Chi
è disposto a regalare al Chi è disposto a regalare al Comune per sette
mesi di gestione del CVI2 così com’è escluse “le spese delle utenze
relative a luce, acqua e gas che rimarranno a carico del Comune per
l’intera durata della concessione” basta che offra almeno € 123.500,00
al netto dell’IVA per il periodo 01.07.2019 - 31.01.2020, elevabili a €
173.800,00 al netto dell’IVA compresi gli altri (eventuali)
cinque mesi.
Ignota la media di quelle spese nel 2018:ovviamente.
La giunta Gamba inanella quindi il primo flop politico visto che
l’assegnazione del CVI2 ai sensi delle leggi europee ed assunte
dall’Italia doveva iniziare il primo luglio p.v. quando terminava la
convenzione col GS Marigolda.
E’ evidente del come la Giunta- via la funzionaria delegata in materia
- avendo fissato la data perentoria di presentazione delle offerte al 9
maggio p.v. col bando pubblicato il 30 aprile intenda far capire anche
ai sordi ed ai ciechi che esiste già il vincitore.
E non solo perché (il vincitore) sarà maggiorenne e quindi non nasce dopo il 30 aprile 2019.
Non fosse altro che 150 mila euro di bigliettoni (di quelli nuovi
o sono ancora buoni anche quelli vecchi?) non si scopano per strada.
Certo è che fissare in meno di dieci giorni il tempo per decidere ed
offrire, non è un buon esempio di governo della cosa pubblica e di
trasparenza verso i cittadini e le imprese.
In genere quando un’impresa viene messa in vendita o in affitto accade
che gli operatori interessati sono ammessi previa una certa procedura
ad “accedere ai conti” (l’esempio più eclatante sono state
Alitalia ed ILVA) ma siccome il GS Marigolda non ha un bilancio
PUBBLICO certificato, era necessario mettere a disposizione
almeno il calendario di occupazione degli impianti in maniera che
i concorrenti potessero farsi un piano.
Pare che esista un PEF (piano economico finanziario) preparato da uno
che non ha mai visto gli impianti funzionare nemmeno in cartolina ma
nel bando non c’è scritto che sia disponibile PRIMA dell’offerta.
Quindi non esiste o è la solita esercitazione speculativa.
La procedura di aggiudicazione sfrutta quanto prevede il Decreto
Legge aprile 2019 n. 32/2019 che modifica l’art. 36 del
Codice Appalti sui contratti sotto le soglie comunitarie (adesso
portate da 40mila fino a 200mila euro).
Il criterio di selezione utilizzato per l’aggiudicazione della
concessione sarà quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa ex
art. 95, comma 2, D. Lgs. 50/2016 sulla base sulla base del miglior
rapporto qualità / canone offerto all’Amministrazione secondo i criteri
che ci si riserva di definire in dettaglio con la lettera d’invito.
Verrà esperita procedura negoziata ex art. 36, comma 2, lett. b), D.
Lgs. 50/2016, a cui verranno invitati almeno cinque operatori economici
ove esistenti tra quelli che abbiano manifestato interesse entro il
termine e con le modalità sopra specificate.
Qualora il numero di manifestazioni di interesse fosse superiore a
cinque, ferma restando la facoltà di invitare tutti i candidati e nel
rispetto del criterio di rotazione, si procederà a sorteggio nel luogo
e nella data che verrà indicata successivamente.
Si rende noto che il servizio sarà affidato anche in presenza di una
sola offerta purché essa sia ritenuta valida e congruente con
l’interesse pubblico.
Che questa operazione prepari una serie di rimandi partendo dai 7+5+…+… +…. finchè ha da venì Baffone!.
Il quadro d’insieme dimostra ancora una volta come il paese sia sempre
stato governato all’insegna del “volemose bene che siamo tutti bravi
volenterosi ed onesti e nessuno si permetta di dubitarlo!”
dimenticando che la trasparenza sta alla base di qualsiasi rapporto
pubblico privato. Stiamo dicendo da almeno un quarto di secolo che le
società che gestiscono impianti e servizi (da quelli del CVI a quelli
del Piano del diritto allo studio) per il Comune debbano presentare dei
bilanci certificati da dei professionisti, uno dei quali debba essere
nominato dal Comune. Fosse stata applicata questa regola da almeno
vent’anni adesso i Curnesi avrebbero in mano la situazione dei due CVI
specchiate nei bilanci e nella descrizione-valutazione degli impianti
in termini di fruibilità.
