A GUARDARE ALLE COLLINE 987















I "birri"
“Aggiungo che sento un debito di gratitudine nei confronti di Tremonti che proprio allora stabilì che i birri dell'Ufficio delle Entrate non potessero più perseguitare con sanzioni e reprimende i liberi professionisti che commettessero errori formali nella dichiarazione dei redditi. Per me, che da sempre compilo la dichiarazione senza ricorrere ai servigi dei commercialisti (non mi fido, e sono amici del giaguaro) fu un sollievo; non che abitualmente sbagli nella compilazione, anzi: ma il fatto che “un inferiore”, un impiegato a reddito garantito, impunito e protetto dai sindacati, si permetta di sottopormi a sanzioni mi dà parecchio fastidio”.

Eh già. Quando uno fotografa di sfrosso una cinquecentina per usarla per autopromozione senza pagare i relativi (anche piccoli) diritti, gli scoccia che i “birri” (birri scritto SENZA la esse iniziale, tanto per fare  capire senza incorrere in sanzioni) che magari sono addirittura semplici ragiunatt col diploma preso pagandolo a rate mensili  in una scuola privata, eh… questo proprio no con uno che ha fatto il classico in un liceo dei preti, che sa di latinorum e grecorum ed ha fatto il Politecnico, questo proprio no. E' intollerabile!
Chissà se quando va in ospedale si fa fare le iniezioni dal primario piuttosto che da un normale “birro” infermiere che non ha fatto il classico e nemmeno il Poli?


Architetti di regime.
– Chissà se il gatto padano è invidioso anche di Hitler e Speer. Nel megaprogetto, mai realizzato, della Welthauptstadt Germania, la Nuova Berlino capitale mondiale, con l'avvento dell'Ordine nuovo, c'è qualcosa di grandioso che costituisce quasi un'anticipazione del Bibliomostro curnense. Ma a Curno non capiscono niente di megaprogetti, non hanno ambizione, non sanno sognare: pur non sapendo di latino, il gatto padano si sente Leon Battista Alberti (per via dell'affinità gatto/Leon), una spanna al di sopra dei bottegai e degli amministratori di Curno e Bergamo: anche se sono laureati. Ma — dice il gatto con puntigliosità agrimensurale — se sono laureati all'Università di Bergamo, sappiano che il rating dell'UniBg, a norma di cacata carta, è bassino. A differenza del gatto, non sanno pensare in grande, e il Bibliomostro giace.


Chissà se lo studio di architettura ARCHEA di Firenze –uno che mette in  prima pagina web il numero di Partita Iva (assomiglia a  qualcuno di Curno-Trezzo?) ed  autore del progetto della biblioteca di Curno- vale a dire uno studio che ha sede o partner a Roma, Milano, Parigi in Francia, Pechino in Cina , Dubai, San Paolo in Brasile abbia le carte in regola per progettare biblioteche piuttosto che un augusto architetto lecchese progettista del mitico “ecomostro” da 30mila metri cubi (quello fuori terra) su nemmeno 10mila metri quadrati (scelto dal sindaco e lodatissimo dal Piga) e che costò il defenestramento del sindaco del buongoverno, l'altrettanto mitico Angelo Gandolfi, uno che usava i caratteri runici nei suoi volantini, quell'Angelo Gandolfi che aveva nominato l'ing. Claudio Piga come suo portavoce e causa diretta del suo defenestramento quando non “serviva” più.
Noi non ci sentiamo L.B.A. (la cui archiettura ci pare piuttosto funerea…) visto che il progettista della biblioteca è stato scelto e nominato da una maggioranza leghista. Che poi il custode delLa Latrina di Nusquamia,  l'ing. Claudio Piga abduano di origini sardAgnole  con ascendenze garibaldine in ValCamonica, uno che ha fatto il classico in un liceo dei preti  dove studiò  anche  l'Antonio Gramsci nonché il Politecnico di Milano dove insegnava analisi matematica uno la prof.ssa Ajroldi Vasconi, una che portava il figlio malato di toscagnina al Passo Brizio (mt. 3.490) per guarirlo non gradisca quest'opera che destra e sinistra hanno lasciato andare in malora ESATTAMENTE COME HANNO LASCIATO ANDARE IN MALORA LA VECCHIA RODARI, I DUE CENTRI VIVERE INSIEME, LE MEDIE e non si vergognano neppure  di mostrare quel rebelotto che è l'attuale municipio, questo è normale dal momento che oltre agli “asini di Curno” in Lombardia ci sono almeno altre duecento trecento quattrocento amministrazioni che hanno costruito biblioteche in quegli anni e quindi l'era una bella compagnia.
Comprendiamo che il custode delLa Latrina di Nusquamia, non per nulla portavoce a pagamento di un sindaco figlio di bottegai curnesi ed amico di bottegaie curnesi (di quelli che hanno tolto il trasporto pubblico degli alunni per spennare ogni mattina mamme e bimbini costretti a passare davanti alle rispettive botteghe e si sono opposte alla nuova Rodari perché… il traffico umano da spennare veniva deviato altrove…) disprezzi la biblioteca posta-guada caso!- tra un centro vivere insieme, una scuola media e un centro sportivo, vale a dire tre siti più frequentati del paese rispetto a Piazza della Chiesa oppure Largo Vittoria: note piazze dove stanno quelli che spennano vecchiette e mamme che passano ogni mattina. E' una storia talmente vecchia che ci annoia perfino raccontarla. Ma c'è anche il cane da riporto del custode deLa Latrina di Nusquamia che non ama la biblioteca ed infatti pure i suoi in 15 anni non hanno trovato i soldi per finirla. Chissà perché in bergamasca i progetti del centinaio di nuove biblioteche, tranne due edifici, sono sempre stati appannaggio di architetti “democratici” indigeni. Magari sono quegli architetti che fanno parcelle al 10% del costo dell'edificio mentre in giro ci sono quelli che fanno progetti al 4-5%. Ovvio che i primi si ricordino del panettone a Natale a chi di dovere.












