APPALTI LIBERI FINO A CINQUE MILIONI?
Già migliaia di onestissimi cittadini italiani si stanno fregando le
mani davanti alla regola dentro la legge di stabilità 2019 che prevede
di alzare da 40mila a 150mila del tetto al di sotto del quale è ora
possibile stipulare contratti pubblici senza gara. Negli uffici
pubblici si sono stappate decine di bottiglie di spumante. Di quelle
regalate dai fornitori, beninteso.Adesso il governo giallo verde
intende innalzare per decreto la soglia della procedura negoziata
a 5 milioni. Questo almeno dicono le proposte che circolano in queste
ore, nelle quali peraltro sarebbe anche previsto il massiccio ricorso
ai commissari ad acta per sbloccare le opere incagliate. Dunque, se
abbiamo capito bene, il governo che nutre un pregiudizio ideologico
verso le opere pubbliche al punto da aver imposto a tappeto
cervellotiche analisi costi- benefici grazie a cui si paralizzano le
maggiori infrastrutture come la Torino- Lione, rendendosi però conto
che il prodotto interno lordo sta precipitando decide di consegnare
quasi tutti gli appalti alle procedure di emergenza.
Il PdC Conte aveva promesso un futuro pieno di ricchezza e meraviglie? Ecco scodellata la soluzione.
Non pochi osservatori indicano nell'attuale codice degli appalti il
principale responsabile della crisi dei lavori pubblici. Ma da questo a
sbracare del tutto, ce ne passa. E non parliamo soltanto della
decisione di sospendere l'efficacia del codice fino alla fine del
prossimo anno, com'è stato annunciato nella vana speranza di ridare
fiato al settore delle costruzioni che è tecnicamente in fallimento.
Fallimento le cui cause noi vediamo e leggiamo in maniera diversa.
Cancellando di fatto le gare normali, visto che il 95 per cento delle
opere pubbliche in Italia ha un importo a base d'asta inferiore ai 5
milioni. E ritornando, con la riesumazione dei commissariamenti,
all'epoca d'oro dell'Anas anni Ottanta o a quella ancor più sfavillante
della Protezione civile. Quando per evitare le fastidiose pastoie
burocratiche, anziché togliere la sabbia dagli ingranaggi, si preferiva
usare le scorciatoie delle procedure d'urgenza. Si è visto con quali
risultati.
Questo è il primo controsenso. Ma ce n'è anche un secondo ben più
rilevante. Perché il governo che ha sbandierato come un grande successo
morale l'approvazione della cosiddetta legge " spazzacorrotti", è lo
stesso governo che ora con il pretesto di rilanciare un'attività
economica boccheggiante vorrebbe consentire di aggirare il 95 per cento
delle normali gare d'appalto, incrementando di conseguenza i rischi di
corruzione.
Un segnale inquietante, del resto, già l'avevamo avuto nella legge di
Stabilità con l'aumento da 40 mila a 150 mila euro del tetto al di
sotto del quale è ora possibile stipulare contratti pubblici senza gara.
La scomparsa di almeno il 90% delle imprese di costruzione che abbiamo
avuto negli ultimi dieci anni deriva soprattutto dalla sovra offerta
sul mercato delle abitazioni e capannoni che oggi sono in massima parte
vuoti. Seguendo la logica per cui se tira l'edilizia va tutto il Paese
oggi siamo nella situazione per cui un 20-25% di popolazione non ha
accesso a una casa mentre esiste sul mercato – tra nuovo e vecchio- una
sovra offerta di entità superiore. Logica suggerirebbe che lo
stato consentisse agli enti locali di prendere in affitto gli
ambienti necessari ai suoi cittadini poveri e in quel modo gestisse una
certa parte del patrocinio eccedente sul mercato. Idea impossibile
vista l'evasione fiscale e tributaria che coinvolge il settore le
cui ramificazioni arrivano fin dentro i governi ai vari livelli.
Seguendo dal piccolo cono di osservazione che è il nostro comune ci
rendiamo invece conto che prima ancora del codice degli appalti,
occorre personale che abbia un'altra idea della legalità ed tutt'altra
capacità operativa. Quando davanti a una gara d'appalto da mille euro
al giorno che possono diventare anche 1200-1500 con gli appalti
aggiuntivi si presenta una sola impresa in gradi di coprire “tutto” il
contenuto della gara e le si affiancano altre di imprese che
coprirebbero solo in parte il contenuto dell'appalto, chi di dovere
dovrebbe fermare tutto e fare rifare sia il contratto che le
misure e le quantità perché è evidente che le imprese non si fidano del
contenuto stesso dell'appalto. Il difetto quindi sta nel manico, cioè
di come politica e funzionari allestiscono sia il progetto che il
contratto.
