IN UN ANNO IL DEBITO NAZIONALE CRESCE DI 6 MILIARDI AL MESE
Roberto Rho
La prima conseguenza, la più diretta, dell’eterna corsa del debito
pubblico è il corrispondente aumento della spesa per interessi. Lo
Stato italiano sborserà quest’anno una cifra non lontana dai 70
miliardi di euro per pagare le cedole dei titoli pubblici in
circolazione.
Sono soldi, tanti soldi, sottratti ai servizi per i cittadini, agli
investimenti pubblici, agli stimoli per l’economia privata.
Naturalmente il governo può provare a mantenere inalterato il livello
dei servizi ai cittadini, e anche a introdurre nuove misure di spesa (è
quello che sostanzialmente ha fatto il governo Lega-Cinque Stelle con
la legge di Stabilità per il 2019) ma il prezzo da pagare è un saldo di
bilancio negativo. Cioè un deficit (programmato per l’anno in corso
poco sopra il 2% del Pil, ma le previsioni pressoché unanimi puntano
già su un valore intorno al 2,5%).
L’analisi
Tagli a cantieri, scuola e sanità ecco il conto per gli italiani
segue dalla prima pagina
Cioè nuovo debito che va ad accumularsi su quello già esistente.
Naturalmente la spesa pubblica non è tutta uguale e ci sono spese che,
pur pesando sui conti dello Stato, producono sulla crescita
dell’economia nazionale effetti positivi che compensano, o addirittura
superano quelli negativi: gli investimenti in infrastrutture,
innovazione dei servizi pubblici, ricerca, scuola e università. Non è
però il caso dell’Italia gialloverde, che queste voci ha più o meno
tutte tagliato per creare lo spazio necessario al lancio del reddito di
cittadinanza e delle pensioni a quota 100.
Misure assistenziali, di impatto modesto o nullo sulla crescita del prodotto interno lordo e, viceversa, sicuro sul debito.
Trent’anni fuori controllo
L’allarme debito pubblico, in Italia, suona ininterrottamente perlomeno
da trent’anni, senza che qualcuno lo ascolti. Nel 1980 è ancora sotto
al 60 per cento del Pil ma all’inizio del decennio successivo è già
schizzato al 100 per cento (i dati sono contenuti in uno studio di
Roberto Artoni, professore di Scienza delle Finanze all’Università
Bocconi, citato dal Sole 24 Ore), a causa di politiche di bilancio
sciagurate, mai rigorose, e a un’inflazione multipla rispetto ai numeri
dei giorni nostri. La corsa prosegue fino al 124 per cento del 1994 e
tutti gli sforzi di contenimento della crescita del debito nei decenni
successivi non producono risultati rilevanti, se è vero che oggi, 26
marzo 2019, siamo ben oltre il 130 per cento.
L’incertezza e le imprese
L’Italia morirà affogata nei debiti? Qual è, se ne esiste uno, il
limite oltre al quale non si può andare? E soprattutto, quali sono gli
effetti negativi per il bilancio pubblico, cioè indirettamente (ma non
troppo) per le tasche degli italiani?
Più debito, più interessi da pagare. Ci sono poi gli effetti meno evidenti, sui quali la teoria economica si esercita da tempo.
Il primo: lo Stato, per finanziare il debito, prosciuga risorse
altrimenti destinate al settore produttivo, agli investimenti privati.
Lo Stato si mette in concorrenza con l’economia privata, e tra l’altro
è una concorrenza distorta dal diverso e più favorevole regime fiscale
cui sono sottoposte le cedole dei titoli di Stato (12,5 per cento)
rispetto alle altre forme di investimento. Secondo: generalmente per
arginare la crescita eccessiva del debito uno Stato attento agli
equilibri del proprio bilancio finirà per aumentare le tasse. In Italia
il tema tornerà d’attualità non appena — superate le elezioni Europee —
si parlerà di manovra di aggiustamento dei conti pubblici. Quand’anche
non accadesse, secondo gli economisti è assai probabile che si
verifichi comunque il cosiddetto “effetto — spiazzamento”: i
consumatori, nel timore di una possibile, prossima stretta fiscale
rallentano le spese e trasferiscono parte del reddito in risparmi. La
logica è simile a quella che condiziona, nelle fasi di incertezza, la
propensione all’investimento delle imprese: se la linea dell’orizzonte
è offuscata, meglio non avventurarsi. Non si compra il capannone, non
si cambiano le macchine, non si fanno nuove assunzioni. È più o meno
quello che sta accadendo da un paio di trimestri a questa parte, e
disgraziatamente l’effetto-incertezza si combina con quello, almeno
altrettanto potente, del peggioramento della congiuntura internazionale.
