1934-2018, MARCO DEZZI BARDESCHI
L'ARCHITETTURA DELL'ANTIRESTAURO
L’entusiasmo e una coinvolgente passione per ogni battaglia, specie in
difesa del passato, hanno caratterizzato la vita piena d’ingegno e di
curiosità di Marco Dezzi Bardeschi, scomparso domenica a Firenze a 84
anni. Domani l’Accademia delle Arti del Disegno di Firenze, alle 15,
terrà la celebrazione funebre nella cappella di San Luca alla
Santissima Annunziata.
Laureato in Ingegneria con Giovanni Michelucci (1957) e in Architettura
con Piero Sanpaolesi nel 1962 con una tesi sul mai abbandonato Leon
Battista Alberti, divenne funzionario della soprintendenza di Arezzo,
poi docente a Firenze (dove era nato il 30 settembre 1934 e viveva),
quindi, dal 1976, professore di Restauro dei monumenti al Politecnico
di Milano, dove fondò il Dipartimento per la Conservazione delle
risorse architettoniche e ambientali (1980). Qui divenne il capofila
della cosiddetta «pura conservazione» o cultura dell’antirestauro,
ovvero della difesa della tracce materiali di un monumento o di un
manufatto architettonico del passato come quintessenza della sua
autenticità. Partendo dalle tesi di John Ruskin, per Dezzi
l’architettura è un palinsesto sul quale ogni generazione lascia una
traccia da trasmettere a quelle future: «Aggiungere, non sottrarre
risorse al contesto»; da qui il favore per l’inserimento di
architettura moderna di qualità nei contesti storici. Questa posizione,
esito di un cammino che passa da Boito, Brandi fino alle Carte del
restauro è oggi abbastanza condivisa, ma messa a rischio da
speculazione e potere finanziario. Simbolo di questa posizione fu la
vittoriosa battaglia (condotta con Paolo Portoghesi) per la
conservazione integrale del Palazzo della Ragione di Milano (1978-86)
del quale, negli anni Settanta, si voleva abbattere il sopralzo
settecentesco per ricondurlo a un ipotetico Medioevo. Seguirono gli
interventi alla Biblioteca Classense di Ravenna, al Palazzo Gotico di
Piacenza e altri, che si affiancarono ai nuovi progetti, a una intensa
vita di studioso trasversale che produsse novecento pubblicazioni, il
varo di collane editoriali e un’attività pubblicistica anche per il
«Corriere della Sera». I suoi interventi teorici nel campo del restauro
sono in Restauro: punto e da capo, Il monumento e il suo doppio e il
recente Abbeceddario minimo. Cento voci per il restauro (2017). Lascia
molti allievi, fuori dall’università, in tutto il mondo.
Infaticabile convegnista, dal 2003 al 2007 presidente di Icomos
(International Council on Monuments and Sites), fu fondatore di riviste
dai nomi strani: «Necropoli» con Francesco Gurrieri, «Psicon»,
sull’iconologia warburghiana (1975) con Eugenio Battisti e Marcello
Fagiolo e, da vent’anni, «Ananke» (Alinea edizioni) trimestrale
militante di cultura della conservazione con aperture su teoria e
storia delle arti. Molte le esposizioni curate, anche per il Salone del
Restauro di Ferrara. Nel 2014, in occasione dell’ottantesimo
compleanno, il Polo Museale fiorentino gli aveva dedicato un ciclo di
mostre dal titolo Autenticittà; ne curò poi una sugli effimeri per la
Regione Toscana. Era appena tornato da Brasile e Cina, mondi troppo
diversi dal suo universo umanistico. Stava progettando i prossimi
numeri di «Ananke» e il nuovo museo di Ariosto a Castelnuovo di
Garfagnana. Poiché aveva l’entusiasmo di un ragazzo, scherzava sull’età
ricordando: «Guardate che il mio maestro Michelucci è campato
cent’anni».
