La Corte europea dei
diritti dell'uomo ha condannato l'Italia a risarcire i "danni morali"
provocati per aver negato il ricongiungimento familiare a una coppia
gay. Per i giudici di Strasburgo, rifiutando di rilasciare il permesso
di soggiorno per ricongiungimento familiare a un cittadino neozelandese
che voleva vivere con il suo compagno italiano, l'Italia ha violato il
diritto della coppia a non essere discriminata.
La sentenza prevede un risarcimento di 20mila euro, ma indica
soprattutto un principio etico e una via giuridica da rispettare. La
condanna diventerā definitiva in tre mesi se le parti non ricorreranno
in appello. La decisione, presa per sei voti contro uno, contesta
all'Italia la violazione degli articoli 14 e 8 della Convenzione
europea dei diritti umani: il primo proibisce la discriminazione, il
secondo sancisce il diritto al rispetto per la vita familiare e privata.
Paradossalmente, la Corte ha punito l'Italia proprio per aver trattato
la coppia omosessuale come avrebbe fatto con una coppia eterosessuale:
secondo la Corte europea, infatti, la situazione della coppia non
poteva essere equiparata a quella di una coppia eterosessuale non
sposata in quanto, proprio non potendosi sposare, non avrebbero potuto
ottenere le tutele che la legge italiana accorda alle coppie "sposate".
Per i giudici, "l'interpretazione restrittiva della nozione di famiglia
costituisce, per le coppie omosessuali, un ostacolo insuperabile per
l'ottenimento del permesso di soggiorno per motivi familiari", non
tenendo conto "della situazione specifica dei richiedenti e in
particolare della loro impossibilitā di ottenere una forma legale di
riconoscimento della loro relazione in Italia".
I richiedenti, una coppia di 51 e 58 anni, vivono ad Amsterdam e hanno
fatto ricorso ritenendo di essere discriminati per il loro orientamento
sessuale.
Dopo aver vissuto in Nuova Zelanda fino al dicembre 2003,
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La
legge non prevede limiti di etā per "chi intende generare un figlio":
per questa ragione la Cassazione ha dato ragione al ricorso
straordinario di marito e moglie, Luigi Deambrosis e Gabriella Carsano,
75 e 63 anni, di Mirabello, una frazione di Casale Monferrato, che da
anni lottano per riavere la figlia, nata a Torino nel 2010 e dichiarata
adottabile dalla stessa Suprema Corte nel 2013, presieduta da Corrado
Carnevale, che aveva ritenuto i genitori troppo "anziani e sbadati",
confermando la sentenza della Corte d'Appello dell'anno precedente.
Giudizio non condiviso dal nuovo verdetto che li ritiene genitori
capaci e ricorda anche la loro assoluzione dall'accusa di abbandono di
minore.
Il caso era esploso quando il Tribunale dei minori aveva deciso di
togliere la piccola ai genitori, giā tenuti d'occhio dai servizi
sociali dopo la segnalazione dell'ospedale in cui era nata la bambina,
dopo che, durante un trasloco, era rimasta per diversi minuti in auto
da sola, a un mese e mezzo di vita, nel cortile di casa. Alcuni vicini
se n'erano accorti e avevano segnalato l'episodio, anche se i genitori
si sono sempre difesi spiegando: "Andavamo e venivamo tra l'auto e
l'appartamento, la tenevamo costantemente d'occhio: č stata nel
seggiolino 7 minuti, il tempo di scaldarle il latte".
Al di lā della singola vicenda, tuttavia, i periti si erano interrogati
sull'effettiva "capacitā genitoriale" della coppia: una capacitā di
accudire la piccola,
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Parere,
questo, che oggi č stato anche quello della Cassazione. Secondo la
sentenza 13435 depositata dagli "ermellini', infatti, le decisioni
della magistratura che hanno tolto la figlia alla coppia si erano
basate su pochi minuti di abbandono della minore in auto avvenuto il 28
giugno del 2010, vicenda per la quale č stato "definitivamente
accertato che, invece, nessuno stato di pericolo fu provocato
dall'episodio in questione". In proposito i supremi giudici, tenendo
presente le indicazioni della Corte di giustizia europea che considera
l'adozione una "extrema ratio" alla quale ricorrere solo in caso di
genitori "indegni", hanno affermato il principio di diritto per cui "č
revocabile per errore di fatto la sentenza di Cassazione che, nel
confermare la declaratoria dello stato di adottabilitā assunta dal
giudici di merito, sia fondata su di una specifica circostanza supposta
esistente (nella specie, l'avere i genitori lasciato un neonato da solo
in automobile esponendolo a stato di pericolo) la cui veritā era
invece, limitatamente all'evento, positivamente esclusa".
