La protesta dei piccoli che spaventa il governo
La prima mossa è stata di Luigi Di Maio che mercoledì ha creato dal
nulla un tavolo di consultazione permanente per le Pmi al ministero
dello Sviluppo economico e lo ha convocato già per martedì 11. La
seconda è venuta da Matteo Salvini che ha invitato le 12 associazioni
protagoniste della manifestazione Sì Tav di Torino al Viminale per
dopodomani, domenica 9.
Chi vuole può ricamare su questa doppia iniziativa, sul timing e
sull'implicita concorrenza tra ministero dell'Interno e Mise, ma il
minimo comune denominatore è che la doppia convocazione tradisce il
nervosismo dei due leader che accusano un (parziale) deficit di
consenso e immediatamente si muovono per recuperare terreno. Sullo
sfondo c'è un'altra manifestazione, quella convocata da Confartigianato
a Milano per giovedì 13 con più di 1.500 piccoli imprenditori
provenienti da tutta Italia. Una mobilitazione che per ora dimostra
come il governo non sia riuscito nel suo primitivo intento, separare i
grandi industriali dai Piccoli. Una scelta quasi obbligata per chi ha
costruito le sue fortune sulla contrapposizione tra élite e popolo ma
evidentemente qualcosa è andato storto.
L'infortunio numero uno è stato sicuramente rappresentato dalla legge
Dignità che ha messo in ambasce i Piccoli più dei grandi perché anche
loro hanno bisogno di flessibilità negli organici. Incassato però il
primo uppercut da Di Maio, le Pmi si sono trovate davanti un altro
avversario, ben più pericoloso: il ciclo economico avverso. Se infatti
dovessimo davvero precipitare in recessione le piccole imprese
subirebbero la «seconda selezione darwiniana» dopo quella del
2008-2015. Nei sette anni bui della Grande Crisi si stima che un quinto
delle piccole aziende sono uscite dal mercato. Consumi in ribasso,
investimenti al palo, mattone in declino e concorrenza cinese sui
prodotti a basso valore aggiunto hanno messo fuorigioco una buona fetta
di Piccoli e ora si rischia il bis. E la manovra che il governo sta
partorendo con molta fatica non è d'aiuto per scongiurare il peggio,
puntando sulla redistribuzione e non sullo sviluppo non salverà la Pmi
da un'eventuale nuova decimazione.
La Confartigianato lo sa e il manifesto dei Sì che convoca la
manifestazione di Milano parla di crescita e infrastrutture. Specie i
veneti, che per l'intasamento delle strade vedono le merci viaggiare a
20 km l'ora, temono per la tenuta dei loro rapporti di fornitura con le
filiere vincenti. E hanno per di più la paura di uscire dall'euro
rischiando di restare ai margini di quell'area tedesca allargata che
considerano comunque la loro polizza vita. Di Maio e Salvini sono
coscienti che la manovra — avendo altri obiettivi — è una pistola
scarica per tentare di allontanare la recessione ma non vogliono
presentarsi a mani vuote ai prossimi appuntamenti con i Piccoli. Da qui
un intenso lavorio che mixa misure da inserire nella legge di Stabilità
e altre da effetto-annuncio. La deducibilità dell'Imu sui capannoni
sarà raddoppiata dal 20 al 40%, l'odiato Sistri — il sistema dei
rifiuti — dovrebbe essere abolito dal 1°gennaio 2019, c'è la promessa
anche di rivedere le tariffe Inail per le Pmi e, per ora a parole, di
stracciare il Codice degli appalti. Insomma i due vicepremier stanno in
questi giorni confezionando una lista di interventi mirati ad ammansire
i Piccoli. Nel gergo delle associazioni vengono chiamate misure «a
basso costo ed alto impatto» e dovrebbero servire a far dimenticare
agli artigiani non solo lo spread e le contraddizioni sulle
infrastrutture ma anche una politica fiscale che, come ha sostenuto
l'Istat nel corso dell'audizione parlamentare sulla manovra, nel 2019
aumenta il carico fiscale sulle imprese (tutte) di ben 6,2 miliardi.
