Le trenta cose che il Movimento 5 stelle non ha ancora fatto per l'ambiente
Da quando è al governo, il Movimento 5 Stelle — fino a poco tempo fa
schierato in prima linea per la difesa dell'ambiente — ha smesso
progressivamente di parlare di tematiche ambientali.
Questo sarebbe il governo del cambiamento, secondo chi è al governo. Il
cambiamento che in tutto il mondo è più percettibile da chiunque, però,
è quello climatico. Ieri l'IPCC ha pubblicato uno studio da cui emerge
che la situazione del clima è più grave di quanto previsto: anche se
tutti i partecipanti agli accordi di Parigi rispettassero gli impegni
presi, probabilmente non si riuscirebbe a limitare in modo decisivo
fenomeni catastrofici. Se prima si pensava che esondazioni, aumento del
livello del mare e strage di coralli e pesci si sarebbero verificati
col raggiungimento di due gradi centigradi di riscaldamento rispetto
all'era preindustriale, il nuovo studio certifica che si verificheranno
anche con un aumento di un grado e mezzo. Che è molto difficile da
evitare.
Nel nostro paese dovrebbe esserci qualcosa di diverso, però, che
dovrebbe far vedere un minimo di speranza in fondo al tunnel: per la
prima volta un partito che tra i suoi primi punti identificativi ha
sempre avuto la tutela dell'ambiente, il Movimento 5 stelle.
Addirittura, le cinque stelle nel simbolo del partito dovrebbero
rappresentare la tutela dell'acqua pubblica, della mobilità
sostenibile, dello sviluppo, della connettività e dell'ambiente. Ma
questa è archeologia politica: la simbologia risale agli albori del
partito.
Cosa sta facendo per la tutela dell'ambiente il Movimento 5 stelle, ora che è alla guida del paese?
Poco più di niente: non quanto ci si aspetterebbe da un partito che si
era mostrato così schierato sui temi ambientali. Ha fatto di più
durante la scorsa legislatura, quando ad esempio ha firmato con LeU una
'legge per la sostituzione dellamianto e incentivo al fotovoltaico, o
una legge sugli ecoreati firmata con il Pd. Ci sono una serie di cose
che dovrebbero essere all'ordine del giorno ora che il partito è al
governo, e che invece stanno venendo ignorate, rimandate, o affrontate
in modo incompleto, in molti casi in aperto spregio di cose dette o
scritte dagli esponenti del movimento negli scorsi anni. Vediamone
qualcuna.
No carbon tax.
In un post del blog di Beppe Grillo del 4 luglio del 2017, si proponeva
una "revisione organica delle imposte sussidi procedendo alle
eliminazioni di quelle risultate non efficaci per la tutela ambientale
e conseguente introduzione di misure che, attualmente, ancora mancano
nel nostro ordinamento. Ad esempio la carbon tax."
La carbon tax è uno dei metodi più efficaci per agire sul consumo di
energie non rinnovabili, e come avevamo spiegato questo giugno, sarebbe
il momento di implementarla anche in Italia. Al momento però il governo
non sembra avere la minima intenzione di implementarla, essendo a
quanto pare più orientato sulla flat tax del suo alleato Salvini.
No chiusura trivelle.
In una recente visita a Potenza, Di Maio è stato contradditorio. Prima
ha dichiarato di non essere favorevole a un'eccessiva espansione di
"sterminati" campi dedicati all'energia eolica e fotovoltaica. Poi di
non volere dare priorità al petrolio che "minaccia la salute dei
lucani." Però poi ha anche sostenuto di essere "pragmatico" e che non
firmerà concessioni per trivelle a meno che non ci sia un ritorno anche
per i cittadini della Basilicata. Insomma, darà le concessioni per
nuove trivelle. Tutto questo dopo che il Movimento è stato in prima
linea per il referendum antitrivelle sulla riviera adriatica, e anche
nella stessa Basilicata.
No eliminazione sussidi combustibili fossili.
L'Italia spende ogni anno 16 miliardi in sussidi diretti e indiretti ai
combustibili fossili. La loro eliminazione è tra gli obiettivi degli
accordi di Parigi. Al momento non sembra essere però tra le priorità
del governo. Nel dicembre del 2017, era apparso in proposito un
articolo sul blog di Beppe Grillo.
