SIAMO SULLA STRADA PER USCIRE DALL’EURO:
ECCO QUELLOCHE CI HA DETTO S&P
Meno crescita, più debito e effetti nulli (se non negativi) dalle
politiche del governo: nulla di nuovo nel giudizio di Standard &
Poor's sui conti pubblici italiani. Attenzione, però: se continua la
fuga dei capitali, ballano conti e banche. E l’esito inevitabile
sappiamo qual è.
Forse erano impegnati in campagna elettorale, o a defollowarsi su
Instagram, ma fa rumore il silenzio di Di Maio e Salvini sul nuovo
giudizio che l’agenzia di rating Standard & Poor’s ha emesso
sull’Italia. Un giudizio che, al netto del voto sintetico BBB con
outlook negativo confermato, è una bocciatura senza alcun appello alla
politica economica del governo gialloverde.
Lo è, innanzitutto, perché rispetto alla precedente valutazione, datata
26 ottobre 2018, non c’è indicatore che non sia peggiorato. In
particolare, sono crollate le previsioni di crescita, dall’1,1% di sei
mesi fa allo 0,1% di oggi e sta pericolosamente ricominciando a
crescere il rapporto tra debito e Pil, che dovrebbe tornare a quota
132,7% nel 2022. Scende, dal 2,7 al 2,6, il rapporto deficit/Pil, ma
solo perché allora, a ottobre, c’era ancora sul tavolo la manovra del
cambiamento nella sua versione originale, quella del 2,4%.
Quel che ferisce davvero, tuttavia, sono i giudizi: “l’inversione delle
riforme e la volatilità della domanda esterna hanno spinto l’economia
dell’Italia in recessione”, scrivono gli analisti di S&P, che è un
modo educato per dire che la causa primigenia dei nostri guai sono le
scelte di politica economica del governo, e che la congiuntura c’entra
il giusto, non fosse altro per il fatto che la crescita per il 2020 è
stimata per l’Italia allo 0,6%, meno della metà dell’1,4% cui dovrebbe
crescere in media, l’Europa. Stavolta nel mirino c’è soprattutto il
reddito di cittadinanza, e il cui effetto positivo sul prodotto interno
lordo sarà pari allo 0,2%, meno di quanto ci è costato (6 miliardi sono
circa 0,4 punti di Pil). Un effetto, peraltro, di breve durata, “senza
ulteriori riforme strutturali che favoriscano la crescita economica”.
Figurarsi se dovesse aumentare l’Iva, per dire.
Nei fatti, S&P ci sta dicendo una cosa molto semplice: che ci
stiamo isolando, sempre di più. Un isolamento, aggiungiamo noi, che
potrebbe far tornare in auge l’ipotesi di uscita dalla moneta unica, se
per caso a ottobre, il rating italiano scendesse ancora un po’, a BBa3
o a BBB-, a un solo gradino dalla spazzatura
Quel che più preoccupa, tuttavia, è la chiosa: secondo Standard &
Poor’s, infatti, è in corso “un marcato deterioramento delle condizioni
finanziarie esterne per il governo italiano e le banche“. Anche qui,
serve la traduzione: i capitali esteri stanno scappando dall’Italia,
che è sulla “buona” strada per diventare “creditore netto esterno entro
la metà del decennio”. Nei fatti, S&P ci sta dicendo una cosa molto
semplice: che ci stiamo isolando, sempre di più. Un isolamento,
aggiungiamo noi, che potrebbe far tornare in auge l’ipotesi di uscita
dalla moneta unica, se per caso a ottobre, il rating italiano scendesse
ancora un po’, a BBa3 o a BBB-, a un solo gradino dalla spazzatura.
Le implicazioni politiche le lasciamo a voi. Ma è chiaro che nelle
sliding doors di Palazzo, un’eventuale crisi gialloverde e un eventuale
governo Salvini - previe elezioni o meno - inclinerebbero, e non di
poco, il piano verso questa ipotesi. Soprattutto se il Capitano
leghista, ora accreditato dai sondaggi di un mostruoso 37% dei
consensi, giurasse al Colle prima della legge di bilancio. Nelle mani
di Mattarella c’è qualcosa di più del destino del governo Conte. Già lo
sapevamo, in fondo. Standard & Poor’s semplicemente, ce l’ha
ribadito.
