NUMERO 216- PAGINA 1 - LA CATTIVA IDEA DELL'UNIVERSICITTA'





























«Sì, però il campus universitario...». Già 44 anni fa, la sottile insinuazione, la velleità, la persistente idea che il modello a stelle e stri-

Da via Salvecchio a Dalmine, un po' come dal Manzanarre al Reno, insomma, si prefigura l'impero del sapere orobico che, nello sviluppo dei tre poli — linguistico, umanistico e scientifico — ha inconsapevolmente ripercorso il tracciato di Branca e della sua lettura urbanistico-antropologica dei luoghi.

«Da molto tempo sostengo che l'Italia ha un patrimonio immenso di città storiche o di quartieri storici in grandi città, che, per il loro tessuto urbanistico non possono accogliere la vita della civiltà industriale o tecnocratica — rimarcò il rettore al sindaco Pezzotta —. Sono quindi destinati a distruzione o a imbalsamazione, il che equivale a morte, perché privi di quanto può fare di essi delle città vive.



Sarà un caso che Mimmo e LaMarianna -due ristoranti storici che hanno innovato la cucina portandovi la pizza

La scelta di tenere tutta l'università «in città» è stata dettata semplicemente da una serie di scambi intercategoriali per tenere il più lontano possibile la concorrenza (e quindi la qualità) e distribuire all'interno dei bergamaschi questi  incarichi e investimenti. La giustificane «nobile» ha coperto tutto.

Ma lo scambio intercategoriale è stato assai esteso perché ha coinvolto in primis la potente categoria dei negozianti: la presenza dell'università fa incassare «due» giornate» a ciascun negozio. E della proprietà immobiliare: meglio che gli edifici pubblici non entrino nel mercato degli utilizzi privati perché  farebbero concorrenza appunto al privato.
Il fatto che l'università, cioè una struttura pubblica, sia dispersa in decine di sedi oltre determinare un costo assai elevato per il suo mantenimento (e quindi come tassazione degli studenti e impegno del pubblico)  contribuisce ad un ulteriore costo per i trasporti privati e pubblici.
Ma questa distribuzione a pioggia sul territorio delle varie sedi universitarie “smorza” le polemiche all'interno delle categorie parassitarie (la GdF dice che i negozianti bergamaschi dimenticano di emettere … uno scontrino su tre: mai dimenticare questo particolare) bel gelose che certe zone sia  più favorite rispeto ad altre.
Vedi l'insistenza dei commercianti di Bergamo bassa di zompare sui passaggi  dell'aeroporto Caravaggio  di cui attualmente ne gode solo OrioCenter.

L'idea del campus -al tempo c'erano tutti gli spazi industriali da destinare al riuso- non era quella di creare un ghetto che apriva alle otto del mattino per chiudere alle diciotto del pomeriggio ma costituiva un potente lievito dell'insieme che oggi sostanzialmente non esiste.
Un conto che lo studente di lingue o di economia sappia che in altra parte della città o della provincia ci sono studenti di ingegneria o diritto ed altro conto è che tutta questa «intelligenza» stia  insieme. Il significato del corpo di una struttura è stato sempre sottovalutato.
Del resto questa spartizione riflette il desiderio di «controllo»  degli studenti da parte del potere: un campus può essere un potenziale esplosivo,  decine di sedi spengono ogni potenziale ardore.

Quello spazio che  dona l'altro sarà la sede del new palazzetto dello sporto poteva benissimo diventare un campus in posizione e servizi strategici.

La modestia (si può chiamare «miseria» senza che qualcuno si offenda?) la si legge anche  nell'ultima operazione tra Provincia ed Università, una sorta di mercato dei polli tra istituzione. La Provincia di Bergamo, governata da un pateracchio politico  forzista-piddino nella seduta del 1° luglio 2016, ha deliberato all'unanimità la decisione di cedere l'immobile di via Fratelli Calvi all'Università di Bergamo. Trattasi di tre palazzine e il parcheggio che equivalgono a 2000 mq di superficie). La struttura servirà per ampliare la sede in via Caniana, per sviluppare il polo giuridico economico e per riposizionare gli uffici dell'amministrazione.

