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noi avremmo atteso ancora qualche decennio prima di incontrarli, forse mai














Di cosa parliamo in questa pagina.
Due pezzi e un'appendice.
OLTRE AL REDDITO DI CITTADINANZA CHI CREERA'  QUALCHE MILIONE DI POSTI DI LAVORO IN POCHI ANNI?
Bisognerà attendere fino a lunedi o martedi prossimi per leggere la versione finale del Documento di Economia e Finanza e il progetto di bilancio per il 2019 - finale si fa per dire perchè bisognerà poi vedere cosa cambia il Parlamento- per capire qualcosa di più. Del resto quando un Paese cresce «storto» per oltre 70 anni accumulando 2300 miliardi di debito pubblico e 4500 miliardi di ricchezza privata (immobili esclusi) diventa impossibile raddrizzarne il futuro senza qualcosa di grosso. Che non si vede . La manovra del governo SalviMaio conferma di essere lo specchio dell’Italia e degli italiani: facciamo un po’ di debito e intanto ce la caviamo per due o tre anni. Poi si vedrà. E’ vero che il sistema economico ha già assorbito un po’ la botta  col raddoppio dello spread e quindi -arrivate le notizie- si è calmato  nel vedere confermati i propri timori. Vedremo cosa accade a fine mese.(...)

REDDITO DI CITTADINANZA
L'INEFFICACE SALTO DELLA RANA
di Maurizio Ferrera
L'idea che i poveri vadano aiutati in quanto privi di reddito ha sempre incontrato forti resistenze culturali nel nostro Paese. Eppure la mancanza di risorse economiche non è volontaria, dipende da dinamiche più grandi di individui e singole famiglie, proprio come nel caso della disoccupazione. Risente inoltre di pesanti condizionamenti sociali. Nell'Italia di oggi vivono in povertà assoluta più di dieci minori ogni cento. Come si potrebbe anche solo lontanamente pensare che sia «colpa loro», che non siano anche «fatti nostri»? Del resto il contrasto agli svantaggi sociali arreca benefici, non solo ai singoli individui ma a tutta la società, sotto forma di maggiore coesione, a sua volta fattore di sviluppo.
Letto su questo sfondo, il reddito di cittadinanza non suscita perplessità. Del resto, misure simili esistono in tutti i Paesi Ue. Ma la riforma non convince. Per chi conosce il dibattito internazionale e abbia familiarità con le esperienze straniere e italiane su questo terreno, l'impostazione di base non è condivisibile. Così come attualmente progettato (per quanto si riesce a capire) il reddito di cittadinanza aggira infatti tutti i problemi da cui dipende il fenomeno povertà nel nostro Paese e punta solo sull'ultimo passo: il sussidio. Un azzardato «salto della rana», che rischia di condurre a un serio fallimento.
Per combattere la povertà occorre un ventaglio di politiche preventive, riparative e compensative.(...)

LA TRASPARENZA NON E' DI CASA  IN QUESTA MAGGIORANZA
TRASPARENZA? NO, CENSURA.
Pure al secondo colpo è andata buca. Se la pubblicazione della prima registrazione della seduta del consiglio comunale (con oltre 15 mesi di ritardo rispetto all’istallazione dell’ambaradan tecnologico necessario) era stata vietata dalla sindaca perché qualche consigliere aveva inserito qualche  nome «non dicibile» in pubblico (ma comunque... detto....)  dando così l’occasione alla sindaca per la censura preventiva, alla seconda registrazione «a causa di un problema tecnico siamo spiacenti di comunicare che la registrazione della seduta del Consiglio Comunale del 29 settembre 2018 non è disponibile». Siamo al punto di avere a che fare -parlando di tecnica- di gente che non è grado nemmeno di fare una diretta fessbuc. Bisognerà mandare maggioranza ed opposizione a lezione da DiMaio e Salvini , assai esperti in merito.
Siccome sanno di essere sotto l’occhio attento non solo nostri ma dei cittadini, hanno  abbandonato le pubblicazioni sui siti da loro stessi creati e nemmeno utilizzano il sito comunale per quella che dovrebbe essere una normale comunicazione istituzionale a meno che non sia di natura autoritaria: far capire bene chi comanda e chi deve obbedire.
