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IL PALLINO ELETTORALE CE L’HA IN MANO BERLUSCONI
SOLO IL CAVALIERE PUÒ MANDARE A CASA IL GOVERNO GIALLO VERDE: INTERROMPENDO LE ALLEANZE LOCALI CON LA LEGA.
MA I SUOI NON LO PERMETTERANNO MAI.
Stefano Folli stabilisce che l’obiettivo che il neo segretario del Pd non dovrebbe perdere di vista è soprattutto uno: le elezioni anticipate. Invece Antonio Padellaro vaticina che con questa sinistra, Salvini può dormire sonni tranquilli. Ci pare che non tengano conto di un terzo elemento.
Vero che il Parlamento lo può sciogliere solo Mattarella ma se  B. decidesse di ritirare i suoi dalle maggioranze regionali e provinciali –ne basterebbe una sola: Lombardia o Veneto per dare una scossa-  la Lega sarebbe costretta a tornare a casa del centrodestra e sfanculare i 5S. Insomma oggi il pallino sta (ancora) nelle mani del vecchissimo cavaliere che si vede sottrarre ogni giorno voti ed elettori dal suo alleato Salvini (che ha comprato il vecchio partito coi 49 milioni spariti dai bilanci della vecchia Lega e finiti in saccoccia al fondatore ed alla sua residua corte) senza porre freno al dissanguamento elettorale. Non occorre molta immaginazione verificare che i suoi (di B.) scherani locali non accetterebbero di mollare le poltrone col rischio sicuro di non vederne nemmeno una su cinque alla prossima tornata elettorale. Il fatto è che di presidenti forzisti in regioni e provincie e comuni importanti ne ha pochi mentre va meglio con la schiera degli assessori.(...)

IL CASO 1
TORINO LIONE
LA LUCE SPENTA NEL TUNNEL
La vicenda del Tav Torino-Lione potrebbe essere la trama di una gustosa farsa, se non fosse un episodio acuto del malaise italiano. Il contrasto tra Lega e M5S su quest'opera rischiava, già nel maggio 2018, di far naufragare il fatidico “contratto” su cui è nato il governo Conte.
Cosi, venne trovata un'espressione vaga (e un po' vacua) per nascondere il contrasto sotto il tappeto: “Con riguardo alla Linea ad Alta Velocità Torino-Lione, ci impegniamo a ridiscuterne integralmente il progetto nell'applicazione dell'accordo tra Italia e Francia”. (...)

IL CASO 2
GENOVA, L’EFFETTO AMIANTO SUL PONTE. LA DEMOLIZIONE IN RITARDO DI UN ANNO
Anche la linea dell’orizzonte può essere un’illusione. Quella che ha sullo sfondo il ponte Morandi è ormai cambiata da quel maledetto 14 agosto. Proprio ieri è stato tirato giù un tratto rettilineo lungo 36 metri e pesante 916 tonnellate. C’è più cielo tra un moncone e l’altro, segno che i lavori di demolizione, propedeutici alla ricostruzione, sono cominciati, e avanzano. Era importante partire, e ancora più importante che si vedesse, ripete sempre Marco Bucci, il sindaco-commissario del governo per il nuovo viadotto.(...)





























































IL PALLINO ELETTORALE CE L’HA IN MANO BERLUSCONI
SOLO IL CAVALIERE PUÒ MANDARE A CASA IL GOVERNO GIALLO VERDE: INTERROMPENDO LE ALLEANZE LOCALI CON LA LEGA.
MA I SUOI NON LO PERMETTERANNO MAI.


