APPUNTI DEL LUNEDI
Intanto da domani si dovrebbe tornare alla normalità,
ma mica tanto. A trasformare gli amanti delle canzonette in feroci
antagonisti politici, è stata una giornalista ai suoi tempi craxiana
ora leghista e quindi prossima conduttrice di un approfondimento
politico serale su Rai1: trattandosi di Maria Giovanna Maglie già se ne
poteva immaginare la contorta faziosità, le parole a caso: « Vincitore
molto annunciato, frasetta in arabo, si chiama Maometto, ( in realtà di
nome Alessandro), il meticciato è assicurato, la canzone importa poco…
» . Suprema eleganza, essendo lei giornalista, non attacca la giuria
dei giornalisti ma quella d'onore: «Avete guardato la loro faccia?» E
la sua, signora?
Magari una parte delle canzoni del 69° festival scomparirà in un
baleno, ma dato che non si sa di che parlare per non sfiorare cose di
cultura e contribuire all'incazzamento costante della Maglie e del
popolo, già si immaginano talk show su vari temi inutili mentre non si
sa che fine farà il paese: Sanremo è stato politico o no? Può un
festival di canzoni introdurre la politica? Chi si ricorda i tempi
d'oro quando anche nelle osterie i cartelli minacciavano «qui non si fa
politica»? È comunista far cantare a un festival un italiano con madre
sarda ma padre nato in Egitto? Si possono accettare in una canzone
italiana ma anche straniera, ammesso che l'autarchia televisiva la
consenta, parole come narghilè e Ramadan, e già che ci siamo in altra
canzone non premiata, Rolls Royce da sostituire con Fiat-Chrysler?
(...)
Ecco perché questo festival che appariva innocuo, segna l'inizio di una
nuova fase pericolosa: inizia la paura di dire quel che si pensa anche
su cose qualsiasi, l'attacco ai giornalisti persino della canzone è una
minaccia di bavaglio generale. Dal palcoscenico, dallo schermo, nel
casino delle scenografie si percepiva l'inquietudine di tutti col
pensiero di sbagliare, non si sa su cosa; di essere puniti, di
scomparire. Finita la pacchia? E poi quasi tutti a fare dichiarazioni
tentennanti, allegrissime, triste sentirle. Natalia Aspesi
Intanto, la produzione industriale è calata in un anno del 5,5%, il peggior dato dal 2012. Che sta succedendo?
«Che il rallentamento dell'economia globale e in particolare della
Germania comporta un rallentamento della nostra economia. Siamo un
Paese che esporta beni e servizi per 550 miliardi, di cui 450 dalla
manifattura. I Paesi al mondo verso cui esportiamo sono nell'ordine: la
Germania, che prende il 12% del totale, la Francia, col 10% e gli Stati
Uniti, col 9%. Il governo farebbe bene a prendere atto dei dati e della
realtà. Mi riferisco, è evidente, anche alle tensioni con la Francia:
vanno assolutamente evitati incidenti con un Paese al quale ci legano
profondi interessi: siamo fondatori dell'Europa e grandi partner
commerciali».
Come vanno i rapporti col governo?
«C'è un'altra domanda?», sorride Boccia
La riformulo così: ci sono rapporti col governo?
«Diciamo così: abbiamo difficoltà a capirci. Per esempio: noi da tempo
diciamo che ci vorrebbe una manovra compensativa, perché ci rendiamo
conto che, con l'arrivo della recessione, non si può fare una manovra
aggiuntiva che aumenti il deficit e il debito. Allora, in uno spirito
costruttivo, diciamo al governo: guarda che solo per parlare delle
opere sopra 100 milioni di euro, ci sono 26 miliardi già stanziati con
i quali si potrebbero aprire i cantieri e far crescere il Pil di un
punto in tre anni. Se ci mettiamo anche i lavori sotto i 100 milioni e
un uso intelligente dei fondi di coesione europea, potremmo fare molto
di più. Facendo questo e sbloccando Tav e trivelle, si avrebbero 450
mila posti di lavoro aggiuntivi. Ma il governo non ci risponde nel
merito mentre si scatenano gli squadristi della rete».
Squadristi della rete?