LINKIESTA
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RI-DESTINAZIONE DELL'EX-GRES
IDEE VECCHIE DEI PADRONI E DEL COMUNE
La lettura dell'articolo della Seminati lascia sgomenti. Non per
demerito dell'autrice ma perla banalità delle proposte che vengono alla
luce a proposito della ristrutturazione e ridestinazione di questa
vastissima area ormai abbandonata da un decennio. Di tutto un po',
sperando che si riempia tutto. Del resto se l'Italcementi è finita in
mano tedesca anziché il contrario –Pesenti Italcementi sono stati tra i
pionieri dello sviluppo del Regno d'Italia prima e della Repubblica poi
e per almeno un secolo attori di primo piano nell'industria italiana-
qualcosa che non gira più con la forza e la cultura di ieri ci deve
essere. Italcementi ha deluso Bergamo ed ha deluso l'Italia. Anche
stavolta delude la sua città ed assieme a Pesenti-Italcementi delude
questo centrosinistra che sostanzialmente s'è limitato a fare
funzionare un po' meglio quello che più o meno hanno fatto tutti i
predecessori di destra o prossimi alla sinistra. Tutte le parole dette
da Pesenti dal Sindaco dagli Assessori vorrebbero avere la
pretesa di essere nuove e invece sono solo definizioni della vecchia
rendita con le parole di chi non ha fatto il '68.
Non è mancata solo la politica a dare un'idea nuova della città ma è
mancata anche l'impresa: dalle banche alle industrie alle
organizzazioni padronali che sono -praticamente- gli unici attori che
possono davvero decidere e trovare i fondi da investire. Invece ne
uscirà l'ennesimo spezzatino di proprietà e destinazioni così come
accade nelle lottizzazioni paesane a villette a schiera.
Come stiamo ripetendo da tempo la città ha davanti dei grandi temi-problemi:
- i due “MURI” costituiti dalla ferrovia e l'A4 che serrano la città ai
piedi della collina creando grossi problemi nello stendersi;
- la soluzione della fibra ottica di cui non riesce nemmeno a vedere il futuro;
- un Caravaggio che per crescere ha bisogno di decisioni pesanti sulla popolazione del circondario;
- il grandissimo problema di una Università che cresce ma che è
dispersa in dieci sedi mentre si rende vieppiù necessario un grande
polo universitario che metta insieme scuola residenza ricerca sport che
comportano un casino nei trasporti e nel traffico;
- il problema di tre ospedali privati presenti in città che
creano grossi problemi di traffico e non sono messi nelle condizioni
migliori.
- una ferrovia metropolitana dal Caravaggio al centro città fino sotto
a Città Alta e (perché no?) collegarsi con la ferrovia della Valle
Brembana.
Le soluzioni che vengono via via alla luce sono solo re dislocazioni di
attività che spostano il casino da una parte all'altra. Che se ne fanno
i Bergamaschi (e non solo le immobiliari padrone del centro) di una
città quando la fibra ottica avrà dispiegato tutte le sue
potenzialità? Perché edificare ancora sul sedime del polo ferroviario
quando valeva la pena di abolirlo assieme alla stazione e farne un
grande parco che avrebbe alleggerito anche il flusso dei veicoli e il
costo dei trasporti nella città? Già la città dispone di una sovra
offerta di volumetrie edilizie che potrebbero benissimo essere
riconvertite e in parte dismesse tanto è inutile immaginare che gli
italiani crescano di numero.
Come stiamo rilevando da tempo la zona in cui sta l'area Ex-Gres
in questione è laterale al Parco Sud ed è adiacente ad altre aree
pubbliche (e private) oltre che a due infrastrutture come la ferrovia e
l'asse interurbano. Una discreta ragionevolezza suggerirebbe di
alleggerire il centro di uffici (ormai vieppiù inutili) e di vecchie
catapecchie energetiche travestite da palazzi signorili, creare ampie
zone a verde e riconvertire le volumetrie in residenza e spostare sulle
quattro aree indicate nella carta A,B,C,D,E il polo universitario e/o i
tre ospedali privati entro città e lasciare quelle aree a verde.
Apriti cielo per i lamenti della speculazione edilizia e delle banche.
Tempo dieci anni gran parte del centro di Bergamo resterà vuoto per
mancanza di funzioni utili e di costi degli affitti fuori logica.
Addirittura gran parte degli uffici pubblici e privati non
saranno più necessari in centro città. Ecco il valore di ripulirla e
rimetterne in sesto la qualità ambientale dislocando in strutture nuove
i servizi davvero necessari e davvero innovativi. Tra dieci anni
saranno necessari almeno 5000 posti come RSA ed avanzeranno almeno un
migliaio di posti letto negli ospedali. Il futuro della città com'è
stato finora tra dieci anni non esisterà più e questi amministratori e
investitori stanno seguendo un modello che è già fallito da dieci anni.
Boh.
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IPROBLEMI IRRISOLTI DEL GOVERNO CONTE
C'è qualcosa di più del litigio quotidiano tra le due forze di governo.
