A GUARDARE ALLE COLLINE 966






Di cosa parliamo in questa pagina.

VIADOTTO MORANDI: COL SENNO DI POI L'INQUINAMENTO FU LA CAUSA DEL CROLLO. E LA SALUTE DEI GENOVESI CHE SUBIRONO LO STESSO INQUINAMENTO?
I lettori ricorderanno come il Viadotto sul Polcevera  fu progettato dall'ingegnere Riccardo Morandi e venne costruito fra il 1963 e il 1967 a opera della Società Italiana per Condotte d'Acqua. Vero la fine degli annui '80 a seguito di varie segnalazioni all'ANAS avvennero delle ispezioni molto approfondite alla pila  11 (e lo stesso Morandi si accorse sia di alcuni difetti nella costruzione che dei danni che gli stralli avevano subito per via dell'inquinamento combinato con alcuni difetti di costruzione. Ecco come descrive la situazione l'ing. Gabriele Camomilla che progettò e diresse i lavori di restauro: Durante uno di questi controlli scoprimmo che sull'ultima porzione di uno strallo, in cima alla struttura del numero 11, sullo strallo lato Genova (lato nord), il cemento aveva lasciato scoperta una porzione d'acciaio e questo aveva portato alla corrosione per dissoluzione di circa il 30 % dei trefoli. Va sottolineato che le azioni a cui l'acciaio portante dello strallo lavorava (circa 7.000 kg) erano di gran lunga inferiori alle capacità di resistenza dell'acciaio che lo costituiva (15.000 kg).(...)

ENTRO FINE ANNO IL GOVERNO DOVRA' TROVARE UN MILIONE DI POSTI DI LAVORO
(...)
Adesso il problema non sono solo i soldini che lo stato dovrà mettere a disposizione dei poveri ma a fronte di 806.878 domande ci sono da trovare dagli 800mila all'1,2 milioni di posti di lavoro e non risulta proprio che oggi come oggi “l'Italia”  abbia questo bisogno di lavoratori dipendenti.
Perché bisogna anche guardare chi sono questi che hanno fatto domanda e il primo elemento che balza all'occhio è che ben difficilmente ci sono posti di lavoro per quel 13% di disoccupati over 67 anni ma anche ad essere generosi possiamo dire che tutti gli over 45 sono destinati a restare sul divano o andare a togliere l'erba dalle aiuole comunali.
Se poi abbassiamo l'età di riferimento la percentuale maggiore si concentra nella fascia d'età tra 45 e 67 anni con poco più del 61% (494.213 domande) ed anche qui siamo in presenza di personale in massima parte ormai col cervello cotto e quindi sostanzialmente  irredimibile, vuoi per la bassa istruzione vuoi perché distratti da altre cose rispetto all'obiettivo lavoro.
Maggiori (relativamente…) prospettive di collocazione per coloro che hanno un'età compresa tra i 25 e i 40 anni, con 182.100 domande (poco meno del 23%).
Riassumendo e dando per scontato in maniera MOLTO GREZZA occorrono entro fine anno non meno di mezzo milione di posti di lavoro. Hai voglia.