Professori dell'UniBG




Candidato nella lista Stucchi



































Chi è disposto a regalare al Chi è disposto a regalare al Comune per sette mesi di gestione del CVI2 così com’è escluse “le spese delle utenze relative a luce, acqua e gas che rimarranno a carico del Comune per l’intera durata della concessione” basta che offra almeno € 123.500,00 al netto dell’IVA per il periodo 01.07.2019 - 31.01.2020, elevabili a € 173.800,00 al netto dell’IVA  compresi gli altri (eventuali) cinque mesi.
Ignota la media di quelle spese nel 2018:ovviamente.
La giunta Gamba inanella quindi il primo flop politico visto che  l’assegnazione del CVI2 ai sensi delle leggi europee ed assunte dall’Italia doveva iniziare il primo luglio p.v. quando terminava la convenzione col GS Marigolda.
E’ evidente del come la Giunta- via la funzionaria delegata in materia - avendo fissato la data perentoria di presentazione delle offerte al 9 maggio p.v. col bando pubblicato il 30 aprile intenda far capire anche ai sordi ed ai ciechi che esiste già  il vincitore.
E non solo perché (il vincitore) sarà maggiorenne e quindi non nasce dopo il 30 aprile 2019.
Non fosse altro che 150 mila euro di bigliettoni  (di quelli nuovi o sono ancora buoni anche quelli vecchi?) non si scopano per strada.

Certo è che fissare in meno di dieci giorni il tempo per decidere ed offrire, non è un buon esempio di governo della cosa pubblica e di trasparenza verso i cittadini e le imprese.
In genere quando un’impresa viene messa in vendita o in affitto accade che gli operatori interessati sono ammessi previa una certa procedura ad “accedere ai conti” (l’esempio più eclatante  sono state Alitalia ed ILVA) ma siccome  il GS Marigolda non ha un bilancio PUBBLICO certificato,  era necessario mettere a disposizione almeno il calendario di occupazione degli impianti in maniera che  i concorrenti potessero farsi un piano.
Pare che esista un PEF (piano economico finanziario) preparato da uno che non ha mai visto gli impianti funzionare nemmeno in cartolina ma nel bando non c’è scritto che sia disponibile PRIMA dell’offerta. Quindi non esiste o è la solita esercitazione speculativa.

La procedura di aggiudicazione sfrutta quanto prevede il Decreto Legge   aprile 2019 n. 32/2019 che modifica l’art. 36 del Codice Appalti sui contratti sotto le soglie comunitarie (adesso portate da 40mila fino a 200mila euro).
Il criterio di selezione utilizzato per l’aggiudicazione della concessione sarà quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa ex art. 95, comma 2, D. Lgs. 50/2016 sulla base sulla base del miglior rapporto qualità / canone offerto all’Amministrazione secondo i criteri che ci si riserva di definire in dettaglio con la lettera d’invito.
Verrà esperita procedura negoziata ex art. 36, comma 2, lett. b), D. Lgs. 50/2016, a cui verranno invitati almeno cinque operatori economici ove esistenti tra quelli che abbiano manifestato interesse entro il termine e con le modalità sopra specificate.
Qualora il numero di manifestazioni di interesse fosse superiore a cinque, ferma restando la facoltà di invitare tutti i candidati e nel rispetto del criterio di rotazione, si procederà a sorteggio nel luogo e nella data che verrà indicata successivamente.
Si rende noto che il servizio sarà affidato anche in presenza di una sola offerta purché essa sia ritenuta valida e congruente con l’interesse pubblico.
Che questa operazione prepari una serie di rimandi partendo dai 7+5+…+… +…. finchè ha da venì Baffone!.
 