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LA SFIDA A VISO APERTO TRA FRANCIA E ITALIA NEL DESERTO LIBICO
"Si riuscirà a raggiungere dei risultati concreti solo se veramente
Francia e Italia si metteranno d'accordo”. Conversazione con Federica
Saini Fasanotti, consulente del Segretario alla Difesa James Mattis e
analista della Brookings Institution di Washington
All'Eliseo si riaccendono i fari della maratona libica. Solo poche
settimane fa il presidente Emmanuel Macron appariva indebolito e la sua
strategia sulla Libia, insieme alle promesse ottenute dalla conferenza
di Parigi del 29 maggio scorso, sembrava naufragata con la possibilità
che le elezioni si tenessero effettivamente entro dicembre 2018. La
realtà però, negli ultimi giorni si è trasformata di nuovo, rivelando
come i piani francesi sul fronte libico non si fossero mai
completamente spenti. Come non si è attutita, d'altra parte, nemmeno la
competizione con Roma che, dal canto suo, in questo gioco al rimpallo,
non rimane di certo con le mani in mano di fronte alle mosse di Parigi.
E i viaggi di Giuseppe Conte in Tunisia e Algeria degli ultimi giorni
risultano la contromossa giusta alla “slealtà” di Macron.
Giovedì, il giorno successivo all'incontro tra il ministro degli Esteri
Enzo Moavero Milanesi con i leader libici a Roma, il suo omologo
francese, Jean-Yves Le Drian, ha fatto recapitare un invito agli
esponenti di spicco di Misurata, per un incontro che dovrebbe svolgersi
a Parigi l'8 novembre. A soli pochi giorni dalla conferenza
programmatica di Palermo per la Libia. Un incontro che, come avevamo
già scritto in precedenza su Formiche.net, vorrebbe ricalcare le orme
della riunione di maggio e che avrebbe come primaria intenzione quella
di aprire un dialogo con quella che, ad oggi, è la città cardine della
potenza militare libica. Un colpo gobbo nei confronti di Roma? Un
ulteriore tentativo di Parigi per risollevare le sorti di una
mediazione passata nel Paese non andata a buon fine?
“Lo scontro con l'Italia è ormai una questione atavica in Francia,
anche se in questo caso potremmo leggerla anche in un'ottica positiva,
e cioè come un modo per facilitare i colloqui in previsione
dell'incontro di Palermo”, ha commentato a Formiche.net Federica Saini
Fasanotti, consulente del Segretario alla Difesa James Mattis e
analista della Brookings Institution di Washington. Precisando, però,
che “fino ad ora Parigi ha giocato molto in maniera individuale, quindi
potrebbe benissimo voler essere uno schiaffo all'Italia a livello
diplomatico”.
Allo stesso tempo il presidente del Consiglio Conte sta affrontando un
tour tra Tunisia e Algeria, Paesi di particolare importanza politica ed
economica per l'Italia e, contemporaneamente, storicamente legati con
filo diretto alla Francia. E proprio l'Algeria, che è uno dei
principali partner economici di Roma in Nord Africa, soprattutto per
quanto riguarda le forniture di gas naturale, ha confermato la sua
partecipazione all'incontro siciliano del 12 e 13 novembre. Ed ecco che
la risposta all'esuberanza francese è servita.
“Anche la conferenza di Palermo è un chiaro esempio dell'attivismo
italiano nella competizione con la Francia”, ha aggiunto Saini
Fasanotti. Anche se, a detta dell'esperta “proprio le due conferenze
francesi sulla Libia naufragate miseramente”, dovrebbero farci
riflettere sull'effettiva necessità di cambiare prospettiva e dedicarci
in maniera univoca a una finalità condivisa. “Si riuscirà a raggiungere
dei risultati solo se veramente Francia e Italia si metteranno
d'accordo, seguendo una linea precisa, comune e si inizierà a pensare
concretamente a come comportarsi nei confronti delle milizie, agendo
sul territorio”, ha sottolineato l'esperta.
