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NUMERO 215 - PAGINA 1- I MUSULMANI E LA VIOLENZA
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Chissà
se in quella tragica sera di Dacca qualcuno dei nove italiani, mentre
veniva torturato e si preparava ad essere sgozzato per non aver saputo
rispondere a dovere alle domande di catechismo islamico, avrà pensato
che i suoi compatrioti avrebbero preso l'impegno di vendicarlo. Penso
proprio di no, dal momento che quegli italiani erano certamente esperti
del mondo e della vita. Non sta bene covare sentimenti di vendetta, e
tantomeno dirlo: loro sapevano che noi la pensiamo così, e dunque non
potevano certo farsi illusioni.
Verso la memoria di quelle vittime però, dovremmo tutti prendere almeno
un impegno di serietà e di verità. Dunque, parlando di ciò che li ha
condotti alla morte, rinunciare al buonismo di principio, ai giudizi
programmaticamente tranquillizzanti, agli equilibrismi. Che ad esempio
i maggiori quotidiani del loro Paese, quasi per farsi perdonare
l'audacia di aver avanzato in un primo momento il sospetto che nella
macelleria bengalese, vedi mai, la religione islamica c'entrasse
qualcosa, che quei giornali, dicevo, immediatamente dopo si sarebbero
sentiti in dovere, in omaggio a una presunta obiettività, di pubblicare
articoli volti a rigettare il sospetto di cui sopra giudicandolo
calunnioso e frutto di ignoranza, ebbene che una cosa simile sarebbe
accaduta questo forse nessuna di quelle vittime è arrivata certamente a
pensarlo.
Invece è andata proprio così. Anche questa volta è andata così. Per la
strage di Dacca, come in tante altre occasioni da anni. E non certo
solo da noi.
Da anni
infatti terroristi islamici seminano dovunque la morte ma l'opinione
pubblica occidentale si sente puntualmente ripetere che la loro
religione non c'entra nulla.
Il più delle volte con l'argomento (evidentemente reputato in grado di
chiudere la bocca a chiunque) che, a tal punto il terrorismo islamico
non c'entrerebbe nulla con la religione islamica che spesso le sue
vittime sono proprio gli stessi islamici. Come chi dicesse che poiché
le guerre di religione nell'Europa del Cinque-Seicento vedevano dei
cristiani ammazzare altri cristiani, proprio per questo la religione
con quella violenza non avesse nulla a che dividere.
Le cose
stanno ben altrimenti. «I jihadisti — ha scritto Tahar Ben Jelloun,
conosciutissimo teorizzatore dell'Islam tollerante all'interno di
un'auspicata tolleranza universale — prendono a riferimento dei
versetti che erano validi all'epoca della loro rivelazione ma oggi non
hanno più senso». Già. Ma mi chiedo: e
chi è che lo decide quali versetti del Corano continuano ad «avere
senso» e quali invece sono per così dire passati di moda? Chi? E in ogni
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Non
è davvero singolare — almeno all'apparenza e a quel che è dato di
sapere: ma in caso contrario perché non ci è dato di sapere? — che le
banali osservazioni appena fatte non siano oggetto di alcuna
discussione nelle società islamiche, che di fronte a ciò che sta
accadendo non ci si chieda se per caso la tradizione religiosa, sia
pure al di là di ogni sua intenzione, non sia implicata per qualche
verso nei comportamenti di non pochi dei suoi adepti? Come mai i
processi di analisi storico-culturale che si sono così largamente
sviluppati nei Paesi cristiani e altrove, nel mondo islamico invece
sembrano non avere alcun corso, almeno pubblico? Che cos'è che lo
impedisce? Perché ancora oggi nei Paesi islamici non si traduce quasi
nulla della letteratura scientifica mondiale riguardante la società, la
religione, la psiche, il sesso, la storia? Perché questa ferrea cortina
d'ignoranza calata sul futuro di quei popoli?
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Trascurando
nel modo più assoluto qualunque solidarietà islamica — ai disperati,
spessissimo musulmani, che ogni giorno tentano la traversata del
Mediterraneo, da loro non è mai arrivato un centesimo— ma curandosi
solo di arricchirsi sempre di più e di mutare a proprio favore la
bilancia del potere economico mondiale
Ma perché, mi chiedo, non si possono immaginare nei confronti
dell'Arabia Saudita e dei suoi dirigenti misure di sanzione, diciamo
pure di rappresaglia, volte a colpire gli interessi di cui sopra?
