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In queste ore si stanno intrecciando sulla cronaca e quindi nella politica dei fatti di cronaca apparentemente distanti ma a mio avviso piuttosto legati tra di loro. Sono i fatti corruttivi deviati e criminali che emergono nel corso del secondo  processo Cucchi a carico di un gruppo di carabinieri che partono dal militare più semplice per arrivare fino agli alti comandi. E' la tragica  fine di Desirée Mariottini  nel palazzo degli spacciatori a Roma. Pochi giorni prima c'è stato il ritrovamento del corpo del ragazzo sardo Manuel Careddu ucciso da 4 suoi coetanei per un debito di droga da 600 euro ed oggi una polemichetta –ci mettiamo anche quella anche se apparentemente minore- su una lite tra una mamma che voleva allattare in pubblico nei locali di una piscina il proprio bimbo ed una delle inservienti del locale che l'ha rimbrottata chiedendole di sospendere l'allattamento in pubblico.






























In queste ore si stanno intrecciando sulla cronaca e quindi nella politica tre fatti apparentemente distanti ma a mio avviso piuttosto legati tra di loro. Sono i fatti corruttivi deviati criminali che emergono nel corso del secondo  processo Cucchi a carico di un gruppo di carabinieri che partono dal militare più semplice per arrivare fino agli alti comandi. E’ la tragica  fine di Desiree nel palazzo degli spacciatori a Roma. Pochi giorni prima c’è stato il ritrovamento del corpo di un ragazzo sardo Manuel Careddu ucciso da 4 suoi coetanei per un debito di droga da 600 euro ed oggi una polemichetta –ci mettiamo anche quella anche se apparentemente minore- su una bega tra una mamma che voleva allattare in pubblico in una piscina il proprio bimbo ed una delle inservienti del locale che l’ha rimbrottata chiedendole di sospendere l’allattamento in pubblico.

 Antonio Biasci, cittadino di Cascina, dichiaratosi già comunista, intervistato in un circolo Arci da un giornalista di Piazza Pulita, trasmissione di La7, si è lasciato andare a una serie di pesantissime considerazioni: dice di poter sopportare la violenza sessuale commessa da un italiano, ma non quella dello straniero al quale va data "una revolverata in testa". Il riferimento è all’assassinio di Roma: Desirée Mariottini, vittima TRE volte: stupro e femminicidio e strumentalizzazione politica. Se non ci fossero di mezzo gli immigrati se ne parlerebbe tanto? Se gli stupratori assassini fossero stati bianchi e italiani avrebbero dedicato a queste vittime di violenza di genere le prime pagine sui media? Gli italiani commettono più del 93% di stupri e gli immigrati meno del 7%. Peccato che l’osservazione –corrispondente al vero- parta da un riferimento errato. I presenti in Italia di pelle bianca sono almeno il 90% mentre quelli di colore solo il 10%.

L’unico momento che ha una ragazza (bianca) per essere creduta è quando l’ha stuprata un branco di immigrati e, ovviamente, quando muore per mano degli stessi stupratori. A quel punto c’è chi strumentalizza, c’è chi usa i corpi delle vittime per diffondere allarmismo, psicosi, isteria collettiva. Per generalizzare, per fare in modo che si dica che tutti gli immigrati, i rifugiati, i richiedenti asilo, di qualunque età e sesso, farebbero meglio a crepare in mare giacché secondo i razzisti quelle persone sarebbero solo un branco di criminali.

Quando un cittadino dice che “da un italiano posso accettarlo, da uno straniero no” nessuno si scompone. Ma l’idea di massima è questa. Gli stranieri – così dicono i fascisti – non devono toccare le “nostre” donne e, il senso della frase, si racchiude tutto in quel “nostre”. Dichiarando l’appartenenza di quelle donne si reitera la campagna di comunicazione che Mussolini & Company divulgava per giustificare la colonizzazione di paesi del Nord Africa. Che importanza può avere il fatto che i fascisti colonizzatori, italiani, da quelle parti, stuprassero delle bambine di dodici anni.

La cultura dello stupro è quella contro cui bisogna combattere ogni giorno perché è così che si previene lo stupro.

