In queste ore si stanno intrecciando sulla
cronaca e quindi nella politica tre fatti apparentemente distanti ma a mio
avviso piuttosto legati tra di loro. Sono i fatti corruttivi deviati criminali
che emergono nel corso del secondo
processo Cucchi a carico di un gruppo di carabinieri che partono dal
militare più semplice per arrivare fino agli alti comandi. E’ la tragica fine di Desiree nel palazzo degli spacciatori
a Roma. Pochi giorni prima c’è stato il ritrovamento del corpo di un ragazzo
sardo Manuel Careddu ucciso da 4 suoi coetanei per un debito di droga da 600
euro ed oggi una polemichetta –ci mettiamo anche quella anche se apparentemente
minore- su una bega tra una mamma che voleva allattare in pubblico in una
piscina il proprio bimbo ed una delle inservienti del locale che l’ha
rimbrottata chiedendole di sospendere l’allattamento in pubblico.
Antonio Biasci, cittadino di Cascina,
dichiaratosi già comunista, intervistato in un circolo Arci da un giornalista
di Piazza Pulita, trasmissione di La7, si è lasciato andare a una serie di
pesantissime considerazioni:
dice di poter sopportare la violenza sessuale commessa da un italiano, ma non
quella dello straniero al quale va data "una revolverata in testa". Il
riferimento è all’assassinio di Roma: Desirée
Mariottini, vittima TRE volte: stupro e femminicidio e strumentalizzazione
politica. Se non ci fossero di mezzo gli immigrati se ne parlerebbe tanto? Se
gli stupratori assassini fossero stati bianchi e italiani avrebbero dedicato a
queste vittime di violenza di genere le prime pagine sui media? Gli italiani
commettono più del 93% di stupri e gli immigrati meno del 7%. Peccato che
l’osservazione –corrispondente al vero- parta da un riferimento errato. I
presenti in Italia di pelle bianca sono almeno il 90% mentre quelli di colore
solo il 10%.
L’unico momento che ha una ragazza (bianca) per essere creduta è
quando l’ha stuprata un branco di immigrati e, ovviamente, quando muore per
mano degli stessi stupratori. A quel punto c’è chi strumentalizza, c’è chi usa
i corpi delle vittime per diffondere allarmismo, psicosi, isteria collettiva.
Per generalizzare, per fare in modo che si dica che tutti gli immigrati, i rifugiati,
i richiedenti asilo, di qualunque età e sesso, farebbero meglio a crepare in
mare giacché secondo i razzisti quelle persone sarebbero solo un branco di
criminali.
Quando un cittadino dice che “da un italiano posso accettarlo,
da uno straniero no” nessuno si scompone. Ma l’idea di massima è questa. Gli
stranieri – così dicono i fascisti – non devono toccare le “nostre” donne e, il
senso della frase, si racchiude tutto in quel “nostre”. Dichiarando
l’appartenenza di quelle donne si reitera la campagna di comunicazione che
Mussolini & Company divulgava per giustificare la colonizzazione di paesi
del Nord Africa. Che importanza può avere il fatto che i fascisti
colonizzatori, italiani, da quelle parti, stuprassero delle bambine di dodici
anni.
La cultura dello stupro è quella contro cui bisogna combattere
ogni giorno perché è così che si previene lo stupro.
Quando
i razzisti spostano l’attenzione sull’immigrato di fatto delegittimano la lotta
contro la violenza di genere. Perché i razzisti negano l’esistenza di quel tipo
di violenza e perché negano anche il fatto che lo stupro sia in primo luogo un
delitto legittimato dai loro “la violenza di genere non esiste” o “la cultura
dello stupro non esiste” o “le vere vittime sono gli uomini”. E quando si
esercitano nella negazione di una violenza che le donne subiscono da secoli
diventano complici e fanno di tutto affinché sia ripristinato il privilegio
maschile.
