Il tabù del rapporto tra deficit e Pil che cala al 2,2% dal 2,4% non è un'utopia.
Togliere due decimali significa risparmiare 3,4 miliardi - su una
manovra che ne vale 37, di cui 22 in deficit spostando più in là, in
primavera, la partenza delle due misure simbolo da 16 miliardi: le
pensioni a quota 100 e il reddito di cittadinanza. Senza per questo
stravolgerle o rinunciarvi. Addossando però al 2020 un carico
spaventoso, se si considera che ci sarà di nuovo la clausola Iva da
disinnescare.
Un gioco pericoloso, ma l'unico possibile per provare a schivare l'infrazione Ue senza pagare pegno alle elezioni di maggio.
Chi lavora ai due dossier dice che in realtà la prima tappa nella
rinata trattativa Italia-Europa sarà di spostare i 3,4 miliardi
"risparmiati" da pensioni e reddito agli investimenti. Il 2,4% di
deficit rimarrebbe dunque tale, un feticcio. Ma reso più digeribile
agli occhi di Bruxelles perché la composizione della manovra
cambierebbe, a favore di una spesa meno assistenziale e più produttiva.
È il pallino della Lega, il cui pressing nei confronti dei Cinque
Stelle si è fatto asfissiante nelle ultime settimane perché decidano di
trasformare il reddito di cittadinanza in uno sgravio contributivo. I
soldi - 7,1 miliardi, al netto del miliardo ai centri per l'impiego e i
900 milioni a 500 mila pensionati - finirebbero nelle casse delle
aziende che assumono e non nelle tasche di cittadini poveri e
disoccupati.
Scontato il no pentastellato. Ma anche qui il muro d'opposizione si sta sgretolando.
I tecnici del ministro Di Maio lavorano per cambiare volto alla misura.
Si comincia a dire che sarà a tempo, 18 mesi rinnovabili per altri 18,
dopo aver superato una verifica intermedia. E che 3 mensilità - 6 nel
caso di una donna - andranno alle imprese che assumono il percettore di
reddito. Anche i requisiti sono oggetto di ripensamento. Il limite
Isee, fissato a 9.360 euro, è molto generoso. Al punto che l'assegno
può finire a famiglie anche con 20 mila euro di reddito, non ricche ma
neanche del tutto bisognose. Ecco che si prova a rafforzare i paletti:
il possesso o meno di una casa, i soldi in banca, altri patrimoni.
Anche i coefficienti che moltiplicano l'assegno base da 780 euro per un
single con la casa in affitto - altrimenti 480 euro, se vive in casa di
proprietà saranno rivisti. Alla fine una famiglia di quattro persone
con due figli minori intascherebbe 1.400 euro al massimo, anziché
1.600. Persino le tre offerte di lavoro - che la Lega vorrebbe ridurre
a due - da proporre prima di revocare il reddito, se rifiutate, sono
oggetto di una certosina ridefinizione. Tanto più perché rappresentano
l'unico discrimine tra una misura di pura assistenza e uno strumento di
riattivazione.
Quota 100 per le pensioni di per sé è già stata ridotta all'osso,
rispetto agli annunci. Non cancella la Fornero: la rende flessibile.
Offrendo una possibilità extra di uscita anticipata con almeno 62 anni
e almeno 38 di contributi. La somma fa 100 solo in questo caso: negli
altri si va a 101 fino a 104. Chi sceglie questa strada sa che perderà
qualcosa nell'assegno (al massimo l'8% stima l'Ufficio parlamentare di
bilancio), ma lo percepirà per più tempo. Il divieto di cumulo cioè di
lavorare da pensionati per almeno due anni - e un sistema a finestre
completa il gioco dei risparmi. Passeranno tre mesi dalla domanda di
pensione all'uscita, per i lavoratori privati. Per gli statali, sei
mesi. Le uscite del 2019 saranno dunque molto meno degli aventi diritto
(330-340 mila, di cui 120 mila statali).
Ma nel 2020 il boom delle domande porterà ad un eccesso di spesa tale
che il governo potrebbe limitarle con le graduatorie. Un meccanismo a
rubinetto che, seppur smentito, traspare dai numeri. Lo ha spiegato il
presidente Inps Tito Boeri: quota 100 è finanziata sempre con la stessa
cifra, per tutti e tre gli anni della manovra (7 miliardi). Come fosse
un esperimento valido solo nel 2019 e poi trascinato. Ecco dunque che
"finestre" e paletti agevolano la trattativa con l'Europa, ma
minacciano i conti futuri.
