MIGRANTI NEL MEDITERRANEO, ORMAI E' ANARCHIA TOTALE.ED E' L'ORA PIU' BUIA DELLA STORIA D'EUROPA
Migranti nel Mediterraneo, ormai è anarchia totale. Ed è l'ora più buia della storia d'Europa
Migranti che dirottano le navi mercantili, i governi europei che
abbandonano la missione Sophia, la propaganda che domina su tutto. Così
il Mediterraneo è fuori controllo e il destino degli ultimi nelle mani
di criminali. Non è morta solo la politica, nel Mediterraneo. È morta
la civiltà europea
Mediterraneo addio. Incapace di assumersi le loro responsabilità i
Paesi europei chiudono di fatto l'operazione Sofia di contrasto agli
scafisti seppellendo sotto un compromesso indecente interessi
geopolitici, diritti umani nonché duemila anni di storia nei quali –
senza i mezzi, le capacità, le reti dell'età contemporanea – il Vecchio
Continente e specialmente i suoi stati rivieraschi, Italia in primis,
aveva costruito i principi ordinatori del Mare Nostrum, le sue leggi
scritte e le sue regole consuetudinarie, non meno efficaci.
La decisione presa dai 28 ambasciatori degli Stati membri è la
seguente: pattugliamento in mare sospeso, navi ritirate, resta solo la
vigilanza aerea e l'addestramento della guardia costiera libica
L'Italia canta vittoria perché conserva il comando di questa
missione-fantasma senza doversi far carico dei migranti ripescati. La
Francia è soddisfatta perché pensa di prendersi la guida di Sofia fra
sei mesi, sostituendoci nel rapporto privilegiato con la Libia. La
Germania fa buon viso a cattivo gioco: interessi diretti non ne ha,
lascia volentieri la questione agli alleati, che se la spiccino loro.
Dai prossimi giorni, insomma, nel Mediterraneo agirà la legge del più
forte, grosso modo come all'epoca dei pirati saraceni. Anzi, agisce già
fin da ora. Il mercantile turco El Hiblu 1 che ieri aveva soccorso un
gruppo di 108 disperati e stava riportandoli a Tripoli è stato
costretto a invertire la rotta dalla ribellione dei naufraghi
terrorizzati dalla prospettiva del ritorno nei lager libici. Ora vaga
tra Malta e Lampedusa cercando un porto che nessuno vuole dargli, ed è
immaginabile cosa farà il prossimo capitano della prossima nave
commerciale che incrocerà un gommone semi-affondato: si girerà
dall'altra parte, farà finta di non vedere e consegnerà la sorte dei
fuggiaschi agli dei, visto che tra gli uomini anche le regole
primigenie del salvataggio in mare e dell'approdo sicuro sono saltate.
Consegnare il Mediterraneo a questo caos non è lotta all'immigrazione.
È resa agli schiavisti, ai trafficanti, ai mostri della tratta di donne
e bambini, ai Paesi che li cullano e li proteggono, a cominciare dalla
Libia
Senza più la bussola di un sistema condiviso, di catene di comando
sicure e adempimenti prefissati, si sgretola anche ogni certezza
nell'azione pubblica. Il ministro dell'Interno Matteo Salvini si è
appena salvato dall'inchiesta per sequestro di persona relativa alla
nave Diciotti che già se ne profila un'altra. La Procura di Roma ha
trasmesso un esposto sul blocco della Sea Watch alla procura di
Siracusa che a sua volta lo ha girato per valutazioni al tribunale dei
ministri di Catania. Fu reato trattenere al largo per dodici giorni
quella nave, con 47 naufraghi a bordo? Chi vietò l'approdo, su ordine
di quale autorità, in base a quale norma?
Tra cinque minuti ciascuna di queste domande e di queste vicende sarà
avvolta da un polverone tale che distinguere giusto e sbagliato
diventerà impossibile. Oltre la fuliggine della demagogia, tuttavia, si
avanza un interrogativo politico importante: che ce ne facciamo di
esecutivi europei – tutti o quasi tutti – che risultano palesemente
incapaci di costruire decisioni oltre la propaganda? Consegnare il
Mediterraneo a questo caos non è lotta all'immigrazione. È resa agli
schiavisti, ai trafficanti, ai mostri della tratta di donne e bambini,
ai Paesi che li cullano e li proteggono – a cominciare dalla Libia – e
capitolazione di un'intera civiltà nata dalla capacità di governare il
mare e di dettare le sue regole a chi lo attraversava.
