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“UNITÀ E RECIPROCITÀ NEGLI APPALTI”
DA CHE PULPITO VIENE LA PREDICA!
Con la Cina "vogliamo una relazione sulla base dell'accesso reciproco ai mercati", ha detto la cancelliera Merkel al termine del Consiglio Ue. Il punto sono gli investimenti: il Dragone respinge quelli di molti Paesi Ue, che finora non sono riusciti a fare fronte comune. Dal 2012 si lavora allo Strumento per gli appalti internazionali (Ipi), che Bruxelles vuole approvare entro il 2019. Un obiettivo che la "profonda amicizia" tra Roma e Pechino rischia di allontanare. Stiglitz: "Bruxelles costringe Roma ad accettare soldi cinesi" (...)

ITALIA-CINA: SE DIMAIO FA RIDERE RISPETTO A BERGAMO
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Oggi leggiamo su L’Eco di Bergamo UN TITOLONE che la nostra provincia nel 2018 Bergamo “AVREBBE” realizzato oltre 1,3 miliardi di scambi commerciali con il colosso asiatico con un incremento di circa il 7% rispetto all'anno precedente.
In realtà come si evince dalla tabella dentro l’articolo la faccenda NON sta proprio in questi numeri: Bergamo ha esportato in Cina nel 2018 per 430, 7 miliardi di euro e ha importato merci per  95.6 miliardi di euro.
Le esportazioni bergamasche sono trainate anche nel 2018 dal settore delle macchine (160 milioni di euro) che costituisce oltre il 30% del totale esportato verso la Cina, le importazioni cinesi sono, sia in valore assoluto che settoriale, dominate dai prodotti chimici primari (147 milioni).
A fronte di un atteso incremento di 2,5 miliardi di incremento dell’export  italiano noi bergamaschi potremmo arriva a 510-530  milioni. Non si butta via niente.
Purtroppo se leggiamo bene l’articolo di Cristina Signorelli su L’Eco ci accorgiamo che hanno fatto  qualche confusione perché i dati ISTAT e provinciali.
Insomma da questa partita DiMaio ne esce abbastanza sputtanato anche se lui plaude all’incremento di export di carne suina ed arance senza che non si capisca bene com’è l’interscambio entro paesi dell’UE proprio per i suini e le arance ( e poi l’olio e il grano duro).
Se poi andiamo a leggere l’andamento d egli investimenti in infrastrutture della Cina nei principali paesi UE ci accorgiamo che tra il 2007 e il 2018 quelli in Germania passano da 95 a 103 miliardi. Quelli in Francia scendono da 95 a 90 e quelli in Italia crollano da 95 a 60. Una autentica fuga a gambe levate quando nella media UE il calo è di soli 5 punti da 95 a 90 (circa per tutti).
L’export verso la Cina dall’anno 200 al 2018 vede la Germania che passa da 4,5 miliardi a 17,5; Francia, regno Unito e Media Europea triplicano da 2-3 a 10-11 miliardi mentre l’Italia dai 2- 3 raddoppia. Insomma non abbiamo fiato nemmeno rispetto ai nostri concorrenti diretti.
































IL TITOLO DELL'ARTICOLO E' UNA FAKE NEWS



































VIA DELLA SETA, LE OBIEZIONI DEI LEADER EUROPEI ALLA LINEA ITALIANA:
“UNITÀ E RECIPROCITÀ NEGLI APPALTI”
DA CHE PULPITO VIENE LA PREDICA!


Con la Cina "vogliamo una relazione sulla base dell'accesso reciproco ai mercati", ha detto la cancelliera Merkel al termine del Consiglio Ue. Il punto sono gli investimenti: il Dragone respinge quelli di molti Paesi Ue, che finora non sono riusciti a fare fronte comune. Dal 2012 si lavora allo Strumento per gli appalti internazionali (Ipi), che Bruxelles vuole approvare entro il 2019. Un obiettivo che la "profonda amicizia" tra Roma e Pechino rischia di allontanare. Stiglitz: "Bruxelles costringe Roma ad accettare soldi cinesi"

