NUMERO 215 - I TERRORISTI ODIANO IL MERCATO.




















































































Questa pagina nasce dall'articolo di Giovanni Belardelli pubblicato oggi 09 luglio sul Corriere. L'argomento è nel titolo: “Una lettura solo economica del terrorismo è sbagliata la religione resta centrale”. Va bene che i titoli valgono lo spazio necessario ma resta un bel botto (di destra ? ).
L'articolo non mi è piaciuto perché tratta un argomento delicato in modo così –non saprei  se definirlo troppo stringato o troppo superficiale- e quindi poco commendevole. Di questi tempi.
Ho affiancato all'articolo di Belardelli la recensione di Gaetano Pecora al libro di Luciano Pellicani, “L'Occidente e i suoi nemici” che ne rafforza la comprensione.

Traggo il corpo più importante della recensione:
“”Il terrorismo islamico è un tipico fenomeno da “risentito'', da uomo cioè che investito dalla forza d'urto della modernità, ha perduto il suo mondo di ieri, e così - lacerato, ferito dentro - si trova a vivere in un ambito che non è più iI suo, che sperimenta come ostile e contro il quale finisce per reagire con la fiammata della vio­lenza assassina. Tutto dunque nasce da li, dalla modernità, o più precisa­mente, come avverte Pellicani, dall' “istituzione centrale" della modernità: il mercato.
Si dirà: ma che c'entra il mercato col terrorismo islamico?
C'entra. Eccome se c'entra! Perché è proprio sotto la spinta di questo formidabile propellente che la società industriale sommerge l'universo-mondo sotto i flutti delle sue merci e delle sue tecnologie.
Si dà il caso, però, che merci e tecnologie non siano oggetti freddi e disanimati.
Dietro di essi, magari dentro di essi palpitano gli stili di vita.
I valori le credenze che li hanno prodotti.
Che sono le credenze e i valori di una civiltà sperimentata nell'arte della separazione, prima fra tutte quella tra politica e religione.
Precisamente la separazione che è estranea alle collettività sature di sacro e dove la voce di Dio esige “che ogni cosa sia sottoposta alla sua giurisdizione".
Eccola qui l'incompatibilità di principio tra l'IsIam e l'Occidente”.

In tutte le lotte di liberazione dei popoli dalla schiavitù coloniale del secondo dopoguerra la distanza economica e sociale  tra colonia e madrepatria (fino alla lotta irlandese) era meno grande dell'attuale differenza –economica politica libertaria- che esiste tra l'Occidente e i paesi del nord Africa, del Medio Oriente o del centro Africa.
Nel secondo dopoguerra i popoli oppressi non avevano nemmeno la centesima parte dell'informazione sul come vivessero meglio (di loro)i propri sfruttatori. Oggi le popolazioni dei paesi emergenti possono vedere in TV il benessere dei paesi che li fanno lavorare da schiavi.
E questo accade  più facilmente per quella parte di popolazione che ha accesso –proprio per migliori condizioni economiche- ai mezzi di informazione ed alla circolazione internazionale.
Ecco perché sono le frazioni  più ricche che si caricano di più di incazzatura.

Non so quindi  se conti di più come humus del terrorismo l'idea di rifiutare il mondo occidentale coi suoi consumi, modelli, abitudini: dietro di essi – merci e tecnologie- e magari dentro di essi palpitano gli stili di vita. Manifestano i valori le credenze che li hanno prodotti.
Che sono le credenze e i valori di una civiltà sperimentata nell'arte della separazione, prima fra tutte quella tra politica e religione.
Precisamente la separazione che è estranea alle collettività sature di sacro e dove la voce di Dio esige “che ogni cosa sia sottoposta alla sua giurisdizione.
Piuttosto la certezza che se stessi e il proprio popolo non avranno MAI accesso al  benessere economico, alla libertà, alla cultura dei loro sfruttatori.


Dopo la strage di Dacca, abbiamo scoperto ancora una volta che i terroristi non sempre vengono dai ceti diseredati, non appartengono ai «dannati della terra».

Lo abbiamo ri-scoperto nel senso che qualcosa, nella nostra cultura profonda, ci impedisce di prendere atto una volta per tutte del fatto che non è, o è solo in parte e

come ha scritto di recente Luciano Pellicani (L'Occidente e i suoi nemici, Rubbettino).
Il fondamentalismo islamico si presenta così come l'ultima, e in un certo senso al momento unica, ideologia radicalmente anticapitalistica e antioccidentale.