Il rating
Debito pubblico, crescita del Pil e politiche fiscali: tre fattori che
si condizionano tra loro e in qualche modo dipendono l’uno dall’altro.
Certamente, insieme, contribuiscono a formare la reputazione di un
Paese sui mercati finanziari, la percezione di credibilità e
affidabilità, misurata dalle agenzie di rating.
Non è soltanto una questione estetica: da quella percezione dipende la
propensione dei grandi investitori a concedere fiducia — acquistandoli
— ai titoli pubblici di quel Paese, e da questo dipendono i tassi di
interesse di quei titoli pubblici.
Uno Stato molto indebitato, come l’Italia, a maggior ragione se
dimostra di non saper adottare le contromisure necessarie per la
crescita infinita del debito, non potrà contare sulla benevolenza delle
agenzie di rating e degli investitori finanziari. Per convincere questi
ultimi bisognerà pagare tassi di interesse più elevati. E — al netto di
possibili, nuove tempeste finanziarie, dagli esiti che potrebbero anche
essere drammatici — la spesa per gli interessi accrescerà la montagna
del debito pubblico. L’Italia è, da almeno 25 anni nel bel mezzo di
questo vortice letale. I pochi, istruttivi intermezzi a questa tendenza
sono lì a dimostrare che il destino non è ineluttabi
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COSA FARA' SALVINI DA GRANDE E DA SOLO
L‘alleanza sovranista tra Lega e Fratelli d'Italia non riesce ad essere
pienamente autosufficiente: i numeri non le bastano per dire “siamo
solo noi”. Le serve il 9 percento di Forza Italia. Presto Matteo
Salvini dovrà decidere a quale schema politico affidare il suo futuro
Le analisi elettorali annoiano, e d'altra parte qui c'è poco da
analizzare: la destra sovranista vive il suo momento, sei elezioni su
sei vinte in un anno, ovunque percentuali in raddoppio e talvolta
triplicate. La bolla grillina è scoppiata, avanza un altro tipo di
sobbalzo del mercato elettorale e non c'è dubbio che Matteo Salvini ne
sia il protagonista. Così come è evidente che i vecchi partiti – o
quelli giudicati tali, insomma Forza Italia e il Pd – non siano
riusciti al momento a tornare in gioco nel consistente travaso di
consensi in uscita dal Movimento Cinque Stelle.
Fa un po' ridere il dibattito che si è aperto a sinistra e a destra sui
contenuti che avrebbero favorito questa nuova destra, con le fazioni
interne del Pd che si rinfacciano le aperture allo Ius Soli e i
dirigenti di Fi che litigano sull'insufficienza della classe dirigente.
Dovremmo avere tutti capito che il successo salviniano è frutto di una
personalità, di uno stile, di una leadership che piace agli elettori
per motivi che hanno ben poco a vedere con il razionale. Successe a suo
tempo con Silvio Berlusconi e in parte con Matteo Renzi. Succede a
tutti i personaggi largamente divisivi che proprio per questo risultano
polarizzanti sia tra gli amici sia tra i nemici.
È il populismo, signori. Un'onda che premia la capacità di tenere il
palco più che la musica. E tuttavia a tutte le latitudini, dalla
Liguria al recentissimo voto in Basilicata, l'alleanza sovranista tra
Lega e Fratelli d'Italia non riesce ad essere pienamente
autosufficiente, i numeri non le bastano per dire “siamo solo noi”. Le
serve l'8-10 percento di Forza Italia,così come le sono necessarie le
consistenti briciole fornite dai partitini moderati, dall'Udc a
Quagliariello, passando per Idea, più le varie sigle che si fregiano
del sostantivo Popolari e per i micro-raggruppamenti civici di
ispirazione centrista. I “cespugli”, come si sarebbe detto una volta,
determinanti in quasi tutte le elezioni regionali degli ultimi mesi.
Nel contesto emotivo dei nuovi partiti che hanno abituato i loro
sostenitori a giudicare ogni accordo come un inciucio, ogni
ripensamento come un tradimento, ogni dialogo come un cedimento morale,
trasformare la corsa individuale del Capo in lavoro di squadra, con più
soggetti a dividersene l'onere e l'onore, è una missione piena di
incognite
L'one-man-band in politica funziona raramente, in Italia mai. Presto
Matteo Salvini dovrà decidere a quale schema politico affidare il suo
futuro, come spendere la sua improvvisa fortuna, questa lunga serie di
successi che già tutti immaginano coronati da un exploit alle Europee.