Se Desirée fosse stata stuprata e uccisa da italiani avremmo
visto Salvini in passerella, ad acchiappare parecchi consensi elettorali? Io
penso di no.
E se ne parliamo in questo modo è per precisare che la
prevenzione non passa per la cacciata dei “neri” o per gli sgomberi dei centri
sociali. Il punto è l’esistenza della violenza di genere e della cultura dello
stupro. Il securitarismo e la
repressione non servono alle donne ma, soltanto, a chi fa della paura un’arma
di controllo della gente.
Il punto è che non possiamo permettere che qualcuno metta le
mani sui corpi delle donne, chiunque esso sia. Che si tratti di stupratori o di
chi strumentalizza quello che ci succede, i corpi delle donne sono solo loro e
guai a chi li tocca. Perché se tocchi una di allora hai toccato tutte.
Oggi Adriano Sofri scrive
a proposito del processo Cucchi in corso scrive che Cucchi
è un’eccezione. In mezzo alle tante cose sventate dette e sostenute intorno alla
morte di Stefano Cucchi e alle indagini sulle circostanze di quella morte, ce
n’è una su cui vale la pena dire due cose, perché
ricorre in occasioni diverse ed è apparentemente convincente quanto
ingannevole: ed è che i fatti dimostrino che “il sistema funziona” perché
alla fine la verità emerge, le responsabilità vengono individuate, le “mele
marce” si rivelano tali e soprusi, violazioni e reati finiscono per essere
svelati. Insomma, il sistema di perseguimento dei reati, investigazione e
amministrazione della giustizia funziona e prevale. Il
punto è che quello che ci viene rivelato in questi casi non è un errore
individuato, una colpa smascherata, un sopruso svelato: quello che ci viene
rivelato è l’esistenza certa di altri dieci, cento, mille, casi del genere che
non sono stati individuati, smascherati, svelati. Cucchi è un’eccezione, ma in
questo senso: è la storia che oggi conosciamo, a differenza delle altre. Chi
picchia gli arrestati, chi mostra disprezzo per le persone, chi nasconde la
verità, chi fa prevalere altro sulla ricerca della verità, chi fa di tutto per
mantenere il proprio partito preso a costo di tragedie, nelle caserme, nei
tribunali, nelle carceri, nei luoghi chiusi della gestione di sicurezza e
giustizia, non lo fa una sola volta, tutto da solo, contorcendosi dal tormento
e giurandosi “non lo farò mai più” in un’autocritica dolorosa, prima di correre
a mettere rimedio a quello che ha fatto. Ma quando mai. È quello che sono
queste persone, queste culture, questi apparati, questi luoghi, a doverci
preoccupare quando si svelano queste storie: non solo le singole storie.
Il sistema quindi “funziona”? Meglio che nel Cile degli anni Settanta, sì: dice
il caso Cucchi.
Il testo di Adriano Sofri ci
porta alla dichiarazione del comandante generale Giovanni Nistri quando ieri alla presenza dei
ministri della Difesa e dell’Interno riuniti per celebrare il quarantennale del
Gis, ha detto in tono solenne: «L’Arma deve ricordare che è nella virtù dei
110.000 uomini che ogni giorno lavorano per i cittadini che abbiamo tratto,
traiamo e trarremo sempre la forza per continuare a servire le istituzioni.
Centodiecimila uomini che sono molti, ma molti di più dei pochi che possono
dimenticare la strada della virtù. A quegli uomini auguro di continuare a
essere quello che sono sempre stati, e di continuare a ricordarsi che nessuno
di loro lavora per se stesso, nessuno di noi lavora per fare altro che il
dovere dell’onestà, della correttezza, del bene della nazione».
Queste puntualizzazione per cui le responsabilità penali sono individuali e
che poche mele marce non rendono marcio l’intero corpo di 110 mila carabinieri
bisognerebbe aggiornale perché trattasi di musica che le stiamo ascoltando
dalla notte dei tempi. E’ esattamente la stessa situazione degli stupri sulle
donne e suoi minori.