Questi tre sono forse gli argomenti più macroscopici sui quali il
governo si è mostrato reticente. Ma ce ne sono altri, che pur essendo
meno importanti o gravi, meritano comunque una citazione, e che
dovrebbero essere all'ordine del giorno di un partito che vorrebbe
garantire in modo così cristallino la difesa dell'ambiente.
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Cose di cui il Movimento 5 Stelle non parla nemmeno più:
No inizio procedure partecipate per decidere localizzazione
costruzione impianti rinnovabili — 'manca un piano dell' energia
rinnovabile nazionale.
No sussidi a industrie rinnovabili.
No finanziamento su tecnologie di accumulo energia.
No incentivi a impianti rinnovabili domestici.
No piano installazione impianti rinnovabili in piccole isole
No incentivi edifici basso impatto energetico e geotermia a bassa entalpia.
No piano per la transizione del Sud Italia a fotovoltaico.
No dibattito sul building integrated fotovoltaico.
No stretta elettrificazione su industrie, ad esempio sull'ILVA.
No piano di protezione degli habitat della biodiversità marina.
No piano sostituzione distribuzione combustibili fossili automobili con infrastruttura elettrica.
No piano eliminazione automobili a combustibili fossili.
No piano trasformazione ambiente urbano da auto a trasporti pubbico+bici.
No piano mobilità ciclabile nazionale.
No piano potenziamento ed estensione ferrovie.
No piano trasmigrazione trasporto merci da gomma a ferrovie.
No piano sostituzione grandi navi con elettriche.
No piano utilizzo biocombustibili negli aerei che partono da aeroporti italiani.
No stretta contro deforestazione, anzi.
No normativa per la tutela del suolo.
No regolamentazione contro overfishing.
No stretta su inquinamento climalterante.
No stretta su inquinamento climalterante marino.
No normativa regolamentazione e virtuosismo ambientale della filiera del cibo biologico .
No legge contro cementificazione.
No ricerca per studiare effetti cambiamento climatico sul paese – anzi, chiusura di Italiasicura.
No incentivo al dibattito pubblico in tv sul cambiamento climatico.
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Gasdotto Tap, ripartono i lavori. Il silenzio dei 5Stelle cancella i veti
Oggi lunedì riapre
il cantiere in Puglia per portare in Italia il gas dall’Asia. Stessa
strategia per la Tav. Il Movimento sacrifica le promesse per evitare
penali e colpi all’occupazione
Dopo l'Ilva di Taranto che non ha affatto chiuso i battenti ma è
rimasta al suo posto sostanzialmente alle condizioni concordate dal
governo Gentiloni, adesso è il turno del Tap, il Trans Adriatic
Pipeline. E i fari si stanno di nuovo accendendo anche per la Tav,
l'Alta velocità Torino-Lione. Due cavalli di battaglia della campagna
elettorale grillina.
Sul nuovo gasdotto, che attraversando Grecia e Albania approda in
Italia, il governo Conte e il Movimento 5Stelle hanno di fatto
ingranato la retromarcia. Lo stanno facendo senza troppi proclami e
soprattutto tentando di far dimenticare che tra le loro promesse
elettorali ci sarebbe stato proprio l'annullamento di quel progetto.
Perché dopodomani, in virtù di una sorta di silenzio-assenso,
riprenderanno i lavori sul territorio italiano per impiantare il tubo
che tra poco più di un anno dovrà portare il gas dall'Azeirbaijan. E i
lavori riprenderanno perché, banalmente, nessuno fino a questo momento
ha opposto alcun tipo di veto.
Il punto è molto semplice. Il Tap per l'80 per cento del suo percorso
totale (quasi 900 chilometri) è stato già completato. Manca soltanto il
pezzo che attraversa l'Adriatico e gli 8 km che riguardano il
territorio pugliese. Per bloccare le operazioni ci sarebbe bisogno di
un esplicito intervento del governo. In particolare la competenza
spetta al Ministero dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio. Che però
fino ad ora non ha firmato alcun atto ufficiale in grado di rimettere
tutto in discussione. Del resto, si tratta di un'opera che ha già
ottenuto da tempo tutte le autorizzazioni ed è finanziata da capitali
privati. Tenendo presente che è comunque coinvolta una società - come
la Snam che detiene il 20% delle azioni di Tap al pari della azera
Socar e dell'anglo-americana Bp - controllata dal governo attraverso la
Cassa Depositi e Prestiti. Mercoledì scorso, ad esempio, tutte le
aziende di Stato, compresa la Snam, sono state ricevute a Palazzo
Chigi. Ma nessuno segnale contrario è stato lanciato.
