dunque, parlando di ciò che li ha condotti alla morte, rinunciare al buonismo di principio, ai giudizi programmaticamente tranquillizzanti, agli equilibrismi. Che ad esempio i maggiori quotidiani del loro Paese, quasi per farsi perdonare l’audacia di aver avanzato in un primo momento il sospetto che nella macelleria bengalese, vedi mai, la religione islamica c’entrasse qualcosa, che quei giornali, dicevo, immediatamente dopo si sarebbero sentiti in dovere, in omaggio a unapresunta obiettività, di pubblicare articoli volti a rigettare il sospetto di cui sopra giudi-

E in ogni caso non vuol forse dire quanto scrive Ben Jelloun che comunque in quel testo ci sono parole e precetti che si prestano e magari incitano ad un certo uso della violenza? Certo, tutti sappiamo che il monoteismo in quanto tale intrattiene un oscuro rapporto con la violenza. Ma fa qualche differenza o no — mi chiedo ancora sperando di non incorrere per questo nell’accusa di islamofobia — fa qualche differenza o no se nel testo fondativo di un monoteismo i riferimenti alla violenza ci sono, espliciti e ripetuti, e in un altro invece sono del tutto assenti? Fa una differenza o no, ad esempio, se i Vangeli non registrano nella predicazione di Gesù di Nazareth alcuna azione o proposito violento contro coloro che non credono?

Non ha significato forse proprio questo la possibilità nell’ambito del monoteismo cristiano di mantenere aperto costantemente uno spazio di contraddizione, di obiezione nei confronti della violenza pur commessa in suo nome che altrove invece non ha mai potuto vedere la luce? Mi pare assai dubbio insomma che tutte le cosiddette religioni del Libro adorino davvero lo stesso Dio come sostengono gli instancabili promotori delle tante occasioni di “dialogo interreligioso” che si organizzano dovunque tranne però, chissà perché, nei Paesi musulmani. Per la semplice ragione che in realtà quel Libro è per ognuna di esse un Libro dal contenuto e dal significato ben diversi».

Quanto spreco di fiato solo per riaffermare le ragioni del Manuele II Paleologo citato da Ratzinger a Ratisbona! Nell’islam sarebbe intrinseca la giustificazione della violenza a fine proselitario che invece è assente nel cristianesimo, e questo sarebbe provato dalla presenza nel Corano di versetti che alcuni musulmani (non tutti, dunque) prenderebbero alla lettera: nulla di simile nei Vangeli, ed ecco, allora, la prova provata che il cristianesimo è religione di tolleranza e di pace. Vallo a spiegare a chi l’ha sperimentato sulla propria pelle per oltre un millennio, dal IV al XVII secolo: digli che è stato battezzato a forza per una malintesa lettura dei Vangeli, che dove non prescrivevano la conversione col ferro e col fuoco trovavano esegeti particolarmente creativi, vedrai che apprezzeranno molto il distinguo e, grati della libertà che gli concedi, abbandoneranno la fede nella Santissima Trinità per tornare ad adorare Pachakamaq, Wiraqucha e Apocatequil.
Certo che pure ’sti Vangeli... Arriva Cristo e chiede che l’adultera non sia più lapidata, però, tanto per dire, dice che  della legge mosaica non é venuto