Stefano Folli stabilisce che l’obiettivo che il neo segretario del Pd non dovrebbe perdere di vista è soprattutto uno: le elezioni anticipate. Invece Antonio Padellaro vaticina che con questa sinistra, Salvini può dormire sonni tranquilli. Ci pare che non tengano conto di un terzo elemento.
Vero che il Parlamento lo può sciogliere solo Mattarella ma se  B. decidesse di ritirare i suoi dalle maggioranze regionali e provinciali –ne basterebbe una sola: Lombardia o Veneto per dare una scossa-  la Lega sarebbe costretta a tornare a casa del centrodestra e sfanculare i 5S. Insomma oggi il pallino sta (ancora) nelle mani del vecchissimo cavaliere che si vede sottrarre ogni giorno voti ed elettori dal suo alleato Salvini (che ha comprato il vecchio partito coi 49 milioni spariti dai bilanci della vecchia Lega e finiti in saccoccia al fondatore ed alla sua residua corte) senza porre freno al dissanguamento elettorale. Non occorre molta immaginazione verificare che i suoi (di B.) scherani locali non accetterebbero di mollare le poltrone col rischio sicuro di non vederne nemmeno una su cinque alla prossima tornata elettorale. Il fatto è che di presidenti forzisti in regioni e provincie e comuni importanti ne ha pochi mentre va meglio con la schiera degli assessori.
Vedremo tra pochi giorni la tornata elettorale  delle regionali lucane ed è abbastanza prevedibile che anche quelli si getteranno nella braccia del Capitano, tanto bene o male per loro non cambierà nulla salvo una breve stagione di illusioni.  Vedi la storia del latte sardo. Meglio non gettare via nemmeno quella. L’elettore italiano sopravvive alla giornata: premia che lo fa vivere meglio fino a domani. Doman l’altro sarà un’altra storia.
Dato per scontato che domani i 5S salveranno il Capitano dalle minacce della magistratura (che però di questi tempi ha dato segni di forte ravvedimento a destra) ieri le gazzette ampiamente soffieggiate dal governo scrivevano di Tria sul Sole che […] la proposta è di cancellare l’obbligo di presentazione preventiva della proposta all’Agenzia delle Entrate tramite interpello. In pratica, quindi, viene meno l’obbligo dell’istanza di ruling, e per ottenere lo sconto fiscale sarà sufficiente presentare la documentazione. Una semplificazione che riguarderebbe anche le migliaia di domande rimaste finora inevase.
Riguardo alle agevolazioni sulle fonti di finanziamento aziendale, sarebbe previsto l’aumento da 1,5 a 2,5 milioni del Fondo centrale di garanzia per l’emissione di mini-bond, attivabile anche in caso di cessione del titolo di credito, mentre altre misure di alleggerimento sono previste per la cosiddette legge Nuova Sabatini, con eliminazione del tetto dei 2 milioni di investimento e dei controlli preventivi, sostituiti da autodichiarazione.
Al netto delle tecnicalità, due cose balzano all’occhio: come finanziare le misure e perché questo dietrofront, che reintroduce ciò che è stato eliminato con la legge di bilancio 2019 per creare coperture assai parziali, da immolare a misure demenziali per concezione, come Quota 100 e la rendita di cittadinanza.
In pratica, si torna indietro di alcuni mesi ma con coperture aggiuntive da inventare. Si parla di eliminazione della riduzione Ires, che difficilmente sarebbe decollata, visto che per avere il taglio di aliquota da 24 a 15% si richiede che gli utili (che possono serenamente mancare, in questa fase congiunturale) siano reinvestiti in beni strumentali e nuove assunzioni a tempo indeterminato, ma in entrambi i casi superando i livelli preesistenti.
Una tipica misura che ti fornisce l’ombrello quando c’è il sole e nemmeno una nuvola in cielo, in pratica. E non ci si dovrebbe neppure illudere troppo: quando il cavallo non beve, cioè non investe, per elevata incertezza ed aspettative fortemente deteriorate a causa del contesto internazionale e -soprattutto- interno, queste misure tendono ad andare a vuoto.
Ma il cosiddetto piano Tria ha una soluzione anche per la paralisi degli appalti pubblici che pare l’uovo di Colombo, prevedendo la “sospensione sperimentale” a tutto il 2020 delle parti del codice degli appalti che non derivano direttamente dalle direttive Ue. Il che dovrebbe voler dire obblighi integrali di gara solo su appalti a partire da 5 milioni per lavori e 200 mila euro per servizi e forniture.
Fine dell’ampia citazione. Poi tra una ventina di giorni il governo dovrebbe presentare un Def (il Documento di economia e finanza) fasullo. Senza dati e senza numeri. Senza le linee programmatiche. Senza tenere conto che la previsione di crescita nel 2019 fissata nell’ultima manovra all’1 per cento è già fallita. È una chimera irraggiungibile. Il Def dovrebbe tenerne conto, almeno per correre ai ripari. E invece niente. Il motivo è semplice: il governo sarebbe costretto ad ammettere di aver sbagliato e di conseguenza imporre nuove tasse ( come l’aumento dell’Iva) o nuovi tagli per mettere una pezza a un bilancio che ormai fa acqua da tutte le parti. Una prospettiva, però, elettoralmente impossibile da sostenere, almeno fino al 26 maggio quando si voterà per le europee. Senza contare che un mese prima, il 26 aprile, Standard& Poor’s potrebbe declassare il nostro debito pubblico e provocare un possibile terremoto sui tassi di interesse e sullo spread.
Filca Cisl il 09 marzo  denunciava come fossero bloccati 600 cantieri per un ammontare di 36 miliardi e 350mila posti di lavoro fermi e a rischio. Hanno fermato tutto per disporre delle risorse per il reddito e pensioni  di cittadinanza e quota 100. Fermano silenziosamente le opere  sostenendo la necessità di una valutazione mentre in realtà – sapendo che le due manovre creeranno un deficit enorme- hanno fermato la spesa pubblica nelle opere cercando in qualche modo di superare il fatidico 26 maggio. Poi si vedrà: pensano Salvini e DiMaio.
Paradossalmente quindi le due minoranze messe meglio elettoralmente – che più o meno fanno il 35% sommando anche gli altri rimasugli- non hanno alcun interesse neppure loro a oggi a togliere le castagne dal fuoco alla maggioranza  e quindi navigano anch’esse finché il Paese non andrà a sbattere. Del resto gli elettori hanno sempre ragione e quindi…