Insomma, per dare un colpo di freno a questa infrastruttura servirebbe
qualcosa di più di un semplice esposto che un paio di settimane alcuni
parlamentari grillini hanno presentato alla procura di Lecce. Anche per
il governo giallo-verde, però, rimettere tutto in discussione è
diventato piuttosto complicato. Sia per una questione economica, sia
per fattori geopolitici. Secondo alcune stime, infatti, cancellare il
progetto comporterebbe una perdita di circa 40 miliardi, provocata dai
mancati affari e dalle penali previste.
L'importo di una abbondante legge di Bilancio. Va considerato che
secondo la programmazione, il gasdotto dovrebbe entrare in funzione
entro la fine del prossimo anno.
In vista di quella data, sono stati già firmati una serie di contratti
di cessione del gas. Il mancato rispetto di quelle stipule
comporterebbe un esborso piuttosto consistente. Rischi analoghi si
correrebbero anche nel caso in cui si modificasse il tracciato.
I tempi di realizzazione infatti si allungherebbero sensibilmente.
Ma c'è di più. Questo impianto, che si collega ad uno dei più grandi
oledotti turchi, viene considerato in Europa e negli Stati Uniti lo
strumento per non subire "ricatti energetici" dalla Russia di Putin. Va
tenuto presente, infatti, che il prossimo anno entra in funzione anche
il North Stream, il gasdotto russo "avversario" del Tap. Non è un caso
che proprio di recente il presidente della Repubblica, Sergio
Mattarella, sia stato in visita ufficiale in Azeirbaigian. E che
nell'incontro alla Casa Bianca tra il presidente Usa e il premier Conte
sia stato toccato proprio il nodo del Trans Adriatic Pipeline. "La
Commissione - diceva inoltre il 26 settembre scorso il commissario
europeo all'energia, lo spagnolo Arias Canete - ritiene che il
NorthStream non contribuisca agli obiettivi della politica energetica
dell'Ue".
Sta di fatto che i lavori lunedì riprenderanno ed è stato allertato il
ministro degli Interni, Matteo Salvini, per mettere in sicurezza
l'ordine pubblico ed evitare qualsiasi tipo di incidenti.
Il governo, inoltre, sembra pronto a seguire la "linea del silenzio"
anche per la cosidetta Tav, la linea alta velocità Torino-Lione. Il
Movimento 5 Stelle si era impegnato in campagna elettorale a
interrompere la pianificazione della nuova linea ferroviaria. La Lega
si è sempre dichiarata favorevole. Ma anche in questo caso, il ritorno
indietro comporta conseguenze piuttosto pesanti. Il ministro dei
Trasporti, Danilo Toninelli, non ha ancora preso una decisione a questo
proposito. Eppure ci sono due aspetti che denunciano la stessa tattica
seguita per il Tap. Intanto non si sono fermati i lavori a Chiomonte
per trasformare quel cantiere nell'area di arrivo principale in Italia.
In secondo luogo, ma solo in via informale, ci sarebbe stata la
disponibilità a sbloccare entro novembre i due principali bandi di gara
(fissati in un primo momento per settembre) per stendere i binari
dell'Alta velocità. Si tratta di appalti per 2,3 miliardi di euro.
Pure per quanto riguarda la Torino-Lione, sospendere il progetto
equivarrebbe dunque ad una perdita economica. Va calcolato che il
progetto può contare su un cofinanziamento dell'Ue pari al 40% della
spesa. Al momento si dovrebbe, ad esempio, rinunciare e restituire
oltre 800 milioni. E di recente la Commissione si è dichiarata pronta
ad aumentare il contributo fino al 50%. Senza calcolare i danni per
l'indotto e in termini occupazionali. Danni che mentre si discute la
legge di Bilancio e gli investimenti per far crescere il Pil, anche la
maggioranza giallo-verde non può più ignorare. La base grillina, però,
è già pronta a protestare.
Claudio Tito
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