NUMERO 214 -PAGINA 1- OCCUPAZIONE PENSIONI FUTURO



























Pensiamo ai giovani senza lavoro e senza casa piuttosto che ai pensionati che ce li hanno


















































La crisi finanziaria ha comportato tra il 2008 e il 2013 la distruzione di circa 800mila impieghi, numeri impressionanti soprattutto considerando la lentezza con la quale il mercato del lavoro ha invertito la tendenza.
I primi segnali positivi si sono registrati dalla fine del 2013.
I dati diffusi in questi giorni dall'Inps confermano la ripresa del lavoro dipendente e il ruolo decisivo del Jobs Act in questo processo.
In particolare, il 2015 ha comportato una crescita dell'occupazione e un aumento dell'incidenza del tempo indeterminato sui nuovi contratti trainati dai forti incentivi e dalle nuove regole contrattuali.
A oggi circa mezzo milione di posti di lavoro sono stati recuperati.

Mi pare viviamo in una società strana dove gli anziani hanno un reddito e una casa. Tranne una minoranza nemmeno consistente.A marzo 2016 il tasso di disoccupazione dei 15-24enni è pari al 36,7%, in calo di 1,5 punti percentuali rispetto al mese precedente. Dal calcolo del tasso di disoccupazione, però, sono esclusi i giovani inattivi, cioè coloro che non sono occupati e non cercano lavoro, nella maggior parte dei casi perché impegnati negli studi.
Mi pare quindi che sia  più importante "pensare al futuro dei giovani" piuttosto che ad un  miglioramento

L' Inps non si occupa solo di pensioni e ammortizzatori sociali. Gestisce anche le prestazioni per la non autosufficienza, che interessano più di due milioni di beneficiari, in prevalenza anziani. Il settore ha registrato una forte crescita nell'ultimo quindicennio. Si stima che nel 2060 gli ultraottantacinquenni (la fascia più a rischio) passerà da 1,7 a più di 6 milioni. Bene ha fatto il Rapporto Inps di quest'anno a dedicare ampio spazio al tema e alle sfide che dovremo affrontare.
Il principale sostegno ai non autosufficienti è oggi l'indennità di accompagnamento: un assegno di 512 euro per 12 mesi, per un costo totale di 12 miliardi l'anno. L'indennità è pienamente «universalistica»: può ottenerla qualsiasi persona residente in Italia (al di sopra di una data soglia di disabilità) e l'importo é uguale per tutti. Il fatto é, però, che i disabili non sono tutti uguali.


























La combinazione delle tutele crescenti e della decontribuzione ha dunque sortito l'effetto desiderato.
Il ruolo degli incentivi è innegabile: gli sgravi sono costati 2,2 miliardi per il solo 2015 e hanno interessato il 53 per cento dei nuovi contratti nell'anno. L'importo dello sgravio è già stato ridotto e l'incentivo difficilmente sarà protratto negli anni a venire, la speranza è dunque che la decontribuzione non sia l'unico motore della ripresa.
È chiaramente difficile distribuire i meriti tra l'esonero contributivo e le tutele crescenti previste dal nuovo contratto. Il fatto che l'aumento delle assunzioni per le imprese sopra i 15 dipendenti,
interessate dal nuovo contratto a tutele crescenti oltre che dagli incentivi, superino in modo significativo quello riscontrato per le aziende più piccole, coinvolte solo dalla decontribuzione, suggerisce che anche le nuove regole abbiano avuto un ruolo nell'andamento positivo dell'ultimo anno.







Alcuni hanno bisogni sanitari più acuti di altri. Le loro esigenze pratiche dipendono dal contesto familiare e territoriale. Soprattutto, alcuni sono «ricchi» (di reddito e patrimonio), altri sono «poveri». È davvero equo trattare in modo eguale persone che si trovano in condizioni diseguali? In molti paesi Ue il sostegno pubblico alla non auto-sufficienza è calibrato in base al grado di disabilità e alla condizione economica del singolo beneficiario.
Il Rapporto Inps solleva un altro problema: la scarsa disponibilità di servizi, in particolare per l'assistenza residenziale. I non autosufficienti ricevono un sussidio, poi devono cavarsela da soli.
Come sappiamo, la pratica più diffusa è il ricorso alle badanti, spesso in nero. Il peso maggiore grava su mogli, figlie, nuore, insomma sulle donne. Il «familismo» è accentuato dalle norme sui permessi lavorativi (quelli previsti dalla legge 104), le quali consentono ai dipendenti di assentarsi per assistere in casa i parenti disabili.
Nel settore della non autosuffi- cienza si registrano altre particolarità tipiche del welfare all'italiana: abusi, frodi, catture clientelari dei benefici.


































