LA
NOTIZIA: PURE LA GIUNTA GAMBA ATTIVA IL REDDITO DI CITTADINANZA.
Servizio civico presso il Comune di Curno. I giovani verranno
selezionati sulla base: (A) del curriculum vitae che specifichi, oltre
alla formazione culturale, le esperienze pregresse e ogni altra
informazione che si ritiene utile per la valutazione; (B) delle
esperienze maturate, dando priorità a quelle effettuate nello stesso
settore del progetto o in settori affini, prescindendo dall’ente presso
cui siano state realizzate; (C)di un colloquio
motivazionale-attitudinale.
Il punteggio massimo che un candidato può ottenere è pari a 100 punti, così ripartiti:
a) curriculum vitae: max 20 punti;
b) esperienze pregresse: max 20 punti;
c) colloquio motivazionale: max. 60 punti.
IL COMMENTO. Colloquio motivazionale max 60 punti. Una volta si
chiamavano raccomandazioni. 40 ore a 10 euro lordi ogni ora. Una sorta
di reddito di cittadinanza: ma non chiamatelo così.
LA NOTIZIA. In particolare, se teniamo conto della posizione assunta
dai principali partiti fra governo e opposizione. Tra gennaio 2017 e
ottobre 2018, il favore verso l’accoglienza, nella base elettorale del
Pd, sale di oltre 10 punti. Dal 66% al 79%. Ma lo stesso avviene tra
chi vota per Forza Italia: dal 37% al 49%. In questo caso, più della
posizione politica sull’asse destra/sinistra, conta la volontà di
distinguersi e distanziarsi dalla Lega di Salvini. Che ha ripudiato
l’alleanza con Berlusconi, dopo le elezioni, per governare. Insieme al
M5S. Il Pd e FI, d’altronde, negli ultimi mesi hanno visto ridursi la
loro base elettorale. Nel M5S è avvenuto un percorso opposto. Soltanto
un anno fa: imprevedibile. Nel 2017, infatti, quasi metà degli elettori
a 5S approvava l’accoglienza delle navi che trasportano immigrati.
Oggi, però, poco più di un quarto sostiene questa posizione, mentre i
due terzi la pensano come i leghisti. Cioè: che le navi vadano
respinte. Così, si conferma un processo già rilevato, alcune settimane
fa, in una precedente Mappa. L’avvicinamento e, ancor più
l’integrazione, dei 5S e della loro base elettorale non solo all’area
di governo. Ma alla Lega e, ancor più, a Matteo Salvini. In altri
termini: alla Lega di Salvini. LdS. E ciò suggerisce due diverse
riflessioni. La prima, di breve periodo, riguarda la leadership assunta
da Salvini e dalla sua Lega. In grado di attrarre e, quasi, riassumere
anche il M5S. Trasformandosi in una L5S: una Lega a 5 stelle.
IL COMMENTO(non è nostro). L’altra riflessione è che le opinioni non
sono immobili. Che gli italiani non sono contrari agli sbarchi di navi
che trasportano immigrati dalle sponde del Nord Africa. Per principio.
Un anno fa non lo erano. Lo sono divenuti in seguito. Spinti e
orientati dagli argomenti e dalla comunicazione politica. Di Salvini.
Della Lega. Gli italiani. Non sono xenofobi per cultura e natura.
Possono cambiare ancora. Dipende dalla capacità dei soggetti sociali e
politici che la pensano "diversamente" di promuovere idee e convinzioni
"diverse". Volte a superare "la paura dell’altro". Non per principio.
Ma con "ragioni ragionevoli".