La questione è che nel Comune di Curno, sia a livello politico che di funzionari, non sono ancora arrivati e nemmeno letti il Dlgs 25 maggio 2016, n. 97 - FOIA e Trasparenza vale a dire il «Decreto legislativo recante revisione e semplificazione delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione pubblicita’ e trasparenza correttivo della Legge 6 novembre 2012, n. 190 e del Decreto Legislativo 14 marzo 2013, n. 33, ai sensi dell’articolo 7 della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche». Semplicemente disinformati quindi? No: censura.

LA FOTO DEL TITOLO
Tranne la palazzina degli spogliatoi il CVI1 é la peggiore opera pubblica del paese. Definirla brutta é offendere il brutto. Basti pensare che uno degli ideatori dell'opera suggerì di trasformare una stalla nell'attuale bar mensa e poi non si sa bene cosa.
Il giardino è stato piantumato da alberi improbabili che col paese c'entrano un fico secco: ma sono stati utili a svuotare vivai invendibili.
Lasciamo perdere la nuova architettura degli interni ed esterni del rinnovato bar ristorante.
Per finire l'opera ecco l'ultimo arredo del parco in corso di realizzazione. Non si comprende se si siano ispirati a Gaza, ai confini dei paesi di Visegrad oppure a quelli di Ceuta. Semmai sappiano chi-dove siano.
In compenso  é stato assegnato ad uno studio di architette tutte donne (tranne uno: guarda che trovata, chi l'avrebbe detto....) l'operazione di rimettere a posto il CVI1 : Determinazione n.538 del 16 ottobre 2018. Approvazione report della procedura sintel e affidamento alla soc.WEProject del servizio di redazione progetto definitivo e invio domanda contributo regionale riqualificazione impianti sportivi.
I Curnesi ringrazino iddio di non avere una squadra di golfisti o di barcaroli. Nell'anno di grazia 2018 c'é ancora un Comune che crede di fare le scarpe ai centri sportivi privati: uno per tutti il Gamba?. Ma siamo ancora negli anni '50 quando ai contadini che lasciavano i campi per rinchiudersi in fabbrica bisognava dare i campi di calcio per fare sport? Oppure siamo ancora negli anni della "Milano da bere" quando se non facevi tennis eri un signor nessuno? Non sono finiti gli anni di Carlo Codega? Ma i nostri amministratori non vedono com'é cambiato TUTTO il modo do fare sport? Quando hanno costruito il CVI1 se andavi sul Mut de Moss incontravi solo pochi contadini. Adesso incontri centinaia di "runner", di anziani che scarpinano, di ciclisti che pedalano. E voi ancora qui a sognare  il calcio (che la maggioranza vede sulla TV a pagamento)?

































OLTRE AL REDDITO DI CITTADINANZA CHI CREERA'  QUALCHE MILIONE DI POSTI DI LAVORO IN POCHI ANNI?


Bisognerà attendere fino a lunedi o martedi prossimi per leggere la versione finale del Documento di Economia e Finanza e il progetto di bilancio per il 2019 - finale si fa per dire perchè bisognerà poi vedere cosa cambia il Parlamento- per capire qualcosa di più. Del resto quando un Paese cresce «storto» per oltre 70 anni accumulando 2300 miliardi di debito pubblico e 4500 miliardi di ricchezza privata (immobili esclusi) diventa impossibile raddrizzarne il futuro senza qualcosa di grosso. Che non si vede . La manovra del governo SalviMaio conferma di essere lo specchio dell’Italia e degli italiani: facciamo un po’ di debito e intanto ce la caviamo per due o tre anni. Poi si vedrà. E’ vero che il sistema economico ha già assorbito un po’ la botta  col raddoppio dello spread e quindi -arrivate le notizie- si è calmato  nel vedere confermati i propri timori. Vedremo cosa accade a fine mese.
