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 Rientro per i 20 anni di Italiani-Europei: guarda chi si vede!
l'albero di natale a Trapani. Ne potevamo fare uno identico anche a Curno.
Travel Photograper of the Year 2018
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la coppia scoppiata
il Caravaggio: no di massa dei comuni al Piano di Svilupppo 2030







































































Bilancio. Come al gioco dell'oca si torna alla prima casella. Bruciati più di cento miliardi. Conte fa finta di niente. Tria, la guardia al bidone. Bankitalia: stime di crescita al ribasso. Giorgetti (Lega). “Se il 'contratto' non viene rispettato si torni al popolo”

Non solo dilettanti allo sbaraglio. Ai  governanti in gialloverde manca anche il senso del pudore. Poco sanno di politica economica salvo due o tre fra cui il ministro del Tesoro Tria, messo a guardia del bidone nelle lunghe e noiose notti di Bruxelles. E non pensiamo che sia uno godereccio che circola nella piazza dove è collocata la statuetta del bambino che fa pipì, un simbolo della città fra i più amati e rappresentativi. Prendete per esempio il presidente del Consiglio, diventato all'improvviso un grande statista, osannato da qualche  scribacchino. In conferenza stampa di cui parliamo in altro articolo si è presentato come il possibile vincitore del  match con la Ue, portando a casa, ammesso che alla fine di una lunga notte i Commissari Ue dal presidente Juncker a Moscovici al vicepresidente Dombvroskis l'accettino, un accordo che eviti l'apertura della procedura di infrazione per debito eccessivo. Ammesso che ciò avvenga, ma abbiamo ancora molti dubbi,visti i numeri, perché di questo si tratta, saremo tornati al punto di partenza, o quasi, quando Tria   concordava con i Commissari il numero magico, l'1,6 per arrivare all'1,8, comunque non sopra il 2% nel rapporto deficit-Pil. Insomma, si tratta di una specie di gioco dell'oca dal quale, comunque vada a finire con i numerini, ridicolo quel 2,04% con quello zero posto al centro per confondere le acque. Che ha irritato non poco i Commissari quasi fossero sbarbatelli, pronti a recepire tutto e il contrario di tutto. Non solo, ha irritato e molto il fatto che Conte, i vicepremier Salvini e Di Maio, lo stesso Tria all'ultimo momento abbiano “trovato”, o meglio “liberato” risorse, magari pescando nel sacco di un improbabile Babbo Natale.
Per volere di Salvini e Di Maio si torna al punto di partenza
La realtà è che non sanno quello che dicono. Tria afferma che si fermerà a Bruxelles finché non si arriverà all'accordo. Non si rende conto, oppure sa bene che sarà lui a pagare il prezzo più alto di una manovra dannosa per il Paese. Un vero e proprio disastro viste quante sono le risorse bruciate in questi mesi. Già, si torna al punto di partenza per volere dei Salvini e dei Di Maio firmatari del “contratto di governo”, leggi “quota cento” e  “reddito di cittadinanza”. Ma ci si torna avendo bruciato quasi 900 milioni di euro nel 2018 e se ne bruceranno altri 5 miliardi nel 2019, senza muover palla. “È il mercato bellezza”, per parafrasare una famosa battuta di Humphrey Bogart in Casablanca, riferita non al mercato ma alla stampa. Al ministero del Tesoro i “tecnici” hanno lavorato bene, tanto che quando i “numeri” della manovra di Bilancio, ancor prima del Def, il documento di economia e Finanza, l'Ufficio parlamentare di Bilancio ha detto no alla manovra, così ha fatto la Corte dei Conti, la Banca d'Italia. Ora, improvvisamente, vengono fuori nuove risorse che consentirebbero di ottenere la benedizione della Unione europea mentre, guarda caso, nel frattempo la Commissione ha fatto i conti di nuovo e mancano ancora 4,5 miliardi per raggiungere una possibile intesa. Praticamente si tornerebbe al punto di partenza, quello contrattato a settembre da Tria con i Commissari. Nel frattempo chi ha fatto i conti a livello europeo, a partire dallo stesso Parlamento  rende noto che in questi mesi, causa spread e movimenti dei mercati sono stati bruciati circa 150 miliardi.

Per la Ue mancano ancora 4,5 miliardi per dare il via libera alla manovra
Si potrebbe dire, come fa Salvini il quale ricercato per chiedergli come rispondere alle richieste della Ue, come abbiamo detto mancano ancora 4,5 miliardi, alla fine è stato rintracciato. Era in Grecia, Atene, ad assistere alla partita del Milan. Scrivono i cronisti di Repubblica che non si fa trovare, stacca il telefonino. Insomma come se dicesse un “no” secco. Nel 2019, facendo partire ad aprile la “quota cento”  con 4,5 miliardi, potrebbe andare ma Salvini pensa ai due anni successivi quando la spesa salirebbe a 8 miliardi l'anno che non ci sono. E i Commissari Ue ce ne chiedono altri 4,5 a prescindere, per dare l'assenso alla manovra. Non se ne parla proprio. Nel frattempo a conferma dei dati forniti ieri dal governatore Bce, Draghi, le stime di crescita in  Europa sono al ribasso, le previsioni non indicano niente di buono per quanto riguarda anche l'Italia, quelle sul disavanzo sono “scritte sull'acqua”, arrivano le stime di crescita di Banca d'Italia, +1%, per quest'anno, mentre le previsioni del governo parlano di un +1,5%. Non si capisce dove lo trovano, tenendo conto che, stando agli ultimi dati Istat, ancora non resi noti, quell'1% in più sarebbe uno 0,9%. Che si manterrebbe per tutto il triennio 2010-2021. Di male in peggio.

