La proposta di Finanziaria di Confindustria
IL PIANETA DELLE IMPRESE
Le associazioni imprenditoriali hanno manifestato a Torino contro le
politiche economiche del governo. Ma quanto sono credibili in questa
protesta? Alla recente assise di Verona, Confindustria ha presentato un
corposo documento di proposte. Molte sono condivisibili, e il documento
ha il pregio, in parecchi casi, di entrare nei dettagli ben più dei
programmi dei partiti. Ma se si fanno bene i conti le proposte
comportano, a regime tra cinque anni, un aumento del disavanzo di
almeno 37 miliardi l'anno, ben il 2 per cento del Pil: al confronto,
l'aumento di pochi miliardi nel bilancio dell'attuale governo è
noccioline.
E non è tutto: nel documento ci sono solo misure a favore delle
imprese, compresi corposissimi tagli di tasse. Confindustria non
propone assolutamente niente in tema di sostegno alla povertà e alla
disoccupazione. Se si includessero queste voci, che nessun governo
responsabile può ignorare, il disavanzo aumenterebbe ulteriormente, e
di molto.
Ma c'è ancora di più: il disavanzo aumenta "solo" di 37 miliardi perché
si prevedono altrettanti risparmi da tre voci che, quando menzionate
nei programmi dei partiti, tutti concordavano essere irrealistiche. Una
revisione della spesa di ben 17 miliardi, quasi l'1 per cento del Pil,
ma come sempre senza sporcarsi le mani, senza dare alcuna indicazione
su cosa e come tagliare. L'immancabile recupero dell'evasione per 15
miliardi, anche qui senza dirci ( se non ripetendo le solite
raccomandazioni) come e perché improvvisamente dovremmo diventare così
bravi a fare emergere il nero. E la vendita di un terzo dei beni
immobili disponibili, per 17 miliardi in 5 anni, la stessa cifra
saltata fuori dal cilindro dell'attuale governo, anche se nel caso di
Confindustria leggermente meno irrealistica perché diluita su cinque
anni.
Le altre maggiori entrate, per 5 miliardi, verrebbero da quattro voci
che, se attuate tutte insieme, scatenerebbero la rivolta popolare e
letteralmente insanguinerebbero le nostre strade: l'aumento delle tasse
universitarie e scolastiche, dei ticket sanitari, e dei biglietti del
trasporto urbano. Tutte, eccetto l'ultima, progressive e con fasce di
esenzione per i meno abbienti. Personalmente sono favorevole a queste
proposte, per una questione di giustizia sociale. Ma nel clima attuale
hanno una probabilità di essere attuate pari a zero: è come chiedere al
governo di bersi un bicchiere di cicuta.
Di fatto, quindi, la proposta di Confindustria aumenterebbe il
disavanzo di ben più del 2 per cento del Pil, diciamo almeno 3. Per
fare cosa? Quattro tipi di interventi: un enorme piano di investimenti
pubblici, per oltre 45 miliardi all'anno a regime; interventi nella
pubblica amministrazione, scuola e sanità per 6 miliardi; una riduzione
della pressione fiscale per 27 miliardi, tutta sulle imprese eccetto
per sgravi contributivi e fiscali per i giovani neoassunti; e il
rafforzamento di Industria 4.0 per 3 miliardi.
Il lettore può giudicare quanto sia opportuno, in generale ma
particolarmente nell'attuale clima politico e sociale, proporre misure
così enormi ma solo per le imprese: si ha l'impressione che a furia di
scrutare il cielo in Viale dell'Astronomia vivano su un altro pianeta.
Ma è opportuno soffermarsi su una voce in particolare: gli enormi
investimenti pubblici. Ancora una volta in gran parte mancano i
dettagli, ma sappiamo che dovrebbero essere finanziati per 58 miliardi
con l'emissione di eurobond, cioè con titoli di debito pubblico per cui
sono responsabili in solido tutti i Paesi dell'eurozona: una
mutualizzazione nemmeno tanto sofisticata del debito pubblico italiano.
Non succederanno mai: tutti i politici nordeuropei hanno fatto sapere
che è una proposta irricevibile, nessuno di loro si suiciderebbe
andando a dire ai propri elettori che si è assunto la garanzia del
debito pubblico italiano… e chi può biasimarli?
Confindustria obietterà che gli investimenti pubblici e il taglio delle
tasse faranno aumentare il Pil così tanto che il disavanzo e il debito
pubblico diminuiranno. Infatti il documento prevede una crescita dell'
1,9 per cento il primo anno e del 2,5 per cento al quinto, e una
riduzione del rapporto debito/ Pil di 20 punti percentuali: anche in
questo il governo attuale, che pure, e sempre con la scusa dei
moltiplicatori degli investimenti pubblici, fa previsioni di crescita
enormemente superiori a quelle di qualsiasi altro umano, al confronto
risalta per la sua moderazione. È un peccato che Confindustria si
abbassi agli stessi livelli.
Roberto Perotti
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Fioccano
consigli dai giornali al PD perché s'ammazzi meglio ed alla svelta. Se
Renzi non scompare dall'orizzonte tutto quel che succede è colpa sua.
