LEGA e 5S: separati in piazza. Il contratto non c'è più (e neppure il M5S)
In pochi mesi M5S è passato da mattatore della scena politica nazionale
a zoppicante partner di governo del leader leghista. Le cose
cambieranno. E persino in fretta. Il commento di Roberto Arditti
È un sabato bifronte quello che viviamo, perfetto specchio della
situazione “bipolare” della maggioranza di governo. Inizia Beppe Grillo
sul suo blog, sostenendo a passo di carica la manifestazione No-Tav di
oggi a Torino: “È curioso come, a difendere un buco mai fatto in val di
Susa, troviamo persone che riferiscono di appartenere a tutto lo
spettro delle realtà produttive. Dal piccolo artigiano al
medio-industriale i nuovi borghesi trovano un vessillo assolutamente
futuristico sotto il quale riunirsi. Non è una bandiera, neppure una
coccarda oppure un trattato di qualche parruccone: è una realtà fisica
enorme, costosa e inquinante. L'unica cosa che mantiene in comune con
un simbolo è la sua inutilità. Accidenti, con una bandiera puoi
bendartici una ferita di battaglia, con la Tav, l'acceleratore di
mozzarelle, non ci fai nulla. La vera curiosità è rivolta a questa
brava gente che mette il Pil insieme al progresso, compie questo gioco
di prestigio…. ma perché? La ragione è soltanto una, fare qualcosa di
inutile e costoso crea un senso di rassicurazione in molte persone. È
lo status symbol a costo zero per te che lo acclami, che addossi alla
comunità perché il menefrego della neonata classe del Pil è il vero,
nuovo, menefrego di oggi”.
Insomma un Beppe G dei tempi d'oro, quello che fa sognare parlando di
un mondo diverso, dove le regole della convivenza “borghese” vengono
scardinate in nome di istanze più moderne ed eque. Però anche un Grillo
che mai nomina il Movimento, esattamente come ha fatto nel video
diffuso in settimana che ha gettato lo scompiglio tra le file
pentastellate in Parlamento.
Prosegue Matteo Salvini sul palco a piazza del Popolo a Roma, dove però
le drammatiche notizie che vengono dalle Marche rendono l'atmosfera
meno allegra ed impongono al ministro dell'Interno di abbandonare i
toni troppo battaglieri o trionfali. Comunque Salvini sembra il gatto
che gioca con il topo. Fa sfoggio di “mitezza” e pazienza, dice che non
metterà in crisi il governo, evita accuratamente attacchi agli
avversari politici e si tiene alla larga da ogni forma di
punzecchiatura agli alleati. Al tempo stesso però si rivolge all'Italia
che produce, esattamente quella messa nel mirino da Beppe G. Nessuno
però si faccia trarre in inganno da questa mitezza. Salvini sa far di
conto ed oggi ragiona semplice semplice, forte dei sondaggi che
spingono le sue vele a folle velocità.
Lui vede benissimo che piega sta prendendo la vita interna al M5S, con
Grillo che contesta (senza mai citarli) tutti quelli che seguono la
linea “governista” di Di Maio, mentre nei gruppi parlamentari inizia a
serpeggiare il malumore, con tanto di primo passaggio di un deputato
dalla maggioranza all'opposizione (addirittura con ingresso in Forza
Italia). Ma proprio perché vede benissimo tutto questa sa anche che non
c'è motivo di calcare la mano, perché tanto i nodi arriveranno al
pettine da soli.
Già perché nella Lega sono ormai un po' tutti convinti del fatto che
sarà il Movimento a non reggere a lungo la prova del governo,
soprattutto quando in primavera si vedranno i dati economici in
ulteriore peggioramento. E quindi vale la pena vestire i panni dei
“responsabili”, incoraggiando il dialogo (peraltro già intenso) con
tutte le organizzazioni imprenditoriali, che oggi hanno in Salvini
l'unico vero interlocutore nel governo.
