IL GOVERNO NON CADE PERCHE' NESSUNO LO VUOLE FARE
Ci fosse un presidente della repubblica meno imbalsamato dopo queste
elezioni manderebbe il Paese alla elezioni nazionali (semmai
volesse e potesse) ma l'Italia andrà avanti con l'attuale caos che è il
governo SalviMaio perché nessuno vuole nuove elezioni. Una futura
maggioranza di centrodestra dovrebbe imporre una radicale manovra
economica spennando 20-40 miliardi agli italiani e mica sono così fessi
da prendersi questa responsabilità. Una futura maggioranza PD-5S (da
molti piddini ancora sperata…) sarebbe nella stessa
condizione.
Adesso il SalviMaio cuocerà a fuoco lento perché ne PD ne
centrodestra unito alla Lega intendono togliergli le castagne dal
fuoco. Oddio: magari nel PD c'è qualche matto che ci proverebbe.
Gli italiani, che quando vanno a votare hanno sempre ragione (lo dicono
i giornaloni e i veri giornalisti), pagheranno di tasca propria quei
200-300 miliardi che è costato questo governo ed allegramente si
prepareranno alla prossima sbandata. Importante avere sempre ragione.
Questo governo è cotto. Come abbiamo scritto se la maggioranza attuale
regge la situazione è li da vedere. Se tutto va bene primi
mensili del RdC-PdC forse saranno pagati il primo settembre di
quest'anno e fino allora il discreto numero di “italiani poveri” dovrà
accontentarsi del REI (chi ce l'ha) di renziana-gentiloniana
memoria. Quindi otto mesi di REI e forse quattro mesi di RdC.
Salteranno completamente i numeri dati da Salvini (su quota
cento) dove forse i 500 mila percettori potenziali
all'origine saranno realmente 100 mila a fine anno
2019. Saltano anche i numeri dati da DiMaio (1,4 milioni di
nuclei familiari e 5 milioni di individui) perché bene che vada dal
1,159 milioni di percipienti il REI (fine 2018) con una media di 289
euro sarà quasi impossibile arrivare al milione e mezzo di
percipienti mentre sicuro che la media di euro percepiti –dati
per 498 euro pro capite- potrebbe essere anche minore dell'attuale. Per
adesso c'è la certezza che anche a gennaio-febbraio il PiL sarà
negativo e che a fine anno se tutto andrà bene sarà dello zero o
meno due.
Quindi tutto rimandato. Nel 2019 dovranno essere rinnovati i
parlamentini di Emilia Romagna, Calabria, Abruzzo, Sardegna, Basilicata
e Piemonte. Per le prime due regioni le urne dovrebbero aprirsi non
prima dell'autunno; a febbraio, rispettivamente il 24 e il 10, saranno
chiamati a dare il loro responso gli elettori di Sardegna e Abruzzi. I
votanti di Basilicata e Piemonte dovrebbero compilare la scheda
regionale con quella per le Europee il prossimo 26 maggio.
Non le sole regionali. I bagni di democrazia cominceranno con le
elezioni comunali che si terranno tra il 15 aprile e il 15 giugno. Per
quel che è dato sapere, ad andare al voto saranno 3.837 comuni, ma
l'elenco è da considerare provvisorio: potrebbero aggiungersi i comuni
i cui consigli verranno sciolti con DPR entro il prossimo 24 febbraio.
La tornata riguarderà 26 capoluoghi di provincia (con più di 100 mila
abitanti): Bari, Bergamo, Ferrara, Firenze, Foggia, Forlì, Livorno,
Modena, Perugia, Pescara, Prato, Reggio Emilia e Sassari); 5 sono
capoluogo di regione (Bari, Campobasso, Firenze, Perugia, Potenza). Il
DPR però non è ancora uscito e quindi presumibilmente saranno tutti
accorpati alle europee ed è probabile che il governo sotto la spinta
del fallimento pentastellato scelga di unificare quanto più
possibile le date. In fondo questo è conveniente anche per il ministro
dell'interno leghista.