Con Silvio Berlusconi non vuole tornare, dice. Col M5S l'esperimento è
palesemente finito e tra l'altro il Nord non gli consentirebbe
ulteriori proroghe di un'alleanza così conflittuale con gli interessi
del “partito del Pil”. E allora?
Il punto interrogativo è molto grande e rivela il vero limite
dell'esperimento populista italiano, che vede Lega e M5S impantanati
nello stesso tipo di difficoltà: le alleanze. I grillini le hanno
programmaticamente rifiutate. La Lega se l'è cavata finora tenendosi
quelle che aveva sui territori e rinviando il momento della scelta a
livello nazionale. Ma il gioco ormai è finito. Chi vuole vincere dovrà
“contaminarsi”. Le leadership solitarie – quella fortissima di Salvini,
quella più opaca di Di Maio e persino una futuribile investitura di
Alessandro Di Battista – non saranno più sufficienti a fare l'impresa e
si dovrà decidere lo schema politico al quale affidarsi per rivendicare
il governo del Paese.
Nel vecchio mondo non sarebbe stato un problema. La politica era
pragmatica, realista, e anche gli elettori riconoscevano senza problemi
la necessità del compromesso. Ma ora no, nel contesto emotivo dei nuovi
partiti che hanno abituato i loro sostenitori a giudicare ogni accordo
come un inciucio, ogni ripensamento come un tradimento, ogni dialogo
come un cedimento morale, trasformare la corsa individuale del Capo in
lavoro di squadra, con più soggetti a dividersene l'onere e l'onore, è
una
missione piena di incognite. Anche per questo il dopo-Europee appare
così incerto e nebuloso: sappiamo che cambierà tutto, è già cambiato
tutto, ma nessuno può dire se il cambiamento produrrà nuovi equilibri
o, al contrario, un lungo stallo in attesa di dec
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STRADA DALMINE ALME'. COMINCIANO LE BEGHE LAGALI TRA PROVINCIA E IMPRESA.
Tutto come previsto: la politica ha fatto di nuovo flop e l'ha fatto
ciurlando nel manico. Prima di tutto la solfa dei c.d. “sottoservizi”
che sono un'autentica invenzione non perché sotto i ponti e le strade
non ci passino tubi e cavi ma perché “lo si sapeva prima” e quindi dal
progetto doveva saltar fuori il problema PRIMA dell'appalto. Poi perché
–abbiamo osservato per bene i lavori sotto tre ponti a Curno, TUTTI i
sottoservizi che vi passano potevano restare dov'erano senza bisogno di
spostarli. Le opere aggiuntive per l'ampliamento della strada erano
tutte al di fuori della traccia dei sottoservizi. Pure le demolizioni
potevano essere fatte senza manomettere quel che c'era sotto.
Un'invenzione della Vitali quindi? Nossignori. Lavori in grandissima
parte del tutto inutili (lo spostamento) che vengono eseguiti perché
così i proprietari dei sottoservizi si ritrovano con la tratta nuova
non pagata da loro ma dalla provincia ma rifatta dalle loro ditte. Hai
capito? Cioè dai cittadini.
Poi andiamo a vedere il nodo tra Mozzo-Valbrembo verso Briolo e verso
la Conca del Pascolo dei Tedeschi. Certo che il torrente Riolo dopo
tutta la cementificazione della immensa plaga del Pascolo dei Tedeschi
(che comprende anche altri comuni fino alle vertici dei colli della
città di Bergamo) e una pratica intensiva dell'agricoltura (Parco dei
Colli!?) non è più in grado di sopportare le acque che vi si scaricano
e quindi andava trovata una soluzione. Però senza fare quella giostra
in progetto bastava scavare una adeguata sezione sotto la provinciale
154 dalla rotonda fino alla Quisa e il paese di Mozzo era salvo
definitivamente. Invece bisognava inventare una bella giostra e, visto
che c'è di mezzo pure il Parco dei Colli, sotto a mungere la vacca
pubblica. Ovvio che poi la Vitali fattura. Per stare a Curno basterà
vedere tutte le opere previste sul lato ovest tra via Marigolda e via
Brembo per capire che la Vitali è ben contenta, tanto lei… fattura. Tra
l'altro era possibile immaginare che scendo dalla valle Brembana, con
la soluzione adottata, fosse possibile scendere dalla Almè-Dalmine
sulla via Brembo in direzione Marigolda e invece si può girare solo
verso… Curno. Manca la bretella che togli il casino automobilistico ma
c'è la pista ciclabile: che è uno degli amori del nostro assessore
Conti. Fondamentale una pista ciclabile tra via Brembo e una
concessionaria di auto. Ovvio!. Come si doveva-poteva pensare a
una bretella per salire da via Brembo sulla SP154 in direzione
dell'asse interurbano e dell'A4. Chissenefrega! :quelli della Mariglda
che voglio andare a Dalmine passino per via Carlinga!. Poi vedremo che
casino sarà per le aziende tra via Europa e via Padre Sala.