Ecco, questo è lo stato dell'arte. In mezzo c'è un governo il cui
contratto è da riscrivere (come ormai viene dichiarato apertamente), la
cui manovra economica si poggia su numeri già superati dalla realtà e
la cui composizione non risponde più agli equilibri reali della
coalizione. In pochi mesi insomma il M5S è passato da mattatore della
scena politica nazionale a zoppicante e riluttante partner di governo
del leader leghista con conseguenze che ancora fatichiamo a vedere, ma
che certamente consentono di affermare che le cose cambieranno. E
persino in fretta.
Roberto Arditti
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UN PIANO PER UNA SUPERFICIE DI 45 ETTARI IN CENTRO DELLA CITTA' DI BERGAMO
LO TRATTANO COME UNA LOTTIZZAZIONE VILLETTARA
Prima che sia terminato l'intervento ipotizzato dal Comune di Bergamo e
dalla Vitali sul sedime ferroviario in centro a Bergamo, la città (di
Bergamo) sarà pressoche inutile alla provincia. Tempo dieci anni uffici
ed abitazioni saranno connesse con fibra ottica ad alta velocità e
quindi tutto quel che si accentra oggi nella città potrà stare
benissimo sparso dappertutto in Bergamasca, Lombardia, Italia Europa
Mondo. Resteranno in città gli ospedali ed alcuni plessi
commerciali ma intere parti della città saranno abbandonate perché
inutilizzabili per come sono fatte. Il c.d. “centro piacentini ano”
quella sorta di cimitero oggi esaltato dalle immobiliari proprietarie
non sarà utile e necessario ne come uffici ne come abitazioni per una
ragione semplice: mancano parcheggi e trasporti. Manca il verde. E'
brutto.
Pensare quindi di risolvere con un piano –sia pure per 45 ettari- il
futuro della città è come curare l'unghia incarnita al malato di
cancro. Indubbiamente utile: male che vada andrà nella tomba con le
unghie perfette. Non male.
La stessa idea di farne un nodo di interscambio tra i diversi servizi
di trasporto collettivo non ha senso: perché mai un treno tipo
metropolitana non può correre da Milano fino a Piazza Brembana o
Valbondione e quindi bisogna cambiare due-tre mezzi prima di arrivare a
destinazione?
A che serve un pol(in)o di interscambio merci in una città SENZA
industrie? Magari ne serve uno a ovest, uno a est e un paio a sud.
Ma il nodo fondamentale è sempre lo stesso.
Ferrovia ed autostrada sono sorte in un periodo che non ha più nulla a
che fare con l'attuale. Ferrovia e A4 strangolano la città ai
piedi della collina.
Il Caravaggio strangola la città ai piedi della collina. La stazione va
spostata altrove (p.e. nel c.d. Parco Sud). La ferrovia che entra in
città da ovest va deviata dall'ospedale verso il parco Sud.
L'A4 va sposta sulla direttrice Dalmine Zanica Seriate-Cassinone se non addirittura al Portico.
Il Caravaggio deve essere collegato col centro città e sotto il Viale
del Papa e sotto la collina di città alta con una metropolitana che
sfocia nella piana di Almè e prosegue in Valle Brembana associata
corsa per corsa con la metropolitana.
I trasporti a Bergamo paiono una partita di calcio in un campo a sette
mentre il mondo è leggermente più ampio.La gente vuole giocare su campi
più ampi. Ne ha bisogno.
Col sistema attuale di ferrovie la città non potrà mai prendere l'AV. Nemmeno la TAC.
Non si potrà mai alleggerire il traffico passeggeri sul Caravaggio.
Il domani delle città (come Bergamo) sarà quello della residenza e
della cultura: ospedali musei poche architetture, la sua struttura
antica. Ma questi valori non si possono “vendere o proporre” senza il
valore aggiunto della vivibilità e soprattutto del verde.
