LA DECRESCITA AGLI INFERI DEL PAESE CHE SI INGANNA A MORTE
Nel quarto trimestre 2018, la stima preliminare del Pil italiano indica
una contrazione dello 0,2%, peggiore delle attese, poste a -0,1%. A
livello annuale, corretto per i giorni lavorati, la crescita italiana
segna un imbarazzante +0,1%. In attesa della disaggregazione puntuale,
a inizio marzo, sappiamo che la domanda interna ha fornito nel
trimestre un contributo negativo, mentre quella estera netta ha
aggiunto crescita. Ma quello che davvero sappiamo è che l’Italia sta
dirigendosi verso gli scogli, in splendida solitudine.
La Francia, per non fare nomi, cresce nel trimestre dello 0,3%,
malgrado i casseur chiamati Gilet Jaunes. E la domanda interna
transalpina non si contrae, mentre anche in questo caso l’export
sostiene la crescita. La Spagna mette a segno il suo ormai abituale
+0,7% trimestrale, per un +2,4% annuale. La Germania non ha ancora reso
noto il dato trimestrale, ma sappiamo già da ora che non sarà comunque
negativo.
L’Italia è in contrazione, unico tra i grandi paesi europei. Questa
contrazione è frutto non solo e non tanto di tensioni esterne, come
quelle protezionistiche, o della filiera auto motive europea che sta
ancora cercando di venire a capo dei nuovi test di omologazione oltre
che della crisi esistenziale del diesel.
No, non è solo questo: l’Italia paga un prezzo carissimo alla politica
economica dilettantesca, vandalistica e criminale che questo esecutivo
e questa maggioranza perseguono su base sistematica. La fortissima
incertezza generata su base domestica, con l’aumento dello spread, le
misure autolesionistiche sul mercato del lavoro, la creazione di un
clima ostile all’impresa e centrato su un assistenzialismo distruttivo,
l’accensione di un’ipoteca devastante sui conti pubblici, con misure di
esplosione della spesa corrente che sono prive di copertura, dopo il
2019.
La spada di Damocle di un aumento monstre delle imposte indirette nei
prossimi due anni, che finirà a lasciare il posto a nuovi tributi
patrimoniali, per mancanza di alternative.
Nel frattempo, è tutta un’azione di brainwashing di massa, orchestrata
da piccoli Goebbels che si aggrappano a idiozie come il signoraggio, il
Protocollo dei Savi di Sion, o a manovre diversive come l’alimentazione
di un razzismo di massa o un nazionalismo stupidamente aggressivo
contro i nostri maggiori partner commerciali e politici europei. Su
questa azione di programmazione di menti deboli e semplici, l’azione
indecente di giornalisti fiancheggiatori, con le loro testate ed i loro
momenti di liquame televisivo.
Su tutto, il tradizionale vittimismo italiano, quello che ben
conosciamo nella storia, e una propensione a mentire e manipolare la
realtà che sta raggiungendo livelli deformi di narrazione distopica.
Ogni giorno ha una giustificazione ed un alibi: è stata la Bce che non
ci aiuta, è stata la Commissione europea, c’è un piano europeo per
distruggerci, se solo potessimo stampare moneta faremmo tremare il
mondo.
Un presidente del consiglio che è l’epitome di questa farsa tragica,
che va in un consesso internazionale e si dice convinto che l’Italia
potrà crescere di 1,5% nel 2019. Pochi giorni dopo si reca a parlare
con gli imprenditori di una delle regioni-traino del paese, e dice che
per qualche mese sarà stagnazione ma la colpa è di fattori esterni e
comunque nel secondo semestre ripartiremo. Servirebbe maggiore rispetto
di sé, come prerequisito per rispettare gli interlocutori. Ma questo è
oggi il mainstream italiano.
In questo clima, prosperano nullafacenti colpiti da improvviso
benessere, faccendieri ripuliti ma neppure troppo, millantatori,
accademici falliti che sognavano da una vita la loro rivincita. Tutti
con un solo programma: mentire ossessivamente e manipolare, come
neppure negli scritti di Orwell troverete riscontro.
Un paese alla deriva, una drammatica deriva che sfocerà in tragedia, se
e quando vi sarà una recessione a livello internazionale. Sarebbe assai
blando risarcimento, se mestatori e manipolatori fossero puniti da
quelle stesse anime semplici risvegliate furiose dalla manipolazione.
La verità è che è più probabile che il fallimento di questi creerà un
nuovo ceppo batterico resistente ad ogni antibiotico, fatto di una
involuzione ancora più profonda, che condurrà a forme ancor più
deleterie di fasciopopulismo e renderà l’Italia un caso unico di
regressione civile nel mondo sviluppato.
