Di cosa parliamo in questa pagina.
Ormai appare evidente che della manovra finanziaria 2019 funzioneranno
solo le operazioni a totale vantaggio dei privati che vedranno
diminuire le tasse -dal pensionato che si vedrà condonata la multa per
sosta vietata al riciclatore-evasore professionale che pagando una
misera percentuale regolarizzerà quel che ha rubato al paese mentre
tutto il resto campa cavallo perché… le ragioni ormai le conosciamo
tutti. Quasi tutti.
L'idea di giacchettina DiMaio di riuscire a far funzionare in uno-due
anni migliaia di centri per l'impiego (in primis: impiego degli addetti
che collocano non più del 3-5% dei disoccupati…) è del tutto fuori
della realtà perché chiunque lo constata ogni giorno.
A fine 2017 c'erano in Italia 556 centri per l'impiego che costano
circa 600 milioni l'anno e riescono a collocare solo il 3% dei
disoccupati al confronto dei 20% collocati dai CpI in Francia e
Germania.
Ma in Italia ci sono anche i soggetti pubblici e privati iscritti
l'ANPAL (agenzie nazionali politiche attive del lavoro) il cui numero
oggi è ignoto. Dovrebbero essere attorno alle diecimila unità.
L'ANPAL (Agenzia Nazionale per le Politiche Attive del Lavoro) coordina
le politiche del lavoro per le persone in cerca di occupazione e la
ricollocazione dei disoccupati. Per questo mette in campo strumenti e
metodologie a supporto degli operatori pubblici e privati del mercato
del lavoro.
Abbiamo ottomila comuni e probabilmente dovremo dotarsi di almeno
5-6000 centri e relativo personale e questi centri dovranno dialogare
ininterrottamente tra di loro: non riusciremo mai. Ne per soldi ne per
professionalità ne per organizzazione.
Facciamo un altro passo in avanti. L'ISTAT ha stimato che nel 2017
vivano in Italia in povertà assoluta 1 milione e 778 mila
famiglie composte da 5 milioni e 58 mila individui.
Se abbiamo cinque milioni di poveri e il governo L5S prevede di abolire
la povertà, vuol dire che il programma è di creare in cinque anni
cinque milioni di posti di lavoro. Non facciamo gli esigenti
pretendendo siano tutti posti di lavoro a tempo indeterminato.
Inimmaginabile in Italia sia possibile creare ogni anno un
milione di posti in più. Oggi abbiamo 23 milioni di posti lavoro: ne
l'Italia ne l'Europa ne il mondo riuscirebbero ad assorbire un
incremento del nostro Pil derivato da quei 5 milioni di posti lavoro in
più. Che equivalgono ad un incremento del PiL di almeno il 3-4% ogni
anno.
Non è possibile nemmeno sotto il profilo degli investimenti da parte di
aziende e servizi in trend del genere. Oltre al fatto che alla fine dei
cinque anni ci troveremmo con una inflazione non esattamente ferma come
adesso ma perlomeno pari al 10%.
In Ue non è ammissibile che esistano due paesi con un surplus
commerciale tipo quello che avrebbe l'Italia (con 5 milioni di posti
lavoro in più) e la Germania: salterebbe in aria l'Ue. Semmai ci arrivi
tra cinque anni.
Facciamo il ragionamento al contrario. Se in cinque anni il governo L5S
vuole creare “solo” 1.778.000 posti di lavoro bisogna inventare come
crearne 360mila ogni anno a tempo INDEterminato. Chi vive sperando
muore cacando.
Oggi come oggi il «premio» da 80 euro netti mensili per i lavoratori
dipendenti sotto i 26 mila euro di reddito costa la bellezza di 9
miliardi euro l'anno e finisce nelle tasche di 11 milioni di
contribuenti.
Dal 1° gennaio 2018 il REI ha sostituito un'altra misura di contrasto
alla povertà, il SIA (Sostegno per l'Inclusione Attiva). Il tasso di
inclusione del REI, ovvero il numero di persone coinvolte ogni 10mila
abitanti, a livello nazionale risulta pari a 139, raggiungendo i valori
più alti in Sicilia, Campania e Calabria (rispettivamente 416, 409,
309) e quelli minimi in Friuli Venezia Giulia (15) e in Trentino Alto
Adige (17).