La soluzione quindi che verrà proposta sul sedime ferroviario è errata
perché con 45 ettari non si scherza soprattutto perché nel il Comune ne
la Provincia e nemmeno la regione hanno in mente UN futuro per Bergamo.
Non puoi risolvere il futuro di una città seguendo la logica dei piani
di lottizzazione per le villette a schiera di un paesino sperduto.
Quei 45 ettari di sedime ferroviario vanno trasformati in un grande
parco urbano per la città. forse per il prossimo polo universitario che
tra dieci anni sarà necessario mettere tutto insieme.
Certo che ci vogliono soldi. Tanti euro. Ma una provincia i cui
residenti hanno in banca 23 miliardi prestati a coprire debito pubblico
forse vale la pena che ne destinino gran parte per costruirsi un futuro
e nel contempo creare lavoro e ricchezza. Prima gli italiani!?. Va
bene. Allora sotto a investire qui per noi che poi è per la
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QUANDO MANCA IL CORAGGIO PIUTTOSTO CHE I SOLDI
«Hub dei trasporti e stazione a ponte Ecco Porta Sud»
Abbandonata l'ambizione (irrealizzabile e a questo punto inutile)
di diventare il terzo centro di Bergamo, per aspirare invece a essere
un vero e proprio hub della mobilità di taglio europeo. In questa
trasformazione un ruolo centrale lo giocherà la nuova stazione dei
treni a ponte, collegata con autolinee (spostate) e tram, grazie anche
al primo tratto di via Gavazzeni che cambierà tracciato.
Prende forma il masterplan dell'ex Porta Sud, i 450 mila metri quadri
dello scalo merci che un team multidisciplinare e internazionale
(incaricato dalla Vitali spa di Cisano che si è aggiudicata il bando di
gara) sta ridisegnando. I risultati si vedranno in un arco temporale di
dieci anni, per un investimento che si aggira tra i 750 milioni e il
miliardo di euro, ma il viaggio da qui al 2028 è partito, e ad
accompagnare il pubblico (tra addetti ai lavori e rappresentanti di
quartiere) della sala Alabastro del Centro congressi ieri – nel primo
dei tre incontri del percorso partecipativo «Bergamo la città del
futuro» – ci hanno pensato i progettisti, che hanno scoperto le prime
carte, punzecchiati da quel genio del giornalismo che risponde al nome
di Dino Nikpalj, vice caporedattore de L'Eco. L'architetto
Attilio Gobbi in punta di mouse traccia al monitor linee e passaggi
(col sindaco Giorgio Gori che simpaticamente lo invita a non svelare
troppo), poi arriva a dare man forte l'archistar spagnolo Francisco
Mangado che, nonostante l'italiano zoppicante (per il quale si scusa),
si fa intendere a meraviglia.
Il disegno
«Compatibilmente col tessuto già esistente – svela Gobbi –
ridisegneremo il primo tratto di via Gavazzeni. Dall'altezza dell'ex
gasometro anziché passare davanti al Patronato e all'Humanitas
Gavazzeni entrerà nelle aree dello scalo merci, entro cui verranno
portati anche gli autobus del Tpl, con una nuova stazione autolinee».
Anche la stazione dei treni «verrà girata di 90°, in pratica sorgerà
sul nuovo parco-collina, come una sorte di ponte, che collega Teb, bus
e la discesa dei treni». Per semplificare non si scenderà più ai binari
tramite sottopassaggi, come ora, ma si passerà «dall'alto», per
intenderci sull'esempio delle stazioni inglesi. La stazione «è un tema
centrale
dell'intera operazione, dovrà diventare vero punto di interscambio tra
i diversi vettori (tram, treno, autobus, auto)», insiste anche Umberto
Lebruto, ad di Sistemi urbani, la società delle ferrovie per la
valorizzazione del patrimonio urbano, titolare del bando che ha
assegnato la progettazione, e che proprio a Bergamo (prima che a Milano
e a Roma) ha capovolto la piramide: «Non siamo partiti da un progetto
imposto, ma dalla ricerca sul mercato di uno “sviluppatore” che un
progetto lo proponesse».