Il tragicomico ed assieme divertente della manovra sta in aspetti che in genere vengono  lasciati in disparte. Uno. Il cavallo di battaglia di Salvini -la flat tax al 15% per Ie imprese minori- era già in vigore dal 2014 e adesso viene peggiorata. Pare che si ridurranno quelle che vi possono accedere. Due. Conte s’è accorto -Padre Pio illumina le menti!- che non si può offrire a un disoccupato trapanese un posto di lavoro in Friuli e non glielo puo’ nemmeno offrire tre volte di seguito: forse 5 su cento prendono le valigie e salgono a Trasaghis o Tolmezzo da Castelvetrano. Tre. Se in Sicilia hai 1,3 milioni di poveri vuol dire che per risolvere la questione  dovresti essere in grado di creare in due o tre -facciamo cinque- anni almeno 500-700mila posti di lavoro. Un’impresa del genere non riuscirebbe a compierla nemmeno una Merkel. In Italia, la povertà tocca 5,1 milioni di persone in condizioni di grave deprivazione e disagio economico (dati CARITAS di oggi) è quindi inimmaginabile che con la sola crescita del Pil dell’1,5% all’anno si riescano a creare in tre (o cinque) anni almeno tre o cinque milioni di posti di lavoro a tempo indeterminato. Quattro. Siccome oggi in Italia lavorano 23-24milioni di persone, un aumento degli occupati di cinque milioni farebbe schizzare il PIL del 20% (più venti per cento!...) e porrebbe l’Italia sotto la mira dell’Ue per l’enorme surplus record. Il surplus commerciale italiano nel 2017 è stato di 45,7 miliardi a fronte dei 249 miliardi della Germania e dei 70 miliardi dell’Olanda. Immaginatevi lo scombussolamento nel mondo, non solo nell’Ue.
Il governo con quell’accrocco che è nuovo condono&pace fiscale pensa di contribuire ad una riduzione delle tasse a cittadini e imprese molto consistente. Ernesto Maria Ruffini, amministratore delegato e il presidente dell’agenzia Equitalia spa, in audizione alla VI Commissione Finanze alla Camera, il 6 aprile 2017 ha dichiarato:“Sono circa 21 milioni i contribuenti che risultano avere debiti a vario titolo con enti che hanno affidato la riscossione a Equitalia. Il 74% dei contribuenti ha debiti sotto i 5mila euro ma  i debiti tra i 1000 e i 5000 euro rappresentano il 20,4% del totale, il 7,1% si trova tra i 5mila e i 10mila euro, l'11,9% tra 10mila e 50mila mentre appena il 3% ha debiti tra 50 e 100mila euro e un altro 4% deve al fisco oltre 100mila euro.
Il che vuol dire che se il governo SalviMaio si guadagna almeno un voto per famiglia italiana «condonata» si mette nelle urne qualcosa come 15-16 milioni di voti mollando un calcinculo  quelli che hanno sempre onorato il proprio debito col fisco. Qui torna di nuovo evidente un aspetto classico degli italiani che Salvini giustifica e nobilita falsamente con la tesi «non hanno pagato le tasse per pagare i dipendenti» vista la distribuzione delle somme dovute.
DiMaio da bravo meridionale che non ha mai smesso di essere un NEET avverte che i centri per l’impiego -oggi sono 552 con 8mila dipendenti e una spesa di 600 milioni (lo 0,004% del Pil contro lo 0,36% della Germania e lo 0,25% della Francia -anno 2015) saranno  rafforzati con un investimento di un miliardo per l’assunzione di nuovo personale visto che finora hanno funzionato soprattutto per garantire il lavoro a se stessi riuscendo a collocare meno del 3,5% dei nuovi assunti.
Purtroppo per DiMaio un piano di investimento di questa natura non può essere attuato in breve tempo, ma deve essere pluriennale, con una crescita graduale dei servizi e dei livelli delle prestazioni previste, in parallelo agli investimenti.  Se tanto mi da tanto sarà un buco nell’acqua visto che i posti di lavoro non li creano i centri per l’impiego ma le industrie e se queste non hanno ordini...
L’orizzonte verso cui guardano questo DEF e questa bozza di Legge di Bilancio 2019 sono soltanto le elezioni europee con la certezza che gli elettori saranno ben contenti di farsi infinocchiare la seconda volta e la prospettiva che poi muterà completamente il quadro all’Ue.
La coppia Salvini-DiMaio presti attenzione a due fatti. Il primo è che i loro «amici» di Visegrad non sono affatto condiscendenti verso i paesi del Mediterraneo e il loro debito. Quindi pollice verso sul piano italiano. Secondo. Quello che è accaduto in Baviera settimana scorsa -la Baviera è una delle regioni più ricche dell’Ue- non pare proprio rassicurante per la coppia Salvini&DiMaio.
