COME BUTTARE VIA LA PROPRIA VITA
Basta scorrere la cronaca locale per restare allibiti. Una sequenza di
morti di persone giovani. Oggi: “se ne è andato improvvisamente a soli
39 anni SR. Zogno vive in questi giorni il dramma per la scomparsa di
un giovane padre di due bambini piccoli (una bimba di cinque e un bimbo
di tre), stroncato da un infarto sopraggiunto qualche giorno fa, quando
l'uomo è stato soccorso e trasportato in ospedale”.Ieri per domenica:
colto da malore fatale al traguardo . Ghisalba, si spegne a 48 anni.
GM aveva appena concluso la corsa podistica che lo aveva
impegnato domenica mattina a Ghisalba quando improvvisamente si è
accasciato, colpito da un infarto contro il quale nulla hanno potuto i
soccorritori e nemmeno i medici dell'ospedale di Seriate, dove in
seguito è deceduto. Sempre lunedi a Piazza Brembana i funerali di EM il
25enne morto giovedì dopo una caduta sul pizzo Becco. «Se c'era
qualcuno che conosceva le montagne e i sentieri, quello era lui» ha
detto un'amica, davanti alla casa di famiglia a Piazza Brembana. «Era
un ragazzo favoloso, lo sarà sempre» ha detto con la voce rotta dal
dolore il padre.
Emanuele era partito giovedì, da solo, approfittando di una nuova bella
giornata di sole. Aveva deciso di fare la ferrata che sale in vetta al
pizzo Becco, un percorso non particolarmente impegnativo, già
conosciuto da Emanuele, grande appassionato di montagna. Ma qualcosa è
andato storto e il giovane è precipitato a valle per circa 200 metri.
Nessuno può dire cosa sia successo, ma è probabile che la presenza di
ghiaccio sia stata fatale.
Domenica mattina. Ennesima tragedia della montagna domenica 6
gennaio sulle Orobie. Un escursionista di 47 anni, IT, artigiano di
Berzo San Fermo, padre di due bambini, è morto domenica mattina
precipitando su una lastra di ghiaccio sul sentiero che porta al
rifugio Curò, in territorio di Valbondione. L'uomo è precipitato per un
centinaio di metri. Era partito da solo da casa per l'escursione in
alta Val Seriana, ma lungo il tragitto aveva incontrato un gruppetto di
appassionati di montagna e si era aggregato. Il giorno dell'Epifania:
Due alpinisti precipitati, uno dei quali ha perso la vita. È il
bilancio del drammatico incidente in quota avvenuto questa mattina
attorno alle 10 sul versante camuno del monte Blumone che, toccando i
2.843 metri di quota, si erge a cavallo tra Valsabbia e Valcamonica.
Secondo una prima ricostruzione, i due alpinisti - un uomo e una donna,
entrambi di nazionalità italiana - stavano affrontando la salita del
canalone centrale del Cornone di Blumone, che dal lago della Vacca
porta proprio alla cima, quando qualcosa è andato storto e sono
precipitati. La tragedia è avvenuta a circa 300 metri dal lago. Un
balzo nel vuoto di circa 100 metri, in una gola di rocce, coperte di
neve e ghiaccio.
Cinque giorni or sono. Ancora non si conosce la dinamica di quanto
accaduto a Ardesio in località Monte Secco, dove un giovane di 22 anni
è scivolato sull'erba secca mentre era in montagna si è ferito
gravemente rotolando per circa 150 metri e picchiando violentemente il
capo a terra.
Dalle prime notizie sembra che a dare l'allarme dell'incidente sia
stato l'amico che era con lui nella zona di Baita Alta. Sul posto,
verso le 14.45, sono arrivati i sanitari del 118 con l'elicottero
decollato da Bergamo. Il ragazzo è stato trasportato in codice rosso
all'ospedale Papa Giovanni XXIII per un politrauma e ricoverato in
terapia intensiva. Ieri i genitori lo davano ormai perduto ed avevano
consentito l'eventuale donazione degli organi.
Tutte queste morti –per infarto e per una scivolata- sono un
brutto segnale per la nostra c.d. civiltà. E' ormai consolidata nella
mentalità comune che “ci sia rimedio per tutto” e che “siamo esperti di
tutto” e quindi la vita la si possa giocare al minimo prezzo sapendo
che ci sarà sempre qualcuno che ti prende per i capelli e ti salva. In
estremis.
Bisogna invece avere il coraggio di dire in faccia alla gggente ed
anche alle famiglie ed agli amici dei defunti che quelle morti sono
esclusivamente di mano propria del morto ammazzato.
Non si nega la partecipazione al dolore ma va richiamata la
ragionevolezza. Quelle morti sono frutto di bullismo, ignoranza,
disinformazione. Giocano con la propria vita come alle macchinette.
Anche noi quando eravamo giovani abbiamo arrampicato, spesso
rendendoci conto ad avventura terminata, che ne avevamo combinata
una notevole: semplicemente perché ce lo dicevano i “vecchi” stupiti
nel vederci affrontare da giovanissimi imprese che secondo il loro modo
di pensare doveva restare appannaggio degli alpinisti più preparati.
Però siamo tornati indietro parecchie volte anche se ci avevamo già
messo soldi tempo passione. Senza considerare che quando noi avevamo 18
anni era mezzo secolo or sono quando non c'erano gli elicotteri e il
118 che venivano a raccattarti per bricchi e crepacci. Poi
restiamo allibiti nel leggere che degli alpinisti “esperti” – il
giovane sul Pizzo Becco e quello sul sentiero del Curò- sono caduti
perché hanno affrontato una salita sul ghiaccio senza ramponi. Esperti
di che? Bullismo.