Il quadro d’insieme dimostra ancora una volta come il paese sia sempre stato governato all’insegna del “volemose bene che siamo tutti bravi volenterosi ed onesti  e nessuno si permetta di dubitarlo!” dimenticando che la trasparenza sta alla base di qualsiasi rapporto pubblico privato. Stiamo dicendo da almeno un quarto di secolo che le società che gestiscono impianti e servizi (da quelli del CVI a quelli del Piano del diritto allo studio) per il Comune debbano presentare dei bilanci certificati da dei professionisti, uno dei quali debba essere nominato dal Comune. Fosse stata applicata questa regola da almeno vent’anni adesso i Curnesi avrebbero in mano la situazione dei due CVI specchiate nei bilanci e nella descrizione-valutazione degli impianti in termini di fruibilità.
Questo avrebbe aiutato il volontariato a crescere  nella gestione dei due centri e sarebbe stato lievito madre per futuri professionisti e non speranzosi imprenditori.
La fotografia del lavoro in Italia per il Primo Maggio
Disoccupazione in calo, ma un Paese ancora a due velocità. Morti bianche in aumento. E 210 mila posti a rischio nelle 128 vertenze aperte. Lo scenario.
 
I protagonisti oggi sono più anziani che giovani, in cassa integrazione, spesso part time controvoglia o a chiamata, con poche sicurezze. Ecco una radiografia parziale attraverso i numeri italiani. A partire da chi un lavoro non ce l'ha, da chi muore – o resta ferito - durante l'orario di servizio e delle maxi vertenze sindacali italiane con centinaia e centinaia di posti a rischio. E all'orizzonte l'ombra dei robot pronti a sostituire parecchie braccia e cervelli.

DISOCCUPAZIONE IN CALO
Una ventata di ottimismo arriva dai dati Istat diffusi il 30 aprile. A marzo gli occupati in Italia erano 23.291.000 con una crescita di 60 mila unità su febbraio, sfiorando i massimi registrati a maggio 2018 (23.326.000). Il tasso di occupazione ha raggiunto il 58,9%, ai massimi da aprile 2008 (58,9%). Rispetto ai minimi di occupazione registrati con la crisi economica (22.142.000 unità a gennaio 2014) si sono recuperati oltre 1,1 milioni di posti. È cambiata anche la composizione degli occupati. Per le donne si registrano 443 mila occupate in più rispetto ad aprile 2008 mentre per gli uomini si segnano 480 mila occupati in meno. Sempre a marzo, il tasso di disoccupazione è diminuito di 0,4 punti rispetto al mese precedente, arrivando al 10,2%. Le persone in cerca di occupazione sono 2.641.000 con un calo di 96 mila unità su febbraio 2019 e di 208 mila su marzo 2018. Si è ridotto anche il tasso di disoccupazione giovanile (tra le persone tra i 15 e i 24 anni): a marzo 2019 è sceso al 30,2%, il dato minimo da ottobre 2011.

Ragionare su questi numeri è “anche” utile e significativo ma finché non abbiamo in mano le ore complessivamente lavorate (vale a dire l’esatto numero di ore per i quali son stati versati i contributi: quindi sono certe al 100%) non esiste certezza che la situazione sia migliorata e in che modo e in  che quantità. Purtroppo per adesso il numero di ore lavorate mese dopo mese nei primi tre mesi del 2019 non ce l’abbiamo per confrontarli coi mesi precedenti.

MORTI SUL LAVORO, STRAGE SENZA FINE
Caduti dal trattore o dall'impalcatura, investiti, colpiti alla testa e schiacchiati: le cronache degli incidenti sul lavoro hanno spesso lo stesso schema. E sono in aumento, costante. Da inizio anno 206 persone hanno perso la vita sul luogo di lavoro. Nel 2018, secondo il report Inail, gli infortuni mortali sono stati più di tre al giorno, considerando l'anno solare: 1.133 (su 641.261 casi). Un dato impressionante e in aumento rispetto al 2017: 104 decessi in più, circa il 10%. Cresciuti anche gli incidenti in itinere, ossia lungo il tragitto per raggiungere il posto di lavoro: passati da 95.849 a 98.518 (più 2,8%). E di lavoro ci si ammala, ancora e di più: dopo la diminuzione in controtendenza del 2017. Circa 60 mila le denunce nel 2018: sono arrivate soprattutto dall'Industria e servizi (+2,8%) e in agricoltura (+1,8%), calo invece per gli statali del 5,1%. Oltre un terzo dei casi denunciati (1.341) si concentra nel Centro Italia.