Il clima all'interno del governo gialloverde non è dei migliori
Non basta, il clima all'interno del governo non è certo dei migliori anche se Salvini e Di Maio in “pubblico”, di fronte ai media, ad un giornalismo che, a partire dai talk show, non domanda, non interroga, prende per buone le dichiarazioni rilasciate alle telecamere, ignora per esempio il malessere crescente che traspare da facebook, penetra nei siti dei pentastellati e dei leghisti, accuse pesanti rivolte ai leader per le promesse, il “libro dei sogni” l'abbiamo chiamato noi, annunciate e mai mantenute. Malessere, malumori anche a quello dei massimi vertici. Vale per tutti una dichiarazione del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, indicato come un possibile, futuro ministro del Tesoro. “Sul reddito di cittadinanza – dice – il governo non può tornare indietro ma c'è il rischio che la misura alimenti il lavoro irregolare. Piaccia o non piaccia questo governo risponde ad una volontà degli italiani e il M5s al Sud ha vinto perché gli elettori vogliono il reddito di cittadinanza. Una misura che nel contratto di governo è finalizzata ad incentivare i posti di lavoro ma il pericolo che vedo è che possa alimentare il lavoro nero”. Ancora: “L'alleanza gialloverde durerà solo a patto che il contratto sottoscritto sia rispettato: il nostro impegno dura nella misura in cui sarà possibile realizzare il contratto di governo: quando non sarà possibile finirà ma allora la parola torni al popolo perché senza il suo consenso un governo non può esistere”.

Speranza, “Salvini e Di Maio dove prendono 6,4 miliardi?”
“Dal, 2,4 di deficit/Pil al 2,04 vuol dire 6,4 miliardi di euro. Una cifra enorme che può cambiare la vita di molte persone. Di Maio e Salvini devono spiegare dove li prenderanno. Taglieranno ancora la sanità e la scuola pubblica, oppure la spesa sociale? Sono domande a cui vanno date le risposte. Quel che è certo è che così si porta a sbattere il Paese”, ha dichiarato il coordinatore nazionale di Mdp, deputato di Liberi e Uguali, Roberto Speranza, intervenendo a Skytg24 Pomeriggi
Due città diverse (o uguali ? )

Mai come in queste ore mi appaiono nitidamente due Bergamo. Giro per il centro basso, salgo dagli scaloni nel borgo alto, e tutto dice bellezza, poesia, armonia, con queste luci mai così indovinate, mai così eleganti e così calde. È la Bergamo antica e intramontabile delle botteghe, dei caffè, delle quattro chiacchiere a misura umana coi negozianti. Poi basta scendere e andare oltre la ferrovia, verso Curno e verso Orio, dove il consumatore compulsivo che hanno coltivato per bene dentro di noi trova la sua Disneyland: qui le luci sono sgargianti, esagerate, abbaglianti, tutto è grande, super, mega, a cominciare dalle code per uscire dagli svincoli, dalle distanze tra parcheggio e scaffali, dalle offerte irresistibili e dai carichi nei carrelli. La prima Bergamo è calma e pace, la seconda è corsa e frenesia. La prima affascina l'Unesco, la seconda Ryanair. La prima induce all'ascesi, la seconda alla materia. La prima resiste dignitosamente nei secoli, persino agli attentati più vili come il parcheggio sotto la Fara. La seconda si offre lasciva a chiunque alzi il prezzo, anche se qualcuno comincia ora a parlare di «saturazione», dalle nostre parti vero neologismo, dato che abbiamo sempre pensato a un riempimento senza limiti, verso l'infinito, in fondo si può sempre costruire il secondo piano del mondo, no? Sarà che è Natale e tutto risalta di più, ma la differenza tra le due Bergamo è davvero stridente. La faccenda più strana però è che ormai in questa terra ci sono anche due bergamaschi.
Cristiano Gatti