Ce la faranno Di Maio e Salvini? La manifestazione del 13 sarà un test
probante ma il ministro dell'Interno in questa sua rincorsa alle Pmi
deve tener d'occhio anche il fronte interno al suo partito. I
governatori delle Regioni del Nord ma anche qualificati esponenti della
delegazione verde al governo sono la voce — se non diretta espressione
— del mondo delle Pmi soprattutto in Lombardia e Veneto e non possono
permettersi che lo strappo dalla politica romana si allarghi sul
territorio. Da qui il messaggio a Matteo: scherza con i fanti ma
attento ai Piccoli.
Dario Di Vico
|
PREPARANO IL BILANCIO 2019
Nel corso del 2018 il Consiglio Comunale è stato chiamato (finora...)
ad approvare OTTO variazioni del Bilancio e quasi sicuramente ce ne
sarà ancora una prima di fine anno oltre a quelle adottate dall'ufficio
via semplice determinazione. Tranne quella relativa al recupero fondi
per pagare la sentenza dei Leggeri si è trattato di una specie di
rincorsa a prendi di qua e metti di la perché di soldi ne sono arrivati
pochi, tranne quelli già fissati. Ci sarebbe un malloppone di multe ed
oneri vari (230 mila euro?) da riscuotere ma probabilmente sono in
attesa del sol dell'avvenire come tutti gli altri comuni italiani.
Con l'approvazione di una decina di delibere la giunta Gamba ha avviato
il percorso per l'approvazione del Bilancio di Previsione 2019. A prima
vista paiono delibere fotocopia di quelle dell'anno precedente visto
che «preso atto che quindi al fine di contenere il livello complessivo
della pressione tributaria, in coerenza con gli equilibri generali di
finanza pubblica, anche per l'anno 2018 era stata sospesa l'efficacia
delle leggi regionali e delle deliberazioni degli enti locali nella
parte in cui prevedono aumenti dei tributi e delle addizionali
attribuiti alle regioni e agli enti locali con legge dello Stato
rispetto ai livelli di aliquote o tariffe applicabili per l'anno 2015.»
.
La cosa che stupisce sono della TASI la Manutenzione beni patrimoniali
per 355 mila euro e il Canone di Partenariato Pubblico per 187mila euro
(illuminazione pubblica e rifacimento impianto). Queste spese sono
sempre a totale carico di residenti e partite IVA. Solleva perplessità
dal momento che in queste due voci NON sono compresi beni e servizi
importanti attinenti ai due CVI che perlomeno ne faranno aumentare i
conti di altri 100mila euro l'anno.
Nel pacchetto di atti pubblicati in queste ore figura p.e. la
determinazione per affidamento lavori di manutenzione impianti
meccanici della scuola primaria Rodari in quanto si é verificato un
malfunzionamento dell'impianto di riscaldamento e relative
problematiche strutturali sullo stesso in particolare riguardo a due
aule della sezione potenziata e alcuni locali dell'ufficio segreteria.
Così viene affidato a una ditta un intervento per circa 10,2 mila euro
al fine di risolvere i problemi visto che chi aveva messo a posto
l'impianto precedentemente se l'è svignata. Bisognerebbe sapere-capire
il perché se la sia svignata.
In altra determinazione si legge dell' affidamento servizio di
progettazione impianti elettrici presso il CVI 2 per un totale di
euro 9.642.
Il cittadino pensava sperava che con l'affidamento ad una ditta
della manutenzione e mantenimento dei beni pubblici oppure coll'arrivo
della dita per la fornitura energia elettrica e rifacimento impianti
illuminazione pubblica certi problemi non ci fossero più e invece
basta scorrere l'albo pretorio per verificare come ci sia costantemente
uno stillicidio di determine per aggiustare questo quello
quell'altro che... non sono compresi nei lussuosissimi contratti.
Comunque la si giri questo significa che o l'insieme (previsione
contratto somme da destinare) è stato fatto alla bella meglio e
quindi c'è parecchio da aggiustare (e quindi la spesa aumenterà).
Conclusione. Nei due contratti mancano p.e. i beni e i servizi dei CVI.