La questione oggi è un po’ più seria perché se fino a pochi decenni or sono
vivevamo in una società contadina di famiglie isolate, allora potevi attribuire
la “colpa individuale”. Oggi i media hanno posto il tema della violenza contro
chi non può reagire o solo competere all’ordine del giorno. Quindi c’è un clima
che supporta questa violenza e pertanto le affermazioni del generale Giovanni
Nistri vanno messe in discussione perché
quel generale, esattamente come il ministro dell’interno Salvini, avendo
la responsabilità di centodiecimila
persone, non basta che “la responsabilità penale è sempre individuale” ma
occorre che nelle caserme esattamente come nella società spiri un’aria per cui certi fatti non debbono
accadere.
Se ragionassimo col metro di Nistri potremmo benissimo dire statisticamente
ed umanamente i casi Cucchi così come i casi Desiree sono niente rispetto al
comportamento della maggioranza dei carabinieri come della maggioranza di
quelli di pelle non bianca presenti nel
Paese.
Oggi la “media” non basta più. Oggi la responsabilità personale “basta solo
“ai fini dell’applicazione dell’eventuale pena. Oggi uno su centomila non
consola e giustifica niente e nessuno. Non ci deve essere nemmeno UNO. Perché
Nistri forse dimentica che l’Italia viene da
70 anni di Repubblica piena zeppa di misteri con dietro centinaia di
morti. Ecco: separiamo il grano dalla biade perché nella nebbia tutti i gatti
sono grigi.
L’ultima parte di questo post riguarda il caso della mamma milanese allontanata dalla piscina: ma non faceva nulla di male: stava solo allattando suo
figlio. Marta, mamma milanese, ha raccontato quello che le è capitato due
martedì fa in una nota palestra del centro. Preferisce usare un nome di
fantasia per tutelarsi. «Mio figlio, che ha appena compiuto un anno, segue un
corso di nuoto. Alla lezione di due settimane fa l’ho accompagnato io». Marta
arriva in anticipo per preparare il piccolo, e prima dell’inizio del corso si
siede su una panca a bordo vasca. Mancano ancora alcuni minuti alle 16, il
bimbo ha fame — è stato abituato all’allattamento su richiesta — così la mamma
scopre un seno e lo fa poppare. «A quel punto si è avvicinata una donna sui 50
anni, che lavora in palestra, chiedendomi di andare in spogliatoio perché non
potevo allattare lì». Dice la responsabile dell’Associazione Woodstar (che
sostiene il diritto delle mamme all’allattamento in pubblico dei propri
pargoli) Raffaella Sottile, 36 anni : la società accetta la donna nuda nelle pubblicità ma non
il seno scoperto di una mamma. C’è ancora molto da fare per abbattere il
pregiudizio.
L’affermazione della Sottile corrisponde al vero ma è del tutto scentrata.
La Sottile non ha compreso la ragione per cui viene pixellato il viso del
minore nelle pubblicazioni sui media mentre non ci sarebbe nulla di male che
quel viso fosse esposto alla pubblica visone durante l’allattamento. La questione non riguarda la tutela dalla visone
del “pubblico” delle mammelle della mamma allattante ma del fatto che nessun
minore possa essere esposto nudo in pubblico o mentre compie certe azioni. Se
avesse ragione la Sottile dovremmo ammettere che si possa cambiare il pannolone
caccoso al pargolo in pubblico. Non è
così. Come ogni adulto ha il diritto di
esporsi oppure di non sui media, questo diritto appartiene a un minore e particolarmente quando si svolgono azioni molto complesse e ricche come
il SUO allattamento. Del resto i genitori dovrebbero avere la sensibilità (e la
legge ordinarlo ad hoc) di non potere essere pubblicati in rete finchè
minorenni.
|