Il paradosso è che la rinuncia a questa millenaria prerogativa, con la
consegna all'anarchia e alla prepotenza dei confini meridionali
dell'Europa, è l'esito diretto del prevalere di una narrazione
dichiaratamente sovranista: quella dei Paesi di Visegrad, che hanno
fatto blocco contro ogni riforma delle regole sui rifugiati; quella
italiana, che ha rotto i vecchi patti senza sostituirli con nuovi;
quella francese, che per calcolo politico ha promosso la
sterilizzazione degli interventi navali. Ma il sovrano è colui che
governa gli eventi e impone la sua norma politica e morale. Qui di
sovrani non se ne vedono, piuttosto si scorgono poteri fragili e
rinunciatari che ostentano il manto d'ermellino e lo scettro davanti
alle opinioni pubbliche impaurite ma, alla fin fine, non sanno come
usarli.
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VENDETTA DELLA REALTA': ORA A SALVINI E DI MAIO TOCCA SALVARE L'ITALIA DAI DISATRI CHE HANNO COMBINATO
Vendetta della realtà: ora a Salvini e Di Maio tocca salvare l’Italia dai disastri che hanno combinato
Il rapporto del Centro Studi di Confindustria non lascia spazio a
nessun tipo di speranza. Chiunque farà la manovra 2020, quella da
presentare a ottobre 2019 dovrà far crescere il deficit fino al 3,5%, o
aumentare l’Iva fino al 25% o tagliare la spesa pubblica per 35 miliardi
«Non ci sono opzioni indolori». Il rapporto del Centro Studi di
Confindustria sullo stato di salute dell’economia italiana e dei conti
pubblici non lascia spazio a nessun tipo di speranza. La crescita del
Pil a zero (era +0,9% a ottobre, cinque mesi fa), l’occupazione al
palo, i consumi pure, gli investimenti privati in territorio negativo,
quelli pubblici non pervenuti. Lo stellone si chiama export: o riparte
il commercio internazionale, o quest’anno si va sott’acqua. Con
l’economia mondiale in flessione e i dazi di Trump all’orizzonte, non
esattamente lo scenario più probabile.
«Non ci sono opzioni indolori», dice Confindustria, e quando dice così
pensa ai conti pubblici italiani, ipotecati per fare reddito di
cittadinanza e quota 100 che oggi diventano legge dello Stato col
l’ultima votazione al Senato. Due misure, ci siamo consumati i
polpastrelli a scriverlo, che così come sono non servono a nulla se non
a blandire gli elettorati di Cinque Stelle e Lega, convinti
rispettivamente che è stata abolita la povertà (falso) e che è stata
abolita la Legge Fornero (ancora più falso). Due misure a
moltiplicatore zero o quasi, soprattutto, che bruciano denaro senza
produrre ricchezza.
Se non fossimo italiani sarebbe quasi divertente il contrappasso che
toccherà a Salvini e Di Maio tra qualche mese, costretti a trasformarsi
in Mario Monti per salvare l’Italia da loro stessi,
«Non ci sono opzioni indolori» perché chiunque farà la manovra 2020,
quella da presentare a ottobre 2019 avrà solo tre strade di fronte a
se: far crescere il deficit fino al 3,5%, aumentare l’Iva fino al 25%
(e pure qualche altra imposta, già che c’è) o tagliare la spesa
pubblica per 35 miliardi circa. Tutto per non fare nulla, per mantenere
in vita ciò che di inutile è stato fatto nel 2019. Volete la flat tax,
per dire? Servono ancora più deficit e più tagli.
«Non ci sono opzioni indolori», e se non fossimo italiani sarebbe quasi
divertente il contrappasso che toccherà a Salvini e Di Maio tra qualche
mese, costretti a trasformarsi in Mario Monti per salvare l’Italia da
loro stessi, a sconfessare tutta una narrazione fatta di spesa pubblica
e deficit che magicamente trainano la crescita e l’occupazione, a
combattere contro i mulini a vento di un’Europa che dopo il 26 maggio
non sarà niente di diverso rispetto a quella di oggi, e non solo perché
a valutare la manovra, almeno questa, saranno ancora Juncker e
Moscovici.
«Non ci sono opzioni indolori», anzi una c’è. Mandare tutto in vacca e
far cascare il governo prima che arrivi l’autunno, lasciando a qualche
tecnico o a qualche professorone l’incombenza di occuparsi
dell’incompetenza gialloverde, per poi raccattare i cocci del
malcontento nelle urne. Ai professionisti del populismo è l’unico gioco
che rimane, l’unico che sanno giocare. L’unico che non sarà consentito
loro giocare. “Non ci sono opzioni indolori” vale anche per loro.