Ieri oggi domani posdomani. Se Renzi sostiene apertamente Minniti
sicuro che danneggia Minniti. Se Renzi non sostiene apertamente Minniti
sicuro che danneggia Minniti. Insomma Renzi non va bene ai
maggiori giornalisti e reggitori dei talkshow perché non ne fa
nessuna che vada bene loro. La faccenda è che ormai abbiamo una classe
politica cresciuta inutilmente nella scuola dell'obbligo a tempo pieno
e nelle cento università di provincia con alle spalle un po' di vacanze
studio all'estero per pochi che si credono novelli Churchill
DeDaulle Adenauer quando non Andreotti . Insomma: il materiale
umano che ha una formazione posticcia guadagnata con tre bigini per
esame e tra quello bisogna trovare i politici da mettere al
governo. Alla fine della fiera non esiste grande differenza tra le mega
cazzate di un Toninelli e quelle combinate a suo tempo da un Alfano
–classe 1970- che pure fece lo scientifico ad Agrigento la Cattolica a
Milano. Dimenticando il suo collega di partito: quello degli orologi
d'oro. Pure il Renzi aveva portato appresso nel governo una corte con
qualche asino e qualche asinella. Però le aziende del padre di Renzi
non avevano fatto condoni edilizie (ne per stalle trasformate in
residence ne per aggetti siffredici…) e non avevano ciulato 170mila
euro di tasse e contributi allo stato. Come la Ardima dei DiMaio.
Nemmeno il padre della iper-mega-super dileggiata Boschi ne aveva
combinate del genere: pure quello un classico amministratore di
banchette locali: semmai emulo di uno Zonin. Indubbiamente la corte
renziana non misurava la circonferenza su 370 gradi e nemmeno rifiutava
i vaccini. Una mezza o intera dozzina di piani di intelligenza e
preparazione in più rispetto alla corte del Conte&SalviMaio ci
stavano eccome. Padoan rispetto a un Tria e a un DiMaio erano giorno
crepuscolo e notte. Adesso ci sono sei sette otto candidati alla
segreteria nazionale del PD e tranne forse due il resto sono scartini.
Bravi ragazzi ma scartini. Scegliere tra Zingaretti e Minniti? Ah! C'è
anche Martina.Noi ricordiamo il bidone subito dagli italiani con
Bersani. Bravino come ministro sotto la guida di Prodi ed una frana
–anzi: uno tsunami- da solo. Temiamo che anche Zingaretti e Minniti
siano della stessa pasta e scuola. Degli zero in politica quella con la
p maiuscola come occorre a livello nazionale. Adesso Minniti dice di
ritirarsi per il bene del PD. Deve avere realizzato che il problema non
sta nel mancato sostegno di Renzi ne il numero eccessivo di
concorrenti. Esattamente come Renzi ha probabilmente compreso che il
“dopo” governo dei 5S+Lega ci sarà un'Italia di rimettere in piedi e
non si comprende come e perché uno dovrebbe suicidarsi. Esattamente
com'è toccato a Renzi dopo B. Monti Letta. E poi a mons. Gentiloni. Il
problema più che nel PD sta negli italiani elettori: cui importa più il
RdC e quota 100 che il proprio futuro.
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Al
custode delLa Latrina di Nusquamia, l'ing. Claudio Piga adbuano di
origni sardAgnole con ascendenze garibaldine in Valcamonica, uno che ha
fatto il classico dai preti dove pure ci stette l'Antonio Gransci
(facendo intendere che per proprietà transitiva come la scienza del
primo sia passata pure al secondo…), con qualche cugggino fascista che
scriveva su riviste fasciste, dicevamo che al custode delLa Latrina di
Nusquamia deve essergli bruciato assai il nostro buffetto
sull'appartenenza in versione light a quella categoria che usa i
beni pubblici per promuovere il proprio lavoro senza compensare il
Paese dello sfruttamento di quei beni pubblici, così quello che mette
in piedi imprese grafiche alloggiandole in un negozio di fiorista
(sarebbe una violazione edilizia da condonare: leggasi DiMaio Ardima) )
e pubblicizzi la dittarella dimenticando di indicare la partita IVA
semmai sia stata chiesta. Davvero questa della Daedalus-Lab
alloggiata nel negozio di fiorista all'insaputa del proprietario da
parte della coppia Piga&Gandolfi pare (evasione contributi a parte)
assai simile a quella del padre di Giacchettina col sovrappiù “erotico”
dell'aggetto siffredico (nostro copyright) che pare sia stato
denunciato non da un consigliere regionale (come fa intendere il
custode sardAgnolo) ma da un ex dipendente comunale–lui siculo e
missino consolidato- tramite i suoi ex camerati in Regione. Qualche
battuta raccolta nelle osterie curnesi mormora che il Comune abbia
chiesto aggiustamenti degli oneri locali pregressi sull'attività della
Daedalus-Lab. Tacciamo altrimenti ci becchiamo d'essere delatori e pure
zabette, nel senso che s'incazza visto che g
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«Sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte". L'accusa che fa tremare Luigi Di Maio
Il Pd sta per presentare un esposto alla procura di Napoli per il caso
della ditta di famiglia. Oggi il vicepremier la mette in liquidazione
Uno, più di tutti gli altri, ormai da qualche giorno, è l'incubo che
non fa dormire Luigi Di Maio. Ha un nome: sottrazione fraudolenta al
pagamento delle imposte. Ed è su questo punto che il Pd, presentando
nei prossimi giorni un esposto alla procura di Napoli, si batterà per
fare chiarezza sull'azienda di famiglia, l'Ardima costruzioni. L'Ardima
all'inizio era intestata al padre Antonio, ma poi a causa dei debiti
con Equitalia, cartelle da 176mila euro, l'ha chiusa. Quindi ne ha
aperta un'altra a nome della moglie, che in quanto dipendente pubblico
però non poteva essere titolare di una società. Non finisce qui. Nel
2012 viene aperta una terza azienda, Ardima srl, a nome di Luigi Di
Maio e della sorella Rosalba. In questa azienda, da oggi in
liquidazione, nel 2014 è confluita l'azienda della madre.