Buon ultimo al di sopra di tutti i conti appare il pericolo della rottura di una solidarietà trasversale dentro gli stati e tra gli stati. Si va verso la rottura del patto per cui chi sia arrivato -cioè abbia un reddito una casa un lavoro, la tutela della salute la scuola- e chi non c’è o non arriverà -cioè si trova nelle mille sfumature della povertà- mai avranno comunque gli stessi diritti  e le stesse occasioni nei rispettivi paesi. La conclusione traetela da soli.
TRASPARENZA?
NO. CENSURA.


Pure al secondo colpo è andata buca. Se la pubblicazione della prima registrazione della seduta del consiglio comunale (con oltre 15 mesi di ritardo rispetto all’istallazione dell’ambaradan tecnologico necessario) era stata vietata dalla sindaca perché qualche consigliere aveva inserito qualche  nome «non dicibile» in pubblico (ma comunque... detto....)  dando così l’occasione alla sindaca per la censura preventiva, alla seconda registrazione «a causa di un problema tecnico siamo spiacenti di comunicare che la registrazione della seduta del Consiglio Comunale del 29 settembre 2018 non è disponibile». Siamo al punto di avere a che fare -parlando di tecnica- di gente che non è grado nemmeno di fare una diretta fessbuc. Bisognerà mandare maggioranza ed opposizione a lezione da DiMaio e Salvini , assai esperti in merito.
Siccome sanno di essere sotto l’occhio attento non solo nostri ma dei cittadini, hanno  abbandonato le pubblicazioni sui siti da loro stessi creati e nemmeno utilizzano il sito comunale per quella che dovrebbe essere una normale comunicazione istituzionale a meno che non sia di natura autoritaria: far capire bene chi comanda e chi deve obbedire.
La questione è che nel Comune di Curno, sia a livello politico che di funzionari, non sono ancora arrivati e nemmeno letti il Dlgs 25 maggio 2016, n. 97 - FOIA e Trasparenza vale a dire il «Decreto legislativo recante revisione e semplificazione delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione pubblicita’ e trasparenza correttivo della Legge 6 novembre 2012, n. 190 e del Decreto Legislativo 14 marzo 2013, n. 33, ai sensi dell’articolo 7 della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche». Semplicemente disinformati quindi? No: censura.
REDDITO DI CITTADINANZA
L'INEFFICACE SALTO DELLA RANA
di Maurizio Ferrera

L'idea che i poveri vadano aiutati in quanto privi di reddito ha sempre incontrato forti resistenze culturali nel nostro Paese. Eppure la mancanza di risorse economiche non è volontaria, dipende da dinamiche più grandi di individui e singole famiglie, proprio come nel caso della disoccupazione. Risente inoltre di pesanti condizionamenti sociali. Nell'Italia di oggi vivono in povertà assoluta più di dieci minori ogni cento. Come si potrebbe anche solo lontanamente pensare che sia «colpa loro», che non siano anche «fatti nostri»? Del resto il contrasto agli svantaggi sociali arreca benefici, non solo ai singoli individui ma a tutta la società, sotto forma di maggiore coesione, a sua volta fattore di sviluppo.
Letto su questo sfondo, il reddito di cittadinanza non suscita perplessità. Del resto, misure simili esistono in tutti i Paesi Ue. Ma la riforma non convince. Per chi conosce il dibattito internazionale e abbia familiarità con le esperienze straniere e italiane su questo terreno, l'impostazione di base non è condivisibile. Così come attualmente progettato (per quanto si riesce a capire) il reddito di cittadinanza aggira infatti tutti i problemi da cui dipende il fenomeno povertà nel nostro Paese e punta solo sull'ultimo passo: il sussidio. Un azzardato «salto della rana», che rischia di condurre a un serio fallimento.
Per combattere la povertà occorre un ventaglio di politiche preventive, riparative e compensative.