Europa che non nasconde di pretendere uno sforzo maggiore e un deficit
al 2% del Pil. Ma a quel punto, con 6-7 miliardi in meno, una delle due
misure pensioni o reddito - dovrebbe per forza saltare.
Valentina Conte
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Padroni
e giornaloni colti in contropiede dalla discreta svolta (per adesso
solo verbale) di togliere (ben!) due decimali risparmiando 3,4 miliardi
- su una manovra che ne vale 37, di cui 22 in deficit spostando più
avanti verso la fine della primavera del 2019 la partenza delle
due misure simbolo da 16 miliardi: le pensioni a quota 100 e il reddito
di cittadinanza. Senza per questo stravolgerle o rinunciarvi. Al
piccolo orgasmo di Valentina Conte su Repubblica rispondono in
parallelo Dario di Vico sul Corriere che sottolinea come «l'ambiguità
di un Salvini che cresce nei sondaggi e di una protesta delle imprese
che sale anch'essa sta tutta qui, nel doppio binario leghista. È di
fronte a questa ambiguità che il partito del Pil rischia di perdere la
bussola. Gli imprenditori già devono fare i conti con un'economia più
difficile e competitiva del pre-2008, vedono che i successi sono legati
alla maggiore integrazione nelle grandi catene del valore
internazionali e si trovano davanti un governo che vanta un
orientamento autarchico e si fa bello del conflitto con
l'Europa». Arriva pure un Paolo Mieli che «il governo non cadrà
ma, per come si sono messe le cose, non è affatto certo che passerà
indenne anche attraverso la stagione invernale. Anzi, è assai probabile
che presto, all'improvviso, verrà l'ora di elezioni politiche
anticipate. Secondo l'ex rettore della Bocconi Guido Tabellini la crisi
potrebbe arrivare anche prima delle europee dal momento che, quando a
inizio 2019 sarà chiaro che l'economia non riparte (o è in recessione)
e che l'équipe di Giuseppe Conte non è in grado di far fronte alle
emissioni dei titoli, la situazione finanziaria peggiorerà e a quel
punto sarà difficile che il governo riesca a sopravvivere». Parve per
alcune settimane, dopo le elezioni del 4 marzo, che gli elettori delle
due formazioni si fossero amalgamati fino a diventare pressoché
indistinguibili l'uno dall'altro. Questo abbraccio era iniziato già dal
2011, quando l'opposizione al governo Monti (e a tutti quelli che sono
venuti dopo) indusse i seguaci di Matteo Salvini e quelli di Luigi Di
Maio a comportamenti e linguaggi sempre più simili. L'andamento delle
settimane successive sembrava procedere in direzione di un abbraccio
sempre più stretto. Ma la legge che nel mondo occidentale ha fin qui
regolato la vita dei partiti sovran-populisti prevede che tali partiti
o movimenti siano uno (non due) e che abbiano un leader incontrastato.
Se sono più di uno, le loro rispettive strategie sono destinate a
sovrapporsi, cresce la tentazione a moltiplicare le iniziative
dispendiose e ne vengono fuori conflitti che irrimediabilmen- te si
accavallano l'uno con l'altro. In una successione sempre più rapida.
Oggi il Sole riporta che i nostri eroi potrebbero spingere in là Quota
100 e rendita di nullafacenza, diciamo sino ad aprile (perché a maggio
si vota, ovviamente), liberando 4-5 miliardi. Bene. Peccato però che il
semplice rinvio sia del tutto irrilevante ai fini dei danni che misure
del genere infliggerebbero nei prossimi anni ai conti pubblici, oltre
al fatto che la spesa compressa nel 2019 si scaricherebbe nel 2020. Ma
tant’è, non si potrà mica pretendere che questo governo ed i suoi
prestigiosi esponenti sappiano far di conto, no?