di Marco Pasciuti | 22 Marzo 2019

La prima parola d’ordine è “reciprocità“. La seconda è “fronte unito“. La reciprocità è quella che Bruxelles gradirebbe ci fosse tra l’Europa e la Cina sul fronte degli investimenti. Il fronte unito è il modo in cui le stesse istituzioni comunitarie vorrebbero che gli Stati dell’Unione affrontassero il gigante asiatico. Un obiettivo che, è il timore che aleggia nei corridoi della capitale belga e tra le cancellerie, l’apertura di Roma sulla Nuova Via della Seta e la firma del Memorandum con Pechino rischiano di allontanare. Anche se, secondo il premio Nobel per l’Economia Joseph Stiglitz, “è l’Europa che sta costringendo l’Italia ad accettare il denaro cinese” perché “non mette in campo fondi per crescere“. Quindi “un paese che è in stagnazione, recessione, depressione che deve fare?”.
Intervistato da Huffpost, Stiglitz auspica che “l’Europa e in modo particolare la Germania si sveglino e si rendano conto che hanno davanti una questione esistenziale per l’Eurozona e per l’Ue”, perché “un’Italexit scuoterebbe l’Ue alle fondamenta”. Ma avverte anche che “l’Italia deve stare con gli occhi aperti, individuare i rischi di una trattativa coi cinesi. Alle spalle abbiamo già degli esempi drammatici: lo Sri Lanka e la Malaysia, dove l’aiuto cinese diede luogo a fenomeni di profonda corruzione. Ecco, speriamo che l’Italia abbia imparato da queste lezioni e concordi per bene con Pechino i termini di tutto l’accordo. Roma deve trattare con attenzione”.
La questione Cina viene affrontata in queste ore dal Consiglio europeo riunito nella capitale belga. A tenere banco giovedì è stata la questione Brexit, ma oggi si parla di investimenti. Con Pechino “vogliamo una relazione sulla base sulla reciprocità e accesso reciproco ai mercati“, ha detto la cancelliera tedesca Angela Merkel al termine dei lavori del summit. Durante il quale il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk ha parlato della bozza di dichiarazione congiunta Ue-Cina in fase di negoziato per il vertice del 9 aprile, in cui si legge che Bruxelles e Pechino prevedono di accelerare sull’Accordo per gli Investimenti e “chiuderlo nel 2020” grazie alla creazione di un nuovo “meccanismo di monitoraggio politico per un continuo esame dei progressi nei negoziati”, in modo che i leader possano fare il punto “entro fine anno“.
In tema di investimenti tra gli Stati Ue e la Cina la reciprocità è scarsa: alcuni dei primi lamentano che le loro aziende non sono trattate bene al di là della Muraglia e per riequilibrare l’asimmetria da anni la Commissione spinge perché l’Unione si doti di uno strumento per affrontare il Dragone con una posizione unitaria. “Per salvaguardare il suo interesse nei confronti della stabilità, dello sviluppo economico sostenibile e della buona governance nei paesi partner – si legge in uno dei 10 punti in discussione sul tavolo dei 27 – l’Ue applicherà in modo più rigoroso gli accordi e gli strumenti finanziari bilaterali esistenti e collaborerà con la Cina per seguire gli stessi principi nell’attuare la strategia dell’Ue in materia di connessione tra l’Europa e l’Asia”. Ma soprattutto “per promuovere la reciprocità e ampliare le opportunità di appalto in Cina, il Parlamento europeo e il Consiglio dovrebbero adottare lo Strumento per gli appalti internazionali (Ipi) entro la fine del 2019″.
Palazzo di Berlaymont ci prova dal 2012, con un testo rivisto e riproposto nel 2016 ma che langue da allora nei cassetti del Consiglio, bloccato da un gioco di veti incrociati. La Commissione chiede che sia approvato entro l’anno considerandolo “un modo per aprire il mercato globale alle imprese europee”, ma quello che manca è una posizione unitaria: a favore, spiegano fonti Ue, sono Francia e Germania, mentre finora sono stati contrari i Paesi tradizionalmente liberisti del nord, dalla Svezia alla Danimarca, con Olanda e Gran Bretagna (che tra qualche settimana, tuttavia, dovrebbe togliere il disturbo).
In che modo lo strumento per gli appalti internazionali potrebbe permettere agli Stati Ue di affrontare i mercati globali su un unico fronte? In caso di pratiche restrittive di un Paese terzo nei confronti di imprese europee, l’Ipi prevede l’apertura di un’indagine da parte della Commissione, poi l’apertura di un dialogo con il Paese coinvolto per trovare rimedi.