PER CHIUDERE LA PARTITA LIBICA LìOCCIDENTE DEVE RINUNCIARE PER QUALCHE ANNO AL SUO PETROLIO
Finchè l’Occidente non avrà spiegato a se stesso e non avrà compreso la ragione per cui le “primavere arabe” iniziano tutte una volta maturato l’evento internazionale della crisi del 2008, probabile che non riesca a smatassare la faccenda. Nessuna delle primavere arabe ha portato qualche vantaggio a quelle genti mentre l’unica certezza è che per loro le cose vanno peggio di prima.
(...)
Ecco quindi pronunciata la parola chiave dei problemi: il petrolio assieme al gas  di cui negli ultimi 5-7 anni si sono rinvenuti giacimenti di enorme contenuto nel Mar Mediterraneo tra l’Ue la Turchia Israele ed Egitto. Nel 2018 la NOC ha incassato  dal 25 ai 30 miliardi di dollari dalla vendita di petrolio e gas. Con tutta questa moneta  sopravviverebbero coperti d’oro i 6-7 milioni di Libici.
La soluzione dei problemi in Libia si trova nella rinuncia per alcuni anni al petrolio e gas libico. Bisogna mettere alla fame i due rais e le  truppe mercenarie che li sostengono e se non si rinuncia al petrolio non si svena la NOC che sostanzialmente é la banca da cui attingono tutte le fazioni. Probabile che l’operazione riuscirà quando saranno in funzione i vari gasdotti oggi in costruzione a partire dalla Russia ma pure del petrolio bisognerà che specialmente l’UE smetta di fornirsi dalla Libia.
Le compagnie petrolifere straniere operanti in Libia sono l’italiana Eni, la francese Total, la cinese China National Petroleum Corp (Cnpc), la britannica Bp, il consorzio spagnolo Repsol, le statunitensi ExxonMobil, Chevron, Occidental Petroleum, Hess, Conoco Phillips. Difficilmente immaginabile che ENI, Total, BP (i tre maggiori compratori) rinuncerebbero al malloppo energetico libico alla faccia di qualsiasi evento bellico che potrebbe accadere. Ma bisogna considerare che attorno al petrolio non ci sono solo gli stati riconosciuti e concorrenti (facile immaginare come le area attorno al Mar Ross, Arabico e Golfo di Aden veda male il concorrente libico così prossimo ai suoi clienti). Ci sono anche i nuovi criminali come l’ISIS  ed anche una miriade di politicanti in genere che trafficano l’oro nero  … “in nero” verso i paesi consumatori.
Il quadro quindi ci appare  abbastanza chiaro seppure non facile da risolvere: bisogna abbandonare la risorsa energetica libica per almeno un quinquennio per  mettere fuori gioco ogni concorrente. In problema è che nessuno ci vuole stare.


































































VIADOTTO MORANDI: COL SENNO DI POI L'INQUINAMENTO FU LA CAUSA DEL CROLLO. E LA SALUTE DEI GENO9VESI CHE SUBIRONO LO STESSO INQUINAMENTO?


I lettori ricorderanno come il Viadotto sul Polcevera  fu progettato dall'ingegnere Riccardo Morandi e venne costruito fra il 1963 e il 1967 a opera della Società Italiana per Condotte d'Acqua. Vero la fine degli annui '80 a seguito di varie segnalazioni all'ANAS avvennero delle ispezioni molto approfondite alla pila  11 (e lo stesso Morandi si accorse sia di alcuni difetti nella costruzione che dei danni che gli stralli avevano subito per via dell'inquinamento combinato con alcuni difetti di costruzione. Ecco come descrive la situazione l'ing. Gabriele Camomilla che progettò e diresse i lavori di restauro: Durante uno di questi controlli scoprimmo che sull'ultima porzione di uno strallo, in cima alla struttura del numero 11, sullo strallo lato Genova (lato nord), il cemento aveva lasciato scoperta una porzione d'acciaio e questo aveva portato alla corrosione per dissoluzione di circa il 30 % dei trefoli. Va sottolineato che le azioni a cui l'acciaio portante dello strallo lavorava (circa 7.000 kg) erano di gran lunga inferiori alle capacità di resistenza dell'acciaio che lo costituiva (15.000 kg).
Il difetto costruttivo era questo: i fili ad altissima resistenza avrebbero dovuto essere tra loro tutti distanziati per essere tutti avviluppati dal calcestruzzo, che ha un notevole potere di protezione dalla corrosione delle strutture di acciaio. A causa di un difetto costruttivo, invece, tutti questi fili si sono trovati impacchettati in sommità alla pila, per cui non erano bene avviluppati dal calcestruzzo. Questo consentiva il passaggio di una parte di aria, e quindi l'attacco dell'acciaio.
In pochi giorni avviammo l'intervento. Allora non c'era una legge che burocratizzasse la manutenzione, quindi fu relativamente semplice farlo, a parte le discussioni sul “come” farlo. Autostrade aveva una sua società di costruzioni, Italstrade Spa sempre IRI con la sua filiale locale ISA Appalti, e con essa avviammo l'intervento.

