VIADOTTO
MORANDI: COL SENNO DI POI L'INQUINAMENTO FU LA CAUSA DEL CROLLO. E LA
SALUTE DEI GENO9VESI CHE SUBIRONO LO STESSO INQUINAMENTO?
I lettori ricorderanno come il Viadotto sul Polcevera fu
progettato dall'ingegnere Riccardo Morandi e venne costruito fra il
1963 e il 1967 a opera della Società Italiana per Condotte d'Acqua.
Vero la fine degli annui '80 a seguito di varie segnalazioni all'ANAS
avvennero delle ispezioni molto approfondite alla pila 11 (e lo
stesso Morandi si accorse sia di alcuni difetti nella costruzione che
dei danni che gli stralli avevano subito per via dell'inquinamento
combinato con alcuni difetti di costruzione. Ecco come descrive la
situazione l'ing. Gabriele Camomilla che progettò e diresse i lavori di
restauro: Durante uno di questi controlli scoprimmo che sull'ultima
porzione di uno strallo, in cima alla struttura del numero 11, sullo
strallo lato Genova (lato nord), il cemento aveva lasciato scoperta una
porzione d'acciaio e questo aveva portato alla corrosione per
dissoluzione di circa il 30 % dei trefoli. Va sottolineato che le
azioni a cui l'acciaio portante dello strallo lavorava (circa 7.000 kg)
erano di gran lunga inferiori alle capacità di resistenza dell'acciaio
che lo costituiva (15.000 kg).
Il difetto costruttivo era questo: i fili ad altissima resistenza
avrebbero dovuto essere tra loro tutti distanziati per essere tutti
avviluppati dal calcestruzzo, che ha un notevole potere di protezione
dalla corrosione delle strutture di acciaio. A causa di un difetto
costruttivo, invece, tutti questi fili si sono trovati impacchettati in
sommità alla pila, per cui non erano bene avviluppati dal calcestruzzo.
Questo consentiva il passaggio di una parte di aria, e quindi l'attacco
dell'acciaio.
In pochi giorni avviammo l'intervento. Allora non c'era una legge che
burocratizzasse la manutenzione, quindi fu relativamente semplice
farlo, a parte le discussioni sul “come” farlo. Autostrade aveva una
sua società di costruzioni, Italstrade Spa sempre IRI con la sua
filiale locale ISA Appalti, e con essa avviammo l'intervento.
L'ing. Camomilla spiega nell'intervista le ragioni dell'ammaloramento
dei grandi cavi d'acciaio inseriti negli stralli conseguente al
fatto che la boiacca di cemento colata nei conci di calcestruzzo
messi a protezione dei cavi non fosse stata inserita
correttamente (del resto il procedimento era molto casuale
nonostante la buona volontà dei muratori) così che l'azione delle acque
metoriche che filtravano l'altissimo inquinamento dell'aria della zona
avevano reso immediatamente necessario l'intervento di restauro tenendo
conto delle imminenti (allora…: 2000) Colombiadi che rendevano
impensabile la chiusura del viadotto.
La soluzione adottata da Gabriele Camomilla e dall'ANAS-IRI fu
esemplare e rapida da realizzare: imbragarono gli stralli di un pacco
di 24+24 cavi esterni a ciascun cavo fissati all'esterno degli stralli
di cemento esistenti e rifecero completamente le selle nella parte alta
delle pile.
Quello che non viene raccontato è che se in 25 anni l'inquinamento
ambientale sommato ad una scarsa esecuzione dell'opera aveva ridoto del
50% le potenzialità di tenuta dei cavi iniziali negli
stralli, è facile immaginare quanto e quale danno abbiano
subitogli abitanti della zona nel frattempo. L'acqua piovana “filtrava”
nella precipitazione le componenti inquinanti e corrosive
contenute nelle emissioni delle aziende presenti e quel poco o
tanto che veniva a contatto coi cavi degli stralli ne aveva ridotto
drasticamente la capacità di tenuta. E ai polmoni dei genovesi cosa era
successo nel frattempo?