La tragedia è che i bergamaschi hanno in banca 23 miliardi di risparmi
e la politica, quella che eleggiamo noi, fa la sparagnina davanti ad
opere che andrebbero progettate con la cura di un airbus e costruite
con la mania di un cesellatore. Prima una provincia leghista, poi
centrodestra leghista, poi due mandati del pateracchio PD-Fi con Rossi
presidente e adesso un altro pastrocchio. Dio ce ne scampi e ce ne
liberi di gente di questo livello.
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CUCINA CASALINGA CURNESE
Notizie quasi estive dal Comune. Ci deve essere per aria ancora qualche
temporale molto persistente ed acquoso (strano?! non piove davvero da
almeno sei mesi) tra il Comune e la Scuola Media se l'Assessora ha
deciso di far pubblicare “in forma ornata” l'avviso alle famiglie ed ai
cittadini che il Comune -contrariamente alle malelingue nostrane adatte
ai beveroni della maggioranza- che “ per l'anno scolastico 2018-2019
l'Amministrazione Comunale intende sostenere attivamente il Piano
dell'Offerta Formativa delle istituzioni scolastiche presenti sul
territorio comunale e in particolare per i viaggi d'istruzione
programmati dalla Scuola secondaria di 1° grado "G. Pascoli" per le
classi Prime e Terze, con l'assegnazione di un contributo per le gite
scolastiche (viaggio d'istruzione a Lavazè o a Palermo) alle famiglie
degli alunni residenti”. Contributo che ammonterà al 70% del costo del
viaggio per le famiglie con ISEE fino a 3mila euro per arrivare
al 20% per un'ISEE tra i 12 e i 15 mila euro. La gita a Lavazè costa
160 euro mentre quella a Palermo 260 euro. Davvero cambiano i tempi. In
prima media (1958) ci hanno condotti (a piedi!) in visita di SanTomè da
Ponte Briolo Brembate San Tome portandoci appresso la schiscetta di
tela e un bicchiere di alluminio per bere alle vedovelle. In terza
media grande viaggio in treno e tram fino alla Fiera di Milano. Sempre
con la schiscetta. Scusate: che cacchio c'andate a fare a Lavazè o
Palermo nel 2019?
Premio di Poesia SOVRANISTA.
Le Muse associazione culturale curnese, in attesa che il Comune gli
metta a posto la sede dentro il giardino di via Marconi (per quest'anno
sono previste solo opere di consolidamento) organizzano il tradizionale
concorso di poesia e –UDITE UDITE!- sono previste due sezioni due
e precisamente la A: riservata a tutti i maggiorenni (potranno scrivere
poesie porno?) residenti nella provincia di Bergamo e la B: “Poeti del
territorio” maggiorenni residenti nel comune di Curno. Si partecipa con
un solo testo in lingua italiana massimo 35 versi. E la Giuria sarà
composta tra esponenti locali del mondo della cultura, docenza
scolastica e informazione.Non si sa se ridere o piangere. Pure la
poesia maggiorenne e sovranista con la giuria giuria composta tra
esponenti locali del mondo della cultura, docenza scolastica e
informazione. E se i è terù? marochì o niger!?.
350-390 euro costerà una vacanza di una settimana proposta dal Comune
per i bambini-ragazzi a cura di un privato sociale (non c’è indicazione
di partita IVA). Una associazione bene ammanigliata visto che i comuni
che si sono maritati sono sette e tutti dello stesso colore politico.
Speriamo che non sia come quello di Valbondione di un notissimo
consigliere «verde» provinciale. Magari i nostri ragazzi non conoscono
cosa abbia significato la presenza del fiume Brembo (a Curno ci passa
il fiume Brembo che non è solo un cartoccio di plastica smerdate)
che vuol dire non sapere nemmeno chi come cosa da dove provengano
loro stessi e la loro famiglia ma é importante che sappianoquel che c’è
in Valcavallina. Del resto un paese e un comune che organizzano e
sponsorizzano un premio di poesia «so
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