Ci saranno anche la ristrutturazione del movimento 5S che in mano a un
DIMaio riuscirà perfettamente al contrario dell'atteso e l'elezione del
segretario del PD, partito che per adesso non si vede proprio rinascere
soprattutto perché le facce in gioco sono sempre quelle. Magari se a
qualcuno li dentro (nelPD) venisse l'ideuzza di impegnarsi a
ridurre a fisiologica l'evasione fiscale in cinque anni e ristrutturare
il REI fino a coprire del tutto la povertà assieme ad un programma di
investimenti pubblici di almeno 50 miliardi l'anno forse ci sarebbe
qualche speranza. Ma c'è poco da sperare.
Insomma aspettare
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ALEMANNO BERLUSCONI FORMIGONI UNITI NELLA LOTTA
I destini incrociati di Formigoni e Alemanno, i veri simboli del fallimento della Seconda Repubblica
I due politici simbolo della Seconda Repubblica, considerati gli eredi
del centrodestra nell’apice del berlusconismo sono stati condannati
entrambi per corruzione nel giro di tre giorni. Ci ricordano perché
oltre ai congiuntivi sbagliati e l’impreparazione diffusa il M5S piace
ancora a molti
Fuori due. Nel giro di tre giorni due politici simbolo della Seconda
Repubblica, considerati gli eredi delle due anime del centrodestra
nell’apice del berlusconismo sono stati condannati per corruzione. E ci
siamo ricordati perché oltre ai congiuntivi sbagliati, l’impreparazione
diffusa e gli errori fatti, il Movimento Cinque Stelle ha vinto le
elezioni e (Sardegna a parte) piace ancora a molti italiani. Prima
Roberto Formigoni condannato in Cassazione a 5 anni e 10 mesi per
corruzione quando era presidente della Lombardia. Ieri è toccato a
Gianni Alemanno, ex sindaco di Roma dal 2009 al 2013 condannato in
primo grado a sei anni (un anno in più rispetto alla richiesta della
Procura) per corruzione e finanziamento illecito nell’inchiesta Terra
di Mezzo, uno dei filoni principali del processo Mafia Capitale. E dire
che i due, ora alle stalle, quando erano alle stelle, nel 2011
rappresentavano le due anime del futuro del centrodestra: quella
liberale ed ex missina.
Voglio lasciare tutto il mio partito Roberto Formigoni, che mi ricorda
me. È stato condannato? Eh vede che mi ricorda me ha scherzato Maurizio
Crozza nei panni di Silvio Berlusconi qualche giorno fa. E in effetti
il “Celeste” a capo della Regione Lombardia dal 1995 si stava
costruendo a fatica la figura di delfino di Berlusconi, sperando che
l’età o le inchieste giudiziarie che debilitavano il Cavaliere
avrebbero creato lo spazio per una sua leadership nazionale. Si
sbagliava. Formigoni rappresentava l’alternativa perfetta: incensurato,
cattolico (e casto, per scelta), alla guida per due decenni della
regione più produttiva d’Italia, simbolo dell’eccezionalità lombarda
che puntava in alto e non solo per il Pirellone, il grattacielo fatto
costruire per ospitare la Giunta regionale. Ma soprattutto a renderlo
credibile per una successione (tramata ma irrealizzabile) era il
modello politico e gestionale basato sulla galassia delle cooperative
legato a Comunione e Liberazione che aveva come fiore all’occhiello la
Sanità. Al tempo a far alzare qualche sopracciglio erano solo le sue
camicie hawaiane e qualche video discutibile di promozione della sua
leadership. Poi arrivò il processo e l’accusa di aver dirottato
illecitamente fondi pubblici per finanziare l’ospedale Maugeri di Pavia
per 70 milioni in cambio di vacanze gratis e l’uso personale di uno
yacht. Travolto dallo scandalo e costretto a lasciare la Regione
Lombardia pochi si ricordano dei suoi anni da senatore del Nuovo
Centrodestra. Scelse il cavallo sbagliato, Angelino Alfano, e i sogni
di arrivare a essere il capo del centrodestra sono per sempre svaniti.
Che scontino la pena in carcere o vincano in appello nulla cambia.
Formigoni e Alemanno sono già stati condannati dall’opinione pubblica.