Questo avrebbe aiutato il volontariato a crescere nella gestione
dei due centri e sarebbe stato lievito madre per futuri professionisti
e non speranzosi imprenditori.
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La fotografia del lavoro in Italia per il Primo Maggio
Disoccupazione in calo, ma un Paese ancora a due velocità. Morti
bianche in aumento. E 210 mila posti a rischio nelle 128 vertenze
aperte. Lo scenario.
I protagonisti oggi sono più anziani che giovani, in cassa
integrazione, spesso part time controvoglia o a chiamata, con poche
sicurezze. Ecco una radiografia parziale attraverso i numeri italiani.
A partire da chi un lavoro non ce l'ha, da chi muore – o resta ferito -
durante l'orario di servizio e delle maxi vertenze sindacali italiane
con centinaia e centinaia di posti a rischio. E all'orizzonte l'ombra
dei robot pronti a sostituire parecchie braccia e cervelli.
DISOCCUPAZIONE IN CALO
Una ventata di ottimismo arriva dai dati Istat diffusi il 30 aprile. A
marzo gli occupati in Italia erano 23.291.000 con una crescita di 60
mila unità su febbraio, sfiorando i massimi registrati a maggio 2018
(23.326.000). Il tasso di occupazione ha raggiunto il 58,9%, ai massimi
da aprile 2008 (58,9%). Rispetto ai minimi di occupazione registrati
con la crisi economica (22.142.000 unità a gennaio 2014) si sono
recuperati oltre 1,1 milioni di posti. È cambiata anche la composizione
degli occupati. Per le donne si registrano 443 mila occupate in più
rispetto ad aprile 2008 mentre per gli uomini si segnano 480 mila
occupati in meno. Sempre a marzo, il tasso di disoccupazione è
diminuito di 0,4 punti rispetto al mese precedente, arrivando al 10,2%.
Le persone in cerca di occupazione sono 2.641.000 con un calo di 96
mila unità su febbraio 2019 e di 208 mila su marzo 2018. Si è ridotto
anche il tasso di disoccupazione giovanile (tra le persone tra i 15 e i
24 anni): a marzo 2019 è sceso al 30,2%, il dato minimo da ottobre 2011.
Ragionare su questi numeri è “anche” utile e significativo ma finché
non abbiamo in mano le ore complessivamente lavorate (vale a dire
l’esatto numero di ore per i quali son stati versati i contributi:
quindi sono certe al 100%) non esiste certezza che la situazione sia
migliorata e in che modo e in che quantità. Purtroppo per adesso
il numero di ore lavorate mese dopo mese nei primi tre mesi del 2019
non ce l’abbiamo per confrontarli coi mesi precedenti.
MORTI SUL LAVORO, STRAGE SENZA FINE
Caduti dal trattore o dall'impalcatura, investiti, colpiti alla testa e
schiacchiati: le cronache degli incidenti sul lavoro hanno spesso lo
stesso schema. E sono in aumento, costante. Da inizio anno 206 persone
hanno perso la vita sul luogo di lavoro. Nel 2018, secondo il report
Inail, gli infortuni mortali sono stati più di tre al giorno,
considerando l'anno solare: 1.133 (su 641.261 casi). Un dato
impressionante e in aumento rispetto al 2017: 104 decessi in più, circa
il 10%. Cresciuti anche gli incidenti in itinere, ossia lungo il
tragitto per raggiungere il posto di lavoro: passati da 95.849 a 98.518
(più 2,8%). E di lavoro ci si ammala, ancora e di più: dopo la
diminuzione in controtendenza del 2017. Circa 60 mila le denunce nel
2018: sono arrivate soprattutto dall'Industria e servizi (+2,8%) e in
agricoltura (+1,8%), calo invece per gli statali del 5,1%. Oltre un
terzo dei casi denunciati (1.341) si concentra nel Centro Italia.