Ci sono autori che nascono con il genio della polemica. Nel senso che hanno bisogno del­l'avversario come della lami­na per tirare a lucido i concetti. Quando poi l'avversarlo si aggrava nel nemico, allora state pur certi: quegli autori si trovano proprio nel centro della loro scena. E da lì mandano faville. Con questo suo ultimo libro - L'Occidente e i suoi nemici- Luciano Pellicani

C'entra. Eccome se c'entra! Perché è pro­prio sotto la spinta di questo formida­bile propellente che la società indu­striale sommerge l'universo-mondo sotto i flutti delle sue merci e delle sue tecnologie. Si dà il caso, però, che merci e tecnologie non siano oggetti freddi e disanimati. Dietro di essi, magari den- tro diessi palpitano gli stili di vita. I va­lori le credenze che li hanno prodotti.
Che sono le credenze e i valori di una civiltà sperimentata nell’arte della se­parazione, prima fra tutte quella tra politica e religione.
Precisamente la separazione che è estranea alle collet­tività sature di sacro e dove la voce di Dio esige “che ogni cosa sia sottoposta alla sua giurisdizione". Eccola qui l’in­compatibilità di principio tra l'IsIam c l'Occidente.
Una incompatibilità che potrebbe sciogliersi con il trionfo degli “erodiani". di coloro cioè che non op­pongono un roccioso rifiuto all'intru­sione della modernità ma che, anzi, soggiogati dalla potenza stessa della sua carica espansiva, la prendono a mi- sura delle loro regole di condotta (è già avvenuto con Ataturk in Turchia).
Allo stato, però, niente lascia presagire una simile soluzione: la voce degli “erodiani" è ancora troppo flebile e comunque, perora almeno, e sopraffatta dal grido che prorompe dall'animo degli "zeloti” ("erodiani e zeloti» sono termini mutuati dal magistero di Toynbee), di quelli cioè che vivono come un'offesa inescusabile lo strazio delle loro tradi­zioni e la violenza





































neppure quella principale, il disagio sociale ad armare la mano del terrorismo jihadista. Nel caso del Bangladesh, uno dei Paesi più poveri del globo, i terroristi erano figli addirittura delle classi agiate; e ce ne siamo molto stupiti, quasi avessimo dimenticato che Salah Abdeslam, protagonista degli attentati parigini del novembre scorso, veniva pur sempre da una famiglia di ceto medio che abitava in un dignitosissimo palazo borghese.
Gli esempi ulteriori non mancherebbero, almeno da quando la strage dell'11 settembre






L'Occidente e suoi nemici - Luciano Pellicani confer­ma di essere nato polemico. Polemico, si badi, non polemista. La distinzione non è speciosa. II polemista, pur di riu­scire, non rinunzia a scavallarsi dietro aggettivi furiosi scagliati a man salva sulla tesi avversarla. Il polemico no.
Il polemico, proprio come la scintilla in una dinamo, ha bisogno dell'altro, del radicalmente altro da lui. Solo per met­tere in moto la macchina dei suoi pen­sieri. Ma avviatela che l’abbia, non c'è nulla che lo tiri fuori dal giro di





















































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fu guidata dall'ingegnere egiziano Mohamed Atta, agli ordini di Osama Bin Laden, figlio di un miliardario.

Ma è come se fossimo rimasti tutti discepoli di Marx e della sua idea che ideologie e religioni (dunque anche il fondamentalismo islamista) appartengono al mondo della «sovrastruttura», laddove invece le cause vere dei fenomeni sociali e della storia in generale andrebbero cercate altrove, a livello della «struttura», cioè dei rapporti sociali di produzione e, in sostanza, dell'economia.
Un'idea particolarmente in sintonia del resto con i caratteri più profondi della cultura occidentale, che pone appunto l'economia al vertice di tutto, che da tempo ne ha fatto la dimensione centrale dell'esistenza (non si regge soprattutto sull'economia, da ciò forse la sua fragilità, l'intero assetto dell'Unione Europea?).