Poi c'è il problema del metro con cui sono calcolati gli appalti e/o
vengono misurate le opere eseguite perché quando senti degli impresari
asserire “non fidarti di quel progetto” e non vanno in gara, qualche
campanello di allarme da qualche parte dovrebbe squillare.
Il difetto quindi piuttosto che stare nel… manico finale della legge,
sta nel manico iniziale della politica che sceglie i progettisti
sulle bancarelle degli extracomunitari (per essere risparmiosi?).
Sta nell'onestà e professionalità dei progettisti che ormai hanno una quotazione dia affidabilità da parte delle imprese.
Sta nella lunghezza del metro utilizzato per misurare le quantità dei lavori fatti.
Sta nel fatto che la politica ha sempre delle radici ben piantate negli uffici comunali anche a distanza di decenni.
Sta nel fatto che nei giorni scorsi una sindaca laureata all'UNIbg ha
sfidato un modesto geometra alla redazione di un PEF (piano
economico finanziario) di un centro sportivo (che è come fare le
previsioni del tempo quando c'era Bernacca) dimenticando che da
mesi alligna nel paese la polemica sul parere sul TAV
niente-poco-di-meno-che redatto da un architetto del Politicenico di
Milano piuttosto che da un laureato in economia non alla Bocconi
ma all'UNIbg.
Passando poi al tema “grandi opere” vale a dire quelle 600-700 che sono
bloccate in Italia, appare evidente come gran parte delle stesse, oltre
ai difetti “strutturali del progetto e dei progettisti” che abbiamo
sollevato c'è che sono redatte da gente che non ha il più modesto senso
ne delle proporzioni ne del rispetto dell'ambiente. La combinazione di
questo con gli interessi delle immobiliare ne peggiora ulteriormente il
risultato. Vedi “l'andamento” planimetrico di certe strade e ferrovie
anche in terra bergamasca: l'autostrada Bergamo Treviglio che va ad
urbanizzare zone intonse scatenando adeguate bramosie. Basta vedere il
balzo dei prezzi dei terreno attorno alla Brebemi. Ovvio
che tutto questo scateni una reazione popolare dal momento che
fino ieri eravamo tutti mezzadri e analfabeti e manovali mentre oggi in
tema di lavori e forniture pubbliche ne abbiamo attraversato tanti o
pochi quasi tutti e quindi non ci sfuggono certi particolari e
sostanziali.
|
QUELVIZIETTO CHE NON PASSA MAI AI CRISTIANI
MAMMA LI TURCHI!
Bastardo bianco: ecco com'è quando i terroristi siamo noi, e le vittime sono loro
Perché i nostri Tarrant sono subito qualificati come “pazzi” e gli
stragisti dell'Isis, invece, sono sempre e solo degli spietati
terroristi? C'è un nesso tra tante idee che circolano in Rete, sui
giornali, nei libri, nei circoli intellettuali, e queste stragi?
Il foreign fighter? C'è. Il testo ideologico? C'è. Il panico da
invasione di cultura aliena? C'è. La strage nel luogo di culto? C'è.
Però non è l'Isis in Siria o in Iraq ma il commando guidato
dall'australiano Brenton Tarrant che, dopo aver diffuso in Rete un
lunghissimo manifesto intitolato “La grande sostituzione”, ha ammazzato
49 persone in due moschee di Christchurch, in Nuova Zelanda, adducendo
come motivazione la presunta invasione islamica dell'Occidente e la
necessità di difendere la razza bianca.
Tutto come l'Isis, insomma, solo al contrario.
Ad accrescere la similitudine c'è anche un altro fatto. Prima di
attaccare le moschee, il commando aveva piazzato nel centro della città
una serie di ordigni esplosivi che dovevano probabilmente colpire i
cortei di studenti in marcia per la difesa dell'ambiente. Anche l'Isis
si accanisce contro coloro che, pur essendo musulmani, i jihadisti
giudicano tiepidi o distratti da cause mondane o futili.
A questo punto c'è una domanda che dobbiamo affrontare.
Perché i nostri vari Tarrant sono subito qualificati come “pazzi” e gli
stragisti dell'Isis, invece, sono sempre e solo degli spietati
terroristi? Degli imprenditori della morte che sanno con precisione ciò
che fanno e perché lo fanno? I lucidi attuatori di una strategia
consapevole e precisa?