LA NOTIZIA. Libia:il risiko delle alleanze: da haftar agli usa. Al
tavolo dei negoziati a Palermo i protagonisti della questione libica
arrivano da posizioni finora inconciliabili. L’adesione del generale
Haftar è giunta dopo l’incontro a Roma con Conte (e con l’avallo di
Mosca) e ha coinciso con il via libera al ritorno a Tripoli
dell’ambasciatore italiano Giuseppe Perrone, da lui stesso definito
«persona non gradita» lo scorso agosto. A infastidire il capo
dell’esercito libico era stata la contrarietà espressa dal diplomatico
al piano per elezioni a dicembre, concordato da Haftar con Macron,
escludendo l’Italia. Se la Francia si schiera con l’uomo forte della
Cirenaica, l’Italia sostiene il governo di Unità nazionale libico,
guidato da al-Serraj, riconosciuto anche dall’Onu e dagli Usa, che a
Palermo potrebbero inviare il segretario di Stato, Mike Pompeo. La
Russia, invece, nonostante il sostegno ad Haftar, è interessata a
vagliare altre soluzioni e sarà presente col vice ministro degli Esteri
e inviato speciale in Medio Oriente Mikhail Bogdanov. Il cambio di
prospettiva è giunto dopo il recente viaggio di Conte a Mosca, dove con
Vladimir Putin ha discusso di Libia, ma anche di una possibile azione
italiana a livello europeo per un ammorbidimento delle sanzioni contro
il Cremlino. Questa mossa di fatto ha indebolito l’asse privilegiato
costruito da Macron con Putin. A completare il puzzle delle alleanze
incrociate c’è anche il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi,
principale alleato di Haftar nella regione. Anche in questo caso Roma
ha lavorato per ricucire lo strappo dopo il caso Giulio Regeni,
rinsaldando i propri rapporti col Cairo legati agli interessi di Eni
nell’area e a quelli egiziani nel turismo italiano. Oltre a essere
presente nel mega giacimento offshore di Zhor, l’azienda italiana ha di
recente annunciato una nuova scoperta di gas nel deserto occidentale
egiziano, che potrebbe erogare fino a 700 mila metri cubi al giorno. Il
turismo italiano, inoltre, rappresenta una risorsa indispensabile per
l’Egitto, specie in località come Sharm el Sheik e Hourgada, duramente
colpite dagli attentati terroristici. La presenza italiana è tornata a
crescere nel 2017 (+94%), con un ulteriore incremento nel primo
bimestre del 2018, tanto che le compagnie aeree egiziane hanno
istituito nuove rotte dirette con l’Italia. Infine, al summit sono
attesi rappresentanti di Tunisia, Turchia e Qatar, ossia i principali
“sponsor” di al-Serraj, e per la Germania il ministro di Stato agli
Esteri Niels Annen.
IL COMMENTO. Della Libia adesso come adesso importa nulla a nessuno
visto che ormai non spedisce più migranti e quindi ha tolto di mano a
Salvini ogni pretesa verso il resto dell’Europa. L’unità della Libia
rimane la priorità per l’Italia, ma la Francia avrebbe interesse a
mantenere lo status quo, nel quale i due Paesi esercitano la propria
influenza in aree ben distinte: Parigi nel Fezzan, a Sud del Paese,
mentre l’Italia nella Tripolitania, estendendosi magari alla Cirenaica.
Quindi vince la Francia.
LA NOTIZIA. Perché l’attività di governo (quello di Conte) non è un
rogito notarile e soprattutto non segue un imperturbabile percorso:
esistono gli eventi fisiologici e patologici imprevedibili in ogni
Paese che obbligano qualsiasi esecutivo a plasmare i propri
comportamenti. La politica, poi, non può materializzarsi semplicemente
e banalmente in una serie di obiettivi programmatici, in questo caso
poi elementarmente giustapposti e contraddittoriamente contrapposti.
Prende invece forza da una visione complessiva, dall’indirizzo da
assegnare al Paese, dal modello di sviluppo su cui far crescere la
società. E tutto questo leghisti e grillini non lo condividono. Anzi il
Movimento 5Stelle non ne è proprio dotato. È imprigionato nei suoi
dogmi, nel mito dell’ortodossia di Casaleggio che altro non è se non
cieca e fideistica obbedienza a una azienda fantasmatica. I valori sono
un’altra cosa. Sono la direttrice lungo la quale si assumono decisioni
e impegni. E allora quando tutto viene circoscritto nel perimetro
angusto della propaganda, il governo diventa solo una finzione.
IL COMMENTO. Scrive l’ass. Conti della giunta Gamba a Curno:
L’osservazione al piano opere pubbliche nel suo insieme viene di
conseguenza respinta per il carattere squisitamente
provocatorio-politico della stessa, per la completa dissonanza con i
contenuti programmatici di questa amministrazione unitamente alla
oggettiva insostenibilità tecnico-economica delle proposte. Se non è un
ragionamento da contratto grillino questo, scommettiamo che…
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Perché
il ponte Morandi non sarà ricostruito nel 2019. Il nodo Autostrade
ancora irrisolto. Nebbia sulla data di inizio lavori. E per il D.L.
Genova crescono i dubbi sulle coperture. Difficilmente il nuovo
viadotto vedrà la luce entro il prossimo anno. Atteso per il 2025?
A due mesi e mezzo dal crollo di Ponte Morandi, non sappiamo ancora
quanto costerà la demolizione e la ricostruzione del viadotto e
l'obiettivo di chiudere i lavori a fine 2019, pur non ufficialmente, è
di fatto già sfumato. Secondo la deputata del Partito democratico
Raffaella Paita, la non esatta quantificazione dei costi potrebbe
inficiare l'avvio dei lavori nel caso in cui Autostrade si rifiutasse
di finanziare l'opera e presentasse ricorso, mentre il viceministro ai
Trasporti Edoardo Rixi ritiene che siano sufficienti le garanzie
contenute nel decreto Genova, per cui lo Stato verserà 30 milioni
l'anno per 12 anni in caso di inadempienza da parte di Aspi.