Proprio l'idea che agli occidentali interessi più il denaro di
qualsiasi altra cosa è tra le cause di quel disprezzo culturale che ha
non poco a che fare con lo scatenamento della violenza specialmente
contro di essi. Quale migliore occasione, allora, per dimostrare che le
cose non stanno proprio così, che ci sono anche per noi cose più
importanti del denaro?
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E.G.della
Loggia mi pare ponga due temi . Parto dal secondo (segnato in blu
nell'articolo) perché mi meraviglia che una persona informata e
intelligente come E.G.d.Loggia non ne tenga conto.
L'Arabia Saudita s'é incamerata tutte quelle ricchezze (con parte delle
quali finanzia il terrorismo), sottraendole al proprio popolo, col
petrolio.
Petrolio che é stato acquistato e pagato da tutto il resto del mondo.
Negli ultimi anni i fondi sovr
ani hanno fatto massicci investimenti nei paesi occidentali per
sostenerne i consumi e quindi le proprie esportazioni di petrolio. Del
resto l'interscambio tra i paesi sottosviluppati e sviluppati tende ad
un equilibrio basato sul "io comperò il tuo petrolio però tu comperi i
miei titoli di debito pubblico, le armi e finanzi un po' dei
nostri investimenti". Semplificato al massimo.
Mai fregatura poteva essere presa dai fondi sovrani con gli
investimenti dell'ultimo decennio nei c.d. paesi sviluppati, sia nelle
banche che nell'immobiliare. Cui si aggiungerà adesso anche l'effetto
BREXIT.
Che poi in Italia il maggiore affare col petrolio lo faccia lo stato é evidente.
Per disporre di qualche potere contrattuale coi produttori di
petrolio occorre cambiare modello di sviluppo e ... hai voglia che gli
Italiani ci stiano !.
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Ernesto Galli della Loggia.
Corriere della Sera.
11 luglio 2016 |
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non vuole forse dire quanto scrive Ben Jelloun che comunque in quel
testo ci sono parole e precetti che si prestano e magari incitano ad un
certo uso della violenza?
Certo, tutti sappiamo che il monoteismo in quanto tale intrattiene un oscuro rapporto con la violenza. Ma fa qualche dif
ferenza o no- mi chiedo ancora sperando di non
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Il
primo aspetto (parte in rosso) invece riguarda l'insita violenza che
accompagna le popolazioni arabe di religione musulmana. Cioè (quasi)
tutte.
E.G.d.Loggia ricorda le immagini della carneficina di Dacca oppure
quelle di Aleppo riportate in questa pagina, le abbiamo ancora fresche
dalla Bosnia (che é Europa) e andando indietro al nazismo. Li abbiamo
ancora tra di noi, nel caso E.G.d.Loggia lo avesse scordato.
Resto dell'idea che nell'uomo - indipendentemente dal colore della
pelle, della razza e delle religioni- ci sia una potente forza animale
che punta a risolvere i conflitti con la morte dell'altro.
Bianchi e cristiani sono stati pessimi maestri in merito e se adesso
abbiamo sviluppato massicciamente gli anticorpi laici per cui i
conflitti si debbono risolvere non con un colpo di fucile, ce ne
abbiamo messo di tempo. E non é ancora bastato nemmeno in ambito
familiare: i femminicidi e le violenze sui bambini che -abbiamo letto
tutti- in certi quartieri delle nostre città "fanno parte di un modo di
vivere quotidiano". Leggasi Napoli, mica Dacca o Riad.
Indubbiamente quando il benessere é diffuso nel mondo anche
l'omogeneizzarsi delle culture é più veloce che in periodi di
gravissima crisi come stiamo adesso ma il percorso resta sempre lo
stesso.
Non devi fare affari con chi massacra quotidianamente il proprio e l'altrui popolo. Un giorno ti arriverà una coltellata.
Occorre il coraggio di scegliere una vita parca piuttosto che
versare nelle casse di Riad o dei due tagliagole che adesso governano
la Libia una massa di denaro che arricchisce pochi, mantiene eserciti
privati e finanzia massicciamente il terrorismo.
Tornano di nuovo sul campo i temi che furono propri dei 50 o 100 anni
passati: abbiamo girato la testa altrove fingendo di non sapere-vedere
che il nostro benessere massacrava altri cristiani.
Poi quando quel massacro si rivolge anche contro qualcuno di noi che
spesso compartecipa a tenere in piedi quel mondo, ecco che ci
stracciamo le vesti: fatte in gran parte col petrolio di Riad o di
Tripoli.