L'australiano Tarrant, origini modeste, professione personal trainer,
unica passione nota i viaggi che l'avevano portato in Europa e in Asia
e persino in Corea del Nord, ci aiuta ad affrontare il tema proprio
quando dice di richiamarsi alle azioni nefaste di Anders Breivik, il
norvegese che il 22 luglio del 2011, a Oslo e Utoya, uccise 77 persone.
Più o meno uguali le motivazioni: difesa dell'Europa dall'invasione
straniera e musulmana in particolare, necessità di sensibilizzare
l'opinione pubblica eccetera eccetera. Anche Breivik aveva preparato a
lungo la strage, anche lui aveva un memoriale da diffondere intitolato
“2083: una dichiarazione europea di indipendenza”. E fu dichiarato
pienamente capace d'intendere e volere dai periti chiamati a esaminarlo
all'esordio del processo.
L'Isis spara e ammazza ferocemente in nome dell'Is lam, anzi, in nome
di ciò che considera il vero Islam. Proprio come i vari Breivik e
Tarrant am mazzano in nome di ciò che, certo a torto, considerano l'es
senza della civiltà occidentale
Pochi ora lo ricordano ma nel 2011, al margine della strage norvegese,
scoppiarono forti polemiche nel momento in cui alcuni si accorsero che
le “idee” di Breivik erano mutuate, magari in modo distorto, da teorie
che circolavano liberamente da molto tempo e che nessuno si sognava di
considerare il supporto teorico di un potenziale massacro. Successe
anche in Italia, con relative minacce di querele da parte degli
intellettuali. Ovvio, chi scrive un libro o un articolo non può essere
ritenuto responsabile se un tizio, magari dall'altra parte dell'Europa,
ne prende un pezzo, lo capisce male, lo trasforma in un'ossessione
ideologica e si mette a sparare in giro.
Però, però… Quanta reale differenza c'è tra la visione dell'Eurabia
(ovvero, la teoria per cui il nostro continente sarà presto
islamizzato, a causa dei flussi migratori in arrivo dai Paesi islamici)
sposata da intellettuali e scrittori anche illustri e il panico di
Breivik per “la decostruzione della cultura norvegese a causa
dell'immigrazione in massa dei musulmani”?
E quanta differenza c'è, tornando al massacro in Nuova Zelanda, tra le
“idee” di Tarrant sugli immigrati e quelle di Candace Owens, la famosa
attivista e blogger di ultra-destra che piace a Donald Trump, citata
nel manifesto dello stragista australiano e ora ovviamente (e anche per
lei: giustamente) impegnata a distanziarsi da questi ultimi, orribili
eventi?
C'è un nesso tra tante idee che circolano in Rete, sui giornali, nei
libri, nei circoli intellettuali, e queste stragi? E se c'è, come
funziona? Sono domande che dobbiamo assolutamente farci, per non
ritrovarci nella scomoda posizione di tanti, tantissimi musulmani
pacifici e perbene. Quelli che ci ripetono ogni giorno che l'Isis (che
prendiamo a esempio giusto per capirci) non rappresenta l'Islam, che i
veri valori dell'Islam sono ben diversi. Ma con questo non riescono a
cancellare né a spiegare un semplice un fatto: che l'Isis comunque
spara e ammazza ferocemente in nome dell'Islam, anzi, in nome di ciò
che considera il vero Islam. Proprio come i vari Breivik e Tarrant
ammazzano in nome di ciò che, certo a torto, considerano l'essenza
della civiltà occidentale.
Nella drammatica realtà quotidiana permane, com'è ovvio, una grande differenza.
Il terrorismo di stampo islamista ha dimensioni infinitamente maggiori
del suprematismo bianco o occidentalista. I Tarrant e i Breivik non
hanno alle spalle Stati pronti a finanziare loro ed eventuali loro
compagni, mentre Al Baghdadi e soci ricevono aiuti cospicui da nazioni
ricchissime come Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Qatar. Però
questo è oggi, quando i musulmani in Europa sono solo il 5% della
popolazione.
Che cosa potrebbe succedere se in Europa i musulmani fossero, per dire,
il 20% della popolazione? Pensiamoci. Considerato il calo della
popolazione europea e il rapido incremento di quelle del Medio Oriente
e dell'Africa, potrebbe succedere prima di quanto pensiamo.
Fulvio Scaglione
Classe 1957, ha lavorato per molti anni a Famiglia Cristiana, dove è
stato anche vice-direttore dal 2000 al 2016. Ha scritto diversi libri,
sul Medio Oriente e sulla Russia. Ora collabora con diverse testate
cartacee e online.
|