LE MAXI VERTENZE APERTE: 210 MILA LAVORATORI COINVOLTI
Industrie pesanti, manifatturiere e servizi: le vertenze sindacali con posti in bilico (o che necessitano del sostegno degli ammortizzatori sociali) sono più di 100. A inizio anno erano esattamente 128 per 210 mila lavoratori diretti: tutte al vaglio del ministero del Lavoro guidato dal leader del M5s, Luigi Di Maio. Per il settore siderurgico c'è l'Ilva, prima quarto produttore europeo d'alluminio, ora continua a produrre ma attende il rilancio. L'impresa della famiglia Riva dal 2015 è in amministrazione straordinaria, poi della cordata Am Investco Italy (gruppo Marcegaglia e Arcelor Mital). A Taranto l'impianto principale: lo scorso anno a settembre la firma all'accordo con lo slogan "zero licenziamenti": oggi i lavoratori decimati - sono 1.775, dai 14 mila del 2016 – denunciano silenzio e abbandono. Sempre aperta la questione ambientale e il rischio salute pubblica. Oltre alla questione tumori: secondo l'Osservatorio nazionale amianto un lavoratore Ilva può ammalarsi il 500% in più rispetto a un abitante.

In buona sostanza questi 210mila lavoratori sono ancora in ballo da quando è cominciato il governo SalviMaio e non hanno costruito una alternativa. Taranto la possiamo dare ormai per morta:inammissibile un impianto del genere DENTRO una città PICCOLA fino a ¼ dell’acciaieria. Ieri era una soluzione, oggi è un problema.

IL NODO ALITALIA
Ma non c'è solo Taranto. In Sardegna le industrie sono ferme o in attesa di rilancio perenne. Soprattutto il polo del Sulcis tra ex Alcoa ed Eurallumina (filiera dell'alluminio) in ballo ci sono quasi 2 mila posti. A cui si aggiunge la bomba del Porto canale di Cagliari, di fatto vuoto: vi lavorano in 700, incluso l'indotto. E poi i casi eclatanti come Termini Imerese, in Sicilia, che coivolge 1.000 lavoratori. Una vertenza lunga otto anni, durante i quali nessuno è riuscito a fare ripartire lo stabilimento che la Fiat decise di chiudere nel dicembre del 2009 e che abbandonò due anni dopo. Da allora le tante ipotesi di rilancio si sono dissolte tra scandali e inchieste giudiziarie che hanno coinvolto alcuni dei gruppi che in questi anni si sono fatti avanti, ultimo la Blutec i cui vertici sono indagati per malversazione ai danni dello Stato con l'accusa di avere distratto 16 milioni di finanziamenti pubblici erogati attraverso Invitalia. In Toscana c'è la Bekaert, la multinazionale belga che produceva fili d'acciaio ha mollato tutto per delocalizzare: dei 240 dipendenti ne saranno ricollocati 80. Sul fronte trasporti la vertenza delle vertenze: quella dell'ex compagnia di bandiera, Alitalia. A caccia di nuovi soci, vola grazie a un prestito ponte da 900 milioni di euro ed è pronta a tornare sotto l'ala del Tesoro con i suoi 12.700 dipendenti al 2017. Una maxi operazione su cui vigila l'Ue. E intanto i sindacati hanno proclamato una giornata di sciopero per il 21 maggio.

LA PROTESTA DEI RIDER
E poi ci sono loro i rider, lavoratori simbolo della gig Economy, l'economia dei lavoretti su cui però campano centinaia di persone. Gli annunci di Luigi Di Maio - l'ultimo il 28 aprile - «La norma sui rider è pronta. Sarà inserita nella legge sul salario minimo che è in discussione in questi giorni al Senato», ha scritto su Facebook il vicepremier M5s - non convincono più. Dopo gli scioperi a Milano e Bologna e la pubblicazione dei vip che non concedono la mancia, il primo maggio i fattorini del food delivery hanno annunciato una mobilitazione. Secondo la segretaria confederale della Cgil Tania Scacchetti «non è più rinviabile la definizione di regole attraverso le quali migliorare la qualità del lavoro dei ciclofattorini, assicurando loro un salario giusto, il diritto alla malattia, alle ferie, al riposo, le tutele previdenziali e contro gli infortuni, i diritti alla privacy e alla trasparenza nell'uso degli algoritmi». Per il sindacato «la via principale per regolare tutti gli aspetti del rapporto di lavoro è quella di rimandare ai Ccnl, a partire da quello della logistica. Eventuali norme legislative, che ampliano le tutele per i lavoratori dell'economia digitale, dovrebbero impedire sfruttamento, lavoro a cottimo e contrastare l'assenza delle più minime tutele, pratiche purtroppo molto diffuse».

Monia Melis