Negli occhi degli italiani rimarrà sempre l’immagine del Celeste che si
tuffa dallo yacht turandosi il naso o quella dell'ex sindaco che
abbraccia imbarazzato Buzzi.
C'è una foto che meglio di qualunque altra immagine offre la sensazione
plastica di quel micidiale cortocircuito. È stata scattata nel 2010 a
una cena alla quale l'allora sindaco Alemanno partecipava con Salvatore
Buzzi, l'ex capogruppo del Pd in consiglio comunale Umberto Marroni e
suo padre Angiolo ( allora garante dei detenuti), il capo dell'Ama e
segretario della fondazione di Alemanno, Franco Panzironi, il futuro
ministro Giuliano Poletti e il futuro assessore della giunta Marino,
Daniele Ozzimo.
Seduto a un altro tavolo si poteva scorgere la sagoma robusta di
Luciano Casamonica, nipote di quel Vittorio sepolto con musica del
Padrino e lancio di petali dall'elicottero. E a fine pasto, ecco
l'istantanea che ritrae Casamonica “ Lucky Luciano” ( così « ama farsi
chiamare » , ha spiegato Arianna Giunti sull'Espresso) con Alemanno
alla sua sinistra e Buzzi alla sua destra. Di quelle foto, in realtà,
ce ne sono molte altre: una di queste ritrae sorridenti l'ex sindaco e
“Lucky Luciano” che mostra all'obbiettivo un cartello con la scritta:
“Non è politica, è Casamonica”.
Tra le amicizie politiche del Celeste c’era anche Gianni Alemanno, da
sempre vicino alla galassia della compagnia delle Opere di Formigoni.
Nel 2011 l’allora sindaco di Roma era anche l’amico e delfino di
Gianfranco Fini con cui aveva condiviso il passaggio da Movimento
Sociale Italiano ad Alleanza Nazionale. A differenza di Fini (che ci
aveva provato nel 1993) era diventato sindaco della Capitale
sconfiggendo lo stesso avversario, in epoche diverse: Francesco
Rutelli. Ma dopo alcune gaffe mediatiche, la gestione non eccezionale
dell’emergenza neve a Roma la sua carriera si è interrotta con
l’inchiesta di Mafia Capitale. La condanna di Alemanno è la massima
pena prevista per il reato di corruzione: 5 anni e mezzo più sei mesi
per finanziamento illecito. Secondo i giudici l’ex sindaco di Roma
avrebbe ricevuto illegalmente tra il 2012 e il 2014 tangenti daL
"rosso" Salvatore Buzzi, dominus delle cooperative rosse e il "nero"
Massimo Carminati, ex combattente dei Nar (nuclei armati
rivoluzionari): 228 mila euro attraverso la sua fondazione Nuova Italia
e 70 mila euro in contanti.
Chiariamo una cosa: Formigoni e Alemanno hanno molte cose in comune ma
Formigoni è entrato nel carcere di Bollate per scontare la pena
stabilita dalla Cassazione mentre Alemanno ha dichiarato di voler
ricorrere in appello ed è ancora presunto innocente (anche perché è
stato prosciolto dall’accusa di associazione mafiosa). Ma una cosa li
accomuna: che scontino la pena in carcere o vincano in appello nulla
cambia. Formigoni e Alemanno sono già stati condannati dall’opinione
pubblica. Negli occhi degli italiani rimarrà sempre l’immagine del
Celeste i che si tuffa dallo yacht turandosi il naso o la foto dell'ex
sindaco di Roma che abbraccia imbarazzato Buzzi a una cena. E
nell’Italia gialloverde che si autoproclama "Terza Repubblica" sono il
simbolo della Casta. Ogni notizia su di loro fa ricordare perché il M5S
è riuscito a intercettare una fetta del Paese che da Tangentopoli in
poi rivendica il carcere per i politici corrotti e gode nel veder
privata la libertà. Non a caso l’effetto più mediatico della vicenda
Formigoni è l’entrata al carcere di Bollate dovuto proprio allo
spazzacorrotti. La norma approvata pochi mesi fa dal governo Conte
esclude gli arresti domiciliari per i condannati di reati contro la
pubblica amministrazione. Compreso il 71enne Formigoni.