Solo come ultima spiaggia, in caso di mancato accordo, Bruxelles applicherebbe a sua volta misure restrittive nei confronti delle imprese, beni e servizi di questo Paese terzo, ma con voto finale degli Stati membri che avrebbero quindi l’ultima parola.
Ecco perché l’approccio italiano con la Cina oltre le Alpi non piace. E non solo ai francesi. Emmanuel Macron ha affrontato il tema nel bilaterale con Giuseppe Conte a margine del Consiglio Ue, sottolineando la necessità di un “coordinamento europeo“, agendo come europei se ci si vuole muovere come potenza perché “lavorare come piccoli club con la Cina non è un buon approccio”. “La Cina è un rivale sistemico”, ma anche “un partner economico” dell’Unione europea, ha sottolineato, e “il tempo della ingenuitàeuropea è finito, ancora non c’è un completo allineamento dei nostri interessi, ma c’è una condivisione strategica”. Il quotidiano londinese Financial Times in un editoriale pubblicato alla vigilia dell’incontro al Quirinale tra Sergio Mattarella e Xi Jinping in cui si è parlato di “profonda amicizia” tra i due popoli scrive che l’intesa con Roma “solleva questioni circa la capacità europea di formare una posizione unitaria nei confronti della Cina”.

Marco Pasciuti
ITALIA-CINA: SE DIMAIO FA RIDERE RISPETTO A BERGAMO




Cominciano con ASKANEWS sul Sole 24ore che lancia: Italia-Cina, Di Maio: accordi da 2,5 mld su un potenziale di 20
"Obiettivo raggiunto". Il ministro dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio, a conclusione del vertice di Villa Madama che ha visto la firma di numerosi accordi istituzionali e commerciali tra Italia e Cina esibisce con orgoglio le cifre delle intese appena siglate, che hanno coinvolto grandi nomi come Eni, Intesa SanPaolo, Cdp, Ansaldo Energia, Snam, Danieli, oltre alle autorità portuali che controllano i porti di Trieste e Genova. "Solo gli accordi firmati qui oggi - ha detto in una breve conferenza stampa - in sostanza hanno un valore di 2,5 miliardi di euro, con un potenziale di 20. E poi ci sono tutti gli accordi istituzionali.
Voglio dedicare questa firma della Via della Seta - sottolinea - ai nostri imprenditori del 'Made in Italy': per me è stato un orgoglio ascoltare il presidente cinese parlare della nostra gastronomia, del nostro agroalimentare del nostro artigianato della nostra innovazione tecnologica. Ne parlava con l'obiettivo di attirare il più possibile prodotti italiani nel mercato cinese, di poter far esportare il più possibile un prodotto, il made in Italy che, parole sue, ha un'ottima reputazione in Cina".
Insomma, per il vicepremier "l'obiettivo di oggi era questo ed è stato raggiunto in pieno, con firme importantissime di aziende private e di istituzioni pubbliche, ma sopratutto con una visione che è quella di fare sempre più grande il made in Italy nel mondo, di esportarlo sempre di più e questo significa nuovi posti di lavoro e nuove aziende in Italia e aziende sempre più grandi. Quello che abbiamo fatto oggi è un altro passo per aiutare la nostra economia a crescere e aiutare soprattutto le nostre eccellenze, che non hanno eguali nel mondo".
Invece Repubblica parte con un attacco mondano.
Alle 11,58, dopo una serie di veloci colloqui a porte chiuse, inizia la cerimonia delle firme. Il primo a impugnare la penna e sedersi al tavolo sistemato tra Conte e il presidente cinese è il ministro del lavoro Luigi di Maio che, di concerto con il ministro degli esteri cinese e con quello del commercio, appone tre volte il suo nome sotto altrettanti capitoli del Memorandum relativi alle infrastrutture e al commercio. Dopo di lui, in sequenza, tocca al ministro dell’economia Tria, incaricato di sottoscrivere l’accordo relativo alla prevenzione dell’evasione fiscale, al titolare delle politiche agricole Centinaio, a quello dei beni culturali Bonisoli e alla responsabile della sanità Giulia Grillo.
Si parla di esportazioni di agrumi, di restituzione di 796 reperti archeologici a Pechino, di cooperazione contro gli scavi clandestini e ispezioni sulle quarantene di suini e bovini. Il vice ministro degli esteri Del Re sottoscrive le consultazioni bilaterali e il sottosegretario alle attività culturali Borgonzoni i progetti di gemellaggio e di conservazione dei rispettivi siti Unesco. Ci sono poi paragrafi relativi alla ricerca tecnologica, al patrimonio paesaggistico, all’agenzia spaziale, alla Rai e all’Ansa oltre agli accordi commerciali che vedono protagonisti, tra gli altri, Cassa Depositi e Prestiti, Eni, Ansaldo, Intesa San Paolo, il Porto di Trieste e Genova, un progetto di collaborazione economica che fornisce la cornice giuridica a 29 intese (in origine avrebbero dovuti essere una cinquantina) per un totale di circa 7 miliardi di euro. Nessuna menzione del controverso 5G, come già anticipato nei giorni scorsi.