L'accordo compensa l'impossibilità per via dei tagli subiti da Via Tasso di rispettare l'impegno assunto tramite convenzione per il versamento di un contributo annuo di 449.317,50 euro all'Università.
"Questa compensazione è un segnale politico fondamentale; è un riconoscimento implicito del ruolo che la nostra Università svolge",dichiara il rettore Remo Morzenti Pellegrini. "La soluzione adottata chiude una vicenda aperta da circa 3 anni fa e risolve anche un problema pratico, operativo, di bisogno di ulteriori spazi dell'Ateneo. Il nostro obiettivo è diventare un presidio culturale e della conoscenza all'interno del territorio".
Ecco cosa si intende quando si dice che noi bergamaschi davanti ai grandi problemi invece di guardare lontano, «an met insema dol patöss».



















e la stracciatella- non siano stati creati da gente bergamasca?
Sarà un caso che il progetto della principale opera pubblica di epoca repubblicana a Bergamo sia di un francese e la sua tribolata costruzione di una ditta pugliese?
Sarà un caso che il centro città  si sta svuotando di uffici e abitazioni (e anche negozi)? sarà un caso che il palazzo di giustizia di via Borfuro- Garibaldi non abbia i piani... sullo stesso piano?
Sarà il caso che in piena estate sulle mura abbiamo in «cesso in bella vista»?
E dimentichiamo la splendida movida notturna di città alta?

Diciamo subito che in base al Sole24Ore nel 2015 l'Università di

sce fosse proponibile (e preferibile) per l'Università di Bergamo aveva trovato una risposta. Accademica e lungimirante. Quella del primo rettore dell'Ateneo orobico, Vittore Branca, filologo e critico letterario di primissimo piano (figura tutta da riscoprire) che nel relazionare il termine del suo mandato quadriennale all'allora sindaco della città Giacomo Pezzotta delineò con chiarezza profetica il futuro dell'Università.
Preveggente è l'aggettivo perfetto. «Si parla con invidia dei “campus” americani, specialmente da parte di chi non li ha visti o non ci ha vissuto. Sono belli e funzionali






























































Bergamo era classificata al 32° posto (su 61 università) con 49 punti mentre in testa c'era Verona con 88 punti. Poco meno del doppio di Bergamo. Non siamo malmessi ma nemmeno brilliamo insomma ...

Riporto l'articolo della Tiraboschi sul Corriere del 14 luglio 2016 perché riassume benissimo la cultura bergamasca del «patöss» con una applicazione niente-poco-di-meno che all'insediamento «spargolo» dell'università che secondo una ben nota furbizia andreottiana «'un po', per u, al fa mal a neghu».

l'idea del riuso di antichi edifici pubblici per nuove destinazioni ebbe ed ha













































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ma incredibilmente freddi e astratti, fuori dalla vita normale, avulsi dal tessuto sociale, come dei ghetti. Lo studente viene separato dalla vita d'una città: non incontra che studenti e professori, nelle aule, nei campi da gioco, nei bar. Noi — scriveva ancora — dobbiamo invece trasformare i nostri centri urbani e storici in tante sedi di studio. Gli studenti apprenderanno proprio dall'ambiente stesso lezioni non meno utili di quelle impartite nelle aule. Non si tratta di un disegno utopistico, di una lontana possibilità: si tratta di impegno concreto, di un programma realizzabile a Bergamo entro breve tempo».
Il presente era già scritto in filigrana in quella relazione. Da allora, in un tempo relativamente breve, l'Università di Bergamo ha proseguito la vocazione che era parsa già chiara a Vittore Branca, quando — negli anni Sessanta — l'Ateneo occupava l'ex Palazzo del Podestà e la Sala dei Giuristi, con la disponibilità aggiuntiva e provvisoria della Sala delle Capriate nel Palazzo della Ragione e di alcune aule del Sarpi.
Un rapporto strettissimo quello tra Città Alta e l'Università che il Consiglio Comunale promise di ridiscutere quando fosse stato superato il tetto dei 2 mila iscritti.