E pure Gianni Scarfone, ad di Teb, non usa giri di parole: «La stazione
attuale dal punto di vista funzionale non è adeguata e impedisce
qualsiasi ragionamento per passare all'idea di un vero e proprio polo
intermodale. Per favorire l'interscambio tra sistema ferroviario e
sistema tramviario il ripensamento della stazione ferroviaria è
fondamentale». Ricordando, come in prospettiva, dai 70 mila movimenti
giornalieri sull'area si passerà nei prossimi dieci anni a un volume di
oltre 110 mila passeggeri medi al giorno. Mangado ammette che fin da
quando ha mosso i primi passi nell'area ha intuito che dalla stazione
bisognava ripartire (anche in vista del raddoppio Ponte-Montello e del
collegamento su ferro con l'aeroporto), in un piano complessivo, però,
che oltre alle infrastrutture, guardi soprattutto alla sostenibilità
ambientale.
Il paesaggio
«Continuità» è la parola chiave del paesaggista portoghese di fama
mondiale Joao Ferreira Nunes (l'intervento come sempre più poetico e
suggestivo). «Continuità non solo spaziale, ma anche nel tempo, come
coerenza di una costruzione collettiva nel corso degli anni», dice. In
pratica non esiste futuro senza passato, per cui ricucire le due parti
della città ora separate dai binari significa anche dare una visione
d'insieme tra il nuovo e lo «storico» (centro piacentiniano e Città
Alta). Il colpo d'occhio unitario che si avrà appunto dal nuovo
parco-collina, più volte definito sul modello di Central Park. «Abbiamo
di fatto ribaltato la logica del precedente Piano Marinoni – spiega
Cristian Vitali, ad dell'omonima società di Cisano –: laddove prevedeva
la piastra artificiale con gli edifici, noi abbiamo immaginato il
parco. L'edificazione la lasciamo ai margini, ricucendola col tessuto
già costruito. In questo modo ci sono dei vantaggi, come la riduzione
delle interferenze con Rfi e dei costi, così come la possibilità di
realizzare il progetto per lotti funzionali immediatamente
cantierabili».
I costi e le funzioni
Arrivando così dritti dritti alla questione del business plan, un punto
sensibile, visto che la sfida è da far tremare i polsi e in dieci anni
può cambiare il mondo. «Procedere per lotti – aggiunge Vitali – ci
garantisce la sostenibilità finanziaria, interloquendo con investitori
istituzionali internazionali e partner locali (sono già arrivate
parecchie manifestazioni d'interesse), e ci permette anche di
sperimentare forme nuove, come il crowdfunding».
Fondamentali, in questo senso, anche le àncore-d'eccellenza che
gravitano sull'area (dal polo scolastico a quello sanitario): «Un po'
come sull'area dell'Expo, solo che qui ci sono già, mentre a Milano
devono ancora trasferirsi». E le nuove funzioni che potranno
insediarsi, come l'Inps che mira a riunire qui le sue sedi. «Siamo
pronti a scendere in campo e a giocare la nostra parte, visto che siamo
seduti in panchina dal 1992 (quando si è iniziato a parlare di un
intervento nell'area, ndr) – assicura Vittorio Feliciani, direttore
provinciale dell'Inps –: il nostro obiettivo è accorpare in una
struttura più funzionale e più piccola le nostre quattro attuali sedi
cittadine. Abbiamo già partecipato a diversi incontri per cercare la
soluzione migliore». Un attore non da poco l'Inps, visto che è
proprietaria di alcune aree in zona e visto che nei suoi uffici
mobilita 70 mila persone all'anno.
Benedetta Ravizza
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