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LA FIGURACCIA:
ITALIA SENZA BUS ELETTRICI
I bus elettrici di Milano e Bergamo sono fabbricati in Polonia dove il
salario minimo per legge è di 550 euro circa (in Italia non esiste
salario minimo per legge). Probabile che i freni di quei bus
siano fabbricati da uno stabilimento polacco della Brembo e almeno 1 su
4 componenti sia fabbricato nel NE italiano ed esportato. Due giorni or
sono é stato sottoscritto l'Accordo di Programma tra il ministero dello
sviluppo economico e la Regione Campania finalizzato al sostegno di un
contratto di sviluppo presentato dalla società Industria Italiana
Autobus S.p.A. - nata nel 2014 dalla fusione dell'ex Bredamenarinibus
S.p.A. e Irisbus Italia S.p.a ex Fiat Iveco di Flumeri - per la
realizzazione di un programma di sviluppo industriale relativo alla
riattivazione del sito produttivo, ex Irisbus, di Flumeri (Avellino),
impegnato nella realizzazione di veicoli a motorizzazione anteriore e
posteriore appartenenti al segmento dei mini-midibus. La sottoscrizione
dell'Accordo di Programma è stata la conferma della messa a
disposizione da parte del ministero dello sviluppo economico di risorse
complessivamente pari a 18.163.265,30 euro di cui 2.040.000 euro già
erogati, subordinatamente alla presentazione e alla positiva
valutazione del nuovo piano industriale dell'impresa, da parte di
Invitalia.
Industria Italiana Autobus, gruppo in crisi di cui fa parte l'ex
Bredamenarinibus di Bologna, a dicembre 2018 cambia compagine sociale
con la ricapitalizzazione di due soci: il 70% dell'operazione fa capo
alla società turca Karsan, mentre Leonardo-Finmeccanica contribuisce al
30%. Il manager degli ultimi 4 anni, Stefano Del Rosso, presidente e ad
dell'azionista di maggioranza Tevere spa, che aveva l'83% delle quote,
si è dimesso e tutto il cda è stato rinnovato. La società turca Karsan
è un costruttore multimarche che lavora anche per la Fiat sui
veicoli commerciali medi e leggeri e la nuova Tipo.
Questo lungo preambolo per sottolineare come -si legga l'articolo in
testata- si arriva oggi a creare una corso di studi dedicato al
trasporto elettrico in città. Nel senso che si sono persi almeno dieci
anni senza studiare veicoli elettrici e si parte adesso con la certezza
che solo un miracolo potrà mettere a disposizione tra tre-cinque anni
un prototipo. Intanto anche gli altri produttori cammineranno senza
aspettare gli italiani. Ci si poteva e doveva aspettare che almeno
l'Unione Europea favorisse certe concentrazioni produttive e lo studio
e l'avvio di produzioni di veicoli elettrici sia per uso privato che
per i mezzi pubblici e invece lasciando tutto in mano al mercato si è
creata -per demerito della UE- una situazione in cui non sono gli
enti pubblici e i privati a fare il prezzo in concorrenza col
produttore ma sono questi ultimi a imporlo -di fatto é un cartello-
all'acquirente che sono poi… tutti i cittadini dell'UE attraverso le
società pubbliche. Se poi si vanno a valutare le qualità costruttive e
tecnologiche dei mezzi, siamo prossimi più alla lavatrice anni '60 che
all'iphone: il fatto è che 12 bus elettrici Urbino Solaris sono costati
a Bergamo la bellezza di 6,5 milioni.
Leggere queste notizie fa pensare allo stato di crisi di una nazione,
del suo sistema scolastico e della sua industria salvo poi -osservando
la classe politica al governo del paese- non veda di meglio ma perfino
di peggio. La Fiat ha perso una vendita ogni cinque nel gennaio 2019
nonostante disponga di una decina di modelli che potrebbero già essere
elettrici: con dei ferracavalli usciti domani da queste scuole c'è poco
da sperare. Intanto lavorano turchi e polacchi e gli italiani si fanno
mantenere coi minibus a… motore diesel (truccato?).
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PD, LA MARCIA IMMOBILE
Chi sperava che il Pd intendesse voltare pagina è costretto a
ricredersi. Se l'intenzione era quella di riunire un partito intorno a
un segretario forte di un ampio consenso, il risultato della conta
degli iscritti alle primarie va in tutt'altra direzione. Nonostante i
differenti dati forniti dai candidati, la somma dei voti di Martina e
di Giachetti è assai vicina ai voti di Zingaretti. Forse non al punto
di impedirne la vittoria. Ma certo di renderla più incerta e precaria.
Dal momento che sia Martina che Giachetti, in misura diversa, sono
vicini a Renzi, i risultati precongressuali non fanno che certificare
la stessa spaccatura che si voleva superare. Qualsiasi sia l'esito
finale delle votazioni, la frattura interna che fino adesso ha
immobilizzato il Pd in una interminabile schermaglia interna rischia di
proseguire anche dopo il congresso, creando le peggiori condizioni per
il confronto elettorale di maggio. Chi può assicurare che la metà
uscita sconfitta non frapponga ostacoli di varia natura a quella che ha
vinto? O che addirittura, alla vigilia del voto, non esca dal partito
senza nessuna strategia comune?
