OLTRE AL REDDITO DI CITTADINANZA CHI CREERA' QUALCHE MILIONE DI POSTI DI LAVORO IN POCHI ANNI?
Bisognerà attendere fino a lunedi o martedi prossimi per leggere la
versione finale del Documento di Economia e Finanza e il progetto di
bilancio per il 2019 - finale si fa per dire perchè bisognerà poi
vedere cosa cambia il Parlamento- per capire qualcosa di più. Del resto
quando un Paese cresce «storto» per oltre 70 anni accumulando 2300
miliardi di debito pubblico e 4500 miliardi di ricchezza privata
(immobili esclusi) diventa impossibile raddrizzarne il futuro senza
qualcosa di grosso. Che non si vede . La manovra del governo SalviMaio
conferma di essere lo specchio dell’Italia e degli italiani: facciamo
un po’ di debito e intanto ce la caviamo per due o tre anni. Poi si
vedrà. E’ vero che il sistema economico ha già assorbito un po’ la
botta col raddoppio dello spread e quindi -arrivate le notizie-
si è calmato nel vedere confermati i propri timori. Vedremo cosa
accade a fine mese.
Il tragicomico ed assieme divertente della manovra sta in aspetti che
in genere vengono lasciati in disparte. Uno. Il cavallo di
battaglia di Salvini -la flat tax al 15% per Ie imprese minori- era già
in vigore dal 2014 e adesso viene peggiorata. Pare che si ridurranno
quelle che vi possono accedere. Due. Conte s’è accorto -Padre Pio
illumina le menti!- che non si può offrire a un disoccupato trapanese
un posto di lavoro in Friuli e non glielo puo’ nemmeno offrire tre
volte di seguito: forse 5 su cento prendono le valigie e salgono a
Trasaghis o Tolmezzo da Castelvetrano. Tre. Se in Sicilia hai 1,3
milioni di poveri vuol dire che per risolvere la questione
dovresti essere in grado di creare in due o tre -facciamo cinque- anni
almeno 500-700mila posti di lavoro. Un’impresa del genere non
riuscirebbe a compierla nemmeno una Merkel. In Italia, la povertà tocca
5,1 milioni di persone in condizioni di grave deprivazione e disagio
economico (dati CARITAS di oggi) è quindi inimmaginabile che con la
sola crescita del Pil dell’1,5% all’anno si riescano a creare in tre (o
cinque) anni almeno tre o cinque milioni di posti di lavoro a tempo
indeterminato. Quattro. Siccome oggi in Italia lavorano 23-24milioni di
persone, un aumento degli occupati di cinque milioni farebbe schizzare
il PIL del 20% (più venti per cento!...) e porrebbe l’Italia sotto la
mira dell’Ue per l’enorme surplus record. Il surplus commerciale
italiano nel 2017 è stato di 45,7 miliardi a fronte dei 249 miliardi
della Germania e dei 70 miliardi dell’Olanda. Immaginatevi lo
scombussolamento nel mondo, non solo nell’Ue.
Il governo con quell’accrocco che è nuovo condono&pace fiscale
pensa di contribuire ad una riduzione delle tasse a cittadini e imprese
molto consistente. Ernesto Maria Ruffini, amministratore delegato e il
presidente dell’agenzia Equitalia spa, in audizione alla VI Commissione
Finanze alla Camera, il 6 aprile 2017 ha dichiarato:“Sono circa 21
milioni i contribuenti che risultano avere debiti a vario titolo con
enti che hanno affidato la riscossione a Equitalia. Il 74% dei
contribuenti ha debiti sotto i 5mila euro ma i debiti tra i 1000
e i 5000 euro rappresentano il 20,4% del totale, il 7,1% si trova tra i
5mila e i 10mila euro, l'11,9% tra 10mila e 50mila mentre appena il 3%
ha debiti tra 50 e 100mila euro e un altro 4% deve al fisco oltre
100mila euro.
Il che vuol dire che se il governo SalviMaio si guadagna almeno un voto
per famiglia italiana «condonata» si mette nelle urne qualcosa come
15-16 milioni di voti mollando un calcinculo quelli che hanno
sempre onorato il proprio debito col fisco. Qui torna di nuovo evidente
un aspetto classico degli italiani che Salvini giustifica e nobilita
falsamente con la tesi «non hanno pagato le tasse per pagare i
dipendenti» vista la distribuzione delle somme dovute.
DiMaio da bravo meridionale che non ha mai smesso di essere un NEET
avverte che i centri per l’impiego -oggi sono 552 con 8mila dipendenti
e una spesa di 600 milioni (lo 0,004% del Pil contro lo 0,36% della
Germania e lo 0,25% della Francia -anno 2015) saranno rafforzati
con un investimento di un miliardo per l’assunzione di nuovo personale
visto che finora hanno funzionato soprattutto per garantire il lavoro a
se stessi riuscendo a collocare meno del 3,5% dei nuovi assunti.