L'importo medio mensile, pari a 308 euro, risulta variabile a livello
territoriale, con un intervallo tra i 242 euro della Valle d'Aosta ai
338 euro della Campania. Tra gennaio e settembre 2018 il REI è stato
pagato a 378.557 famiglie composte da 1.114.896 persone.
Per chi voglia essere ottimista sul futuro di questo Paese davanti al
quadro che abbiamo riassunto qui sopra si rende conto che “l'operazione
gambero o ritardo” messa in atto senza troppo clamore dal governo L5S
condurrà a due risultati:
- un abbassamento delle tasse ed un condono massiccio
a delle categorie che meriterebbero semmai qualche anno di galera e non
“comprensione” perché per la crisi non hanno potuta pagare le tasse
(come asseriscono il governo). E nella fattispecie i poveri diavoli (il
pensionato che non pagherà la multa per sosta vietata) viene usato come
foglia di fico per chi fa affari decisamente multipli per mille
diecimila centomila volte quella multa.
Altro che lotta alla povertà dichiarata da giacchettina DiMaio.
Inpensabile che dalle 378.557 famiglie composte da 1.114.896
persone destinatarie oggi del REI si possa – con un grande miracolo!-
salire al 1.778.000 famiglie composte da 5 milioni e 58 mila individui
pagando mediamente quel che si paga ora: 308 euro mensili a famiglia.
Mancano ancora 472 euro e mancano anche le 4.500.000 pensioni da
integrare a 780 euro. Lasciamo alla fantasia del lettore di fare i
conti.
Conclusione per adesso. L'impressione che abbiamo noi è che in Italia
tutti dichiarano di volere la rivoluzione salvo poi fare i
democristiani e sedersi al desco del potere per guadagnarsi il
benessere per il resto degli anni. Discorso qualunquista ma
scommettiamo che alla fine della fiera questo governo L5S, stretto tra
le mille contraddizioni in cui s'è infilato tra bugie e mancanza di
soldi (l'unica certezza è che diminuiranno le entrate dello stato)
galleggerà tra qualche modesta modifica dell'esistente (basta fare
quattro conti sul reddito di cittadinanza per capire dove vanno a
finire) perché meglio tirare a campare che tirare la corda. Copyright
by Andreotti.
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ELEZIONI PROVINCIALI 2018
Se i sindaci disertano
Più passano gli anni e meno è comprensibile il senso dietro alla
riforma delle Province introdotta dalla Legge Delrio. Il voto che ha
portato Gianfranco Gafforelli in via Tasso presenta una nuova
frontiera: al distacco dei cittadini dalla politica, si aggiunge il
distacco degli amministratori dalle amministrazioni. Sono tanti i
sindaci che sono rimasti a casa mercoledì, anziché partecipare al voto:
la coda del maltempo ha influito, così come la convocazione ai seggi in
un mercoledì autunnale (il governo ha scelto la data per sorteggio?),
ma certo anche l'idea che il voto di un consigliere di un Comune sotto
i 3.000 abitanti vale 33 volte meno di quello di un consigliere di
Bergamo città ha il suo peso. Alla base di questo meccanismo c'era
l'idea che i capoluoghi si accollassero gran parte del peso — anche
economico — di amministrare le Province. Ridicolo, pensando a un
territorio come quello bergamasco, con 243 Comuni e un capoluogo la cui
popolazione non supera un decimo di quella provinciale. Così come si è
dimostrato nel tempo ridicolo chiedere ai presidenti di Provincia di
lavorare gratis, per un risparmio di una decina di milioni di euro
l'anno su base nazionale, lasciando loro incombenze invariate —
viabilità, scuole —, anzi rese più pesanti dai tagli ai trasferimenti
statali. Va messo anche questo sul piatto quando si valutano i quattro
anni di Matteo Rossi, chiusi con qualche scelta più che discutibile, a
partire dall'autonomina nel Cda degli Istituti Educativi.
Un risultato che nasconde anche un dato politico: la somma dei voti
ponderati delle due liste di Lega e Forza Italia ha superato piuttosto
nettamente (37.780 a 34.970) quella di Pd e Lista Gafforelli. È
evidente che al candidato di centrodestra sono mancati dei voti.
