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Le previsioni di spesa e di redistribuzione del reddito di cittadinanza. RdC.
La spesa complessiva per il contrasto alla povertà nel 2019 sarà di 6,5 miliardi, ovvero pari a 6,11 miliardi per il reddito di cittadinanza in vigore da aprile e circa 400 milioni per i primi tre mesi dell'anno per il Rei, il reddito di inclusione che sarà sostituito dal Rdc. La spesa prevista per un anno intero è 8,14 miliardi per 4,34 milioni di persone in 1.375.000 famiglie (sono esclusi gli stranieri che pur essendo in povertà non hanno il permesso di lungo soggiorno).8,14 miliardi diviso per 1,375 milioni di famiglie danno un reddito medio di 387 mensili. Partendo il primo aprile la spesa per il 2019 scende a 6,11 miliardi. Così c'è scritto nelle notazioni tecniche accompagnatorie della proposta di decreto.

Reddito di inclusione: risultati dell'applicazione –costi e redistribuzione- dei primi 9 mesi del 2018. REI.
L'importo medio mensile erogato nel periodo gennaio-settembre 2018, pari a 305 euro, risulta variabile a livello territoriale, con un range che va da 239 euro per i beneficiari della Valle d'Aosta a 336 euro per la Campania. Complessivamente le regioni del Sud hanno un valore medio del beneficio più alto di quelle del Nord pari a 53 euro (+20%) e del Centro pari a 37 euro (+13%). Questo viene riportato dall'Osservatorio statistico redatto dall'INPS per l'applicazione dei REI nei primi nove mesi del 2018.

Tenendo presente che  nella seconda metà del 2018 i limiti  per la ricezione del REI sono stati modificati in meglio rispetto ai sei mesi precedenti, l'erogazione media mensile s'è ridotta rispetto alla media dei primi sei mesi.
Passando quindi dall'attuale REI al futuro RdC  la famiglia percepirebbe 387-305=82 euro mediamente in più.
Noi pensiamo che alla fine della fiera aumenterà il numero delle famiglie percettrici della beneficenza ma la quantità erogata unitariamente potrebbe addirittura diminuire rispetto alla media dell'attuale REI.
Non fa bene pensare  il progetto del governo penta stellato di cambiare la governante dell'INPS in quanto è il modo per taroccare i risultati dell'osservatorio statistico affidando l'ente in mano amiche degli amici.



















l'orto di casa: bontà nostrane d'inverno




































LA NOTIZIA
Ritardi dei treni in Lombardia: la Bergamasca é la maglia nera.



La befana piuttosto che portare gli asabesi ai pendolari bergamaschi s’è... portata via un treno. I pendolari si erano detti contrari della proposta e lunedì mattina hanno avuto la sorpresa: «Senza alcuna informazione, senza alcun avviso, stamattina (7 gennaio, ndr) il treno delle 7,10 è sparito e sostituto da un treno delle 7,45» scrive il Comitato Pendolari Bergamaschi. «Senza alcuna informazione, senza alcun avviso, stamattina (7 gennaio, ndr) il treno delle 7,10 è sparito e sostituto da un treno delle 7,45» scrive il Comitato Pendolari Bergamaschi.
«Agli ultimi e più recenti incontri con Regione Lombardia ci era stata comunicata l’intenzione di sostituire il treno straordinario delle 7,10 per G.Pirelli con un treno delle 7,45. Ci siamo da subito dichiarati contrari, esigendo invece entrambi i treni, per ottenere un servizio più completo in sostituzione della via Carnate. Attendevamo notizie in questo senso e avevamo richiesto l’allocazione di un treno in più anche nel recente incontro con il ministro Toninelli».
Il bonus compensativo è stato concesso per 12 mesi su 12 ai viaggiatori della Lecco-Bergamo-Brescia. I pendolari: «Anno orribile».
La Bergamasca si è aggiudicata la maglia nera per i ritardi accumulati dalla linee ferroviarie lombarde nel 2018. Come risulta dai dati di Trenord, sono sette le tratte che attraversano la terra orobica a cui l’anno scorso la società ferroviaria ha dovuto assegnare il bonus mensile, risarcendo ai relativi pendolari il 30% dell’abbonamento.
E non si sta parlando solo di un mese o due in cui è stata superata la soglia minima di minuti di ritardo complessivi oltre la quale, appunto, scatta il rimborso. In cima alla classifica delle linee con la peggiore performance c’è la Lecco-Bergamo-Brescia, i cui pendolari hanno ottenuto il bonus per 12 mesi su 12. Nessuna linea in tutta la Lombardia ha fatto peggio. Nemmeno la Bergamo-Carnate-Milano, penalizzata da uno dei principali eventi che l’anno scorso hanno compromesso la circolazione ferroviaria in Lombardia: la chiusura, a metà settembre, del ponte san Michele sull’Adda fra Calusco e Paderno. Anno orribile per i ritardi, per la chiusura del ponte ma anche soprattutto per la tragedia di Pioltello, con il deragliamento di un treno e la morte di tre pendolari, nel gennaio 2018.
IL COMMENTO
La Lombardia governata ormai da trent’anni dal centrodestra a trazione leghista ha assorbito lo scandalo della sanità formigoniana, ha assorbito le infiltrazioni mafiose e ci convive benissimo, ha assorbito e si mantiene coerente col peggior servizio pendolari sul ferro delle FFSS, riesce perfino a sopravvivere con due-tre mesi di sanità al minimo ogni fine anno perché gli ospedali sono senza soldi .
Vero: poi ci sono anche due importantissimi ponti chiusi e decine di opere che non vanno ne avanti ne indietro: pedemontana oppure la variante di Zogno per dare due estremi. Ebbene la Lombardia si conferma fedelissima del centrodestra a trazione leghista e adesso compare anche lo zampino pentastellato. Ma i treni proprio non vanno. Salvini non aveva voluto tra i piedi a Roma la Terzi, maroniana di ferro e il neo presidente regionale Fontana le aveva affidato la cura del ferro in sostituzione del forzista Sorte (assessore regionale alle Infrastrutture e Mobilità presso la Regione Lombardia dal dicembre 2014 con deleghe alle infrastrutture e Opere Pubbliche, Sistemi di mobilità e intermodalità e Trasporto Pubblico locale, durante la Giunta Maroni) fatto deputato per metterlo al riparo di eventuali guai post assessorato. Non si sa mai. La Terzi, avvocato leader delle imprese leghiste appena insediata s’è trovata addosso la tragedia di Pioltello. Fare andare i treni pendolari in Lombardia non è questione di essere un ex amministratore di imprese di pulizia piuttosto che un avvocato. Col materiale rotabile e l’infrastruttura che c’hai in mano ci vogliono ingegneri soldi a camionate e una fortuna. Che non te li danno le elezioni.
L’altra metà della bomba
(e chissà che botta al cuore del custode delLa Latrina di
Nusquamia, l’ing. Claudio Piga, sardAgnolo abduano