Francesco Cancellato
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PONTE
DA CALUSCO A PADERNO. DEI LAVORI CHE DOVEVANO DURARE UN MESE SONO
DURATI SEI MESI E MEZZO. E NEL FRATTEMPO NON HANNO NEMMENO COMBINATO I
NUOVI VIAGGI PER GLI ABBONATI DE4L TRENO
Il ponte sull'Adda tra Calusco e Paderno è chiuso da metà settembre e
domani (diciamo: fine marzo) verrà riaperto per il solo passaggio
pedonale (anche in bicicletta). Sei mesi e mezzo di chiusura per
approdare a questa soluzione quando bastava un minimo di organizzazione
e in meno di un mese – ma anche due settimane- potevano essere
realizzati i lavori necessari a questa soluzione.
Ma quando c'è di mezzo RFI il tempo perde gli orologi.
Ma c'è sempre un ma. Scrive il Corriere. Un bus porterà i viaggiatori
dalla stazione di Calusco al ponte, e un'altro li aspetterà all'altro
capo della struttura per accompagnarli alla stazione successiva. Nel
mezzo, 266 metri da percorrere a piedi. Un servizio per il quale il
ministero dei Trasporti ha stanziato un milione e mezzo di euro,
accompagnato però dalla relativa burocrazia. «Come Regione — annuncia
ora l'assessore regionale ai Trasporti Claudia Terzi — non abbiamo
aspettato le tempistiche ministeriali per organizzare i servizi
sostitutivi, attivi già nell'immediatezza dell'improvvisa chiusura del
ponte San Michele nel settembre 2018. Anche per quanto riguarda le
navette tra il ponte e le stazioni, abbiamo dato disponibilità ad
anticipare i fondi».
Il che non significa però partire subito: «Per allestire il servizio
occorre comunque rispettare le leggi nazionali sugli affidamenti che,
come noto, non brillano per semplicità e praticità — precisa
l'assessore —. E le Agenzie del trasporto pubblico locale, inoltre,
hanno fatto presente che occorre del tempo per organizzare le navette
secondo le modalità concordate con i sindaci. Non si tratterà infatti
di fare semplicemente la spola tra il ponte e le stazioni, ma di
mettere a disposizione del territorio un'offerta più articolata con
diverse fermate».
Il Comune di Calusco prevede infatti che a usare il servizio di bus non
saranno solo i viaggiatori dei treni, ma anche molti che arriveranno in
paese in auto con l'intenzione di usare la ferrovia da Paderno. Per
questo ha previsto tre fermate delle navette in corrispondenza di
altrettanti parcheggi: al piazzale del mercato (escluso il sabato,
quando è occupato dalle bancarelle), agli impianti sportivi e alla
discoteca Eclisse. Non c'è ancora una data per il via al servizio, ma,
assicura Claudia Terzi, «le navette saranno attivate il prima
possibile, alcuni giorni dopo la riapertura al transito ciclopedonale».
Si comprende come benché fosse prevista questa soluzione e la regione
avesse messo a disposizione i fondi per i bus navetta hanno dimenticato
di attivare i contratti e l'organizzazione materiale dei viaggi con le
aziende di trasporto.
Noi maliziosamente invece pensiamo che siccome l'abolizione dei viaggi
attuali Calusco - Brivio-Paderno comporta una drastica perdita per le
aziende che noleggiano i pulmann rispetto alla soluzione attuale e
quindi, giustamente, non corriamo troppo.
In sei mesi e mezzo Regione(1) Provincie(2) e Comuni (una decina)
potevano avere già deciso il “che fare”su un nuovo ponte, su due ponti
oppure dei voli diretti mentre adesso nessuno sa che soluzione estrarre
tranne il fatto che il riadattamento dell'attuale catorcio storico
(esteticamente da conservare ma inaffidabile sotto il profilo durata e
sicurezza) sposterà in avanti di qualche lustro il problema perché una
Regione poverissima e stracciona come la Lombardia non trova ne la
soluzione ne i 40 milioni necessari per “il ponte nuovo”.
Ancora una volta si deve prendere atto della difficoltà della politica-
alta media e bassa: regione province e comuni- di decidere in tempi
ragionevoli. A Milano come ad Amatrice. Nord Centro e Sud uniti nella
palcia.
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