Ammettiamo che si tratti di un "lupo solitario". perfino che si tratti, ancora più banalmente- se si può usare qusto termine per un evento di tale smisuratezza san-
di una persona affetta da disturbi psichici. Resta il fatto che la nazionalità d'origine dell'autore della strage di Nizza, le modalità e l'obiettivo della strage stessa, il suo contesto simbolico, tutto lascia credere che Mohamed Lahouaiej Bouhlel abbia agito perlomeno — perlomeno — sotto l'influenza di quella «retorica jihadista».
«Retorica jihadista» che, come ha scritto Le Monde, «chiama alla lotta contro gli infedeli, gli ebrei e i crociati, gli Occidentali: un discorso totalitario che predica la guerra con tutti i mezzi contro i miscredenti e altri non credenti». Come dubitare che proprio tale retorica, diffusa a piene mani nei Paesi del Medio Oriente così come nelle comunità islamiche in Europa e in America attraverso Internet e altri mille canali, rappresenti il problema cruciale della lotta contro il terrorismo?
Come dubitare che se non si fanno i conti con una tale retorica essa finirà inevitabilmente per alimentare sempre nuova e ancora nuova violenza? E infine: come credere che la retorica jihadista di cui sopra non abbia nulla a che fare con la religione islamica? Qui si tocca un problema di fondo quanto mai delicato. Ogni volta infatti che si prova a dire quello che ho appena detto, e magari ci si azzarda anche a indicare — con tutta l'approssimazione del caso, ma i giornali non sono gli Annali dell'Accademia delle Scienze — i motivi di questa implicazione tra la religione islamica e il radicalismo politico dagli esiti terroristici, immediatamente ci si espone alle opportune correzioni, all'invito ai debiti distinguo e ai necessari approfondimenti da parte di chi pensa di saperne o effettivamente ne sa di più. Il tutto accompagnato alla messa in guardia contro il pericolo di aprire le porte a una guerra di religione. E fin qui sta bene. In una materia così scottante i politici, tra l'altro — e non solo italiani ma di tutta l'Europa che conta — sono sempre d'accordo con tali messe in guardia, con questi appelli alla cautela.
Per la buona ragione che così essi possono evitare ciò che più temono: e cioè, Dio non voglia, prendere decisioni nette e quindi necessariamente impegnative (per esempio tirare in ballo finalmente le responsabilità dell'Arabia Saudita o intervenire con efficacia contro il mercato delle armi). Il fatto è, però, che in tutti i casi che conosco gli inviti di cui ho appena detto, sia pure sacrosanti, evitano però, a me pare, di pronunciarsi poi, a propria volta, nel merito. Cioè di dirci quale sia allora il reale rapporto che intercorre tra religione islamica e radicalismo islamista. E chi, e in che modo, possa eventualmente fare qualcosa. Sicché alla fine, nella ridda delle obiezioni e delle smentite, si finisce per trarre l'impressione che un tale rapporto in realtà non esista per nulla, e che quindi ci sia ben poco da fare. Con la conseguenza di non poter fare altro che ripiegare su soluzioni mitico-consolatorie tipo «più intelligence», «più dialogo», «più tolleranza», «più integrazione»: che come si capisce è difficile che risolvano qualcosa.
La sconfitta che incombe sull'Europa appare insomma come una sconfitta prima di tutto intellettuale. Non riusciamo a metterci d'accordo su chi sono e da quali territori della mente e del cuore vengano i nostri sterminatori. Addirittura molti tra noi pensano, e più o meno ad alta voce dicono anche, che dei morti di Nizza come di quelli di altri cento luoghi la colpa alla fine sarebbe solo nostra. Del nostro orribile passato di conquistatori (come se le altre civiltà non lo fossero state quanto la nostra) così come del nostro altrettanto orribile presente di «globalizzatori». O magari, per addolcire la pillola, degli americani e delle loro inconsulte guerre.
È consentito chiedersi come con tali premesse sia possibile che vinciamo? Quando gli unici scontri a cui riusciamo a pensare sono quelli di tipo diciamo così spionistico-polizieschi; quando crediamo che conti poco o nulla la religione, cioè la cosa che alla maggior parte dell'umanità appare come la più importante; quando siamo convinti che l'identità culturale sia solo un'invenzione dei reazionari per vincere le elezioni.

E. Galli della Loggia
Corrire della Sera
16 luglio 2016





















































































































































































-candolo calunnioso e frutto di ignoranza, ebbene che una cosa simile sarebbe accaduta questo forse nessuna di quelle vittime è arrivata certamente a pensarlo».

Se guardando la puntata di Gomorra di cui abbiamo parlato nella premessa hanno rigettato l’idea che quel crocifisso avesse a che fare con la natura prima e ultima del cristianesimo, può darsi invece che siano arrivati a pensarlo: perchè dare per scontato che gente esperta del mondo e























































soldato per ciò che si appresta a fare. Bene, ma tutto questo ha qualche attinenza con ciò che è propriamente religione?
Tutto sta nel propriamente, perché ogni religione – insieme – vieta severamente l’omicidio e poi concede sempre qualche deroga a commetterlo, soprattutto quando è in gioco la difesa della fede, anche se per alcune religioni la deroga ormai si è assai ristretta. Si prenda proprio il caso del crocifisso di Malammore: in passato giustificava ammazzamenti d’ogni genere, oggi solo la legittima difesa, nella quale rientrano, anche se sempre meno comodamente, pure la pena di morte e la cosiddetta «guerra giusta» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 2263-2267).
Diremmo che Malammore è tre volte in difetto verso il crocifisso che bacia prima di far fuori la ragazzina. Innanzitutto, è pesantemente anacronistico rispetto ai tempi in cui nell’occidente cristiano bastava baciare un crocifisso per sentirsi a posto con la coscienza e passare ad ammazzare chiunque stesse sul cazzo a chi comandava di farlo. Il Pietro che gli ha commissionato quell’omicidio, inoltre, non ha proprio niente a che vedere col Pietro che invece avrebbe avuto piena potestà di commissionarglielo, in passato, semmai insignendolo del titolo di defensor fidei. Infine, la piccola Maria Rita è soggetto che si presta in modo assai poco congruo a poter essere considerata nemica della fede, quand’anche la scena fosse retrodatata di secoli: non è ebrea, non è eretica, non è strega.
In definitiva, potremmo dire che il bacio che Malammore dà al crocifisso, più che muoverci a sgomento, deve interrogarci sulla funzione che quel gesto ha avuto in passato, e sul come ne sia arrivato fino a noi del tutto privo, per finire coll’indurci a una reazione che somiglia molto, per l’automatismo che fa mix di ignoranza e pigrizia mentale, al biasimo di cui facciamo oggetto chi usi posate e bicchieri tenendo il migliolo sollevato in aria, retaggio dei tempi in cui a quel dito i nobili portavano un anello, quello solitamente usato per apporre il proprio sigillo, che a tavola cercavano di evitare si sporcasse di pietanze.
Nato come gesto con una sua precisa funzione, è diventato, prima, ciò che segnalava il possesso di un titolo nobiliare e, poi, uno stigma da cafone.
Ecco, dunque, cosa abbiamo visto in quella scena della seconda serie di Gomorra: un fossile del cristianesimo che ieri era vivo e pulsante (immaginate un esercito di crociati sfilare davanti a uno stendardo sul quale è ricamata una croce da baciare prima di schierarsi in battaglia) e che oggi emerge dal passato ormai pietrificato, roba che un creazionista può azzardare sia una prova cui Dio ci sottopone per saggiare la nostra cocciutaggine nell’eresia darwinista. Il crocifisso di Malammore – possiamo dire – assume la funzione di un feticcio di cui si sia smarrita la comprensione del perché la sua protezione sia potente.