LE MAXI VERTENZE APERTE: 210 MILA LAVORATORI COINVOLTI
Industrie pesanti, manifatturiere e servizi: le vertenze sindacali con
posti in bilico (o che necessitano del sostegno degli ammortizzatori
sociali) sono più di 100. A inizio anno erano esattamente 128 per 210
mila lavoratori diretti: tutte al vaglio del ministero del Lavoro
guidato dal leader del M5s, Luigi Di Maio. Per il settore siderurgico
c'è l'Ilva, prima quarto produttore europeo d'alluminio, ora continua a
produrre ma attende il rilancio. L'impresa della famiglia Riva dal 2015
è in amministrazione straordinaria, poi della cordata Am Investco Italy
(gruppo Marcegaglia e Arcelor Mital). A Taranto l'impianto principale:
lo scorso anno a settembre la firma all'accordo con lo slogan "zero
licenziamenti": oggi i lavoratori decimati - sono 1.775, dai 14 mila
del 2016 – denunciano silenzio e abbandono. Sempre aperta la questione
ambientale e il rischio salute pubblica. Oltre alla questione tumori:
secondo l'Osservatorio nazionale amianto un lavoratore Ilva può
ammalarsi il 500% in più rispetto a un abitante.
In buona sostanza questi 210mila lavoratori sono ancora in ballo da
quando è cominciato il governo SalviMaio e non hanno costruito una
alternativa. Taranto la possiamo dare ormai per morta:inammissibile un
impianto del genere DENTRO una città PICCOLA fino a ¼ dell’acciaieria.
Ieri era una soluzione, oggi è un problema.
IL NODO ALITALIA
Ma non c'è solo Taranto. In Sardegna le industrie sono ferme o in
attesa di rilancio perenne. Soprattutto il polo del Sulcis tra ex Alcoa
ed Eurallumina (filiera dell'alluminio) in ballo ci sono quasi 2 mila
posti. A cui si aggiunge la bomba del Porto canale di Cagliari, di
fatto vuoto: vi lavorano in 700, incluso l'indotto. E poi i casi
eclatanti come Termini Imerese, in Sicilia, che coivolge 1.000
lavoratori. Una vertenza lunga otto anni, durante i quali nessuno è
riuscito a fare ripartire lo stabilimento che la Fiat decise di
chiudere nel dicembre del 2009 e che abbandonò due anni dopo. Da allora
le tante ipotesi di rilancio si sono dissolte tra scandali e inchieste
giudiziarie che hanno coinvolto alcuni dei gruppi che in questi anni si
sono fatti avanti, ultimo la Blutec i cui vertici sono indagati per
malversazione ai danni dello Stato con l'accusa di avere distratto 16
milioni di finanziamenti pubblici erogati attraverso Invitalia. In
Toscana c'è la Bekaert, la multinazionale belga che produceva fili
d'acciaio ha mollato tutto per delocalizzare: dei 240 dipendenti ne
saranno ricollocati 80. Sul fronte trasporti la vertenza delle
vertenze: quella dell'ex compagnia di bandiera, Alitalia. A caccia di
nuovi soci, vola grazie a un prestito ponte da 900 milioni di euro ed è
pronta a tornare sotto l'ala del Tesoro con i suoi 12.700 dipendenti al
2017. Una maxi operazione su cui vigila l'Ue. E intanto i sindacati
hanno proclamato una giornata di sciopero per il 21 maggio.
LA PROTESTA DEI RIDER
E poi ci sono loro i rider, lavoratori simbolo della gig Economy,
l'economia dei lavoretti su cui però campano centinaia di persone. Gli
annunci di Luigi Di Maio - l'ultimo il 28 aprile - «La norma sui rider
è pronta. Sarà inserita nella legge sul salario minimo che è in
discussione in questi giorni al Senato», ha scritto su Facebook il
vicepremier M5s - non convincono più. Dopo gli scioperi a Milano e
Bologna e la pubblicazione dei vip che non concedono la mancia, il
primo maggio i fattorini del food delivery hanno annunciato una
mobilitazione. Secondo la segretaria confederale della Cgil Tania
Scacchetti «non è più rinviabile la definizione di regole attraverso le
quali migliorare la qualità del lavoro dei ciclofattorini, assicurando
loro un salario giusto, il diritto alla malattia, alle ferie, al
riposo, le tutele previdenziali e contro gli infortuni, i diritti alla
privacy e alla trasparenza nell'uso degli algoritmi». Per il sindacato
«la via principale per regolare tutti gli aspetti del rapporto di
lavoro è quella di rimandare ai Ccnl, a partire da quello della
logistica. Eventuali norme legislative, che ampliano le tutele per i
lavoratori dell'economia digitale, dovrebbero impedire sfruttamento,
lavoro a cottimo e contrastare l'assenza delle più minime tutele,
pratiche purtroppo molto diffuse».
Monia Melis
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