Ciò che ho da dire oggi si riduce a sei foto messe in fila come un'inquietante e inaspettata processione perché senza che se ne avesse il sentore o il sospetto è accaduto  che ai vertici del complesso militar industriale americano, che vive di guerre e di morte, siano oggi sei donne, 4 a capo delle maggiori industrie belliche statunitensi e due dall'altra parte del tavolo, la prima come supremo acquirente del Pentagono, la seconda come gestore dell'arsenale nucleare. Ciò che colpisce è che questa situazione venga esaltata e presentata dalla pubblicistica americana come un successo del movimento femminista che è riuscito a penetrare le ultime  e più sorvegliate roccaforti del machismo, ma senza tuttavia rinunciare allo slogan della “diversità” affinché la folla politicamente corretta possa sentirsi bene con se stessa e non farsi venire qualche dubbio.
Tutto questo si traduce in una sorta di caricatura del liberalismo americano, della parte che cura le conquiste a fini di lucro, divenuta ormai l'attività preminente dell'impero. E mostra con l'evidenziatore che il vero tarlo del femminismo contemporaneo è il suo tentativo di valorizzare le donne dentro un sistema di valori definito dagli uomini e dal potere, che nella sua essenza che è asessuato o forse l'unico sesso esistente. Evidentemente l'obiettivo reale non era di quello di valorizzare le donne, i loro valori, le loro competenze, ma di ignorarle in quanto  poco assimilabili al patriarcato capitalista e di indurle a giocare il solito gioco maschile. Non è un caso che gli ultimi quarant'anni siano stati segnati in maniera significativa da donne sedute sul tavolo da gioco del capitale e della lotta di classe al contrario a cominciare dalla Thatcher, per continuare con la Lagarde, proseguire con la Clinton apertamente guerrafondaia nonché pescatrice di torbido per finire con la Merkel, sceneggiatrice finale dell'europa oligarchica a egemonia tedesca.
Volendo sintetizzare il femminismo contemporaneo o almeno la sua forma banale e peggiore, si è alleato al capitalismo e invece di puntare a un mondo più egualitario e più giusto, a imporre in qualche modo una diversità di visione: è diventato invece ancella del neoliberismo mentre la critica al sessismo sta involontariamente fornendo la giustificazione per nuove forme di disuguaglianza e di sfruttamento collegandosi al culto del mercato. Infatti ai piani bassi per le donne è cambiato poco, anzi le cose sono peggiorate con il dissolversi graduale dei diritti che le espone a infinite forme di ricatto, ma l'emancipazione sembra funzionare solo ai piani alti, dove la distinzione diventa inesistente e nei quali più ancora che per gli uomini non esiste più l'ascensore sociale: tutte le signore elencate in questo post sono infatti appartenenti al notabilato americano. Non c'è alcun dubbio che in questa prospettiva la seconda o terza fase del femminismo, a seconda di come lo si voglia guardare, stia emergendo come critica del capitalismo welfariano, opprimente e fallocratico in funzione ancillare però del globalismo di marca neoliberista. In un certo senso il femminismo da essere avanguardia di qualcosa di nuovo, si è trasformato in retroguardia reazionaria rispetto all'eguaglianza sociale, anche se non mancano segnali di frattura rispetto a questa linea da parte delle donne più intelligenti. Non è certo un caso che se guardiamo alla spaventosa disuguaglianza di reddito che si è creata nell'ultimo ventennio si vede come la frattura reddituale sia molto più accentuata nelle donne.
Ci mancava solo che diventassero protagoniste della guerra e delle stragi. Una conquista.