Inoltre la Suprema Corte, revocando il via definitivo allo stato di
adottabilitā, critica le sentenze precedenti perché percorse da un
"refrain che fa da sfondo all'intera decisione, ed č quello dell'etā
dei genitori".
I giudici supremi sottolineano come le decisoni "pro adozione" abbiano
considerato che "una gravidanza a 57 anni lei e 69 lui rappresenta una
deviazione
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dalla
norma" e che "crea il paradosso del bambino costretto ad occuparsi dei
genitori". Ad avviso del verdetto odierno, invece, č "errato il
riferimento a pretesi 'limiti' che la legge italiana prevederebbe per
chi intende generare un figlio, i quali non esistono", e inoltre non si
forniscono elementi "che possano illuminare circa l'assoluta inidoneitā
genitoriale, agganciata all'etā o ad altro, da cui far derivare la
misura estrema, e dai risvolti irreversibili, quali č lo stato di
adottabilitā".
La
Cassazione rileva, piuttosto, che erano emersi "una serie di riscontri
favorevoli circa la situazione complessiva della minore" nella sua vita
con mamma e papā, persone brave e stimate e senza "patologie mentali",
prima che i servizi sociali la allontanassero dai suoi genitori. Ed č
"lo Stato", scrive la sentenza, "allorché ha allontanato una neonata
dai genitori a pochissime settimane dalla nascita", ad aver "indotto"
nella bimba "il disagio" che ora prova quando madre e padre, poche
volte l'anno, hanno il permesso di vederla. Cosė la Suprema Corte ha
"revocato" il 'suo' verdetto emesso l'8 novembre 2013 - uno degli
ultimi atti firmati da Corrado Carnevale - e ha annullato con rinvio il
giudizio di adottabilitā emesso dalla Corte di Appello di Torino il 22
ottobre del 2012. La Corte torinese ora deve ricomporre questa famiglia
smembrata sulla base di un pregiudizio anagrafico.
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la coppia ha deciso di
trasferirsi in Italia. Il cittadino neozelandese č arrivato con un
permesso di studio temporaneo e ha chiesto successivamente un permesso
di soggiorno per motivi familiari, ma il 18 ottobre 2004 le autoritā di
Livorno avevano respinto la richiesta sostenendo che non sussistessero
i criteri previsti. Nel 2005 il tribunale civile di Firenze aveva dato
loro ragione, ma il ministero degli Interni era ricorso in appello.
Il percorso giudiziario era approdato in Cassazione, dove l'appello
finale della coppia era stato respinto sulla base dell'articolo 29 del
decreto legislativo 286 del1998 secondo cui il concetto di "familiare"
include solo gli sposi e i figli minorenni o non ancora indipendenti.
Una visione contro cui si č espressa oggi la Corte europea per i
diritti dell'uomo, alla quale la coppia aveva fatto ricorso nel 2009.
Paolo G. Brera
30 giugno 2016
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nata
dopo un lungo calvario di fecondazioni assistite e ricoveri all'estero,
che va oltre ai limiti che potrebbero essere insiti nell'etā avanzata
dei due coniugi, che "non potrā essere l'unico elemento di giudizio e
quindi un pregiudizio, ma unitamente agli altri elementi ha una sua
considerevole importanza". Nei primi tempi, fino alla sentenza
d'Appello, i genitori hanno potuto vedere la piccola saltuariamente, in
un "luogo neutro". Ed č proprio questa limitazione dei rapporti che,
secondo loro, non permette di creare una buona relazione con i
genitori. "Si č detto che tra la figlia e la coppia non c'č
empatia - aveva spiegato l'avvocato Deorsola -
Eppure si č visto che c'č interazione: ed č giā qualcosa di miracoloso
se si tiene conto che la piccola č stata tolta a 35 giorni e da allora
ha passato con mamma e papā appena 155 ore su quasi 20 mila ore di
vita, ovvero lo 0,8 percento. La legge prevede che per togliere un
bambino alla famiglia ci siano condizioni insufficienti e non
recuperabili. E non č certo questo il caso".
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