E nel 1986 il numero salì a 3.500; uno studente per ogni abitante del Borgo Antico. Ridiscutiamo.
Riparlarne significò «guardare oltre l'ostacolo», reperire spazi e funzioni, con un'espansione che solo negli ultimi 15 anni ha visto interventi di edilizia universitaria su 65 mila metri quadrati, per un importo complessivo di 117 milioni di euro di cui 109 a carico delle casse dell'Ateneo. I 14 milioni dell'ex collegio Baroni, i 25 della Montelungo, i 22 del polo di via dei Caniana, i 15 di Dalmine.
La lista della spesa (culturale) è imponente, al pari e più di un investimento industriale. Un investimento culturale.
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Ebbene, una funzione che non li sconvolga o deturpi, ma anzi ne sfrutti la suggestione storica, artistica e culturale, è proprio quella di cittadella degli studi, specie a tipo umanistico".
Non un campus americano, ma una «soluzione bergamasca».
Branca provò a definire così quello che in quegli anni si stava creando all'ombra del Campanone: «Una soluzione felice per la città e per una “animazione vitale” della sua parte “vecchia”, ma anche importantissima come “esempio pilota” per il nostro paese e per le nostre istituzioni universitarie».
«Bergamo —concluse il rettore nel congedarsi dal consiglio accademico — ha risposto all'esigenza di ricreare l'ambiente ideale per lo studio, riportandolo ad una dimensione umana. La sua iniziativa precorre le innovazioni dei progetti di legge di riforma delle università, proponendo una cooperazione attiva e una vita comune fra le varie componenti universitarie».
Per farlo, 44 anni fa, ci voleva una «volontà». Che non è mancata.

Donatella Tiraboschi



Questo bel monumento piazzato legalmente in mezzo ad uno dei microfazzolettini di verde che residuano sulle Mura è un ...cesso. Ovviamente adatto anche agli handicappati e con acqua corrente.
Solo una casta di asseragliati dentro il palazzo d'inverno può essere talmente orba da non vedere la sconcezza di questa "cosa", costruita alla belle meglio e regolarmente "attenzionata" da decine di cittadini e turisti che si interrogano -una volta scoperto che é un "cesso"- come sia possibile che proprio su quelle Mura che vorrebbero essere patrimonio dell'umanità... ci sia un bel "cesso".
Il bravo democristiano dirà che meglio un brutto cesso che un giardino pieno di merda e pisciate dei maleducati che praticano la movida. Per quello c'è già il prato sotto il bastione...
Epperò. Epperò a questa giunta -fatta peraltro da persone che in comune ci stanno da anni- sfuggono ormai troppe ... .
Una città delicata come città alta va trattata come un arazzo cinquecentesco e non con la testa e la mani di un muratore.


tuttoraimportanti estimatori ed ottime applicazioni e non è del tutto errata. Resta sempre il problema del «per che cosa» e «come» e «quanti».

Applicata all'Università di Bergamo, diventerà tra pochi anni un caos inestricabile. Primo perchè è destinata a crescere e quindi avrà sempre bisogno di altri spazi. Secondo perché gli edifici invecchiano e i costi di mantenimento salgono alle stelle. E più ne hai distribuiti dappertutto, più i conti fallano.

Terzo perché anziché applicare riuso di certi edifici ad università potevano benissimo essere sostituito da residenze  o uffici da privatizzare. L'edilizia privata su territori vergini è scarsamente controllabile, un intervento pubblico può essere progettato con un concorso internazionale ed essere maggiormente controllabile in fase di esecuzione. Sperando OVVIAMENTE che non ci siano magna magna.