ASSISTENZIALISMO E INCOMPETENZA
BLOCCANO LA CRESCITA
La politica economica del governo è caratterizzata da un misto di miopia, ingenuità e incompetenza.
È chiaro che i problemi economici e le difficoltà del mercato del lavoro in Italia non sono di semplice soluzione.
Quello che sgomenta però è che a differenza del governo che lo ha
preceduto, che aveva almeno provato ad avviare un percorso di riforme
strutturali, questo ha adottato una politica economica che non solo non
favorisce lo sviluppo economico, ma appare destinata a danneggiarlo.
Nelle ultime settimane si sta parlando della possibilità di un
rallentamento significativo dell'economia e di una nuova recessione.
È difficile prevedere come si evolverà il ciclo economico nazionale nei
prossimi mesi, e ancora più difficile prevedere come si evolverà quello
internazionale. È però chiaro che i problemi dell'economia italiana
sono non solo ciclici, ma di natura profonda e strutturale. A
differenza di Germania o Stati Uniti, dove la disoccupazione sale
durante le recessioni ma poi ritorna a livelli fisiologici in anni
normali, in Italia rimane a livelli inaccettabili anche quando il Paese
non è in recessione.
Anche se fossimo fortunati, e la recessione non dovesse verificarsi
quest'anno o l'anno prossimo, non c'è dubbio che i tassi di crescita
dell'occupazione e dei livelli salariali nel Paese rimarrebbero
strutturalmente troppo bassi, specialmente nelle regioni del Centro e
del Sud.
È davvero preoccupante constatare che non c'è traccia nella politica
economica di provvedimenti che abbiano a che vedere con i problemi
concreti delle aziende o dei lavoratori italiani. La crescita
occupazionale e salariale anemica che caratterizza l'Italia ormai da
anni è causata da una domanda di lavoro da parte delle imprese troppo
debole. A monte, la debolezza della domanda di lavoro riflette in larga
misura un panorama industriale vecchio e la scarsità di investimenti in
innovazione, sia pubblici sia privati.
Il sistema globale della produzione sta cambiando profondamente, ma
l'economia italiana non si sta adeguando. Ormai da trent'anni, il
progresso tecnologico e la globalizzazione stanno riconfigurando la
tipologia dei beni che vengono prodotti, le modalità di produzione nei
Paesi industrializzati, e soprattutto il tipo di lavoro. Alcuni settori
e certe occupazioni stanno scomparendo, altri si vanno espandendo e
altri ancora, venuti alla luce di recente, stanno per esplodere.
L'impatto della globalizzazione e delle nuove tecnologie non è
uniforme. In Paesi come Germania, Irlanda o Stati Uniti,
globalizzazione e nuove tecnologie vogliono dire più domanda per i beni
e i servizi prodotti e quindi più occupazione e salari più alti. In
Italia, invece, globalizzazione e nuove tecnologie hanno volute dire,
almeno fino ad oggi, meno domanda per i beni e servizi prodotti da
imprese italiane e quindi bassa crescita occupazionale.
Questa differenza riflette il fatto che le imprese italiane investono
in media molto meno in ricerca e sviluppo e quindi producono beni e
servizi meno innovativi. Il governo sembra ignorare completamente la
situazione reale dell'industria italiana. Ha deciso che il problema più
urgente non è il rinnovo e il rilancio del panorama industriale, e la
creazione di posti di lavoro decenti per i giovani, ma il reddito di
cittadinanza, ovvero un'espansione dell'assistenzialismo che non avrà
effetti sulla capacità delle imprese italiane di creare più posti di
lavoro.
Il ministro dello Sviluppo economico e del lavoro, Luigi Di Maio, ha
affermato che «un nuovo boom economico potrebbe rinascere: negli anni '
60 abbiamo avuto le autostrade, ora dobbiamo lavorare alla creazione
delle autostrade digitali». I dati dell'Ocse spiegano perché le parole
del ministro, come il resto della politica economica del governo, siano
completamente sconnesse dal mondo reale delle imprese e del lavoro.
Negli ultimi 7 anni la produttività del lavoro in Italia è aumentata
solo dello 0,14% all'anno, il dato peggiore tra tutti i Paesi europei
dopo la Grecia. Nello stesso periodo, la produttività in Germania è
cresciuta 9 volte di più, in Irlanda 40 volte di più. La crescita della
produttività è una misura fondamentale per la salute di un sistema
produttivo e per la sua capacità di generare posti di lavoro ben
remunerati. La crescita della produttività riflette la capacità delle
imprese di un Paese di produrre di più, combinando meglio i vari
fattori della produzione attraverso nuove idee e innovazioni
tecnologiche. Riflette anche la crescita del valore dei beni e servizi
prodotti in un Paese.