Non direi proprio che ci sono due città differenti e due Bergamaschi differenti. Non so che commozione susciti in Gatti vedere città alta e città bassa -non ovviamente Boccaleone o Longuelo...- attraversata da torme di trascinatori e trascinatrici di valige arrotate che passano da Piazza Mercato delle Scarpe a Colle Aperto a inseguire il bus to/from airport mentre scattano decine di selfies con sullo sfondo qualcosa di improbabile letto sul web condividendo con un qualcuno chissà dove una presenza di cui frega nulla ne a Bergamo e neppure a loro. Come frega a nulla l’invasione di torme di pensionati che un minuto dopo la recita della guida non ricorderanno nulla tranne i tre coglioni del Colleoni. Come frega nulla ai ventimila universitari che si riversano in città per beccarsi una laurea di valore medio basso e ciao stiamo tutti bene. La città, le due città che descrive Gatti esistono solo nella sua tastiera. Città Alta è una appendice delle gallerie dell’OrioCenter o del centro commerciale di via Fermi a Curno. Serve a vendere un po’ meglio tutto il vendibile. Stracci e straccioni compresi nel prezzo del biglietto lowcost.
Italia- Ue, finale di partita ma per l'accordo mancano 3,5 miliardi
Oggi giornata decisiva per evitare le multe e preparare le correzioni alla legge di Bilancio, il disavanzo però resta fissato al 2,04%



Si può misurare in tre miliardi e mezzo l'ultimo miglio che separa Roma da Bruxelles. È questa l'ulteriore cifra — intorno allo 0,2% del Pil — che Salvini e Di Maio dovranno accettare di mettere sul tavolo entro domani per chiudere il buco nei conti italiani ed evitare la procedura d'infrazione europea sul nostro debito. Una seconda retromarcia dopo che, mercoledì scorso, il premier Conte si era presentato da Jean- Claude Juncker con un taglio alla manovra 2019 di 6,4 miliardi per portare il deficit dal 2,4 al 2,04%. Oltretutto il governo dovrà riconoscere l'infondatezza dei numeri che ha prodotto fino ad ora, anche se la Commissione è disposta a concedere l'onore delle armi a Palazzo Chigi per permettere ai giallo-verdi si salvare la faccia di fronte agli elettori.
Dopo due giorni di negoziati no stop con i colleghi della Commissione Ue, i tecnici del Tesoro, guidati dal direttore generale Alessandro Rivera, hanno lasciato la capitale europea e sono tornati alla base. Una missione che ha dato frutti, visto che — secondo quanto filtra da dietro le quinte — l'iniziale buco da 4,5 miliardi individuato giovedì scorso da Bruxelles è sceso a 3,5. Rientrati a Roma, gli uomini del Mef hanno lavorato febbrilmente per portare a Chigi entro le prime ore di oggi la proposta che toccherà ai politici vidimare e spedire alla Commissione. Il testo che Giovanni Tria depositerà sul tavolo del premier conterrà diverse opzioni su come tagliare dalla manovra altri 3,5 miliardi di spese in deficit. Spetterà a Di Maio e Salvini decidere se e come mettere ancora mano alle forbici. E anche in fretta, visto che il negoziato con la Ue dovrà concludersi domani in modo da consentire al governo di presentare martedì il maxi emendamento con le correzioni al Senato ed evitare che il giorno successivo la Commissione lanci la procedura.
Il primo problema per i vicepremier sarà accettare le premesse del possibile accordo. Conte ha chiesto a Juncker di poter chiudere mantenendo il deficit nominale al 2,04% in modo da non sottoporre Lega ed M5S all'umiliazione del secondo arretramento con discesa sotto il 2%, giudicato mediaticamente indigeribile. Il presidente della Commissione ha accettato, ma per tenere in piedi il giochino cosmetico l'esecutivo italiano deve ammettere di avere "dopato" le cifre della manovra: il governo dovrà riconoscere che la crescita 2019 prevista all' 1,5% in realtà si attesterà intorno all' 1% e che il deficit al 2,4% inizialmente inserito nella finanziaria era frutto di calcoli viziati da ottimismo, con il disavanzo che in realtà si proiettava al 2,6%. Così, con il taglio di poco inferiore allo 0,4% annunciato mercoledì scorso e quello in discussione ora pari a circa lo 0,2% del deficit, si arriverebbe a un disavanzo " reale" del 2,04%. Ma questa volta capace davvero di far scendere il debito. In questo modo Roma finalmente rispetterebbe le regole del Patto di stabilità ed eviterebbe quella procedura Ue che rimetterebbe il Paese sulla graticola dei mercati e imporrebbe agli italiani anni di austerità.
A questo giro però il governo dovrà presentare misure credibili, altrimenti l'ultimo drammatico negoziato risulterà vano. La Commissione, infatti, per arrivare a queste cifre è stata generosa con i giallo-verdi, ha stirato le regole al massimo e ha accettato compromessi per diminuire il costo della retromarcia penta-leghista. Atteggiamento che porterebbe ad un accordo che permetterebbe di evitare nuove tempeste finanziarie sull'eurozona, come auspicano tutti i governi, a partire da quello di Angela Merkel, salvando al contempo la credibilità delle regole Ue. Ma che non può scivolare nel lassismo, altrimenti gli ortodossi in agguato all'interno della Commissione, guidati dal vicepresidente Dombrovskis, e nelle capitali della Lega anseatica, i dieci Paesi rigoristi capitanati dall'Olanda di Mark Rutte, si ribelleranno. Juncker per difendere l'eventuale patto con Roma avrà bisogno di tagli a prova di falco. In caso contrario, a un passo dalla meta, il tavolo salterà. E sarà commissariamento europeo.

Alberto D’Argenio