Il quadro che esce quindi è che l'ANAS-IRI fin dal 1990-1995 DOVEVA
realizzare su tutte le pile 11-10-9 del viadotto lo stesso intervento
realizzato nel 1992-1993 sulla pila 11 e non ne fece nulla ovviamente
per via dei costi. Nel 1999 la situazione proprietaria di Autostrade
vede il 30% in mano pubblica e il 70% già sul mercato. L'anno 1999 é il
momento in cui subentra con il 30 % un nucleo di azionisti privati,
riuniti nella Società Schemaventotto Spa che fa capo alla famiglia
Benetton e che rappresenta, ancora, attualmente il socio forte del
gruppo. Il restante 70% è già sul mercato. Come ricorda Giorgio
Ragazzi, autore qualche anno fa del saggio “I signori delle autostrade
(Il Mulino), Schemaventotto nel 1999 versa 2,5 miliardi per rilevare il
30% della società finanziando l'investimento per 1,3 miliardi con
capitali di rischio e il resto a debito. Poi, forte di incassi da
pedaggi (11 miliardi) cresciuti negli anni del 21% con l'aumento del
traffico a fronte di investimenti più contenuti (il 16% di quanto
previsto), Schemaventotto lancia l'opa totalitaria del 2003 destinata a
portarle la consistente maggioranza di Autostrade (l'84%, quota poi
successivamente ridotta) per 6,4 miliardi, tramite una società veicolo
poi fusa con Autostrade(che adesso é dei Benetton).
A questo punto è facile immaginare in che ginepraio si troveranno
i giudici che dovranno decidere se l'ANAS-IRI abbia venduto un
bidone perché avevano “dimenticato o deciso” di non completare l'opera
di restauro degli stralli delle pile 9 e 10 e quindi quanta
responsabilità per il crollo tocchi essere adebitata ai proprietari
originari piuttosto che agli ultimi e totalitari. E come sarà per quel
70% di azionisti che ne erano stati padroni fino al 1999?
Piccola soddisfazione personale. Quando al tempo del crollo del
viadotto leggemmo le carte che via via INGENIO pubblicava scrivemmo che
–oltre alle vittime- quel crollo sbatteva in faccia agli ingegneri il
problema dell'inquinamento come fattore da tenere conto nella
costruzione delle opere. Che non sono solo i viadotti ma anche
molto più semplicemente le riparazioni delle sponde di un torrente o la
monocoltura dei boschi (distrutti nell'ottobre 2018).
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ENTRO FINE ANNO IL GOVERNO DOVRA' TROVARE UN MILIONE DI POSTI DI LAVORO
Il ministero del Lavoro ha diffuso la rilevazione complessiva delle
richieste inviate finora all'Inps mettendo insieme, per la prima volta,
sia i moduli presentati alle poste o direttamente on line sia quelli
inoltrati attraverso i Caf. I numeri complessivi, aggiornati al 7
aprile 2019, dicono che le domande sono 806.878. La distribuzione
regionale vede la Campania al primo posto con 137.20 domande e la
Sicilia al secondo con 128.809. Insieme raccolgono il 32% delle
richieste. Al terzo posto il Lazio con 73.861 moduli inviati, al quarto
la Puglia con 71.535, al quinto la Lombardia con 71.310 e all'ultimo
posto la Valle D'Aosta con 1.031. Fra le province la classifica è
guidata da Napoli con 78.803 domande, seguita da Roma con 50.840
domande. All'ultimo posto Bolzano con 356 domande.
Delle domande se ne poteva presentare una sola per famiglia e il grosso
delle domande è stato presentato (chi aveva i requisiti infatti ha
avuto tutto il mese di marzo per farlo). Inoltre, non tutte saranno
accettate, visti i numerosi e stringenti requisiti previsti dalle
norme. Sopratutto quelle presentate alle Poste (circa 200mila) non sono
state “filtrate” come quelle lavorate dai Caf dove di solito c'è un
esperto che si confronta col richiedente.