Quando i razzisti spostano l’attenzione sull’immigrato di fatto delegittimano la lotta contro la violenza di genere. Perché i razzisti negano l’esistenza di quel tipo di violenza e perché negano anche il fatto che lo stupro sia in primo luogo un delitto legittimato dai loro “la violenza di genere non esiste” o “la cultura dello stupro non esiste” o “le vere vittime sono gli uomini”. E quando si esercitano nella negazione di una violenza che le donne subiscono da secoli diventano complici e fanno di tutto affinché sia ripristinato il privilegio maschile.

Se Desirée fosse stata stuprata e uccisa da italiani avremmo visto Salvini in passerella, ad acchiappare parecchi consensi elettorali? Io penso di no.

E se ne parliamo in questo modo è per precisare che la prevenzione non passa per la cacciata dei “neri” o per gli sgomberi dei centri sociali. Il punto è l’esistenza della violenza di genere e della cultura dello stupro. Il securitarismo e la repressione non servono alle donne ma, soltanto, a chi fa della paura un’arma di controllo della gente.

Il punto è che non possiamo permettere che qualcuno metta le mani sui corpi delle donne, chiunque esso sia. Che si tratti di stupratori o di chi strumentalizza quello che ci succede, i corpi delle donne sono solo loro e guai a chi li tocca. Perché se tocchi una di allora hai toccato tutte.

Oggi Adriano Sofri  scrive a proposito del processo Cucchi in corso scrive che Cucchi è un’eccezione. In mezzo alle tante cose sventate dette e sostenute intorno alla morte di Stefano Cucchi e alle indagini sulle circostanze di quella morte, ce n’è una su cui vale la pena dire due cose, perché ricorre in occasioni diverse ed è apparentemente convincente quanto ingannevole: ed è che i fatti dimostrino che “il sistema funziona” perché alla fine la verità emerge, le responsabilità vengono individuate, le “mele marce” si rivelano tali e soprusi, violazioni e reati finiscono per essere svelati. Insomma, il sistema di perseguimento dei reati, investigazione e amministrazione della giustizia funziona e prevale. Il punto è che quello che ci viene rivelato in questi casi non è un errore individuato, una colpa smascherata, un sopruso svelato: quello che ci viene rivelato è l’esistenza certa di altri dieci, cento, mille, casi del genere che non sono stati individuati, smascherati, svelati. Cucchi è un’eccezione, ma in questo senso: è la storia che oggi conosciamo, a differenza delle altre. Chi picchia gli arrestati, chi mostra disprezzo per le persone, chi nasconde la verità, chi fa prevalere altro sulla ricerca della verità, chi fa di tutto per mantenere il proprio partito preso a costo di tragedie, nelle caserme, nei tribunali, nelle carceri, nei luoghi chiusi della gestione di sicurezza e giustizia, non lo fa una sola volta, tutto da solo, contorcendosi dal tormento e giurandosi “non lo farò mai più” in un’autocritica dolorosa, prima di correre a mettere rimedio a quello che ha fatto. Ma quando mai. È quello che sono queste persone, queste culture, questi apparati, questi luoghi, a doverci preoccupare quando si svelano queste storie: non solo le singole storie.
Il sistema quindi “funziona”? Meglio che nel Cile degli anni Settanta, sì: dice il caso Cucchi.

 

Il testo di Adriano Sofri ci porta  alla dichiarazione del comandante generale Giovanni Nistri quando ieri alla presenza dei ministri della Difesa e dell’Interno riuniti per celebrare il quarantennale del Gis, ha detto in tono solenne: «L’Arma deve ricordare che è nella virtù dei 110.000 uomini che ogni giorno lavorano per i cittadini che abbiamo tratto, traiamo e trarremo sempre la forza per continuare a servire le istituzioni. Centodiecimila uomini che sono molti, ma molti di più dei pochi che possono dimenticare la strada della virtù. A quegli uomini auguro di continuare a essere quello che sono sempre stati, e di continuare a ricordarsi che nessuno di loro lavora per se stesso, nessuno di noi lavora per fare altro che il dovere dell’onestà, della correttezza, del bene della nazione».