Dunque agire “silenziosamente nella regione attraverso un'importante
opera diplomatica, cercando di risollevare l'economia attraverso una
serie di riforme che Sarraj ancora non è stato in grado di attuare,
cercando di trovare consenso all'interno del Paese, trattando con le
milizie, cercando di responsabilizzarle”, ha continuato Saini
Fasanotti. “Bastano poche cose. C'è bisogno però di un consenso
internazionale, bisogna agire tutti sulla stessa linea d'onda. Una
volta che saranno d'accordo tutti gli attori interazionali influenti
sul territorio, se verranno fatte determinate riforme, se verranno
tagliati i fondi alle milizie, la strada diventerebbe in discesa”, ha
concluso.
Isabella Nardone
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LIBIA:LA CONFERENZA DI PALERMO E'/SARA' INUTILE
Cosa stia accadendo in Libia, cosa accadrà e cosa accadrà nei paesi del
centro Africa a sud della Libia penso non lo sappia immaginare nessuno.
L'unica certezza della Libia è il suo petrolio che tiene in piedi due
cosiddetti stati dove non si sa bene chi siano quelli che depredano di
più il popolo libico. Haftar o Sarray? Boh. In questo momento la
situazione libica non è granche all'ordine del giorno perché a politica
immigratoria dell'Italia ha un po' scombussolato gli affari dei
criminali indigeni così come il rafforzamento della presenza USA e
Francese nel Niger e Ciad. Diciamo che meno sta all'ordine
del giorno l'immigrazione dalla Libia all'Italia e quindi all'Ue.
Meglio i ladroni del petrolio fanno i loro affari. L'ISIS non è più
all'ordine del giorno dopo la “quasi” stabilizzazione della Siria in
mano sovietica.
La conferenza vista dagli Stati Uniti?. Trump a giugno ha promesso a
Conte di affidare all'Italia la cabina di regia sulla Libia. Gli Usa,
più che sulla Libia, sono concentrati sull'Africa sub sahariana: hanno
soldati in Niger, hanno interessi economici in questa area ed il
dossier sul terrorismo indica nel Sahel uno dei luoghi più “caldi” del
pianeta.
Le prospettive della Russia? Se gli Usa hanno dato il disco verde il
vertice, l'organizzazione del summit di Palermo ha avuto un'importante
accelerata proprio dopo la visita di Conte a Mosca. Questo ha avuto un
positivo effetto domino: Haftar, molto vicino a Mosca, ha sciolto la
riserva ed ha assicurato la sua presenza in Sicilia, altri attori
libici ed internazionali a quel punto hanno iniziato a dare credito al
vertice italiano. L'aiuto di Putin è dovuto, anche in questo caso,
all'interesse russo di avere ottimi rapporti con Roma con la non troppo
segreta speranza che la maggioranza italiana potrebbe mettere in
discussione le sanzioni europee alla Russia. Usa e Russia, per motivi
diversi hanno l'interesse affinché il summit riesca. L'Italia dunque
prova a sfruttare questa convergenza.
Apporto dell'Egitto? Il Cairo è l'alleato più importante di Haftar. Da
anni il presidente Al Sisi assicura appoggio militare e politico al
generale libico ed oggi il numero uno egiziano aspira ad essere il
principale mediatore tra Italia ed Haftar. Sarà interessante
vedere il comportamento de Il Cairo con i rappresentanti del Qatar, che
hanno annunciato la loro presenza alla Conferenza: quest'ultimi sono
accusati di finanziare la fratellanza musulmana tanto in Libia quanto
in Egitto.
E gli “amici” francesi? Guarda il caso alcuni esponenti di
Misurata sono stati invitati a Parigi da Macron il prossimo 8 novembre:
l'incontro all'Eliseo si terrà a quattro giorni dall'inizio del vertice
di Palermo. La Francia non vuole assistere passivamente ad un
incremento dell'influenza dell'Italia sulla Libia. Convocare uomini di
Misurata nella capitale francese, vuol dire cercare di incidere
concretamente sia sul summit di Palermo che sul territorio della
Tripolitania.
Quindi: la conferenza di Palermo? Inutile.
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