Infine i dati dicono anche che 433.270 domande sono state presentate da
donne (54%) e 373.608 da uomini (46%). Con riferimento all'età dei
richiedenti, la percentuale maggiore si concentra nella fascia d'età
tra 45 e 67 anni con poco più del 61% (494.213 domande), seguono coloro
che hanno un'età compresa tra i 25 e i 40 anni, con 182.100 domande
(poco meno del 23%). Il resto è distribuito tra gli ultra 67enni
(105.699 domande, pari a poco più del 13%) che in realtà avranno
diritto alla pensione di cittadinanza, e circa il 3% tra i minori di 25
anni.
Tra qualche giorno sapremo anche la percentuale di domande
presentate rispetto alla popolazione presente nelle varie regioni e
quindi il quadro sarà più attendibile dal momento che quello sarà il
quadro “vero” della povertà reale o presunta perché “gli esperti”
stimano che da un quarto a un terzo degli aventi diritto non
presenteranno domanda preferendo una situazione attuale che concede
loro di destreggiarsi con lavori in nero che adesso sono una sicurezza
mentre l'inserirsi nel sistema previsto dal RdC potrebbe significare
perdere il nero attuale per non si sa bene quale “altro” futuro
migliore.
Adesso il problema non sono solo i soldini che lo stato dovrà mettere a
disposizione dei poveri ma a fronte di 806.878 domande ci sono da
trovare dagli 800mila all'1,2 milioni di posti di lavoro e non risulta
proprio che oggi come oggi “l'Italia” abbia questo bisogno di
lavoratori dipendenti.
Perché bisogna anche guardare chi sono questi che hanno fatto domanda e
il primo elemento che balza all'occhio è che ben difficilmente ci sono
posti di lavoro per quel 13% di disoccupati over 67 anni ma anche ad
essere generosi possiamo dire che tutti gli over 45 sono destinati a
restare sul divano o andare a togliere l'erba dalle aiuole comunali.
Se poi abbassiamo l'età di riferimento la percentuale maggiore si
concentra nella fascia d'età tra 45 e 67 anni con poco più del 61%
(494.213 domande) ed anche qui siamo in presenza di personale in
massima parte ormai col cervello cotto e quindi sostanzialmente
irredimibile, vuoi per la bassa istruzione vuoi perché distratti da
altre cose rispetto all'obiettivo lavoro.
Maggiori (relativamente…) prospettive di collocazione per coloro che
hanno un'età compresa tra i 25 e i 40 anni, con 182.100 domande (poco
meno del 23%).
Riassumendo e dando per scontato in maniera MOLTO GREZZA occorrono
entro fine anno non meno di mezzo milione di posti di lavoro. Hai
voglia.
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PER CHIUDERE LA PARTITA LIBICA LìOCCIDENTE DEVE RINUNCIARE PER QUALCHE ANNO AL SUO PETROLIO
Finchè l’Occidente non avrà spiegato a se stesso e non avrà compreso la
ragione per cui le “primavere arabe” iniziano tutte una volta maturato
l’evento internazionale della crisi del 2008, probabile che non riesca
a smatassare la faccenda. Nessuna delle primavere arabe ha portato
qualche vantaggio a quelle genti mentre l’unica certezza è che per loro
le cose vanno peggio di prima. Gli attacchi alla Libia, inizialmente
portati avanti autonomamente dai vari paesi che intendevano far
rispettare il divieto di sorvolo, furono unificati il 25 marzo 2011
sotto l'Operazione Unified Protector a guida NATO. La coalizione,
composta inizialmente da Belgio, Canada, Danimarca, Italia, Francia,
Norvegia, Qatar, Spagna, Regno Unito e USA, s'espanse nel tempo fino a
comprendere 19 stati, tutti impegnati nel blocco navale delle acque
libiche o nel far rispettare la zona d'interdizione al volo. I
combattimenti sul suolo libico tra il Consiglio nazionale di
transizione e le forze di Gheddafi cessarono nell'ottobre 2011 in
seguito alla morte del Ra'is. Conseguentemente, la NATO cessò ogni
operazione il 31 ottobre.