La produttività in Italia non cresce non perché i lavoratori siano più
pigri o meno intelligenti di quelli di altri Paesi. Non cresce perché
l'Italia investe pochissimo in ricerca e sviluppo e in proprietà
intellettuale e quindi non produce nuovi beni e servizi ad alto valore
aggiunto, o idee per nuove tecnologie. Con alcune eccezioni, le imprese
italiane continuano ad usare tecnologie tradizionali per produrre beni
e servizi tradizionali, quindi esposti alla concorrenza di Paesi a
basso reddito come la Cina o Europa dell'Est. I dati Ocse ci dicono
anche che quando l'Italia investe in ricerca, investe proporzionalmente
molto meno di altri Paesi in nuova proprietà intellettuale. Per
esempio, l'Irlanda dedica il 39% della sua ricerca alla creazione di
nuova proprietà intellettuale, l'Italia meno del 7 per cento.
Sono differenze enormi. A farne le spese sono innanzitutto i giovani
che non trovano lavoro o che trovano lavori senza futuro, ma anche le
stesse imprese, che si trovano a competere con Paesi a bassi costi di
produzione con prodotti e tecnologie non innovative. La competizione
globale tra Paesi è sempre più incentrata sulla capacità di attrarre
capitale umano e imprese innovative. Il numero e la forza dei distretti
dell'innovazione di un Paese ne decretano la fortuna o il declino.
Una politica economica intelligente deve necessariamente partire da
questi dati di fatto e porsi come obbiettivo principale quello di
ringiovanire la struttura industriale favorendo investimenti in nuovi
prodotti e nuove tecnologie, e aumentando drasticamente la quota di Pil
dedicata alla ricerca e lo sviluppo, sia per la ricerca di base,
finanziata direttamente da fondi pubblici, ma soprattutto per la
ricerca applicata, finanziata principalmente dalle imprese ed
incentivata da sgravi fiscali.
In un mondo senza vincoli di bilancio, l'Italia potrebbe sia aumentare
gli investimenti in ricerca e sviluppo, sia spendere miliardi per il
reddito di cittadinanza e persino per pensioni a quota 100. Nel mondo
reale, l'Italia deve scegliere. Può decidere di investire nel futuro
della sua economia, riducendo il gap tecnologico con gli altri Paesi
avanzati e rinvigorendo la domanda di lavoro, oppure può dedicare tutte
le risorse pubbliche disponibili ad un'espansione onerosa
dell'assistenzialismo improduttivo. Purtroppo, questo governo ha scelto
la seconda strada.
Enrico Moretti
Enrico Moretti è professore di Economia alla University of California,
Berkeley. Studia l'economia del lavoro e urbana.Tra i suoi libri, "La
nuova geografia del lavoro" (Mondadori)
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IL NONNO NORMODATATO
Ufficio Complicazione Problemi Semplici. La trovata è geniale: provate
a leggere. Deve averla scritta una seguace dei DiMaio. Allora: a Curno
c’è una associazione anziani, una associazione per il trasporto dei
necessitanti (c.d. trasporto amico) ed anche l’ufficio dei servizi
sociali. Davanti al problema di dotare alcuni pensionati della
Marigolda di un abbonamento ATB, il cittadino normo dotato pensa: (1)
il nonno normo dotato va alla sala civica di via Abruzzi col
portafoglio al seguito per le prossime cinque mattine. Nel portafoglio
il nonno normo dotato DEVE avere la carta di identità, il C.F. e la
Tessera Sanitaria ed alcuni soldini (facciamo venti euro). Poi (2)
nella sala trova un impiegato dei servizi sociali (no, quelli no,
perchè hanno già troppo da fare...!) oppure un volontario del GAP
(gruppo anziani e pensionati) che dotati di personal computer (comunale
o del GAP) e stampatrice fotocopiatrice (3) preparano tutta la
documentazione da presentare (4) all’ATB. Qualche giorno dopo (5) il
pensionato ripassa alla sala civica per ritirare l’abbonamento.
Possono osare anche di più!: il rinnovo lo fanno presso il bar del CVI2.
