Torna la puzza di sacrestia
L'alleanza tra sigle cattoliche e Ong
Gentiloni battezza Demos i civici targati Sant'Egidio lanciano la sfida nazionale
C'è una piccola Italia che resiste, nel minuscolo auditorium del
Seraphicum, collegio pontificio lungo la via Laurentina. Un'Italia che
non si rassegna. Chiamata a raccolta dall'anima più politica e
movimentista della Comunità di Sant'Egidio per tenere a battesimo
Demos, nuova rete civica d'ispirazione cattolica ( ma non solo), che ha
ben esordito alle regionali del Lazio con Zingaretti e ora vuol
diventare grande. Gente che rifiuta i diktat sovranisti, assiste
sgomenta all'escalation di annunci e violenza verbale di cui son piene
le cronache, vive l'ansia di un Paese ferito dalle diseguaglianze,
impaurito dagli slogan xenofobi. E decisa ora a far sentire la sua
voce, a candidarsi alle prossime elezioni, se necessario. A « mettersi
in cammino » per arginare «l'ondata populista che rischia di contagiare
l'Europa».
Due i padrini d'eccezione, e certo non per caso: il fondatore di
Sant'Egidio Andrea Riccardi e l'ex premier Paolo Gentiloni. Speaker di
un mondo finora costretto al silenzio, sovrastato dalle «parole d'odio
sui social», dalla «polemica continua a cui è ridotta la politica»:
dalle Acli all'Azione Cattolica, dalla Comunità Exodus alla Giovanni
XXIII, dall'associazione nazionale delle Ong al Centro italiani
rifugiati, una miriade di volontari, tutti lì per dire che «questo è il
momento di muoversi, di mobilitarsi», esorta il consigliere regionale
di Demos Paolo Ciani, promotore insieme all'ex viceministro Mario Giro.
All'incirca duemila persone stufe di una politica che i cattolici
vogliono tornare a fare da protagonisti. «Non ci piacciono le
semplificazione del leaderismo, della polarizzazione permanente, della
politica twittata o dell'autore- ferenzialità » , accusa Ciani.
Ma quando dalla platea, prima che Gentiloni prenda la parola, si alza
il grido: « Basta con Matteo Renzi!», diventa chiaro che il bersaglio
non sono solo Salvini e Di Maio. Ad aver stancato è un certo modo di
star dentro le istituzioni, a destra come a sinistra. «Tutto si consuma
in fretta, in chiacchiere e risse continue, senza spessore e senza
memoria » , incalza Ciani, « generando smarrimento e assenza di punti
di riferimento». Un precipizio aggravato dal «vento impetuoso della
globalizzazione » , che «ha affermato un modello di società separata e
divisa tra vincenti e scarti. Io contro gli altri: il Nord contro il
Sud; giovani contro anziani; periferici contro radical chic; popolo
contro élite; italiani contro immigrati. Diciamolo chiaramente: per noi
la divisione è una sconfitta. Qui vogliamo proporre un'altra idea di
società, quella del mettere assieme, dello stare insieme».
La chiama « connessione » Andrea Riccardi, è di questo che « la nostra
politica ha urgente necessità, riallacciare le relazioni sociali, opera
che in questo momento nessuno compie perché sembra troppo lenta e
inutile » . Una politica oggi «carente di visioni», di progetto, di
futuro: si preferisce vivere « un eterno presente» in cui «governare
diviene mostrarsi, apparire immediatamente e ininterrottamente. È il
regime assoluto del presentismo ». Col risultato che «la realtà si
appiattisce, diviene cronaca, azione e reazione, mentre la politica
democratica avrebbe bisogno di riflessione e di tempo per svilupparsi.
"Conoscere per deliberare" diceva Einaudi: pare una follia in
quest'epoca di velocità. Lasciando la sensazione che molte decisioni
siano non solo affrettate ma anche improvvisate. Lentezza e riserbo
sono ormai denigrate » . Balsamo per Gentiloni: del resto a Palazzo
Chigi lo chiamavano " er moviola". « Nel momento in cui nasce una
proposta nuova non dobbiamo mettergli fretta, né etichette » avverte
l'ex premier. «Abbiamo bisogno di tutti per costruire quel risveglio
democratico che serve all'Italia. C'è una politica popolare che non
coincide con il nazional populismo», ragiona Gentiloni facendo un
parallelo con « i sonnambuli del 1913, la fine della bella époque»,
sfociata poi « nella guerra più sanguinosa del '900». È quel che
rischia oggi il Paese: « Un laboratorio, insieme agli Usa, dei futuri
destini del mondo». Ecco perché « essere qui, ciascuno con la propria
storia, è importante ». Per combattere questo «governo Penelope che
sfascia tutto quanto fatto prima, isola l'Italia sul piano
internazionale, la incattivisce». Il motivo per cui i cattolici sono
tornati in campo.