L'ing. Camomilla spiega nell'intervista le ragioni dell'ammaloramento dei grandi cavi d'acciaio inseriti negli stralli conseguente  al fatto che  la boiacca di cemento colata nei conci di calcestruzzo messi a protezione dei cavi non  fosse stata inserita correttamente (del resto il procedimento era  molto casuale nonostante la buona volontà dei muratori) così che l'azione delle acque metoriche che filtravano l'altissimo inquinamento dell'aria della zona avevano reso immediatamente necessario l'intervento di restauro tenendo conto delle imminenti  (allora…: 2000) Colombiadi che rendevano impensabile la chiusura del viadotto.
La soluzione adottata da Gabriele Camomilla e dall'ANAS-IRI fu esemplare e rapida da realizzare: imbragarono gli stralli di un pacco di 24+24 cavi esterni a ciascun cavo fissati all'esterno degli stralli di cemento esistenti e rifecero completamente le selle nella parte alta delle pile.

Quello che non viene raccontato è che se in 25 anni l'inquinamento ambientale sommato ad una scarsa esecuzione dell'opera aveva ridoto del 50% le potenzialità di tenuta dei cavi  iniziali negli stralli,  è facile immaginare quanto e quale danno  abbiano subitogli abitanti della zona nel frattempo. L'acqua piovana “filtrava” nella precipitazione le componenti inquinanti e corrosive contenute  nelle emissioni delle aziende presenti e quel poco o tanto che veniva a contatto coi cavi degli stralli ne aveva ridotto drasticamente la capacità di tenuta. E ai polmoni dei genovesi cosa era successo nel frattempo?

Il quadro che esce quindi è che l'ANAS-IRI fin dal 1990-1995 DOVEVA realizzare su tutte le pile 11-10-9 del viadotto lo stesso intervento realizzato nel 1992-1993 sulla pila 11 e non ne fece nulla ovviamente per via dei costi. Nel 1999 la situazione proprietaria di Autostrade vede il 30% in mano pubblica e il 70% già sul mercato. L'anno 1999 é il momento in cui subentra con il 30 % un nucleo di azionisti privati, riuniti nella Società Schemaventotto Spa che fa capo alla famiglia Benetton e che rappresenta, ancora, attualmente il socio forte del gruppo. Il restante 70% è già sul mercato. Come ricorda Giorgio Ragazzi, autore qualche anno fa del saggio “I signori delle autostrade (Il Mulino), Schemaventotto nel 1999 versa 2,5 miliardi per rilevare il 30% della società finanziando l'investimento per 1,3 miliardi con capitali di rischio e il resto a debito. Poi, forte di incassi da pedaggi (11 miliardi) cresciuti negli anni del 21% con l'aumento del traffico a fronte di investimenti più contenuti (il 16% di quanto previsto), Schemaventotto lancia l'opa totalitaria del 2003 destinata a portarle la consistente maggioranza di Autostrade (l'84%, quota poi successivamente ridotta) per 6,4 miliardi, tramite una società veicolo poi fusa con Autostrade(che adesso é dei Benetton).

A questo punto  è facile immaginare in che ginepraio si troveranno i giudici che dovranno decidere se l'ANAS-IRI  abbia venduto un bidone perché avevano “dimenticato o deciso” di non completare l'opera di  restauro degli stralli delle pile 9 e 10 e quindi quanta responsabilità per il crollo tocchi essere adebitata ai proprietari originari piuttosto che agli ultimi e totalitari. E come sarà per quel 70% di azionisti che ne erano stati padroni fino al 1999?

Piccola soddisfazione personale. Quando al tempo del crollo del viadotto leggemmo le carte che via via INGENIO pubblicava scrivemmo che –oltre alle vittime- quel crollo sbatteva in faccia agli ingegneri il problema dell'inquinamento come fattore da tenere conto nella costruzione delle opere. Che non sono solo i viadotti ma anche  molto più semplicemente le riparazioni delle sponde di un torrente o la monocoltura dei boschi (distrutti  nell'ottobre 2018).
ENTRO FINE ANNO IL GOVERNO DOVRA' TROVARE UN MILIONE DI POSTI DI LAVORO