IL CASO 1
TORINO LIONE
LA LUCE SPENTA NEL TUNNEL



La vicenda del Tav Torino-Lione potrebbe essere la trama di una gustosa farsa, se non fosse un episodio acuto del malaise italiano. Il contrasto tra Lega e M5S su quest'opera rischiava, già nel maggio 2018, di far naufragare il fatidico “contratto” su cui è nato il governo Conte.
Cosi, venne trovata un'espressione vaga (e un po' vacua) per nascondere il contrasto sotto il tappeto: “Con riguardo alla Linea ad Alta Velocità Torino-Lione, ci impegniamo a ridiscuterne integralmente il progetto nell'applicazione dell'accordo tra Italia e Francia”. Dopo le recenti acrobazie di Giuseppe Conte (lettera alla società Telt e risposta di quest'ultima, apparentemente concordata), siamo ancora lì: il governo scrive di voler ridiscutere integralmente il progetto con la Francia, naturalmente coinvolgendo la Commissione Europea, ma non vuol perdere i finanziamenti della Commissione stessa, legati alla pubblicazione entro il 31 marzo dei bandi di gara.
Deve essere chiarito una volta di più che il progetto del tunnel di base (la tratta “intemazionale”) è stato già rivisto quasi dieci anni fa e quello che si è scavato e si sta scavando esegue proprio quel progetto rivisto. Se Conte e i suoi ministri pensano a una revisione della tratta italiana, devono sapere che anche questa parte è stata rivista, con il risultato di ridurre i costi da una previsione iniziale di 4,4 miliardi a una di 1,9 miliardi dopo la project review. Si può risparmiare ancora? Mai dire mai, naturalmente. Ma vale la pena ricordare che con 1,9 miliardi si assicurerebbe una capacità uniforme alla linea da Torino all'imbocco del tunnel pari a quella dello stesso tunnel. Quindi una performance uniforme dell'intera tratta. Ragionevolmente, tagliando ulteriormente (cioè non facendo questo o quel pezzo) si ridurrebbe la capacità, riducendo l'efficienza potenziale dell'intera opera. Certo, si aspetta l'ufficializzazione della Project review della tratta francese, nata con un progetto largamente sovra-dimensionato. Ma, in un certo senso, questa ci riguarda fino a un certo punto, dal momento che quella tratta è e sarà a carico interamente della finanza pubblica francese. Dal punto di vista dell'efficienza dell'opera interessa solo che si facciano, anche dal lato francese, quegli interventi necessari a rendere uniforme la capacità della linea fino a Lione.
Il problema è che il “contratto” prima e il governo ora non sembrano interessati a ridiscutere seriamente l'opera sul piano tecnico, ma solo a tirare avanti il più a lungo possibile per far incassare ai 5S il (presunto) dividendo elettorale della riaffermata fede no-Tav del Movimento e della vittoria (altrettanto presunta) nel braccio di ferro con la Lega.