Giovanna Vitale
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Torna la puzza di sacrestia
L'alleanza tra sigle cattoliche e Ong
Gentiloni battezza Demos i civici targati Sant'Egidio lanciano la sfida nazionale
COMMENTO.
Non è bastata all’Italia lo scout Renzi e la sua eccessiva corte per
condurre il partito democratico -inteso non come PD ma come insieme del
elettori democratici antifascisti di matrice socialista e comunista- ad
essere il terzo partito inutile nel paese e nel parlamento italiano.
Bisogna tornare agli oratori ed alla DC. La DC di sinistra. Quella che
poggia su mille onlus che inventano giorno dopo giorno necessità e
bisogni e suggeriscono alle amministrazione le soluzioni che poi
s’accaparra- no. Quelli che si sono privatizzati scuola, servizi
sociali, alloggio e manutenzione dei migranti secondo la logica per cui
«noi facciamo del bene» a prescindere e quindi tutti muti gli
altri. Invece di fare funzionare bene se non meglio il pubblico, primi
a suggerire la sostituzione col privato sociale salvo che nessuno ha
mai visto il foglio paga di chi lavora per loro. No. Molto del popolo
del PD, quello inteso in senso largo come detto sopra- non vuole
trasformare lo Stato, le Regioni, le Provincie i Comuni in una sorta di
Caritas o OnLus nazionali. Al mondo c’é posto per tutti ma
ciascuno DEVE stare al proprio posto. Del resto l’infinita tirititela
del fenomeno migratorio è sopportato stato proprio da quel mondo per
merito di un ragionamento senza testa ne coda. Il progressivo aumento
del debito pubblico idem come sopra: inuluttabile. Non, non c’è bisogno
ne di una nuova DC di sinistra ne di trasformare il Paese in una grande
Caritas. Basta la Costituzione italiana.
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SPIGOLATURE DALLA STAMPA QUOTIDIANA
UN PAESE INDEBITATO non è libero di fare tutto ciò che vuole e lui (PdC
Conte) da giurista lo sa bene. Dica qualche volta — e anche
pubblicamente — no ai suoi due azionisti di maggioranza, li richiami al
rispetto delle forme. A una certa sobrietà negli atteggiamenti. Al
rispetto delle istituzioni. Anche chi ha molto consenso e il vento dei
sondaggi a favore non occupa le istituzioni come fossero «aule sorde e
grigie», le rappresenta. Metta sul tavolo, se necessario, le proprie
dimissioni. Dia finalmente spessore e lineamenti al proprio volto
politico.
CIÒ CHE RIVELA MOLTE RAGIONI dell'esplodere dello spread negli ultimi
giorni è in un dettaglio: unicamente i cds emessi negli ultimi anni
assicurano non solo contro il rischio di default, ma anche contro
quello che un debito venga onorato in una nuova moneta nazionale
svalutata (non più in euro). Dunque la differenza di costo per poter
avere le vecchie e le nuove polizze rivela quanto gli investitori
temano per i conti pubblici di per sé oppure quanto invece temano
proprio che l'Italia esca dall'euro. Più sale quella differenza, più il
timore di rottura della moneta è evidente. COMMENTO. Ma DiMaio e
Salvini sanno cos’è lo spread e i cds?
DUE GIORNI FA È ENTRATO A FAR PARTE DEL PARCO mezzi di Trenord un
convoglio composto da sei carrozze Media distanza (compresa una
semipilota) e da un locomotore E464. Non un treno nuovo, come già si
sapeva: ha una trentina d'anni. Inoltre, a dare manforte al personale
di Trenord ci sono venti dipendenti di Trenitalia che — dicono i ben
informati — svolgono turni i n service dai depositi piemontesi di
Domodossola e Alessandria e garantiscono il servizio su 22 treni al
giorno. Secondo l'accordo, da qui a fine mese in Lombardia dovrebbero
arrivare altri otto treni. Saranno un gemello del convoglio già
consegnato, cinque Ale 582 (di 23 anni) e due Vivalto (con 8 anni e
mezzo di servizio). Un aiuto al trasporto ferroviario locale, non certo
la soluzione alle difficoltà che i pendolari lombardi subiscono
quotidianamente. COMMENTO. Non si sa se ridere o piangere di fronte
all’idea che Trenitalia non disponga di un congruo numero di treni per
eventuali necessità e quindi li possa immettere in funzione. Del resto
basta vedere i convogli (e non certo per l’età) per capire che non
sanno nemmeno costruire e comperare treni: paiono ancora come carrozze
dell’west. In Lombardia c’è un ponte da rifare (fprse una decina) e non
sanno che fare ed occorrerebbero almeno cento treni per cambiare i
rottami in funzione. Ghè mia i solcc!.