Il ministero del Lavoro ha diffuso la rilevazione complessiva delle richieste inviate finora all'Inps mettendo insieme, per la prima volta, sia i moduli presentati alle poste o direttamente on line sia quelli inoltrati attraverso i Caf. I numeri complessivi, aggiornati al 7 aprile 2019, dicono che le domande sono 806.878. La distribuzione regionale vede la Campania al primo posto con 137.20 domande e la Sicilia al secondo con 128.809. Insieme raccolgono il 32% delle richieste. Al terzo posto il Lazio con 73.861 moduli inviati, al quarto la Puglia con 71.535, al quinto la Lombardia con 71.310 e all'ultimo posto la Valle D'Aosta con 1.031. Fra le province la classifica è guidata da Napoli con 78.803 domande, seguita da Roma con 50.840 domande. All'ultimo posto Bolzano con 356 domande.
Delle domande se ne poteva presentare una sola per famiglia e il grosso delle domande è stato presentato (chi aveva i requisiti infatti ha avuto tutto il mese di marzo per farlo). Inoltre, non tutte saranno accettate, visti i numerosi e stringenti requisiti previsti dalle norme. Sopratutto quelle presentate alle Poste (circa 200mila) non sono state “filtrate” come quelle lavorate dai Caf dove di solito c'è un esperto che si confronta col richiedente.
Infine i dati dicono anche che 433.270 domande sono state presentate da donne (54%) e 373.608 da uomini (46%). Con riferimento all'età dei richiedenti, la percentuale maggiore si concentra nella fascia d'età tra 45 e 67 anni con poco più del 61% (494.213 domande), seguono coloro che hanno un'età compresa tra i 25 e i 40 anni, con 182.100 domande (poco meno del 23%). Il resto è distribuito tra gli ultra 67enni (105.699 domande, pari a poco più del 13%) che in realtà avranno diritto alla pensione di cittadinanza, e circa il 3% tra i minori di 25 anni.

 Tra qualche giorno sapremo anche la percentuale di domande presentate rispetto alla popolazione presente nelle varie regioni e quindi il quadro sarà più attendibile dal momento che quello sarà il quadro “vero” della povertà reale o presunta perché “gli esperti” stimano che da un quarto a un terzo  degli aventi diritto non presenteranno domanda preferendo una situazione attuale che concede loro di destreggiarsi con lavori in nero che adesso sono una sicurezza mentre l'inserirsi nel sistema previsto dal RdC potrebbe significare perdere il nero attuale per non si sa bene quale  “altro” futuro migliore.

Adesso il problema non sono solo i soldini che lo stato dovrà mettere a disposizione dei poveri ma a fronte di 806.878 domande ci sono da trovare dagli 800mila all'1,2 milioni di posti di lavoro e non risulta proprio che oggi come oggi “l'Italia”  abbia questo bisogno di lavoratori dipendenti.
Perché bisogna anche guardare chi sono questi che hanno fatto domanda e il primo elemento che balza all'occhio è che ben difficilmente ci sono posti di lavoro per quel 13% di disoccupati over 67 anni ma anche ad essere generosi possiamo dire che tutti gli over 45 sono destinati a restare sul divano o andare a togliere l'erba dalle aiuole comunali.
Se poi abbassiamo l'età di riferimento la percentuale maggiore si concentra nella fascia d'età tra 45 e 67 anni con poco più del 61% (494.213 domande) ed anche qui siamo in presenza di personale in massima parte ormai col cervello cotto e quindi sostanzialmente  irredimibile, vuoi per la bassa istruzione vuoi perché distratti da altre cose rispetto all'obiettivo lavoro.
Maggiori (relativamente…) prospettive di collocazione per coloro che hanno un'età compresa tra i 25 e i 40 anni, con 182.100 domande (poco meno del 23%).
Riassumendo e dando per scontato in maniera MOLTO GREZZA occorrono entro fine anno non meno di mezzo milione di posti di lavoro. Hai voglia.
PER CHIUDERE LA PARTITA LIBICA LìOCCIDENTE DEVE RINUNCIARE PER QUALCHE ANNO AL SUO PETROLIO