Il Rapporto Inps contiene dati inequivocabili a riguardo. Prendiamo l'incidenza delle indennità sulla popolazione residente. In molte province del Sud (ma anche nelle Marche o in Umbria) il numero di prestazioni è quasi doppio rispetto alle province del Nord, pur tenendo conto della diverse caratteristiche demografiche ed epidemiologiche.
Evidentemente, la verifica dei requisiti ha maglie molto più larghe in alcune zone del Paese. Un altro dato clamoroso messo in luce dall'Inps riguarda i permessi retribuiti. I giorni fruiti dai dipendenti pubblici per assistere familiari disabili sono quattro volte superiori a quelli dei dipendenti privati e costano circa un miliardo e mezzo.
Che fare? Guardando alle migliori esperienze europee, il Rapporto elenca varie soluzioni. Le più ambiziose sono due. Innanzitutto, passare dall'universalismo incondizionato (un sussidio modesto a tutti) all'universalismo selettivo: prestazioni modulate in base alla situazione economica dei beneficiari e al grado effettivo di disabilità.

In secondo luogo, introdurre un nuovo contributo obbligatorio (ad esempio pari a 0,35%) su tutti i redditi, per generare le risorse necessarie ad espandere i servizi. Vi sono però anche soluzioni, che non prevedono innovazioni legislative: ad esempio verifiche più severe (e accentrate in capo all'Inps) sui requisiti di accesso alle indennità e sull'utilizzo dei permessi. Non dimentichiamo poi che, oltre alle soluzioni pubbliche, nel settore della non autosufficienza sono immaginabili (e in parte già in via di sperimentazione) soluzioni di «secondo welfare», anche attraverso il sistema assicurativo.
È attualmente in esame al Parlamento la legge delega sul riordino dell'assistenza. Auguriamoci che deputati e sanatori leggano bene il Rapporto Inps e abbiano il coraggio di intervenire sullo status quo. Non per «far cassa», ma per offrire risposte più eque ed efficaci a chi ha veramente bisogno d'aiuto.

Simone Ferro
La Repubblica
07 luglio 2016





Stando ai dati, le tutele crescenti hanno agevolato l'assunzione di lavoratori disoccupati più che la trasformazione di contratti già esistenti.
Il risultato è un aumento netto dell'occupazione e una crescita dell'incidenza del tempo indeterminato. Ciò è avvenuto a parziale discapito dei contratti a tempo determinato ; l'aumento netto del flusso di assunzioni è comunque stato decisamente positivo e ha riguardato quasi tutte le regioni italiane con picchi particolarmente elevati al Centro-Sud.
Osservando la variazione della quota di contratti a tempo indeterminato per fasce di età (figura 1), si evince che la variazione dell'incidenza di questo tipo di contratto nel 2015 è stata positiva per tutti i lavoratori, ma più consistente per i giovani.

Maurizio Ferrera
Corriere della Sera
08 luglio 2016

dell'welfare degli anziani. Già l'Italia non ha mai brillato per l'occupazione giovanile (e nemmeno per la sua scolarizzazione....) ma se la prospettiva più che sicura é che nei prossimi 5-10 anni la situazione economica in E non migliorerà granche, é il caso davvero di cambiare registro.
Purtroppo siccome gli anziani sono un ottimo terreno di pascolo economico e politico per una miriade di soggetti difficile che questi mollino la presa da quelli che un reddito -piccolo o grande- ce l'hanno per  curare il destino di chi non ha lavoro ne soldi.
Le agenzie pubbliche del lavoro servono solo a mantenere (il lavoro) agli addetti ma non avviano quasi nessun giocane perchè questi lo trovano per via parentale oppure prendendo un  aereo pel l'estero.
E' il caso che gli anziani riflettano sul proprio egosimo.