Voti ponderati perché la Provincia chiama alle urne solo gli
amministratori comunali attribuendo al loro voto un peso diverso in
base alla popolosità del comune d'appartenenza. Cinque le fasce in
Bergamasca, la più grande sopra i 100 mila abitanti con il solo
capoluogo dove ogni voto vale 337 punti, giù fino ai 10 punti/voto dei
paesi sotto i 3 mila abitanti. Un dato che premia i centri più grandi e
scoraggia quelli più piccoli. Effetto che si è registrato anche questa
volta. L'affluenza, infatti, ha segnato un lieve calo rispetto alle
elezioni di due anni fa: nel 2016 si era fermata al 64,5, mercoledì è
arrivata al 63,5: sui 2.931 aventi diritto hanno votato in 1.870. Se
nelle fasce più grandi però oltre il 90% degli elettori si è recato in
cabina elettorale nei comuni fino a 3 mila abitanti la percentuale è
scesa al 47,6%. Una partecipazione più alta in questo gruppo avrebbe
forse permesso a Ferla di ribaltare l'esito delle elezioni. Proprio nei
comuni più piccoli il sindaco di Calvenzano ha raccolto il maggior
consenso e recuperato il vantaggio accumulato da Gafforelli con lo
spoglio di quelli più grandi. Dopo lo scrutinio di Bergamo e dei comuni
sopra i 10 mila abitanti, il sindaco di Calcinate aveva un vantaggio di
oltre 5 mila voti che poi è andato via via riducendosi fino a 244 voti
di differenza. Così una vittoria scontata in partenza ha lasciato con
il fiato sospeso fino all'ultimo molti amministratori che hanno
assistito nella nottata allo scrutinio ai seggi alla Cittadella dello
sport.
A tener banco nelle discussioni però anche i «voti mancanti» da una
parte e dall'altra. Nel centrosinistra sono state forti le perplessità
quando in città Gafforelli ha incassato 18 voti contro i 19 attesi e
nel voto di lista Forza Italia ha preso 5 voti anziché 4. I sospetti si
sono concentrati sul consigliere comunale di Patto civico Simone
Paganoni che per altro da tempo aveva annunciato il sostegno al
vicesindaco di Fornovo, l'azzurro Fabio Carminati. «Può darsi che abbia
annullato il voto per la presidenza — ammette Paganoni — d'altronde un
candidato era di centrodestra e l'altro pure e non essendo quella la
mia parte politica».
Ben più pesante invece è stato l'appoggio a Gafforelli della lista
civica «Io Treviglio» che fa capo al vicesindaco della città della
Bassa Pinuccia Prandina e all'ex primo cittadino Beppe Pezzoni. Almeno
3 dei suoi 4 voti da 90 punti sono andati al sindaco di Calcinate
risultando decisivi. Una manovra preparata da tempo e le cui
motivazioni partono dalla campagna per le provinciali del 2014 quando
alla presidenza era candidato Pezzoni e Forza Italia a cui la Prandina
era iscritta si schierò con Matteo Rossi. Uno scontro poi continuato
durante lo scandalo della falsa laurea di Pezzoni e le comunali del
2016. Una spaccatura che ancora non si è ricomposta. «Stimo entrambi i
candidati alla presidenza — spiega la Prandina —, Gafforelli è un uomo
di centrodestra. Il pregio di una lista civica è che non c'è un partito
a comandarci». Non solo Treviglio, però: nella stessa fascia di Comuni
medio-grandi, altri voti alle liste di centrodestra non sono stati
confermati al candidato di Lega e Forza Italia.
Meno sorprese invece nel voto di lista che ripropone la divisione 8 a 8
consiglieri. Il Pd centra l'obiettivo di confermare i sette che aveva
portando in Consiglio, Pasquale Gandolfi, Marco Redolfi, Mauro
Bonomelli, Romina Russo, Claudio Cencelli, Ezio Deligios e Claudio
Bolandrini, conferma il suo seggio anche la lista di Gafforelli con
l'elezione di Stefano Savoldelli. Nell'altro campo la Lega sale a 5 con
Gianfranco Masper, Demis Todeschini, Matteo Villa, Juri Imeri, Alberto
Ongaro mentre Forza Italia passa a 3 con Massimo Cocchi, Umberto Valois
e Omar Seghezzi. Variazioni solo apparenti perché Todeschini che fa
riferimento a Fratelli d'Italia nel 2016 era in lista con gli azzurri.
Simone Bianco
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