Quindi il deputato Pd Carmelo Miceli, avvocato siciliano che già si è
occupato del caso firme false che ha coinvolto il Movimento 5 Stelle,
sostiene che "l'attività viene sempre gestita dal padre di Di Maio. Se
una ditta chiude per debiti e trasferisce il proprio patrimonio ad
un'altra ditta è un reato molto grave punito dall'articolo 648 del
codice penale, ricettazione. C'è una evidente continuità tra le due
operazioni". Una tesi che secondo il deputato del Pd si può dimostrare
attraverso i bilanci delle due società: "Quando la ditta individuale di
Antonio Di Maio chiude, ha un patrimonio di 80 mila 258 euro. Quando
apre la Ardima rimane inattiva per due anni eppure, nonostante questo
periodo di inattività, l'anno seguente risultano 16 mila euro che non
siamo riusciti ad attribuire ad alcuna attività, forse una
progettazione? L'anno successivo, però, risulta un aumento di capitale
che porta il patrimonio complessivo, da 20mila euro, a 102mila euro.
Sembrerebbe che gli 80 mila euro della ditta individuale si siano
trasferiti così alla nuova Ardima e quindi poi a quella di Di Maio in
continuità con le precedenti. Tutto questo costituisce operazione di
ricettazione e intestazione fittizia".
Ecco quindi l'ipotesi di reato che Miceli presenterà in Procura
affinché venga valutata: sottrazione fraudolenta al pagamento delle
imposte. Le altre ipotesi riguardano falso in bilancio, intestazione
fittizia di beni, fino alla ricettazione e al riciclaggio. "Capisco la
fretta della famiglia di liquidare la società - aggiunge Miceli - ma
non può finire con uno 'scurdammece o passato'. Di Maio spieghi tra le
altre cose perché il padre è rimasto gestore di fatto della ditta e lui
invece si è disinteressato dell'azienda. Non si può lottare contro i
vizi dell'italiano medio e poi essere più medio degli altri".
Sempre il Pd ha chiesto al governo di parlare in Aula al Senato con
un'informativa del caso che coinvolto Di Maio. Ma niente da fare. La
maggioranza ha respinto la richiesta. I dem hanno intenzione di fare
sul serio e davanti a una denuncia la procura dovrà valutare le carte e
decidere se archiviare tutto o se aprire un fascicolo.
La comunicazione M5S si porta avanti con il lavoro e 'arruola'
l'avvocato di Diego Armando Maradona, Angelo Pisani, per rispondere
alle accuse. Dallo staff è stato inviato un messaggio per segnalare ai
giornalisti un intervento, pubblicato sul sito juorno.it, dall'uomo che
ha difeso il 'Pibe de oro' nella disputa legale con il fisco italiano.
"Sto leggendo un sacco di cose poco serie sulle questione fiscali e
tributarie che taluni giornalisti attribuiscono alla famiglia Di Maio.
Pare strano che oggi i giornalisti si accorgano che esistono le
ipoteche di Equitalia. Se il fisco ha iscritto ritualmente e
regolarmente l'ipoteca di cui tanto si parla, il credito dello Stato è
garantito. E prima o poi se si vuole cancellare tale vincolo qualcuno
dovrà pagarlo salvo eventuale pignoramento dei beni ipotecati".
Per cui, precisa, "non esiste alcuna elusione fiscale da parte dei Di
Maio alla luce della ipoteca già iscritta e documentale a loro carico.
Chi dice il contrario sostiene il falso. E sa che è falso". Di Maio
continua a dire che non sapeva nulla né degli abusi pur confermando - a
distanza di qualche giorno dopo che gli sono state mostrate le carte -
che "prima c'era una stalla e poi una struttura con finestra, ingresso
e patio", né dei debiti con Equitalia. Se il Tribunale deciderà di
aprire un'inchiesta le tre aziende saranno passate a setaccio.
Gabriella Cerami Politics reporter, L'Huff
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