Ma un po' di dubbi serpeggiano anche nella maggioranza, tanto che la
commissione di Bilancio del Senato ha dato via libera al decreto con
una postilla importante che riprende quanto già osservato dall'Ufficio
di bilancio: «Non risulta pienamente evidente il metodo di
quantificazione della somma oggetto dell'eventuale anticipo statale
attivabile in caso di inadempienza del concessionario». Detto in altri
modi: non è chiaro sulla base di cosa si è deciso che basteranno 360
milioni per demolizione e ricostruzione .
UN ANNO PER COSTRUIRE, MA QUANDO SI PARTE NON È CHIARO
Intanto il decreto veleggia verso l'esame dell'Aula, presumibilmente
mercoledì 14 novembre. Forse allora si saprà di più, ma intanto i tempi
stringono per rispettare la promessa di avere il ponte entro il 2019:
il commissario e sindaco di Genova Marco Bucciaveva parlato di 12 mesi
di lavori. Mancano quindi circa 45 giorni per avere un progetto
esecutivo, i soldi da Autostrade (o altrimenti dallo Stato),
l'individuazione del soggetto costruttore. «Si era detto un anno dal
dissequestro, se sarà un anno e mezzo non mi lamenterò», dice oggi
Rixi. La verità è che l'obiettivo di fine 2019 è praticamente già
sfumato. «Si poteva fare meglio? Forse, ma l'Italia non è la Svizzera e
comunque abbiamo fatto meglio del precedente governo dopo le
alluvioni», si difende il viceministro leghista, «massacrateci pure
politicamente, ma chi adesso vuole bocciare il decreto o modificarlo al
Senato si prende la responsabilità politica di bloccare oltre 500
milioni per Genova. Io una cosa così non l'avrei mai fatta quando ero
all'opposizione». L'obiettivo polemico è proprio la ligure Raffaella
Paita, che ha votato contro alla Camera.
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IN CERCA DI UNA VIA D'USCITA NON CONFLITTUALE
Al netto delle schermaglie politiche, gran parte della partita si gioca
ancora intorno al rapporto con Autostrade, che dovrebbe pagare l'opera
ma che non ha ancora ricevuto dal commissario la richiesta dei
finanziamenti. «Io ho chiesto a Bucci come mai ritardava, ma non ho mai
ricevuto risposta», spiega Paita. In realtà, la cosa più probabile è
che il sindaco stia aspettando la conversione del decreto, in modo da
muoversi su basi più solide. È anche possibile che siano in corso
trattative per individuare una via d'uscita non conflittuale anche
perché, come sottolineato più volte, Autostrade è ancora concessionaria
dei tratti a Levante e a Ponente del ponte. Qualsiasi ricostruzione, a
meno che non si concretizzi quel ritiro della concessione più volte
annunciato dal governo e mai attuato (l'ultima volta il premier
Giuseppe Conte ne ha parlato martedì 6 novembre a DiMartedì), deve per
forza passare da una soluzione concordata. Ma se questa non arriva?
IL PIANO B: SOLDI DALLO STATO IN 10 ANNI
Il piano B del governo prevede lo stanziamento di 360 milioni di euro
in 10 anni, di cui 72 per demolizione e sgomberi e il resto per il
ponte. «Secondo noi bastano: il ponte dovrebbe avere un costo tra i 180
e i 240 milioni. Con le garanzie dello Stato i soldi possono essere
pronti da subito», sostiene Rixi. «E comunque», aggiunge, «ci
aspettiamo che Autostrade paghi». Meno ottimista Paita secondo cui il
governo «dietro le dichiarazioni di voler essere inflessibile con i
concessionari in realtà sta facendo loro dei gran regali. La
concessione non è mai stata revocata e questa maggioranza, bloccando la
Gronda (la nuova bretella autostradale, ndr), li sgrava di lavori già
finanziati per 4 miliardi». Rixi replica che su Gronda e Terzo valico
il governo andrà avanti, e che se mai è il centrosinistra ad aver
bloccato a suo tempo l'avvio dei lavori. Schermaglie, queste, dietro le
quali si staglia l'incertezza sulla ripartenza di Genova, condita
adesso anche dalla polemica sull'eventuale intervento di un gruppo
cinesenella ricostruzione, ventilata dopo la missione a Shanghai di
Bucci. Almeno su questo, Paita e Rixi sono d'accordo: meglio sarebbe un
gruppo italiano. Ma la verità è che, a oggi, è ancora buio fitto.
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