In pratica il nonno normo dotato va due volte alla sala civica e si
trova in mano l’abbonamento. Siete ammattiti a voler ridurre le cose
semplici?
GORI E GANDI HANNO DECISO DOVE
Che Città Alta sia ormai in mano alla «cultura spoliatrice
dell’industria turistica capitanata dai ristoratori» (mica per nulla il
capogruppo della lista del sindaco è un grande ristoratore), dai
bedandbreafisti e dai pizzettari al taglio pare assodato: del resto
questo è il modello Gori-Unesco e quindi non si scappa. Pure la
sinistra engagee del Circolino ha sposato questo affare e quindi che
male c’è? In fondo Renzi non era-è un alieno rispetto al PD
goriano (e zingaret- tiano). Quello che Gori e Gandi e la
giunta non hanno capito (oltre il giochino di fare multe
stradali a raffica per fare cassa) che perlomeno in via Colleoni,
Gombito, Piazza Vecchia NON debbano transitare veicoli di qualsiasi
natura (tranne VVFF). Non vi debbono transitare nemmeno le auto delle
pattuglie (CC, PS, VVUU, CRI) visto che ladri e rapinatori semmai si
inseguono a piedi. E duecento metri di corsa su una barella la possono
sopportare anche i moribondi. Gori e Gandi non si rendono conto che non
è possibile che in quelle vie piene zeppe di persone ci sia qualche
imbecille che si permette di transitare: «perché io abito li, perché io
vado all’hotel 18 stalle, perché io sono bulgaro russo o svizzero,
perché cio c’ho i soldi».
E se a bordo ci fosse un cretino che investe le decine di persone che
camminano? Oppure l’hanno stabilito Gori&Gandi che i terroristi
possono fare gli assalti SOLO dove loro hanno posato quei bei cubotti
come sul Sentierone. Sveglia!
PONTE DI CALUSCO-PADERNO: RFI HA PRESO TUTTI PER I FONDELLI
L'ad penta stellato di Rfi, Maurizio Gentile si era preso l'impegno di
tornare sul luogo del delitto a dare qualche novità, così ha esordito
l'amministratore delegato di Rete Ferroviaria Italiana e commissario
straordinario per i cantieri al San Michele, di fronte all'affollata
aula consiliare caluschese. Ed ha confessato di avere preso per il c***
cittadini ed amministratori. Infatti se due mesi or sono il ponte stava
per crollare e quindi dalla sera alla mattina ha messo in piedi un caos
della madonna, ecco che adesso –viene la primavera?- più che probabile
che per il prossimo natale (speriamo ve lo scordiate…) potrebbero
riaprirlo al traffico leggero. Non solo: addirittura se per il
passaggio dei treni si dovrà aspettare la chiusura del cantiere,
fissata nel 2020, tamponata da 2,4 milioni stanziati da Regione
Lombardia per il potenziamento dei bus, per i pedoni c'è la conferma di
riapertura entro la primavera. «Forse anche prima» si è sbilanciato il
commissario, ipotizzando l'accesso solo alla parte centrale, lasciando
chiuse quelle laterali per permettere il montaggio dei parapetti. Salti
di gioia degli amministratori che cominciavano a subodorare la presa
per il c***. I quali parapetti sarebbero al centro di una disputa
tecnico storica con la Soprintendenza perché quella li vorrebbe
coerenti col disegno architettonico del manufatto mentre RFI vorrebbe
non si sa bene come e cosa. Segue un'altra confessione: il ponte va
dimenticato e mantenuto come bellezza nella valle. L'ad penta stellato
di RFI confessa una grande banalità: «I fatti di Genova ci hanno
insegnato che le opere non sono eterne — è stata la parentesi aperta da
Gentile, per il quale la chiusura del San Michele in concomitanza alle
vicende del ponte Morandi non è che una coincidenza —. Il ponte non è
adeguato agli standard attuali, parliamo di sistemazioni parziali su
un'opera di ghisa centenaria, è un futuro prossimo, ma non varrà fra 50
anni, dobbiamo pensare ad un nuovo ponte che sia anche collegamento
ferroviario degno di questo nome». E qui cominciano in molti a
fregarsi le manine. Ponte nuovo, soldini che girano: che volete di
più?. Speriamo che dopo il governo salvimaio non ne arrivi uno che si
faccia fare uno studio sulla convenienza costo-utilità altrimenti
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