Queste puntualizzazione per cui le responsabilità penali sono individuali e che poche mele marce non rendono marcio l’intero corpo di 110 mila carabinieri bisognerebbe aggiornale perché trattasi di musica che le stiamo ascoltando dalla notte dei tempi. E’ esattamente la stessa situazione degli stupri sulle donne e suoi minori.

La questione oggi è un po’ più seria perché se fino a pochi decenni or sono vivevamo in una società contadina di famiglie isolate, allora potevi attribuire la “colpa individuale”. Oggi i media hanno posto il tema della violenza contro chi non può reagire o solo competere all’ordine del giorno. Quindi c’è un clima che supporta questa violenza e pertanto le affermazioni del generale Giovanni Nistri vanno  messe in discussione perché quel generale, esattamente come il ministro dell’interno Salvini, avendo la  responsabilità di centodiecimila persone, non basta che “la responsabilità penale è sempre individuale” ma occorre che nelle caserme esattamente come nella società  spiri un’aria per cui certi fatti non debbono accadere.

Se ragionassimo col metro di Nistri potremmo benissimo dire statisticamente ed umanamente i casi Cucchi così come i casi Desiree sono niente rispetto al comportamento della maggioranza dei carabinieri come della maggioranza di quelli di pelle non bianca presenti  nel Paese.

Oggi la “media” non basta più. Oggi la responsabilità personale “basta solo “ai fini dell’applicazione dell’eventuale pena. Oggi uno su centomila non consola e giustifica niente e nessuno. Non ci deve essere nemmeno UNO. Perché Nistri forse dimentica che l’Italia viene da  70 anni di Repubblica piena zeppa di misteri con dietro centinaia di morti. Ecco: separiamo il grano dalla biade perché nella nebbia tutti i gatti sono grigi.

L’ultima parte di questo post riguarda  il caso della mamma milanese allontanata dalla piscina: ma non faceva nulla di male: stava solo allattando suo figlio. Marta, mamma milanese, ha raccontato quello che le è capitato due martedì fa in una nota palestra del centro. Preferisce usare un nome di fantasia per tutelarsi. «Mio figlio, che ha appena compiuto un anno, segue un corso di nuoto. Alla lezione di due settimane fa l’ho accompagnato io». Marta arriva in anticipo per preparare il piccolo, e prima dell’inizio del corso si siede su una panca a bordo vasca. Mancano ancora alcuni minuti alle 16, il bimbo ha fame — è stato abituato all’allattamento su richiesta — così la mamma scopre un seno e lo fa poppare. «A quel punto si è avvicinata una donna sui 50 anni, che lavora in palestra, chiedendomi di andare in spogliatoio perché non potevo allattare lì». Dice la responsabile dell’Associazione Woodstar (che sostiene il diritto delle mamme all’allattamento in pubblico dei propri pargoli) Raffaella Sottile, 36 anni : la società accetta la donna nuda nelle pubblicità ma non il seno scoperto di una mamma. C’è ancora molto da fare per abbattere il pregiudizio.

L’affermazione della Sottile  corrisponde al vero ma è del tutto scentrata. La Sottile non ha compreso la ragione per cui viene pixellato il viso del minore nelle pubblicazioni sui media mentre non ci sarebbe nulla di male che quel viso fosse esposto alla pubblica visone durante l’allattamento. La  questione non riguarda la tutela dalla visone del “pubblico” delle mammelle della mamma allattante ma del fatto che nessun minore possa essere esposto nudo in pubblico o mentre compie certe azioni. Se avesse ragione la Sottile dovremmo ammettere che si possa cambiare il pannolone caccoso al pargolo in pubblico.  Non è così. Come  ogni adulto ha il diritto di esporsi oppure di non sui media, questo diritto appartiene a un minore  e particolarmente quando si  svolgono azioni molto complesse e ricche come il SUO allattamento. Del resto i genitori dovrebbero avere la sensibilità (e la legge ordinarlo ad hoc) di non potere essere pubblicati in rete finchè minorenni.