Per di più, la centralità dell'economia si è accompagnata soprattutto in Europa a un processo impetuoso di secolarizzazione che ha reso un luogo comune l'idea che la religione sia il regno dell'illusione e della mera apparenza, quando non della superstizione; qualcosa che i «lumi» della modernità presto cancelleranno definitivamente, sicché non è da cercare lì, nei riferimenti religiosi, alcuna vera motivazione dell'agire umano, neppure dell'agire di un terrorismo che proclama apertamente la guerra santa contro i «crociati» e risparmia chi si mostra in grado di recitare i versetti del Corano.

C'è davvero qualcosa di singolare nel fatto che un'Europa che è stata dilaniata tra 5 e '600 dalle guerre di religione, e prima ancora – nella Francia meridionale del XIII secolo – è stata testimone di una crociata contro gli eretici (sterminati, a quel che dicono le cronache del tempo, al grido: «uccideteli tutti, Dio riconoscerà i suoi»), c'è qualcosa – dicevo – di singolare nel fatto che ora quella stessa Europa non riesca a considerare seriamente la componente evidentemente religiosa del terrorismo islamico.

Siamo così dimentichi di quel passato, che per timore d'essere tacciati di islamofobia ci sentiamo in dovere di dire e scrivere sempre una cosa ovvia, cioè che non tutti gli islamici sono terroristi. Come se dovessimo precisare che al principio del XIII secolo c'erano in Provenza i crociati che sterminavano gli eretici, ma c'era anche altrove San Francesco che faceva tutt'altre cose.

Naturalmente la differenza tra il fondamentalismo cristiano (chiamiamolo così) della guerra agli eretici di allora e il fondamentalismo islamista di oggi risiede in gran parte nella differente, per molti aspetti mancata, evoluzione della cultura e della religione dell'Islam rispetto a ciò che è accaduto nel continente europeo nel corso di svariati secoli.

Fatto sta che è attraverso il riferimento alla religione islamica – naturalmente una religione interpretata secondo le sue letture più estremiste e violente – che oggi i giovani jihadisti ritengono di dare una risposta al «risentimento dei musulmani di fronte all'arrogante e imperialistica civiltà occidentale»,


sulle loro radici.
Donde l'incendiarla aggressività dei fondamentalisti.

Come finirà?
L'autore non dice. E però, ad una riga della pagina, ad una increspatu­ra del ragionamento, aerea, impalpa­bile. si avverte una nota di pessimi­smo più fonda di quando Pellicani viene a discorrere del nemici “Inter­ni" alla società liberale (c'è anche questo nel saggio ed è lettura che si fa di gusto). Comunque sia, quella do­manda resta così sospesa al gancio di un interrogativo che l'Autore lascia volutamente dondolare tra l'una e l'altra soluzione.
 
Pellicani, del resto, é studioso troppo intelletualmente probo per nascondere


































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un di­scorso scientifico.
Che per essere scientifico ne indulge a imprecazioni moralistiche né si abbandona a lamentazioni da Geremia profeta.
Vedete per esemplo come Pellicani la mette con i nemici esterni della civiltà liberal capitalistica, con i Jihadisti per dire. Paz­zi? Criminali?

Nulla di tutto questo.
O forse si. C'è anche questo; ma solo come la schiuma velenosa liberata da un ri­gurgito che opera assai più giù, più nel profondo, là dove tutto è rimescolato dagli spasimi del risentimento.
Ecco: Il risentimento.
Il terrorismo islamico è un tipico fenomeno da “risentito'', da uomo cioè che investito dalla forza d'urto della


l'impossibilità di conoscere con il lampeggiamento degli oracoli. Il che, peraltro, se ci fa più vicino lo studioso, ci rende anche più caro l'uomo.
 
IL LIBRO:Luciano Pellicani, L'Occidente e i suoi nemici. Rubbettino Editore,

L’AUTORE  dell’articolo: Gaetano Pecora insegna Storia delle dottrine politiche all’Università del Sannio e alla Luiss.









































































































L'Autore:
Giovanni Belardelli è professore ordinario di Storia delle Dottrine Politiche all’Università degli Studi di Perugia

modernità, ha perduto iI suo mondo di ieri, e così - lacerato, fe­rito dentro - si trova a vivere in un am­bito che non è più iI suo, che sperimenta come ostile e contro il quale finisce per reagire con la fiammata della vio­lenza assassina. Tutto dunque nasce da li, dalla modernità, o più precisa­mente, come avverte Pellicani, dall “istituzione centrale" della moderni­tà: il mercato. Si dirà: ma che c'entra il mercato col terrorismo islamico?