Mancano decine se non centinaia di problemi che vengono via via alla
luce e che si leggono nelle relative determine di spesa. Curno é un
comune che ha bisogno di alcuni mesi prima di risolvere problemi
normali perché manca del minimo di programmazione. Da quanti mesi il
tombino di via IV Novembre è per aria? E' una novità che un comune
debba affrontare il problema di qualche tombino sfondato? Non riescono
a «stare pronti»? E che dire dei 2-3 pali dell'illuminazione di Largo
Vittoria che sono stati rimossi e che sono occorsi più di due mesi
prima di rimetterli a posto? Sarebbe una novità che un comune di mille
pali d'illuminazione ogni mese ne vengano travolti o si rovini qualcuno
e quindi ci fosse pronta la sostituzione in 24 ore? Insomma:
siamo ridotti nella palta perché manca “la testa”: quella politica e
quella tecnico ed amministrativa. Stamattina 07.12 l'assessore
competente cura la messa in posa dell'albero di natale in piazza e non
vede che a cento metri di distanza stanno rimettendo a posto tre
pali senza nemmeno la segnaletica di ingombro e pericolo per
strada. Un paese sporco, pulito sommariamente, col verde cadente,
coi marciapiedi sbagliati al90% e ridotti a montagne russe. Però
abbiamo lo spazio per far cacare i cani. Che vogliamo di più? :
RistoCurno Polenta 2.0.
|
LA RESPONSABILITA’ DI STAMPA E TV
Le «pillole di CENSIS» tratte dal 52° Rapporto Censis sulla
situazione sociale del Paese descrivono un paese come lo stanno
costruendo da almeno dieci anni carta e televisioni nazionali, il cui
numero è esploso nonostante la mancanza di pubblicità senza
aumentare quantità e qualità dei contenuti ma diventando un
copia-incolla delle mille dichiarazioni per lo più idiote dei politici
che frequentano gli studi televisivi e poi debordano sulle pagine dei
giornali. Non che i media debbano descrivere un’Italia felice
ricca contenta che non esiste ma che questo drammatico quadro sia stato
creato massicciamente proprio dalle televisioni e dai giornali (i cui
giornalisti presidiano trasmissioni 24 ore su 24 senza rendersi conto
che in questo modo distruggono proprio i loro giornali...) è evidente.
Laddove non arrivano i talkshow a creare disinformazione arriva il
presidio 24h724h della coppia Salvini-DiMaio che mettiamo
come modello deteriore. L’Italia va male o è messa male per colpa della
stampa e della TV, quindi?. Un’Italia messa male produce una tv fatta
male, redatta da giornalisti ignoranti e di scarsa cultura che costano
poco al padrone del mezzo. L’alluvione di talkshow ne è il segnale più
evidente: il costo di produzione è minimo (se non irrisorio: costa di
più la corrente per fare funzionare i ripetitori) e il mezzo serve non
tanto a creare consenso ma soprattutto a confermarlo. Così accade
che un ministro da solo o in tv diventa committente di un
quotidiano "hate speech". Con il giochetto del bacione o del
sorrisetto, firma una delega in bianco ai cittadini perché si tuffino
nel linciaggio del bersaglio indicato.
PILLOLE DI CENSIS
Nell'Unione europea con la più bassa quota di cittadini che affermano
di aver raggiunto una condizione socio-economica migliore di quella dei
genitori: il 23%, contro una media Ue del 30%, il 43% in Danimarca, il
41% in Svezia, il 33% in Germania. Il 96% delle persone con un basso
titolo di studio e l'89% di quelle a basso reddito sono convinte che
resteranno nella loro condizione attuale, ritenendo irrealistico poter
diventare benestanti nel corso della propria vita. E il 56,3% degli
italiani dichiara che non è vero che le cose nel nostro Paese hanno
iniziato a cambiare veramente. Il 63,6% è convinto che nessuno ne
difende interessi e identità, devono pensarci da soli (e la quota sale
al 72% tra chi possiede un basso titolo di studio e al 71,3% tra chi
può contare solo su redditi bassi).
Nel periodo 2014-2017 le famiglie operaie hanno registrato un -1,8% in
termini reali della spesa per consumi, mentre quelle degli imprenditori
un +6,6%. Fatta 100 la spesa media delle famiglie italiane, quelle
operaie si posizionano oggi a 72 (erano a 76 nel 2014), quelle degli
imprenditori a 123 (erano a 120 nel 2014).
I consumi complessivi delle famiglie non sono ancora tornati ai livelli
pre-crisi (-2,7% in termini reali nel 2017 rispetto al 2007), ma la
spesa per i telefoni è più che triplicata nel decennio (+221,6%):
nell'ultimo anno si sono spesi 23,7 miliardi di euro per cellulari,
servizi di telefonia e traffico dati.