«Sì, lo ripetiamo, squadristi della rete. C'è un brutto clima. Facciamo
un altro esempio. Noi non critichiamo il reddito di cittadinanza perché
siamo contrari ad aiutare i poveri, ma facciamo delle osservazioni di
merito. Diciamo che non è con i navigator, a loro volta precari, che si
creano i posti di lavoro, ma con lo sviluppo. E diciamo pure che 780
euro al mese di reddito in molti casi scoraggiano le persone dal
cercare lavoro. Allora ci attaccano e ci insultano, dicendo che i
salari sono troppo bassi. Ma lo sanno che sul netto che va al
lavoratore si aggiunge il 120% di tasse e contributi? Insomma, serve un
confronto vero, nel merito delle questioni, non a colpi di tweet. Il
governo, invece di etichettare come buoni quelli che gli danno ragione
e cattivi quelli che lo criticano, dovrebbe per esempio chiedersi
perché i sindacati scendono in piazza e con loro anche gli imprenditori
preoccupati per il blocco dei cantieri».
(...)
Intervista del Corriere a Vincenzo Boccia/Confindustria
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REDDITO E STIPENDI, PER GLI UNDER 24
BUSTE PAGA POCO SOPRA I 780 EURO.
IL 12,4% DEI GIOVANI CHE LAVORANO A RISCHIO POVERTÀ
I giovani dipendenti oscillano intorno alla soglia di indigenza e i
"somministrati" under 29, stando ai dati Inps, non arrivano a portare a
casa 8mila euro in un anno. Così i consumi di queste fasce di età sono
molto sotto la media italiana, cosa che contribuisce al ristagno
dell'economia. In Francia e Germania redditi netti più alti anche se il
cuneo fiscale è simile
Reddito di cittadinanza troppo alto o piuttosto stipendi troppo bassi?
La frenata del pil italiano è legata a doppio filo a una domanda
interna stagnante anche per colpa dei bassi salari. Ma per riportare
alla ribalta il tema ci è voluto il dibattito scatenato dalle
osservazioni di Confindustria e in seconda battuta Fondo monetario
internazionale e Inps sulla misura simbolo del Movimento 5 Stelle. “I
780 euro mensili che percepirebbe un single potrebbero scoraggiarlo dal
cercare un impiego, considerando che in Italia lo stipendio mediano dei
giovani under 30, al primo impiego, si attesta sugli 830 euro netti al
mese“, ha osservato il direttore dell’area Lavoro di viale
dell’Astronomia. Il nodo in effetti è proprio quello: buste paga che
oscillano intorno alla soglia della povertà assoluta non possono che
riflettersi in consumi ridotti al lumicino (non sono mai tornati ai
livelli pre crisi), in un circolo vizioso che contribuisce ai bassi
livelli di crescita dell’economia italiana rispetto ai partner europei.
Colpa del cuneo fiscale? Se è vero che quasi il 50% dello stipendio
lordo finisce in tasse e contributi, in Francia il cuneo è molto simile
e in Germania superiore, ma i redditi netti sono più alti.
Lavoro stagionale, part time e somministrazione affossano i redditi –
Per capire le dimensioni del problema aiutano le statistiche sulle
retribuzioni raccolte dall’Inps. Stando all’ultimo osservatorio
dell’istituto previdenziale, se nel 2017 il lavoratore dipendente medio
ha guadagnato 21.535 euro, lo stipendio dei giovani tra i 20 e i 24
anni (una platea di oltre 1,1 milioni di persone) si è invece fermato
in media a 9.439 euro annui: 786 euro al mese. Un livello inferiore
alla soglia di povertà assoluta calcolata dall’Istat per le aree
metropolitane del Nord e del Centro Italia. La cifra sale a 14.378 euro
annui (1.198 al mese) per i giovani tra i 25 e i 29 anni, che sono 1,6
milioni secondo la banca dati Inps. Nel complesso i dipendenti under 29
non arrivano a portare a casa 1000 euro al mese. A far calare i valori
medi è in particolare la forte incidenza del lavoro stagionale, part
time e a termine: gli under 24 lavorano in media solo 169 giorni l’anno
e la fascia di età successiva non arriva a 220 giorni, contro una media
generale di 243 giorni.