I Paesi con minor tasso di povertà hanno buoni sistemi educativi (preparazione), robuste politiche attive per il lavoro, la formazione e l'inclusione (riparazione) e una vasta gamma di prestazioni monetarie (compensazione): per i figli, la disoccupazione, il sostegno agli affitti e così via. Sono sempre più diffusi anche i sussidi alle basse retribuzioni, responsabili della forte crescita dei cosiddetti working poor , lavoratori che, pur occupati, restano sotto la soglia di povertà. Solo al fondo di questo articolato sistema, per chi non ha trovato appoggi di altra natura, è disponibile un'estrema rete di sicurezza: la garanzia di un reddito minimo, appunto. Tipicamente accompagnato da misure di assistenza sociale mirata.
A causa di molteplici distorsioni evolutive, nel nostro sistema di welfare questi tasselli sono a tutt'oggi inadeguati o addirittura mancanti. Per esempio, esistono iniziative solo sporadiche contro la povertà educativa dei minori (deficit di prevenzione) o per la formazione, non solo dei giovani, ma anche di chi ha perso il lavoro (deficit di «riparazione»). In Francia o Germania una famiglia senza reddito con due figli riceve fra i 400 e i 500 euro al mese, in Italia non ha invece diritto ad alcun assegno (deficit di compensazione per carichi di famiglia). Non abbiamo un sistema di sussidi alle basse retribuzioni, le detrazioni fiscali non vengono neppure riconosciute agli incapienti. Pochissime le borse di studio: in Italia le ricevono meno dell'8% degli studenti, contro il 35% della Francia e il 65% della Svezia. Si dirà: che c'entra tutto questo con il reddito di cittadinanza? C'entra. È proprio grazie a questi punti d'appoggio che la quota di poveri è molto più bassa negli altri Paesi. La mancanza di reddito è combattuta a monte, prima che si verifichi: un vantaggio per tutti. Il progetto governativo scarica invece tutte le tensioni su un'unica prestazione, il reddito di cittadinanza. In molti contesti del Sud questa prestazione diventerà non l'ultima, ma l'unica spiaggia su cui approdare. E poi?
E qui arriviamo al secondo grave sbaglio di impostazione. Il reddito di cittadinanza viene essenzialmente presentato come strumento di inserimento lavorativo. Ciò presuppone che esista una domanda di occupazione inevasa nei contesti dove vivono i richiedenti. In qualche area territoriale può essere almeno parzialmente così. Ma, soprattutto al Sud, ciò è tutt'altro che scontato. Il mercato occupazionale italiano sconta un cronico e massiccio deficit di posti di lavoro, che ci portiamo dietro da decenni. Un deficit che non riguarda l'industria ma i servizi, in particolare il cosiddetto terziario sociale (sanità, assistenza, servizi di prossimità) a cui si aggiungono turismo, ricreazione, cultura. È quasi superfluo sottolineare che per stimolare la domanda di lavoro in questi settori occorrono misure e incentivi mirati. Che costano, certo. Ma che potrebbero generare volani occupazionali tali da rendere moltissimi poveri, in moltissime aree, economicamente autosufficienti. Senza questi volani, i beneficiari del reddito di cittadinanza avranno invece un'altissima probabilità di restare confinati nell'unica spiaggia disponibile, peraltro sottoposti a un regime di disciplina su scelte di vita e consumi.
Perché il governo insiste su questa strada, buttando all'aria l'esperienza maturata con il reddito d'inclusione (Rei) e con le tante altre misure sperimentate a livello locale? Perché si avventura su un piano inclinato da cui non sarà facile tornare indietro? La risposta è: l'abbiamo promesso agli elettori. Non è così. Non hanno promesso affatto questa specifica impostazione e queste specifiche modalità di attuazione. Dicendo «faremo il reddito di cittadinanza» i Cinque Stelle hanno preso l'impegno a contrastare seriamente la povertà, non a improvvisare una riforma senza capo né coda. Peraltro ora Di Maio è il vicepresidente di un esecutivo che rappresenta la nazione e che deve rispondere a tutti gli elettori. La democrazia funziona così. Chi governa deve dar conto anche ai tanti cittadini, commentatori ed esperti che sul reddito di cittadinanza chiedono una pausa di riflessione, uno sforzo progettuale più serio e approfondito. Nel frattempo si può rafforzare il Rei. La posta in gioco è troppo importante per ridurla a una questione di consenso in vista delle elezioni europee del prossimo maggio.