Inutile ripetere ancora quanto discusse (e scarsamente motivate) siano le previsioni di traffico poste alla base dell'analisi dei tecnici scelti dal Ministro, quanti siano i dubbi sollevati da molti esperti sulla metodologia usata e quanto trascurati siano stati dagli analisti gli effetti indiretti (o di “equilibrio generale”). I tecnici non hanno fornito una adeguata pluralità di strumenti di decisione e, quindi, molte vie d'uscita alla politica. Si sarebbe dovuto 1) chiarire il complesso dello scenario infrastrutturale in cui l'opera si colloca (corridoio 5 della rete TEN-T); 2) analizzare le alternative progettuali (cosa si fa e quanto costa all'Italia se non si realizza il Tav?); 3) mostrare come cambiano i risultati cambiando alcune ipotesi di base (durata della vita utile dell'opera, tasso di sconto con cui si attualizzano costi e benefici, opzioni distributive); 4) fornire anche un'analisi di cosa succede togliendo dal conto costi e benefici delle accise e dei pedaggi perduti, secondo le raccomandazioni delle Linee Guida Europee e italiane per l'analisi costi-benefici (economica, a differenza di quella finanziaria). Era stato fatto per il Terzo Valico, perché non farlo anche per il Tav?
La chiave di volta può averla in mano la Commissione Europea che - aumentando la sua quota di finanziamento del tunnel di base dal previsto 40% - potrebbe facilitare raccordo all'interno del governo italiano. Senza accordo, non resterebbe che votare in Parlamento una revisione del Trattato con la Francia e pagare tutto ciò che ci sarà da pagare. Senza
IL CASO 2
GENOVA, L’EFFETTO AMIANTO SUL PONTE
LA DEMOLIZIONE IN RITARDO DI UN ANNO



Anche la linea dell’orizzonte può essere un’illusione. Quella che ha sullo sfondo il ponte Morandi è ormai cambiata da quel maledetto 14 agosto. Proprio ieri è stato tirato giù un tratto rettilineo lungo 36 metri e pesante 916 tonnellate. C’è più cielo tra un moncone e l’altro, segno che i lavori di demolizione, propedeutici alla ricostruzione, sono cominciati, e avanzano. Era importante partire, e ancora più importante che si vedesse, ripete sempre Marco Bucci, il sindaco-commissario del governo per il nuovo viadotto.
Niente è mai come sembra. Nonostante gli annunci ottimistici e gli inni alla gioia della ricostruzione immediata, con consegna della nuova infrastruttura a fine 2019, massimo primavera del 2020, l’abbattimento dei resti di un gigante da cinquantamila metri cubi di calcestruzzo e cinquemila tonnellate di acciaio rimane un’impresa esposta al vento dell’imprevisto. L’esplosivo, panacea di ogni male per abbattere le pile superstiti, non si può usare. La prima doveva essere la numero 8, verso ponente, affacciata su capannoni abbandonati e alta 45 metri, ovvero il livello della carreggiata. Dopo sarebbe toccato alle pile 10 e 11, prossime all’uscita del casello di Genova Ovest verso i terminal del porto, che incombono sulle case destinate all’abbattimento, sulla zona rossa e su quella gialla. E per loro non esiste neppure un piano B senza la dinamite. Perché hanno entrambe gli stralli, e raggiungono i 90 metri di altezza. L’ipotesi più ottimistica in caso di smontaggio meccanico prevede uno slittamento dei lavori di almeno altri 8 mesi, ma qualcuno nella struttura commissariale sussurra che ci vorrebbe un anno, oltre a un’impennata dei costi che farebbero lievitare i 19 milioni di euro previsti dal piano approvato da Bucci.