Bullismo anche quello che crolla per infarto dopo una corsa: mai fatto
qualche esame visto che sei “proprio” in età da infarto!? Che razza di
sportivo sei?
Bullismo e irresponsabilità anche nei confronti della propria famiglia
perché lascia da soli genitori compagna figli piccoli.
Potremmo continuare con l'episodio della madre che ha
imboccato con la figlia una pista nera in slittino: morta la
bambina e in fin di vita la madre. Oppure il caso della bimba di 9 anni
che era su una pista «rossa» quando è precipitata a valle per 50 metri
finendo contro una barriera frangivento. I medici hanno provato invano
a rianimarla in elicottero durante il trasporto al Regina Margherita.
Morta anche questa. Insomma per troppi la vita vale niente.
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Carige, anche i gialloverdi salvano le banche a spese nostre. Come il Pd.
M5S-Lega hanno lucrato elettoralmente attaccando gli interventi dem a
favore di Mps, Etruria e banche venete. Ora fanno lo stesso in un
cdm-lampo di 10 minuti
Gianni Del Vecchio
Sono lontani i tempi, era luglio 2017, in cui i senatori 5 Stelle
guidati dall'attuale ministro Barbara Lezzi gettavano false banconote
da 500 euro a Palazzo Madama per protestare contro il salvataggio delle
banche venete da parte dell'allora maggioranza a guida Pd. Sono ancora
più lontani i tempi, parliamo del 2016, in cui Luigi Di Maio attaccava
un giorno sì e l'altro pure l'allora premier Renzi per la gestione
della crisi Mps, giurando e spergiurando che lui e il suo Movimento non
avrebbero mai messo un centesimo dei soldi pubblici nelle casse degli
istituti di credito. E ancora più remoti i tempi in cui Alessandro Di
Battista, in versione Savonarola, arringava dagli scranni di
Montecitorio contro il conflitto di interessi di Maria Elena Boschi nel
caso Banca Etruria - pensate, era dicembre 2015. Ora, anno domini 2019,
i 5 stelle sono al governo e puntuale come solo la morte sa essere nel
Settimo Sigillo di Bergman, ecco che arriva la realtà dei numeri e
della finanza a farsi nemesi storica. Come in una perversa legge del
contrappasso adesso è la maggioranza gialloverde a dover varare in
fretta e furia un decreto per salvare Carige, la banca di riferimento
di una Genova sempre più colpita nel suo tessuto sociale e produttivo.
E lo fa senza colpo ferire, di soppiatto, senza annunci, sperando quasi
che nessuno se ne accorga.
Cosa è successo nella pratica? Che Conte e Tria hanno scritto e portato
al Consiglio dei ministri un decreto che sarebbe potuto essere frutto
dell'accoppiata Gentiloni-Padoan o Renzi-Padoan, fate voi. Carige è un
istituto in forte difficoltà, unico fra gli italiani a essere stato
bocciato agli stress test della Bce dello scorso novembre. Difficoltà
acuita dal rifiuto dell'azionista di riferimento, la famiglia
Malacalza, a sottoscrivere un aumento di capitale da 400 milioni per
dare più solidità alla banca. Non a caso il 2 gennaio, il primo giorno
utile dopo le feste natalizie, la Bce ha provveduto a commissariare
d'urgenza Carige e dare mandato ai tre amministratori di portarla alle
nozze con un istituto più grande e più stabile. Ma per fare questo non
basta il mercato e i suoi spiriti animali e la mano invisibile che
secondo la narrazione liberista tutto indirizza verso la soluzione
migliore. Serve lo Stato, quello con la S maiuscola. Soprattutto i suoi
soldi, che poi, alla fine della fiera, sono quelli dei contribuenti
ovvero i nostri. E il governo gialloverde non si è fatto specie di
aprire il portafogli, seppur non subito ma fra qualche tempo, forse
dopo le elezioni europee, guarda caso. Conte e Tria hanno messo su un
meccanismo per il quale ci sarà la garanzia dello stato sui futuri
prestiti che Carige chiederà sia mediante bond che mediante
finanziamenti diretti a Banca d'Italia. In altri termini, la banca
genovese prenderà a prestito altri soldi ma se non riuscirà a
restituirli toccherà pagare allo Stato. Ergo noi tutti. L'altro pezzo
del meccanismo poi è ancora più immediato: se nei prossimi mesi la Bce
chiederà a Carige di aumentare il proprio capitale per mettersi al
sicuro in caso di crisi finanziarie, beh, Pietro Modiano e gli altri
amministratori potranno chiedere e ottenere l'intervento diretto del
Tesoro nel capitale. In poche parole, nazionalizzazione, come fatto un
paio d'anni fa con Mps. E anche in questo caso parliamo di altri soldi
pubblici dalle tasche dei tartassati alle casse della banca. Insomma,
il cambiamento si è fermato a Eboli.
Forse però una cosa che è cambiata c'è. Ed è la modalità con cui tutto
ciò è avvenuto. Il decreto salva-Carige è stato approvato in un
Consiglio dei ministri estemporaneo, convocato a sorpresa, durato
appena dieci minuti, alle dieci sera, lontano dai telegiornali, senza
conferenza stampa finale da parte di Conte e Tria. E soprattutto senza
la possibilità da parte dei ministri presenti di chiedere
approfondimenti o meglio modifiche del testo. In questi giorni si è
scritto tanto del parlamento svuotato nei primi sei mesi di governo
gialloverde, ma forse da oggi bisogna cominciare a scrivere anche di
ministri costretti, volenti o nolenti, a recitare lo spartito di utili
yes men. Del resto, uno
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