È l'incertezza della guida politica. Essa lascia una massa di problemi
irrisolti, che emergono ogni giorno e vengono fatti marcire, qualche
volta a bella posta.
Il debito degli enti locali (specialmente delle città metropolitane),
quello con le banche e la Cassa depositi e prestiti, supera i 60
miliardi. Bisogna tentare di rinegoziarne le condizioni (e non sarà
facile), prima che sia troppo tardi e che si debba intervenire con
l'accollo allo Stato, come si fece nella seconda metà degli anni 70. Il
56 per cento delle società con partecipazione pubblica (prevalentemente
locale) è fuori legge, ma gli azionisti della metà di queste hanno
dichiarato che non intendono razionalizzarle, come richiede la legge.
C'è bisogno urgente di riduzione della spesa pubblica, almeno per
evitare che scatti la «clausola di salvaguardia» e che si debba
aumentare l'Iva (l'hanno spiegato lucidamente Alberto Alesina e
Francesco Giavazzi due giorni fa su queste colonne). Il governo nomina
due «commissari straordinari per il coordinamento delle attività di
razionalizzazione, riqualificazione e revisione della spesa pubblica» e
punta sulla vendita di immobili pubblici.
N on si sa tuttavia che cosa abbia fatto finora il governo per
assicurarsi i cambi di destinazione necessari, che dipendono dagli enti
locali. Inoltre, l'esecutivo si dichiara pronto ad assumere altre 66
mila persone nella scuola, oltre a stabilizzare i precari, e ha avviato
l'assunzione di 3 mila «navigatori» per il reddito di cittadinanza.
Tutto questo aumenta la spesa pubblica.
La concessione ad alcune regioni di maggiore autonomia è stata messa
temporaneamente in frigorifero, ma ritornerà prestissimo d'attualità, e
nessuno saprà come risolvere il conflitto Nord–Sud che essa ha
sollevato, perché non si è neppure messo allo studio un modo
ragionevole per arrivarci.
Tutti i numeri dati dal governo sono incerti. I poveri erano 5-6
milioni, ma hanno fatto richiesta del reddito di cittadinanza meno di
900 mila nuclei familiari; quindi, i poveri sarebbero inferiori della
metà a quelli indicati. Gli immigrati irregolari erano 500 mila, sono
ora diventati 90 mila. Si era previsto che i richiedenti una pensione
per aver raggiunto quota 100 (62 anni di età e 38 di contribuzione)
sarebbero stati 290 mila, si scopre che sono meno della metà. Ma non
sono solo i numeri ad essere tanto maltrattati. Lo sono anche i due più
grandi produttori di numeri e di dati, Banca d'Italia e Ragioneria
generale dello Stato, il cuore e il sistema nervoso del Paese, i cui
vertici attendono decisioni governative tenute a bagnomaria, forse ad
arte.
Non ultima prova di questa improvvisazione nell'esercizio del potere
sono l'uso elastico delle istituzioni e il funzionamento del Consiglio
dei ministri. Federico Fubini in un bel libro recente ( Per amor
proprio , Longanesi) ha calcolato che nei primi nove mesi di governo il
nostro ministro dell'Interno è mancato a tutte le riunioni in sede
europea in cui si è discusso di immigrazione e di controllo delle
frontiere e che l'altro vice presidente del consiglio, nei primi otto
mesi, ha saltato tre delle cinque riunioni allo stesso livello, alle
quali doveva partecipare. Il consiglio dei ministri italiano si
riunisce con presenze alterne ed uno dei ministri segue le riunioni «da
remoto», col cellulare, come ha lui stesso dichiarato. Da televisione e
giornali abbiamo appreso che i provvedimenti preparati da una parte
vengono tenuti nascosti all'altra parte. Il ministro dell'Interno, che
una volta assicurava, dal Viminale, che nelle piazze le persone si
riunissero «pacificamente e senz'armi» (articolo 17 della
Costituzione), ora, invece, occupa lui stesso la piazza e, con
atteggiamento gladiatorio, mostra le armi. L'afonia delle opposizioni
è, naturalmente, il principale alleato di questa confederazione di
potentati che continuiamo a chiamare governo. Il silenzio di Forza
Italia ha almeno la spiegazione di non volersi inimicare un alleato.
Non ne ha il Pd, con le sue mille voci e la loro incapacità di trovare
un accordo. Eppure dovrebbe esser chiaro che la principale ragione del
successo crescente della Lega è la sua capacità di parlare con una
unica voce.
Tutti ora aspettano che i nodi vengano al pettine. Ma c'è un pettine?
Sabino Cassese
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