Dunque siamo nella situazione per cui l’Italia che nel 2018 ha esportato in Cina per  13,169 milioni (con una diminuzione del 2,4% rispetto al 2017) spera di incrementare di 2,5 miliardi l’export verso la Cina che potrebbero arrivare ai 16 miliardi. Purtroppo noi dalla Cina abbiamo importato l’anno scorso per 30,78 miliardi con un incremento dell’8,4%.
Oggi leggiamo su L’Eco di Bergamo UN TITOLONE che la nostra provincia nel 2018 Bergamo “AVREBBE” realizzato oltre 1,3 miliardi di scambi commerciali con il colosso asiatico con un incremento di circa il 7% rispetto all'anno precedente.
In realtà come si evince dalla tabella dentro l’articolo la faccenda NON sta proprio in questi numeri: Bergamo ha esportato in Cina nel 2018 per 430, 7 miliardi di euro e ha importato merci per  95.6 miliardi di euro.
Le esportazioni bergamasche sono trainate anche nel 2018 dal settore delle macchine (160 milioni di euro) che costituisce oltre il 30% del totale esportato verso la Cina, le importazioni cinesi sono, sia in valore assoluto che settoriale, dominate dai prodotti chimici primari (147 milioni).
A fronte di un atteso incremento di 2,5 miliardi di incremento dell’export  italiano noi bergamaschi potremmo arriva a 510-530  milioni. Non si butta via niente.
Purtroppo se leggiamo bene l’articolo di Cristina Signorelli su L’Eco ci accorgiamo che hanno fatto  qualche confusione perché i dati ISTAT e provinciali.

Insomma da questa partita DiMaio ne esce abbastanza sputtanato anche se lui plaude all’incremento di export di carne suina ed arance senza che non si capisca bene com’è l’interscambio entro paesi dell’UE proprio per i suini e le arance ( e poi l’olio e il grano duro).
Se poi andiamo a leggere l’andamento d egli investimenti in infrastrutture della Cina nei principali paesi UE ci accorgiamo che tra il 2007 e il 2018 quelli in Germania passano da 95 a 103 miliardi. Quelli in Francia scendono da 95 a 90 e quelli in Italia crollano da 95 a 60. Una autentica fuga a gambe levate quando nella media UE il calo è di soli 5 punti da 95 a 90 (circa per tutti).
L’export verso la Cina dall’anno 200 al 2018 vede la Germania che passa da 4,5 miliardi a 17,5; Francia, regno Unito e Media Europea triplicano da 2-3 a 10-11 miliardi mentre l’Italia dai 2- 3 raddoppia. Insomma non abbiamo fiato nemmeno rispetto ai nostri concorrenti diretti.