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[...]Questa, tuttavia, appare più come la ricerca di un alibi che come una plausibile argomentazione. Infatti,
pur essendo evidente la connessione tra legge elettorale e riforma
costituzionale, gli effetti pesantemente negativi dell'Italicum
richiedono una sua riscrittura, intervenendo seriamente sul doppio
meccanismo maggioritario, sul fatto che si continua ad essere di fronte
a nominati più che a eletti, sull'evidente concentrazione del potere
verso l'alto, nelle mani del governo anche per quanto riguarda i tempi
del procedimento legislativo. E, soprattutto, dovrebbe essere
recuperato il diritto dei cittadini ad essere rappresentati, la cui
mancanza ha determinato l'incostituzionalità del Porcellum.
Anche così, tuttavia, non scomparirebbero i vizi della riforma
costituzionale, e il passaggio al Sì sarebbe poco più che una
operazione di convenienza. [...]
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[...] e perché potrebbe altrimenti determinarsi una situazione difficilmente gestibile. Questo,
però, è un argomento improprio, a suo modo ricattatorio, perché ai
cittadini deve essere riconosciuto nella sua pienezza il diritto di
fare la loro scelta in una materia sbandierata come un cambiamento
radicale del sistema. La confusione, se mai, è il frutto del modo
approssimativo e disinvolto con il quale il governo ha impostato la
questione, associando impropriamente la vittoria del No ad una
inevitabile fase di incertezza, addirittura allo scioglimento delle
Camere, del tutto estraneo alle sue competenze.
Inoltre, questo modo aggressivo di procedere, che sostanzialmente vuole
delegittimare il No, crea ogni giorno di più una divisione profonda tra
i cittadini,[...]
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[...] Un bel risultato da parte di chi va predicando stabilità.
La verità è che, una volta di più, pesano la povertà culturale,
l'assenza di una memoria storica. Non si è sfiorati dalla necessità di
riflettere sul senso di responsabilità degli autori della Costituzione
che, all'indomani dell'esclusione dal governo dei partiti di sinistra,
non fecero prevalere interessi di parte, mantennero fermo il principio
della condivisione, e così garantirono la lunga durata della
Costituzione e la possibilità che in essa potessero riconoscersi le
forze più diverse. Oggi la riforma costituzionale è stata buttata nel
conflitto politico in modo disinvolto e tecnicamente approssimativo. Ma
è possibile una riforma costituzionale senza cultura costituzionale?
Bisogna procedere così perché la riforma è attesa da troppo tempo?
L'argomento è inconsistente e pericoloso, perché una cattiva riforma
rimane tale quale che sia la sua originaria motivazione. [...] |
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Capisco
che Rodotà , uomo allevato da mezzo secolo nelle file del PCI, faccia
finta di non sapere e nemmeno ricordare quanto battagliassero anche in
quel partito per essere messi in lista e messi al primo posto
della lista laddove c’era l’incertezza elettorale. Come capisco
che sostanzialmente gli vada bene la canditura multipla nei
collegi della figura carismatica e la successiva tornata di dimissioni
per ricostituire in un certo qual modo la compresenza «proporzionale»
delle varie correnti del partito nel parlamento. E sicuramente ricorda
anche come - per garantire il recupero dei voti ai partiti maggiori- ci
fossero degli spostamenti «centro-guidati» di preferenze tra i
tre maggiori partiti: DC, PCI e PSI perché un partito avesse il
deputato eletto anche nei collegi più sfigati dove i vot8i sarebbero
andati persi.
Che adesso Rodotà si stracci le vesti perché nella nuova legge
elettorale si concentrerebbe il potere prevaricatore della
segreteria nazionale nella scelta di chi mettere in testa alle liste e
quindi farli eleggere «a priori» è una vergognosa bugia. L’elettore non
aveva possibilità di scelta ieri come non ne avrebbe comunque dal
momento che le liste saranno decise a livello centrale esattamente come
erano decise a Roma ieri e l’altro ieri.
Nemmeno la prassi delle «primarie» garantisce sostanzialmente il
rispetto delle scelte degli elettori (i quali magari vorrebbero...
escludere piuttosto che includere qualcuno...) ma è strumento che il PD
non vuole aggiustare proprio perché come Rodotà mentre si dichiarano
favorevoli, in realtà non vogliono perdere il potere delle correnti.
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Prima
Rodotà rivendica giustamente il diritto degli elettori a scegliersi col
voto i propri eletti e qui perora l’idea che -qualora al referendum
vincesse il NO - il Parlamento non potrebbe/dovrebbe essere sciolto e
indette nuove elezioni.
Insomma morto un re, si pensa al successore, ovviamente non Renzi o renziano.
Rodotà fa finta di non sapere che se gli elettori
cancellano una legge approvata dalla maggioranza del Parlamento, non è
legge soltanto ad essere cassata ma è l’intero Parlamento che l’ha
approvata.
Rodotà interpreta la potestà dei cittadini in maniera di comodo.
Se vince il NO a questo referendum vanno sciolte le Camere e si va a
nuove elezioni. Altro che pensare al solito governo -stavolta della
vendemmia- per tirare a campare e potere saccheggiare, con le poche
risorse strappate all’Ue, un po’ di vantaggi alle mille categorie che
fanno riferimento le combriccole parlamentari.
Salvo poi alla prossima primavera l’ennesima stangata ai lavoratori e pensionati.
Fare melina per tirare a campare e non perdere i vantaggi dei ricatti e degli scambi reciproci.
Bisogna tagliare la testa a chi intende seguire questa strada: senza paura.
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Che
la nuova Costituzione si potesse scrive re meglio e con migliori
contenuti È sempre vero. Peccato che chi predica di fare meglio
in realtà in 50 anni non abbia fatto nulla di meglio mentre la parte
più sveglia del paese viaggia a 100Mb/sec. Rodotà finge di non sapere
che maggioranza regga questo governo e chi abbia dato vita a un
Parlamento dove il PD ha la maggioranza in una camera e non nell’altra.
Finge anche di dimenticare la figura barbina del Bersani nell’incontro
coi 5S quando -immaginadoli giovani e fessi- voleva la loro astensione
per far nascere il suo governo. non contenti di avere presa quella
sberla hanno tentato la sopravvivenza col governo Letta finchè il
popolo piddino ha sfrattato - a torto o ragione- gran parte delle
vecchia palta.
Asserire che nel 195 la maggioranza di destra in Parlamento non
mise in un angolo la sinistra è ma è vero che venivano dalla
guerra, facevamo i conti coi forni crematori e colle derrate alimentari
che ci mandavano gli Stati Uniti.
Allora la gente moriva anche per una appendicite e moriva come le
mosche di tifo o diarrea infantile. Oggi non é più così. Oggi nessuno
ha in cantina i fucili perché teme i fascisti. Oggi due della
maggiori città italiane -Roma e Torino- sono governate da finte liste
democratiche elette dalla maggioranza di voti di destra, una destra
altrettanto fascista e razzista come ieri. Il comunismo non è caduto
perché vinto i fascisti ma perché mezzi di comunicazione hanno fatto
vedere a quei popoli che esisteva «un’altra libertà». Un filmato in
diretta da un cellulare conta più del finto strapparsi i folti e
begli capelli di Stefano Rodotà. Non siamo diventati «grandi» (o
adulti) e semplicemente cojoni. Siamo democratici senza bisogno di
mamme e padri in Parlamento.
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