Finchè l’Occidente non avrà spiegato a se stesso e non avrà compreso la ragione per cui le “primavere arabe” iniziano tutte una volta maturato l’evento internazionale della crisi del 2008, probabile che non riesca a smatassare la faccenda. Nessuna delle primavere arabe ha portato qualche vantaggio a quelle genti mentre l’unica certezza è che per loro le cose vanno peggio di prima. Gli attacchi alla Libia, inizialmente portati avanti autonomamente dai vari paesi che intendevano far rispettare il divieto di sorvolo, furono unificati il 25 marzo 2011 sotto l'Operazione Unified Protector a guida NATO. La coalizione, composta inizialmente da Belgio, Canada, Danimarca, Italia, Francia, Norvegia, Qatar, Spagna, Regno Unito e USA, s'espanse nel tempo fino a comprendere 19 stati, tutti impegnati nel blocco navale delle acque libiche o nel far rispettare la zona d'interdizione al volo. I combattimenti sul suolo libico tra il Consiglio nazionale di transizione e le forze di Gheddafi cessarono nell'ottobre 2011 in seguito alla morte del Ra'is. Conseguentemente, la NATO cessò ogni operazione il 31 ottobre.

Non contenti del caos creato in Libia l’occidente ha messo mano anche in Siria ed il risultato attuale è evidente. Sono ben sedici i Paesi stranieri che hanno condotto bombardamenti e incursioni aeree sul territorio della Siria. Ecco l’elenco, in ordine di volume di fuoco impegnato: Usa, Russia, Francia, Regno Unito, Turchia, Israele, Australia, Canada, Danimarca, Olanda, Belgio, Giordania, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Bahrein e Marocco.
La Russia ha messo piede in due importanti basi – Tarus e Latakia- in Siria direttamente sul Mediterraneo. I Kurdi in parte aiutati dagli USA hanno concretamente sconfitto buona parte dell’ISIS della cui destinazione delle forze residue è una domanda  senza risposta. In pari tempo la Russia  concorda  con Erdogan  di combattere i kurdi perché entrambi temono la nascita di questo enorme stato cuscinetto pieno di petrolio intelligenze e democrazia che destabilizzerebbe tutte le democrature attorno: a partire dal ruolo della donna che farebbe saltare l’islam. Un’infezione da evitare con ogni mezzo.
Senza contare  tutti gli stati arabi che si affacciano sul Mar Rosso, Golfo di Aden e Mar Arabico pieni di soldi e di petrolio e di armi (che gli occidentali vendono loro in cambio di petrolio).

Ecco quindi pronunciata la parola chiave dei problemi: il petrolio assieme al gas  di cui negli ultimi 5-7 anni si sono rinvenuti giacimenti di enorme contenuto nel Mar Mediterraneo tra l’Ue la Turchia Israele ed Egitto. Nel 2018 la NOC ha incassato  dal 25 ai 30 miliardi di dollari dalla vendita di petrolio e gas. Con tutta questa moneta  sopravviverebbero coperti d’oro i 6-7 milioni di Libici.
La soluzione dei problemi in Libia si trova nella rinuncia per alcuni anni al petrolio e gas libico. Bisogna mettere alla fame i due rais e le  truppe mercenarie che li sostengono e se non si rinuncia al petrolio non si svena la NOC che sostanzialmente é la banca da cui attingono tutte le fazioni. Probabile che l’operazione riuscirà quando saranno in funzione i vari gasdotti oggi in costruzione a partire dalla Russia ma pure del petrolio bisognerà che specialmente l’UE smetta di fornirsi dalla Libia.
Le compagnie petrolifere straniere operanti in Libia sono l’italiana Eni, la francese Total, la cinese China National Petroleum Corp (Cnpc), la britannica Bp, il consorzio spagnolo Repsol, le statunitensi ExxonMobil, Chevron, Occidental Petroleum, Hess, Conoco Phillips. Difficilmente immaginabile che ENI, Total, BP (i tre maggiori compratori) rinuncerebbero al malloppo energetico libico alla faccia di qualsiasi evento bellico che potrebbe accadere. Ma bisogna considerare che attorno al petrolio non ci sono solo gli stati riconosciuti e concorrenti (facile immaginare come le area attorno al Mar Ross, Arabico e Golfo di Aden veda male il concorrente libico così prossimo ai suoi clienti). Ci sono anche i nuovi criminali come l’ISIS  ed anche una miriade di politicanti in genere che trafficano l’oro nero  … “in nero” verso i paesi consumatori.
Il quadro quindi ci appare  abbastanza chiaro seppure non facile da risolvere: bisogna abbandonare la risorsa energetica libica per almeno un quinquennio per  mettere fuori gioco ogni concorrente. In problema è che nessuno ci vuole stare.