L'area del non voto in Italia si compone di 13,7 milioni di persone
alla Camera e 12,6 milioni al Senato: sono gli astenuti e i votanti
scheda bianca o nulla alle ultime elezioni politiche. La percentuale
dell'area del non voto sul totale degli aventi diritto è salita
dall'11,3% del 1968 al 23,5% del 1996, fino al 29,4% del 2018. Il 49,5%
degli italiani ritiene che gli attuali politici siano tutti uguali, e
la quota sale al 52,2% tra chi ha un titolo di studio basso e al 54,8%
tra le persone a basso reddito.
L'abilità nel muoversi nella post-verità è la cifra del successo
politico, se il 68,3% degli italiani ritiene che le fake news hanno un
impatto «molto» o «abbastanza» importante nell'orientare l'opinione
pubblica.
E tutto ciò si svolge per la gran parte dentro l'Europa (il 55,6% del
valore dell'export). Su 90,6 milioni di viaggiatori stranieri entrati
in Italia nel 2017, ben 63,3 milioni (il 69,9% del totale) provenivano
da Paesi europei. Dei 39,2 miliardi di euro spesi in Italia dai turisti
stranieri, 22,8 miliardi sono attribuibili ai turisti europei (il 58,2%
del totale).
Alla vigilia delle elezioni europee del 2014, nel mezzo della crisi, i
cittadini dei 28 Stati che dichiaravano di avere fiducia nell'Ue erano
il 31%, ovvero 11 punti in meno del valore registrato nella primavera
di quest'anno (42%).
La quota di cittadini europei di età compresa tra 15 e 34 anni è pari
al 23,7%, quella dei giovanissimi (15-24 anni) ha un'incidenza di poco
superiore al 10%. In dieci anni, dal 2007 al 2017, la coorte dei
15-34enni si è contratta dell'8%. L'Italia, con la sua quota del 20,8%
di giovani di 15-34 anni sulla popolazione complessiva, di tutti i 28
Paesi membri dell'Ue è quello con la più bassa percentuale di giovani,
diminuita nel decennio del 9,3%.
Tra il 2000 e il 2017 nel nostro Paese il salario medio annuo è
aumentato solo dell'1,4% in termini reali. La differenza è pari a poco
più di 400 euro annui, 32 euro in più se considerati su 13 mensilità.
Nello stesso periodo in Germania l'incremento è stato del 13,6%, quasi
5.000 euro annui in più, e in Francia di oltre 6.000 euro, cioè 20,4
punti percentuali in più. Se nel 2000 il salario medio italiano
rappresentava l'83% di quello tedesco, nel 2017 è sceso al 74% e la
forbice si è allargata di 9 punti.
L'Italia investe in istruzione e formazione il 3,9% del Pil, contro una
media europea del 4,7%. Investono meno di noi solo Slovacchia (3,8%),
Romania (3,7%), Bulgaria (3,4%) e Irlanda (3,3%). Tra il 2014 e il 2017
i laureati italiani di 30-34 anni sono passati dal 23,9% al 26,9%, ma
nello stesso periodo la media Ue è salita dal 37,9% al 39,9%: ben 13
punti percentuali in più. Gli abbandoni precoci dei percorsi di
istruzione nel 2017 riguardano il 14% dei giovani 18-24enni, contro una
media Ue del 10,6%.
Il divario più ampio è relativo all'educazione terziaria: in Italia si
spendono 11.257 dollari per studente (7.352 dollari se si escludono le
spese per ricerca e sviluppo), mentre la media europea è pari a 15.998
dollari (11.132 dollari senza la R&S), con una differenza dunque di
ben 4.741 dollari (il 42% in più).
Le separazioni sono aumentate dalle 80.407 del 2006 alle 91.706 del
2015 (+14%), mentre i divorzi, anche per impulso della legge sul
«divorzio breve», raddoppiano letteralmente, passando dai 49.534 del
2006 ai 99.071 del 2016 (+100%). E cresce la «singletudine»: le persone
sole non vedove sono aumentate de 50,3% dal 2007 al 2017 e oggi sono
poco più di 5 milioni.
http://www.censis.it/7?shadow_comunicato_stampa=121184
|