La verità è che i 5 stelle non potevano chiedere di meglio. Dopo il
flop delle elezioni regionali in Sardegna e il voto discusso nella
piattaforma Rousseau sul caso Diciotti serviva un po' di ossigeno
mediatico. Le condanne di Formigoni e Alemanno sono arrivate al momento
giusto non solo perché i due ricordano una stagione politica che sembra
già era geologica, ma sono il simbolo di quella mala gestione dei
politici preparati, con esperienza ma disonesti (secondo i giudici) su
cui Luigi Di Maio ha costruito una retorica vincente.
Tiziana Fabi
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PELIZZOLI E PIGA UNITI NELLA LOTTA (PER ILPD)
“A Nusquamia c'è gente che non ha avuto paura di mettersi contro il
Pedretti, quand'era potentissimo, prima che fosse abbandonato da tutti,
figuriamoci se abbiamo paura adesso del randello asseverativo del
gatto” Ricordiamo al custode delLa Latrina di Nusquamia come il suo
opporsi al Pedretti, non sia stato ne coraggio politico ne culturale ma
solo incazzatura per una convenienza economica perduta. Il custode
delLa Latrina di Nusquamia, ing. Claudio Piga, immaginava che il suo
amico sindaco, assegnandoli la fattura del notiziario comunale, gli
garantisse un sostanzioso mensile per un quinquennio. La tetta s'è
occlusa quando, davanti a una mozione di sfiducia della minoranza
che sarebbe stata votata anche da parecchi della maggioranza, Lega e FI
provinciali dissero in faccia al sindaco Gandolfi: o butti
fuori il Piga oppure sbattono fuori te e il Piga ma noi non vogliamo
perdere il comune. Piga venne licenziato. Le spiace l’aggettivo? Messo
alla porta. Gandolfi, per salvare il proprio mensile scelse di
farlo perdere all'amico. Gran bel coraggio. Un coraggio bottegaio.
2 . Però — non mi stancherò di dirlo — fra due mali, o anche fra più
mali, occorre scegliere il male minore. Perciò votai per il Pd,
ultimamente. (…) Così, fermo restando nella mia propensione per il
socialismo scientifico, nonostante il disgusto per l'aziendalismo e le
strafottute slàid (…), ho ritenuto opportuno votare per il Pd, contro i
mali peggiori rappresentati dall'esoterismo di Caseleggio,
dall'improvvisazione di Toninelli, dall'avventurismo di Salvini, dalle
balle spaziali di Claudio «Aquilini» Borghi. Ricordo ancora, tornando
alle primarie, la viva soddisfazione con cui votai contro Prodi, altro
bell'esempio di fariseo, che fa il paio con quel suo concittadino, Enzo
Biagi. Votai allora, se ben ricordo, per Bertinotti, il quale nel
frattempo — ahinoi — mi pare che abbia fatto una brutta fine, nelle
braccia di CI (…). (…) Ma trovo improvvide e poco signorili certe
frecciatine di Zingaretti a Renzi, adesso che Renzi è un'anatra zoppa.
(…) Però l'indicazione marxiana di votare per il male minore è pur
sempre valida.
Quindi Domenica tre marzo vedremo il custode delLa Latrina di
Nusquamia votare per Zingarettti assieme al mitico Sighesù curnese,
quello che secondo il custode delLa Latrina ha gettato la bandiera del
socialismo nel fosso. Il vento ha fatto il suo giro.
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REGIONALI SARDE: DEM BATTUTI MA CONTENTI (!)
Non c'è quel testa a testa immaginato dagli exit polls, che ieri sera
hanno regalato una notte di speranza ai dirigenti del Pd, come non
succedeva ormai da tanto tempo. E comunque i numeri che lentamente
affluiscono dall'altra sponda del Tirreno rappresentano la conferma che
esiste un embrione di centrosinistra e che su questo progetto si può
lavorare per tornare a essere competitivi. Progetto che poi – e forse
non è un caso – coincide con quello immaginato da Nicola Zingaretti,
quel modello inclusivo, aperto a esperienze civiche, che torna a
guardare a sinistra e che punta senza mezzi termini a riconquistare gli
elettori delusi dal (si spera) temporaneo innamoramento per i
Cinquestelle. Massimo Zedda ne è stato un interprete perfetto e tutti
nel Pd gliene danno atto.