Purtroppo per DiMaio un piano di investimento di questa natura non può
essere attuato in breve tempo, ma deve essere pluriennale, con una
crescita graduale dei servizi e dei livelli delle prestazioni previste,
in parallelo agli investimenti. Se tanto mi da tanto sarà un buco
nell’acqua visto che i posti di lavoro non li creano i centri per
l’impiego ma le industrie e se queste non hanno ordini...
L’orizzonte verso cui guardano questo DEF e questa bozza di Legge di
Bilancio 2019 sono soltanto le elezioni europee con la certezza che gli
elettori saranno ben contenti di farsi infinocchiare la seconda volta e
la prospettiva che poi muterà completamente il quadro all’Ue.
La coppia Salvini-DiMaio presti attenzione a due fatti. Il primo è che
i loro «amici» di Visegrad non sono affatto condiscendenti verso i
paesi del Mediterraneo e il loro debito. Quindi pollice verso sul piano
italiano. Secondo. Quello che è accaduto in Baviera settimana scorsa
-la Baviera è una delle regioni più ricche dell’Ue- non pare proprio
rassicurante per la coppia Salvini&DiMaio.
Buon ultimo al di sopra di tutti i conti appare il pericolo della
rottura di una solidarietà trasversale dentro gli stati e tra gli
stati. Si va verso la rottura del patto per cui chi sia arrivato -cioè
abbia un reddito una casa un lavoro, la tutela della salute la scuola-
e chi non c’è o non arriverà -cioè si trova nelle mille sfumature della
povertà- mai avranno comunque gli stessi diritti e le stesse
occasioni nei rispettivi paesi. La conclusione traetela da soli.
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TRASPARENZA?
NO. CENSURA.
Pure al secondo colpo è andata buca. Se la pubblicazione della prima
registrazione della seduta del consiglio comunale (con oltre 15 mesi di
ritardo rispetto all’istallazione dell’ambaradan tecnologico
necessario) era stata vietata dalla sindaca perché qualche consigliere
aveva inserito qualche nome «non dicibile» in pubblico (ma
comunque... detto....) dando così l’occasione alla sindaca per la
censura preventiva, alla seconda registrazione «a causa di un problema
tecnico siamo spiacenti di comunicare che la registrazione della seduta
del Consiglio Comunale del 29 settembre 2018 non è disponibile». Siamo
al punto di avere a che fare -parlando di tecnica- di gente che non è
grado nemmeno di fare una diretta fessbuc. Bisognerà mandare
maggioranza ed opposizione a lezione da DiMaio e Salvini , assai
esperti in merito.
Siccome sanno di essere sotto l’occhio attento non solo nostri ma dei
cittadini, hanno abbandonato le pubblicazioni sui siti da loro
stessi creati e nemmeno utilizzano il sito comunale per quella che
dovrebbe essere una normale comunicazione istituzionale a meno che non
sia di natura autoritaria: far capire bene chi comanda e chi deve
obbedire.
La questione è che nel Comune di Curno, sia a livello politico che di
funzionari, non sono ancora arrivati e nemmeno letti il Dlgs 25 maggio
2016, n. 97 - FOIA e Trasparenza vale a dire il «Decreto legislativo
recante revisione e semplificazione delle disposizioni in materia di
prevenzione della corruzione pubblicita’ e trasparenza correttivo della
Legge 6 novembre 2012, n. 190 e del Decreto Legislativo 14 marzo 2013,
n. 33, ai sensi dell’articolo 7 della legge 7 agosto 2015, n. 124, in
materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche».
Semplicemente disinformati quindi? No: censura.
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REDDITO DI CITTADINANZA
L'INEFFICACE SALTO DELLA RANA
di Maurizio Ferrera
L'idea che i poveri vadano aiutati in quanto privi di reddito ha sempre
incontrato forti resistenze culturali nel nostro Paese. Eppure la
mancanza di risorse economiche non è volontaria, dipende da dinamiche
più grandi di individui e singole famiglie, proprio come nel caso della
disoccupazione. Risente inoltre di pesanti condizionamenti sociali.
Nell'Italia di oggi vivono in povertà assoluta più di dieci minori ogni
cento. Come si potrebbe anche solo lontanamente pensare che sia «colpa
loro», che non siano anche «fatti nostri»? Del resto il contrasto agli
svantaggi sociali arreca benefici, non solo ai singoli individui ma a
tutta la società, sotto forma di maggiore coesione, a sua volta fattore
di sviluppo.
Letto su questo sfondo, il reddito di cittadinanza non suscita
perplessità. Del resto, misure simili esistono in tutti i Paesi Ue. Ma
la riforma non convince. Per chi conosce il dibattito internazionale e
abbia familiarità con le esperienze straniere e italiane su questo
terreno, l'impostazione di base non è condivisibile. Così come
attualmente progettato (per quanto si riesce a capire) il reddito di
cittadinanza aggira infatti tutti i problemi da cui dipende il fenomeno
povertà nel nostro Paese e punta solo sull'ultimo passo: il sussidio.