Adesso i nostri intellettuali e i grandi giornalisti hanno scoperto che
'ste musulmani non hanno delle buone abitudini e nemmeno
sono educati e politicamente corretti.
Negli USA il 70% dei poliziotti viene ucciso da bianchi ma i
media scrivono che un “delinquente bianco ha ucciso un poliziotto”.
Quando un nero uccide un poliziotto è comune che i media e la “gggente”
scrivano e dica che “i neri ammazzano i poliziotti”.
I bianchi sono singoli cittadini. I neri sono un popolo e una razza infame.
Adesso si aggiunge che sono pure musulmani.
E' lo stesso ragionamento che una certa destra che finoieri si parava
democratica, inizia a fare anche da noi. E' un modo di ragionare che
rifiutiamo.
Aggiungo che ritengo che tutti i monoteismi siano per loro natura violenti razzisti e omofobi.
Che poi nel tempo si siano adattati al pensiero nato da altre menti é nelle cose.
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incorrere
per questo nell'accusa di islamofobia — fa qualche differenza o no se
nel testo fondativo di un monoteismo i riferimenti alla violenza ci
sono, espliciti e ripetuti, e in un altro invece sono del tutto
assenti? Fa una differenza o no, ad esempio, se i Vangeli non
registrano nella predicazione di Gesù di Nazareth alcuna azione o
proposito violento contro coloro che non credono? Non ha significato
forse proprio questo la possibilità nell'ambito del monoteismo
cristiano di mantenere aperto costantemente uno spazio di
contraddizione, di obiezione nei confronti della violenza pur commessa
in suo nome che altrove invece non ha mai potuto vedere la luce? Mi
pare assai dubbio insomma che tutte le cosiddette religioni del
Libro adorino davvero lo stesso Dio come sostengono gli instancabili
promotori delle tante occasioni di «dialogo interreligioso»che si
organizzano dovunque tranne però, chissà perché, nei Paesi musulmani.
Per la semplice ragione che in realtà quel Libro è per ognuna di esse
un Libro dal contenuto e dal significato ben diversi.
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In
realtà è assai difficile pensare che l'Islam non abbia un problema
specifico tutto suo con la violenza. Ne è prova non piccola, a me pare,
come esso continui a praticarla nei suoi riti i quali sembrano non aver
conosciuto in misura decisiva il processo di trasfigurazione simbolica avutosi in altri monoteismi.
Chiunque ad esempio si é trovato in una località islamica il giorno della Festa del Sacrifi-
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-cio
(che ricorda il sacrificio del primogenito richiesto da Dio ad Abramo)
ha potuto assistere allo spettacolo di ogni capofamiglia che, armato di
coltello, sgozza sulla pubblica via un agnello procuratosi in
precedenza.
Certo, la pratica non è più universale ma è ancora abbastanza diffusa
da impedire di credere che essa non costituisca tutt'oggi un paradigma
dal potentissimo richiamo emotivo per l'insieme dei credenti.
Così come ancora oggi — per menzionare un altro ambito fondamentale —
l'ambiente familiare islamico appare dominato da un tratto
gerarchico-comunitario e da un'arcaica fissità di ruoli maschile e
femminile, l'uno e l'altro ispirati dai precetti religiosi.
Ora, sarà pure tutto ciò fonte preziosa di protezione e solidarietà per
l'individuo, sarà pure benefico elemento di coesione del gruppo, ma di
certo una tale struttura familiare sembra fatta apposta per essere una
continua palestra di costrizione, di repressione e alla fine di
violenza.
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Con queste e analoghe domande, se volessimo realmente onorare i morti di Dacca, non dovremmo stancarci di
incalzare il mondo islamico. Ripetutamente, insistentemente, ogni volta
che chiunque prenda la parola in qualche modo a suo nome.
Così
come, per parlare infine di politica, dovremmo una buona volta porre
anche il problema dell'Arabia Saudita, l'Arabia Saudita è il vero cuore
della violenza terroristica islamista perché ne è di gran lunga il
maggiore finanziatore. Da anni tutti gli osservatori lo dicono e lo
scrivono, sicché la cosa è in pratica di dominio pubblico. I soldi per
le armi e le bombe destinati a seminare strage da Bombay a Parigi
vengono quasi sempre da Riad.
Ma egualmente da Riad proviene il fiume di soldi con cui negli ultimi
decenni l'élite saudita ha acquistato in mezzo mondo (ma di preferenza
in Occidente, naturalmente) partecipazioni azionarie, interi quartieri
residenziali, proprietà e attività di ogni tipo.
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