Ancora più leggere le buste paga dei somministrati, cioè gli ex
lavoratori interinali, assunti da un’agenzia per il lavoro che poi li
“affitta” alle imprese per periodi più o meno lunghi. Quelli sotto i 29
anni, mostrano i dati Inps, nel 2017 sono stati più di 300mila. I
20-24enni con questo tipo di contratto (oltre 150mila) hanno guadagnato
una media di poco più di 7mila euro: 585 al mese, anche se i giorni
lavorati sono stati mediamente solo 99. Per i fratelli maggiori under
29 (più di 148mila) la retribuzione media annua è stata di 8.695 euro,
con 118 giornate lavorate. In media, i somministrati tra i 20 e i 30
hanno guadagnato in media 7.895 euro l’anno vale a dire 654 euro netti
al mese. Avere una laurea aiuta nel lungo termine, ma le retribuzioni
di ingresso restano molto basse: a un anno dalla fine dell’università,
stando all’ultima indagine Almalaurea, lo stipendio netto è poco sopra
i 1.100 euro, lontano dal livello raggiunto prima della crisi (nel 2007
la busta paga dei giovani laureati era mediamente di 1.300 euro).
Consumi sotto l’80% di quelli degli over 35 – Livelli di reddito così
bassi si traducono in consumi ridotti all’osso, come confermano i dati
Istat sulla spesa delle famiglie nel 2017. I single under 34 hanno
speso in media 1.601 euro al mese, il 78% degli oltre 2mila destinati
ai consumi dalle persone sole di età compresa tra i 35 e i 64 anni e i
1.663 degli over 65. E anche le coppie senza figli in quella fascia di
età hanno avuto in media uscite poco superiori ai 2.600 eurocontro gli
oltre 2.900 delle coppie più adulte.
Cinquemila euro in meno rispetto a coetanei francesi e tedeschi – Le
statistiche europee su reddito e condizioni di vita danno la misura del
divario rispetto agli altri grandi Stati Ue. Stando alla banca dati di
Eurostat il reddito netto medio degli under 24 italiani da qualsiasi
fonte (lavoro dipendente e autonomo più eventuali altri introiti) è
stato nel 2017 inferiore ai 17mila euro contro i 21.718 dei coetanei
francesi, i 22.125 dei giovani tedeschi e una media a livello Eurozona
di 19mila euro.
Il 12,4% degli under 29 che lavorano è a rischio povertà – Il costo
della vita ovviamente varia da Paese a Paese, per cui aiuta guardare
anche la quota di giovani a rischio povertà nonostante lavorino: tra
gli under 24 è del 12,3%, contro il 10,6% della Francia. Per i giovani
tedeschi il rischio povertà è più alto, al 12,6%, ma la particolarità
italiana è che il rischio povertà non diminuisce se si prende in
considerazione la platea più ampia degli under 29: il 12,4% di quelli
che lavorano è sull’orlo dell’indigenza, contro il 7,8% in Francia,
l’11,3% in Germania e il 10,6% medio dell’Eurozona. Nell’area euro
valori più alti si registrano solo in Grecia e Spagna.
Il cuneo? Più in Germania – Alla radice del problema, secondo la
maggior parte degli analisti, c’è la produttività stagnante: a partire
dal 1995 il valore aggiunto per ora lavorata è cresciuto in media solo
dello 0,4% l’anno (nel 2016 è addirittura calato) contro il +1,5% annuo
della Germania e il +1,4% della Francia. Risultato, a sua volta, della
somma di tanti fattori: inefficienze del sistema economico nel suo
complesso, insufficienti investimenti in ricerca e tecnologia (anche
perché le imprese mediamente sono troppo piccole per farsene carico) e
scarso peso della contrattazione aziendale rispetto a quella
accentrata. Il famigerato cuneo fiscale, per quanto pesantissimo, non è
invece sufficiente per spiegare il differenziale tra i redditi netti
italiani e quelli degli altri Paesi Ue. Secondo l’Ocse infatti tasse e
contributi previdenziali “mangiano” ben il 47,7% della busta paga lorda
di un lavoratore senza carichi famigliari e il 24,2% è a carico del
datore di lavoro, ma in Francia il cuneo è praticamente identico
(47,6%) e in Germania arriva addirittura al 49,7 per cento.
Chiara Brusini
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