Non contenti del caos creato in Libia l’occidente ha messo mano anche
in Siria ed il risultato attuale è evidente. Sono ben sedici i Paesi
stranieri che hanno condotto bombardamenti e incursioni aeree sul
territorio della Siria. Ecco l’elenco, in ordine di volume di fuoco
impegnato: Usa, Russia, Francia, Regno Unito, Turchia, Israele,
Australia, Canada, Danimarca, Olanda, Belgio, Giordania, Arabia
Saudita, Emirati Arabi Uniti, Bahrein e Marocco.
La Russia ha messo piede in due importanti basi – Tarus e Latakia- in
Siria direttamente sul Mediterraneo. I Kurdi in parte aiutati dagli USA
hanno concretamente sconfitto buona parte dell’ISIS della cui
destinazione delle forze residue è una domanda senza risposta. In
pari tempo la Russia concorda con Erdogan di
combattere i kurdi perché entrambi temono la nascita di questo enorme
stato cuscinetto pieno di petrolio intelligenze e democrazia che
destabilizzerebbe tutte le democrature attorno: a partire dal ruolo
della donna che farebbe saltare l’islam. Un’infezione da evitare con
ogni mezzo.
Senza contare tutti gli stati arabi che si affacciano sul Mar
Rosso, Golfo di Aden e Mar Arabico pieni di soldi e di petrolio e di
armi (che gli occidentali vendono loro in cambio di petrolio).
Ecco quindi pronunciata la parola chiave dei problemi: il petrolio
assieme al gas di cui negli ultimi 5-7 anni si sono rinvenuti
giacimenti di enorme contenuto nel Mar Mediterraneo tra l’Ue la Turchia
Israele ed Egitto. Nel 2018 la NOC ha incassato dal 25 ai 30
miliardi di dollari dalla vendita di petrolio e gas. Con tutta questa
moneta sopravviverebbero coperti d’oro i 6-7 milioni di Libici.
La soluzione dei problemi in Libia si trova nella rinuncia per alcuni
anni al petrolio e gas libico. Bisogna mettere alla fame i due rais e
le truppe mercenarie che li sostengono e se non si rinuncia al
petrolio non si svena la NOC che sostanzialmente é la banca da cui
attingono tutte le fazioni. Probabile che l’operazione riuscirà quando
saranno in funzione i vari gasdotti oggi in costruzione a partire dalla
Russia ma pure del petrolio bisognerà che specialmente l’UE smetta di
fornirsi dalla Libia.
Le compagnie petrolifere straniere operanti in Libia sono l’italiana
Eni, la francese Total, la cinese China National Petroleum Corp (Cnpc),
la britannica Bp, il consorzio spagnolo Repsol, le statunitensi
ExxonMobil, Chevron, Occidental Petroleum, Hess, Conoco Phillips.
Difficilmente immaginabile che ENI, Total, BP (i tre maggiori
compratori) rinuncerebbero al malloppo energetico libico alla faccia di
qualsiasi evento bellico che potrebbe accadere. Ma bisogna considerare
che attorno al petrolio non ci sono solo gli stati riconosciuti e
concorrenti (facile immaginare come le area attorno al Mar Ross,
Arabico e Golfo di Aden veda male il concorrente libico così prossimo
ai suoi clienti). Ci sono anche i nuovi criminali come l’ISIS ed
anche una miriade di politicanti in genere che trafficano l’oro
nero … “in nero” verso i paesi consumatori.
Il quadro quindi ci appare abbastanza chiaro seppure non facile
da risolvere: bisogna abbandonare la risorsa energetica libica per
almeno un quinquennio per mettere fuori gioco ogni concorrente.
In problema è che nessuno ci vuole stare.
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