Un azzardato «salto della rana», che rischia di condurre a un serio
fallimento.
Per combattere la povertà occorre un ventaglio di politiche preventive, riparative e compensative.
I Paesi con minor tasso di povertà hanno buoni sistemi educativi
(preparazione), robuste politiche attive per il lavoro, la formazione e
l'inclusione (riparazione) e una vasta gamma di prestazioni monetarie
(compensazione): per i figli, la disoccupazione, il sostegno agli
affitti e così via. Sono sempre più diffusi anche i sussidi alle basse
retribuzioni, responsabili della forte crescita dei cosiddetti working
poor , lavoratori che, pur occupati, restano sotto la soglia di
povertà. Solo al fondo di questo articolato sistema, per chi non ha
trovato appoggi di altra natura, è disponibile un'estrema rete di
sicurezza: la garanzia di un reddito minimo, appunto. Tipicamente
accompagnato da misure di assistenza sociale mirata.
A causa di molteplici distorsioni evolutive, nel nostro sistema di
welfare questi tasselli sono a tutt'oggi inadeguati o addirittura
mancanti. Per esempio, esistono iniziative solo sporadiche contro la
povertà educativa dei minori (deficit di prevenzione) o per la
formazione, non solo dei giovani, ma anche di chi ha perso il lavoro
(deficit di «riparazione»). In Francia o Germania una famiglia senza
reddito con due figli riceve fra i 400 e i 500 euro al mese, in Italia
non ha invece diritto ad alcun assegno (deficit di compensazione per
carichi di famiglia). Non abbiamo un sistema di sussidi alle basse
retribuzioni, le detrazioni fiscali non vengono neppure riconosciute
agli incapienti. Pochissime le borse di studio: in Italia le ricevono
meno dell'8% degli studenti, contro il 35% della Francia e il 65% della
Svezia. Si dirà: che c'entra tutto questo con il reddito di
cittadinanza? C'entra. È proprio grazie a questi punti d'appoggio che
la quota di poveri è molto più bassa negli altri Paesi. La mancanza di
reddito è combattuta a monte, prima che si verifichi: un vantaggio per
tutti. Il progetto governativo scarica invece tutte le tensioni su
un'unica prestazione, il reddito di cittadinanza. In molti contesti del
Sud questa prestazione diventerà non l'ultima, ma l'unica spiaggia su
cui approdare. E poi?
E qui arriviamo al secondo grave sbaglio di impostazione. Il reddito di
cittadinanza viene essenzialmente presentato come strumento di
inserimento lavorativo. Ciò presuppone che esista una domanda di
occupazione inevasa nei contesti dove vivono i richiedenti. In qualche
area territoriale può essere almeno parzialmente così. Ma, soprattutto
al Sud, ciò è tutt'altro che scontato. Il mercato occupazionale
italiano sconta un cronico e massiccio deficit di posti di lavoro, che
ci portiamo dietro da decenni. Un deficit che non riguarda l'industria
ma i servizi, in particolare il cosiddetto terziario sociale (sanità,
assistenza, servizi di prossimità) a cui si aggiungono turismo,
ricreazione, cultura. È quasi superfluo sottolineare che per stimolare
la domanda di lavoro in questi settori occorrono misure e incentivi
mirati. Che costano, certo. Ma che potrebbero generare volani
occupazionali tali da rendere moltissimi poveri, in moltissime aree,
economicamente autosufficienti. Senza questi volani, i beneficiari del
reddito di cittadinanza avranno invece un'altissima probabilità di
restare confinati nell'unica spiaggia disponibile, peraltro sottoposti
a un regime di disciplina su scelte di vita e consumi.
Perché il governo insiste su questa strada, buttando all'aria
l'esperienza maturata con il reddito d'inclusione (Rei) e con le tante
altre misure sperimentate a livello locale? Perché si avventura su un
piano inclinato da cui non sarà facile tornare indietro? La risposta è:
l'abbiamo promesso agli elettori. Non è così. Non hanno promesso
affatto questa specifica impostazione e queste specifiche modalità di
attuazione. Dicendo «faremo il reddito di cittadinanza» i Cinque Stelle
hanno preso l'impegno a contrastare seriamente la povertà, non a
improvvisare una riforma senza capo né coda. Peraltro ora Di Maio è il
vicepresidente di un esecutivo che rappresenta la nazione e che deve
rispondere a tutti gli elettori. La democrazia funziona così. Chi
governa deve dar conto anche ai tanti cittadini, commentatori ed
esperti che sul reddito di cittadinanza chiedono una pausa di
riflessione, uno sforzo progettuale più serio e approfondito. Nel
frattempo si può rafforzare il Rei. La posta in gioco è troppo
importante per ridurla a una questione di consenso in vista delle
elezioni europee del prossimo maggio.
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