L’autostrada
Era prevista solo una chiusura di alcuni giorni, potrebbero diventare settimane
Nel Ponte Morandi c’è l’amianto. E tutti lo hanno sempre saputo, perché nel 1962, quando iniziò la costruzione del viadotto sul Polcevera, quel materiale e il mortale polverino che sprigiona erano considerati una mano santa dell’edilizia italiana e mondiale. All’inizio dello scorso ottobre i Vigili del fuoco specializzati in crolli e interventi in ambiente urbano giunti da tutta Italia per sgomberare le macerie del ponte si videro recapitare un modulo con una domanda che aveva dell’incredibile. «Pensa di essere stato esposto anche in maniera occasionale durante le operazione di soccorso, a materiale contenente asbesto?». Eppure, come se nulla fosse. Il 6 marzo, conferenza stampa in Prefettura alla presenza delle aziende vincitrici dell’appalto e di tutti gli enti responsabili, compresi l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente e l’Asl, incaricate dei controlli, per l’annuncio della demolizione con esplosivo della pila 8, quella più «facile», come l’intero settore di ponente, prevista per la mattina del 9 marzo.

L’incognita
I costi rischiano di impennarsi facendo lievitare i 19 milioni di euro previsti all’inizio
«Cosa respirano i nostri figli?». I cartelli erano già apparsi all’inizio dei lavori. Un comitato dei cittadini presenta un esposto in procura. Nel carotaggio effettuato da Arpal e Asl, 6 campioni su 24 hanno dato valori fuori norma, confermando la presenza di amianto, seppure in quantità infinitesimali. Il problema diventa non solo edile, ma anche penale. Il primo a dirlo è lo stesso Bucci, commissario governativo, ma anche sindaco. La marcia trionfale suonata finora si smorza all’improvviso, non senza qualche imbarazzo. Dopo una settimana di passione, viene escluso l’utilizzo dell’esplosivo per la pila 8.

La tecnica di smontaggio meccanico, che dovrà contenere misure di «mitigazione del rischio» per la dispersione delle polveri, verrà adottata per tutti i piloni superstiti. Impossibile anche solo immaginare di far saltare in aria le pile 10 e 11, più vicine ai quartieri abitati e allo svincolo della A7, uno dei caselli più frequentati d’Italia. Se la pila 8 non presenta difficoltà insormontabili, e il ritardo nei lavori sarà solo di qualche settimana, sull’altro versante la differenza tra uso dell’esplosivo e demolizione fatta «a mano», ragiona un esponente della struttura commissariale, si calcola in semestri, con annessa chiusura per settimane dell’autostrada, che nell’ipotesi originaria era previsto solo per i giorni delle deflagrazioni. Da un lato la necessità di fare in fretta. Dall’altro la tutela della salute pubblica, alla quale si collegano eventuali responsabilità giudiziarie. Non se ne esce. Aggiornare i calendari. L’importante era cominciare, in pompa magna. Ma la demolizione di un ponte in una zona sovraffollata della città non poteva certo essere un pranzo di gala.

Marco Imarisio