Ma ciò che rende ancora più desolante la situazione è la distribuzione
troppo disuguale del voto per non creare sospetti. Sono soprattutto due
le regioni che, sullo sprint finale, hanno ridimensionato il risultato
di Zingaretti, rilanciando la candidatura di Martina. La Sicilia e
soprattutto la Campania. Questa, dopo gli infiniti scandali delle
primarie precedenti, dopo accuse di spartizioni e brogli, continua a
essere il buco nero in cui affondano le speranze di rinnovamento del
partito. Già ridotto ai minimi termini alle ultime elezioni, esso
appare nelle mani del governatore De Luca e della sua parte politica.
Pur senza avere mai dichiarato il proprio appoggio a uno dei candidati,
il suo " partito personale" ha portato Martina a sopravanzare
Zingaretti in tutta la Campania e a stravincere con percentuali bulgare
nelle province di Salerno e Benevento. Il tutto in uno scenario locale
in cui si torna a parlare di smarrimenti di verbali, di schede votate
prima di essere aperte, misteriosamente moltiplicate rispetto al numero
dei votanti previsti.
Anche a prescindere da una valutazione politica dei tre candidati, la
conduzione di questa vicenda non lascia dubbi sul suo esito. Ancora una
volta, come si dice, il morto afferra il vivo e il passato preclude il
futuro. I padroni delle tessere, e dei voti, che controllano manu
militari le proprie zone d'influenza finiranno per bloccare qualsiasi
rilancio del partito. Con l'ovvia ricaduta sul piano elettorale. E ciò
proprio quando le prime crepe nel fronte gialloverde autorizzerebbero a
ipotizzare una possibile inversione del trend. A questo punto non
restano che due soluzioni, apparentemente opposte. Ma entrambe volte a
contenere la deriva del Pd. O quella di sfumare i suoi contorni in un
contenitore che porti un nome diverso — l'ipotesi promossa da Calenda.
O, forse meglio, quella di correre alle elezioni europee con due liste
diverse ma non avverse, tali da potersi successivamente alleare. Una,
centrista, di tipo liberal- repubblicano e una spostata a sinistra,
capace di aggregare consensi più radicali. Non è facile che queste due
aree possano comporsi in una stessa proposta politica. Del resto in una
votazione di tipo proporzionale non è detto che differenziare le forze,
piuttosto che comprimerle in una impossibile unità, non possa risultare
vantaggioso. D'altra parte anche il fronte populista si presenterà
articolato in due blocchi diversi, senza che ciò debba necessariamente
danneggiarli.
Roberto Esposito, filosofo, insegna filosofia teoretica alla Scuola Normale Superiore di Pisa. Il suo ultimo libro è "Polit
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PD? A SCOMMETERCI.
Ci vorrà molto tempo perché la storia del PD si ricomponga
razionalmente attorno a valori largamente condivisi dalla maggioranza
dei suoi iscritti ed elettori piuttosto che come oggi con due parti
-renziani e zingarettiani- se non contrapposte in forte competizione
soprattutto di potere piuttosto che programmatiche. Un Paese con 4300
miliar di di debito pubblico e 2400 miliardi di ris parmio finanziario
privato, o hai qualche idea e coraggio di metterci mano oppure
vai per bruchi. Sperando che da quei bruchi diano un bozzolo di seta e
poi escano bellissime farfalle. L’INPS ci fa sapere che il Reddito di
inclusione (Rei) marcia a passo lento: nel 2018 lo hanno ricevuto un
milione e 329 mila poveri che compongono 462 mila famiglie. Mentre sono
circa 2,5 milioni (700 mila nuclei) le persone che ne avrebbero
diritto. Finora è stata raggiunta poco più di metà della
platea po tenziale individuata dal governo Gentiloni. L'importo medio,
sotto forma di carta acquisti, è stato di 296 euro al mese e l'11% dei
nuclei è formato da extra comunitari. Quando anche si raddoppiasse la
velocità del ciclo di fornitura del ReI oppure del RdC, davanti ad un
Paese che ormai ha in granato la retromarcia del PiL andiamo a sbattere
contro un muro. Il Paese si sta spezzando perchè è diviso tra chi
lavora o può aspirare a lavorare in settori che tirano e chi deve
raccattare le briciole dei consumi interni. Non esiste solo il
problema della povertà di chi non trova lavoro ma c’è una questione
salariale visto che il lavoro costa troppo al datore e il dipendente
prende troppo poco. Bisogna quindi che il PD si dia l’obiet tivo
di portare a casa in cinque anni al meno l’80% dell’eva sione e
dell’elusione fiscale altrimenti saremo sempre un Paese che deve
andare a pietire misericordia carità dall’Ue senza la voglia di fare «i
compiti a casa»
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