Rispetto a quanto successo in Abruzzo, poi, c'è una novità non di poco
conto. In Sardegna, il Partito democratico nei parziali risulta essere
il primo partito, per il contemporaneo tonfo del M5S e la
redistribuzione di voti nel centrodestra, che ha fatto scendere Fi a
vantaggio della Lega di Salvini, che comunque non fa il botto tanto
atteso. Se il centrosinistra, allargato a Leu, guadagna circa 10 punti
rispetto alle politiche dello scorso anno, il Pd resta sugli stessi
numeri, senza considerare le liste civiche alleate, infarcite di
candidati dem a tutti gli effetti. Insomma, non è detto che una
coalizione allargata finisca necessariamente con il penalizzare il
risultato di lista del partito "aggregatore", anzi può funzionare da
moltiplicatore. Soprattutto, se a trainare c'è un candidato forte e
innovativo, rispetto alla stagione precedente. È la tesi che Zingaretti
sostiene con più forza, che affonda le radici nelle regionali da lui
vinte nel Lazio lo scorso anno, in controtendenza rispetto alla
contemporanea catastrofe del suo partito alle politiche.
Non stupisce quindi che dalle parti del candidato favorito per le
primarie di domenica prossima trapeli un certo ottimismo per il futuro.
E si ritiene già una vittoria il fatto stesso di aver "convertito" alla
necessità di alleanze larghe una buona parte degli ex sostenitori della
vocazione maggioritaria a tutti i costi. Se non il turborenziano
Giachetti, quanto meno Martina (che di Renzi fu il vicesegretario)
ormai ne parla apertamente.
Poco importa che il candidato alla presidenza in Sardegna non fosse del
Pd, che quello abruzzese abbia fatto di tutto per mostrarsi autonomo e
che in Basilicata si sia dovuto pescare un professionista sconosciuto
alla politica, per ricompattare la coalizione in vista delle regionali
del 24 marzo. Così come lasciano il tempo che trovano le polemiche sui
big tenuti lontani in campagna elettorale. "Ancora non c'è un
segretario in carica – ripete Zingaretti ai suoi – quando ci sarà,
potremo lavorare meglio ai confini, le caratteristiche e i candidati
della coalizione". Per il momento, i segnali importanti sono il ritorno
di fatto a un bipolarismo destra-sinistra e la ricostituzione di un
blocco di forze, che segna la fine definitiva di quello che il
Governatore del Lazio chiama il "partito borioso" della stagione
renziana. "Sinistra e destra esistono ancora", ha twittato Andrea
Orlando, tra i principali sostenitori di Zingaretti: "Dobbiamo saper
far vivere la sinistra in questo tempo nuovo, l'indignazione per le
ingiustizie e la speranza per cambiare". E gli fa eco il cinguettio del
leader di Mdp, Roberto Speranza: "C'è ancora tanto terreno da
recuperare e tanta fiducia da riconquistare. Ma anche dalla Sardegna
arriva un segnale incoraggiante di ripartenza. È sempre più urgente
offrire un'alternativa credibile agli italiani".
Chi conosce meglio il territorio sardo fa notare come il centrosinistra
abbia subito una pesante frenata in una roccaforte storica come
Sassari. Mentre a Cagliari, città di cui è ancora sindaco, Zedda stacca
solo di poco l'avversario Solinas. Ma sono dati che, visti in
controluce, dimostrano come le preferenze per la coalizione siano state
raccolte anche nei piccoli centri, che erano stati facile terreno di
conquista per i Cinquestelle alle ultime politiche. È un ulteriore
segnale della fluidità dell'elettorato e di come il centrosinistra
possa tornare a essere in breve tempo un'alternativa credibile.
Certo, le elezioni europee sono dietro l'angolo, il vento di destra
soffia ancora impetuoso ed è troppo presto per dare per spacciati i
Cinquestelle. Ma adesso, almeno, c'è una strada da percorrere.
Rudy Francesco Calvo
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