Alberto Capece Minutolo
Come nasce e dove ci porterà la crisi di Apple
L'obiettivo di Trump è tarpare le ali al Dragone cinese. Anche a costo di danneggiare le aziende Usa. Si va verso un indebolimento del dollaro. E un ritorno della supremazia della politica sull'economia.

Dannato Tim Cook, ma cosa vuoi dalla mia vita? Perché le difficoltà della tua azienda devono diventare un problema mio? Apple ha annunciato una riduzione del giro d’affari: 7 miliardi di dollari di revenues previste in meno, e la Borsa Usa (e non solo) è andata in panico. Com’è successo che siamo diventati così fragili? Può venirci in soccorso la simbologia: quando l’11 settembre del 2001 due grattacieli furono colpiti da due aerei e crollarono, l’evento fu di portata storica per il simbolo che quei due grattacieli rappresentavano. Lo stesso vale oggi: Apple ha avuto una giornata da -10% in Borsa, perdendo in una seduta una capitalizzazione superiore all’intera Sony, ma sebbene sia notevole l’immagine di vedere cancellato l’equivalente di un’azienda come Sony in 24 ore, la crisi di Apple (che dal primo ottobre ha perso circa il 40% del suo valore) ha significato soprattutto perché Apple è la più grande azienda del mondo, è il simbolo della primazia americana, il totem del sogno americano: dal garage alle stelle. Apple taglia le stime per il primo trimestre. Effetti sulle Borse
Le difficoltà delle aziende americane sono appena iniziate
Il simbolismo dell’evento è ancora più elevato perché il messaggio che passa è che alla guida dell’ “aereo” che ha colpito la Mela morsicata c’è un signore biondo dal colorito arancione, che da un paio d’anni dimora alla Casa Bianca; le difficoltà di Apple stanno nella sua catena del valore, un bel pezzo della produzione e della vendita dei telefoni di Cupertino avviene in Cina e le politiche di Donald Trump stanno provocando seri danni. E se fa danni alla più grande, alla più forte, figuriamoci al resto: dal primo ottobre 2018 Google segna -20%, Amazon -25%, Ibm -25%, l’indice Nasdaq -20% e Micron Technologies (produttore di processori specificamente oggetto delle ritorsioni cinesi) vale la metà di quanto capitalizzava soltanto lo scorso luglio. Frutti amari di una politica economica che promette di danneggiare altre grandi aziende americane: Starbucks ha nella Cina il suo secondo mercato, mentre Ford e General Motors assegnano ai consumi cinesi ogni speranza di crescita per gli anni a venire.

Make china small again, la vera stella polare di Trump
Nel marzo scorso Trump annunciava via Twitter che «trade wars are good and easy to win», cioé che le guerre commerciali sono un bene e facili da vincere. Si direbbe che il presidente abbia preso un granchio. Non sappiamo se grande quanto il “muro” che avrebbe dovuto essere costruito a spese del Messico e che oggi non ottiene il via libera al Congresso, ma senza dubbio di buona misura. A meno che, dietro la dialettica della guerra commerciale, non si nasconda un progetto politico più profondo. Che dietro il claim “Make America Great Again” ci sia il meno seducente ma più sincero “Make China Small Again”. L’ascesa dell’economia cinese prosegue incontrastata da anni e arriva, in prospettiva, a minacciare la supremazia americana, mettendo gli Usa nella condizione di voler allontanare l’inevitabile, frenando la crescita cinese a qualunque costo, inclusa una recessione.

Il nodo fed: cosí il dollaro perderà terreno
Se questo è lo scenario, la speranza che le difficoltà delle grandi imprese americane possano far recedere Trump dalla sua Trade war sono prossime allo zero, piuttosto, nell’inasprirsi della crisi il presidente americano tuonerà contro la Fed pretendendo un intervento che, se i mercati andranno davvero male, dovrà - anche se malvolentieri - arrivare. La percezione di minore indipendenza della Fed da Washington toglierà fiducia al dollaro, facendogli perdere il terreno accumulato nell’ultimo anno. Un pannicello caldo per l’economia americana che, con un dollaro più debole, troverà un aiuto alle esportazioni. Il crollo di Apple in Borsa, secondo alcuni il campanello d’allarme che costringerà la Casa Bianca a cambiare politica, rischia dunque di essere - al contrario - l’inizio della concretizzazione di una richiesta che da tempo l’opinione pubblica sta elevando: il ritorno della supremazia della politica sull’economia. Bisogna stare attenti a ciò che si desidera, si rischia di ottenerlo.