Questa era la premessa. Si è capito che l’intenzione era quella di commentare l’editoriale che Ernesto Galli della Loggia firmava ieri sul Corriere della Sera per dare una risposta indiretta a quanti mi hanno accusato di aver omesso ogni cordoglio per gli imprenditori tessili italiani morti a Dacca per limitarmi ad insinuare che potessero essere lì a delocalizzare la produzione per il basso costo della manodopera locale? No, eh? E vabbè, significava pretender troppo.
 
Passiamo a Ernesto Galli della Loggia.
«Chissà se in quella tragica sera di Dacca qualcuno dei nove italiani, mentre veniva torturato e si preparava ad essere sgozzato per non aver saputo rispondere a dovere alle domande di catechismo islamico, avrà pensato che i suoi compatrioti avrebbero preso l’impegno di vendicarlo. Penso proprio di no, dal momento che quegli italiani erano certamente esperti del mondo e della vita. Non sta bene covare sentimenti di vendetta, e tantomeno dirlo: loro sapevano che noi la pensiamo così, e dunque non potevano certo farsi illusioni».

Se non fosse che siamo così intensamente cristiani da non riuscire neppure a concepirla, la vendetta, come avremmo potuto vendicarli, volendo? A chi farla pagare, visto che gli attentatori hanno seguito la stessa sorte delle loro vittime?



della vita non sappia che la religione è sovrastruttura che copre mille schifezze?

«Da anni infatti terroristi islamici seminano dovunque la morte ma l’opinione pubblica occidentale si sente puntualmente ripetere  che la loro religione non c'entra nulla.
















































































































































Il più delle volte con l’argomento (evidentemente reputato in grado di chiudere la bocca a chiunque) che, a tal punto il terrorismo islamico non c’entrerebbe nulla con la religione islamica che spesso le sue vittime sono proprio gli stessi islamici. Come chi dicesse che poiché le guerre di religione nell’Europa del Cinque-Seicento vedevano dei cristiani ammazzare altri cristiani, proprio per questo la religione con quella violenza non avesse nulla a che dividere».

Ma anche in quel caso, infatti, la religione era sovrastruttura, stupisce che un professorone del calibro di Ernesto Galli della Loggia possa pensare che cattolici e protestanti si scannassero perché avevano una diversa comprensione del concetto di Grazia.
Prendete fiato, qui Ernesto Galli della Loggia scende nella profondità nel messaggio cristiano: se vogliamo seguirlo senza rischiare l’asfissia, occorre adeguata ventilazione. E attenti a quando lo seguirete nel risalire in superficie, sennò vi scappa l’embolo. 

«“I jihadisti — ha scritto Tahar Ben Jelloun, conosciutissimo teorizzatore dell’Islam tollerante all’interno di un’auspicata tolleranza universale — prendono a riferimento dei versetti che erano validi all’epoca della loro rivelazione ma oggi non hanno più senso”. Già. Ma mi chiedo: e chi è che lo decide quali versetti del Corano continuano ad “avere senso” e quali invece sono per così dire passati di moda? Chi?

a cambiare neanche uno iota.
Poi dice che bisogna amare il proprio nemico,  ma dice che chi non è con lui è contro di lui. Che tipo, eh?

«In realtà è assai difficile pensare che l’Islam non abbia un problema specifico tutto suo con la violenza. Ne è prova non piccola, a me pare, come esso continui a praticarla nei suoi riti i quali sembrano non aver conosciuto in misura decisiva il
processo di trasfigurazione simbolica avutosi in altri monoteismi. Chiunque ad esempio si è trovato in una località islamica il giorno della Festa del Sacrificio (che ricorda il sacrificio del primogenito richiesto da Dio ad Abramo) ha potuto assistere allo spettacolo di ogni capofamiglia che, armato di coltello, sgozza sulla pubblica via un agnello procuratosi in precedenza. Certo, la pratica non è più universale ma è ancora abbastanza diffusa da impedire di credere che essa non costituisca tutt’oggi un paradigma dal potentissimo richiamo emotivo per l’insieme dei credenti».

Zotici intrinsecamente violenti, senza dubbio.
Ma ancora niente rispetto a Malammore.

Luigi Castaldi
www.malvinodue.blogspot.it