IL CONTRATTO DI GOVERNO prevedeva misure per un costo totale di circa
125 miliardi di euro, tra cui, ad esempio un sistema fiscale a due
aliquote (15% e 20%). Cosa è rimasto di tanta gloria? L'eredità della
mitologica "flat tax" è uno sgravio fiscale, soltanto per i lavoratori
autonomi, del valore di un paio di miliardi. Ai sussidi alla povertà
verranno destinati forse 8-10 miliardi, la metà di quanto promesso nel
contratto, limitando fortemente la platea di beneficiari. E visto che
il deficit non potrà superare il 2,4%, Lega e 5 Stelle dovranno trovare
comunque tagli alla spesa e aumenti delle tasse se vorranno completare
questo già minimo programma. La rivoluzione giallo-verde si è fermata
ancora prima di iniziare. COMMENTO ad hoc. Cazzi loro per chi l’ha
bevuta e li ha votati. Peccato che lo saranno anche per noi ma per
altre ragioni.
L'OBBLIGO DI SCONTRINO ELETTRONICO entrerà in vigore dal luglio
dell'anno prossimo per i contribuenti con un volume d'affari superiore
ai 400 mila euro, e dall'inizio del 2020 per tutti gli altri esercenti.
Obiettivo, maggiore trasparenza e riduzione dell'evasione fiscale.
COMMENTO.Basta leggere lo scontrino di un supermercato (che NON è
scontrino fiscale) e capire dove vanno a parare. Non arriverà mai
perché la Lega perderebbe metà dei voti.
QUESTE FREQUENZE 5G sono distribuite in tre bande dell'etere: la
pregiatissima 3,7 (subito disponibile); la 2,7 (offerta dallo Stato a
prezzi di saldo); infine l'eccellente banda 700 che però sarà
utilizzabile soltanto nel 2022 quando le attuali affittuarie, le tv
nazionali, la libereranno. Il problema — a vedere le cose con gli occhi
di Palazzo Chigi — è che tutto questo denaro non entrerà nei forzieri
dello Stato in una sola soluzione. La vecchia legge di Bilancio,
l'ultima dell'era Gentiloni, concede alle società una dilazione nei
pagamenti. Per cui lo Stato incasserà subito, nel 2018, 1.250 milioni.
Già l'anno prossimo le entrate si ridurranno ad appena 50 milioni; nel
2020 a 300; nel 2021 a 150. Poi nel 2022 lo Stato avrà la maxi-rata
finale. Ora, l'emendamento M5S-Lega si basa su un ragionamento. Queste
rate sono state previste dalla passata legge di Bilancio immaginando
che l'asta avrebbe prodotto un gettito di 2,5 miliardi. Invece il
gettito finale è stato più alto spingendosi martedì fino a 6,55
miliardi. Proprio questo gettito maggiorato autorizza dunque ad
aumentare le rate dei vari anni in modo proporzionale. Lo Stato avrebbe
diritto così a 131 milioni l'anno prossimo (invece dei vecchi 50), poi
a 786, infine a 393 nel 2021. COMMENTO. Ci deve essere qualcosa che non
quadra. Non si capiscono le ragioni per cui tra cinque anni in Italia
il 100% degli Italiani dovrebbero disporre sia della fibra oltre i
50Mb/secc e del 5G. Se in casa ti serve una panda, perché ne compri
due? Tra cinque anni ci sarà ancora il digital divide come adesso,
appena appena temperato.
SEMBRANO AVER SCELTO LE PAROLE INSIEME, Di Maio e Salvini. «Questa
Commissione ha sei mesi di vita, è finita, nemmeno alziamo i toni con
loro, saranno licenziati da 500 milioni di cittadini», dicono i due
vicepremier in un coro a due voci che non si sentiva da un po' di
settimane. Linea dura, durissima, contro la prima lettera mandata
venerdì sera dai commissari "economici" dell'Ue Moscovici e
Dombrovskis, nella quale si esprimeva «seria preoccupazione» per il Def
appena varato da Roma. Uno scontro che ha portato a ipotizzare che il
governo potesse adottare un "piano-B", ovvero la correzione delle stime
macroeconomiche e delle misure della manovra durante l'iter
parlamentare. «No, non arretriamo, non c'è nessun piano-B nemmeno se lo
spread arriva a 400», assicura Di Maio. Poi, però, il vicepremier si fa
carico di far capire che dopo il "blitz" del Def il governo è pronto ad
aprire un negoziato per «spiegare» la nuova politica economica. «Ci
prenderemo questo fine settimana per discutere di questa lettera a
mezzo stampa - è l'accenno polemico -, ma apprezziamo che sia arrivata
a mercati chiusi. Ci aspettavamo che la manovra non piacesse a
Bruxelles». COMMENTO. Un bel di vedremo.
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