La nostra idea é che dopo questo primo passo -una riduzione di 3,4
miliardi su una manovra che ne vale 37 di cui 22 in deficit- ce
ne sarà un altro uguale e forse anche non più corposo perché prima
delle prossime elezioni europee non si porrà l’adozione più o meno soft
di quota 100 oppure l’applicazione di un cencio di reddito di
cittadinanza ma la necessità di trovare i denari -rifinanziando il
debito pubblico scaduto- per pagare pensioni e stipendi pubblici. Che
significa assalto ai bancomat a prelevare quei 4300 miliardi di
ricchezza privata ed assalto ai palazzi della kasta per bruciarla.
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Ci
sarebbe da piangere se non facesse ridere quel che scrive uno che ha
studiato latino e greco (per tre soli anni e per di più dai preti).
Avete presente quei pensionati al bar su un lungolago abduano in attesa
della vecchia baldracca che gli faccia un chissà cosa le riesce,
seduti -dicevo- con davanti a un calice d'acqua minerale non gassata
(mi fa male allo stomaco dice mia moglie) corretta con l'orzata che
predicano contro l'universo mondo che quando c'era lui queste
cose non succedevano? I ragionamenti variano dal ricordo della vita
nelle trincee nella prima guerra mondiale quando invece l'avevano
passata tutta in un ufficio alla cavallerizza di Torino alle scuole
alte frequentate dalla madre, tra i cui insegnanti s'annoveravano
ovviamente i maestri che costituirono l'osso culturale del
fascismo i mitici proff. Fantini e Beneduce. Come se la scienza altrui
fosse travasata in seconda cascata nel cervello dell'erede: c'è chi
compra i mobili dall'usuraio per ricostruirsi una nobiltà mai posseduta
e chi indica professori copiati da wiki come spirito santo che hanno o
avrebbero miracolatole madri e quindi anche i rispettivi pargoli.
Ecco: il ragionamento qui sopra riportato è prosa mentale del custode
delLa Latrina di Nusquamia, un elettore del PD che, all'occasione, ha
venduto il culo (a pagamento per due soli mesi: poi se ne sono
disfatti pure quelli) facendosi portavoce ed anche di più di una giunta
sgarruppata di estrema destra con dentro pure una fasciofemminista in
quel di Curno.
Diventando vecchi capita di perdere il controllo del calendario
mescolando così la prima metà della meta del XX sec. coi primi due-tre
lustri del XXI sec. Mescolando un mondo semplice fatto di quattro più
quattro con qualcosa d'altro che é più grande anche di un mille per
mille. Un mondo che si schiantava nella prima guerra mondiale per un
colpo di rivoltella contro un real puzzone e adesso si schianta invece
per via di un post su face book o un tweet.
Il custode delLa Latrina di Nusquamia, la cui notissima carriera
industriale è terminata con un'impresetta a due alloggiata nella
bottega di un fiorista e spumeggiata in rete senza indicare partita IVA
mentre la carriera culturale è terminata nel fare conferenze auto
promozionali sfruttando le pagine di cinquecentine fotografate di
sfrosso, proprio per via dell'avanzata età, dimentica che tutti
-ma proprio tutti!- quelli che dileggia sono figli suoi. Intendiamoci:
non figli frutto di una scopata normale ma figli spirituali.
Eredi morali e culturali. Un Claudio Acqulini Borghi, una Ilaria
Bifarini, una Laura Castelli e pure un Antonio Maria Rinaldi (un po'
meno, siamo sul confine anagrafico ) sono tutti figli della sua
generazione. I cazzoni di oggi che infestano la TV sono quelli educati
dalla generazione del custode delLa Latrina di Nusquamia.
Sono i figli della scuola dell'obbligo e del tempo prolungato.
Sono i figli di chi nomina l’avversario politico con quello di un
animale per richiamare quello vero. Sono i figli di quello che
cela il proprio razzismo e la propria omofobia titolando le
sciacquette. Compresi pure il fiorentino e l'aretina per la quale il
custode delLa Latrina di Nusquamia si masturba –in modo politicamente
scorretto obviously ogni volta che scrive il nome. Una sfortuna l'avere
studiato solo pochi anni (tre?) il greco e il latino per passare dalla
corte di Adriano Olivetti via quella della Mondadori a una società per
creare famigerati flayer con un sindaco del buongoverno entrambi
sbolognati alla svelta non appena non servivano più. Ecco, signora mia
quando c'era lui un Claudio Acquilino Borghi non sarebbe arrivato in
tivù.
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