schermata 2000 pixels













Di cosa parliamo in questa pagina.
Torna la puzza di sacrestia
L'alleanza tra sigle cattoliche e Ong
Gentiloni battezza Demos i civici targati Sant'Egidio  lanciano la sfida nazionale
C'è una piccola Italia che resiste, nel minuscolo auditorium del Seraphicum, collegio pontificio lungo la via Laurentina. Un'Italia che non si rassegna. Chiamata a raccolta dall'anima più politica e movimentista della Comunità di Sant'Egidio per tenere a battesimo Demos, nuova rete civica d'ispirazione cattolica ( ma non solo), che ha ben esordito alle regionali del Lazio con Zingaretti e ora vuol diventare grande. Gente che rifiuta i diktat sovranisti, assiste sgomenta all'escalation di annunci e violenza verbale di cui son piene le cronache, vive l'ansia di un Paese ferito dalle diseguaglianze, impaurito dagli slogan xenofobi. E decisa ora a far sentire la sua voce, a candidarsi alle prossime elezioni, se necessario. A « mettersi in cammino » per arginare «l'ondata populista che rischia di contagiare l'Europa».
COMMENTO.
Non è bastata all’Italia lo scout Renzi e la sua eccessiva corte per condurre il partito democratico -inteso non come PD ma come insieme del elettori democratici antifascisti di matrice socialista e comunista- ad essere il terzo partito inutile nel paese e nel parlamento italiano. Bisogna tornare agli oratori ed alla DC. La DC di sinistra. Quella che poggia su mille onlus che inventano giorno dopo giorno necessità e bisogni e suggeriscono alle amministrazione le soluzioni che poi s’accaparra- no. Quelli che si sono privatizzati scuola, servizi sociali, alloggio e manutenzione dei migranti secondo la logica per cui «noi facciamo del bene»  a prescindere e quindi tutti muti gli altri.
SPIGOLATURE DALLA STAMPA QUOTIDIANA
UN PAESE INDEBITATO non è libero di fare tutto ciò che vuole e lui (PdC Conte) da giurista lo sa bene. Dica qualche volta — e anche pubblicamente — no ai suoi due azionisti di maggioranza, li richiami al rispetto delle forme. A una certa sobrietà negli atteggiamenti. Al rispetto delle istituzioni. Anche chi ha molto consenso e il vento dei sondaggi a favore non occupa le istituzioni come fossero «aule sorde e grigie», le rappresenta. Metta sul tavolo, se necessario, le proprie dimissioni. Dia finalmente spessore e lineamenti al proprio volto politico.



































Torna la puzza di sacrestia
L'alleanza tra sigle cattoliche e Ong
Gentiloni battezza Demos i civici targati Sant'Egidio  lanciano la sfida nazionale


C'è una piccola Italia che resiste, nel minuscolo auditorium del Seraphicum, collegio pontificio lungo la via Laurentina. Un'Italia che non si rassegna. Chiamata a raccolta dall'anima più politica e movimentista della Comunità di Sant'Egidio per tenere a battesimo Demos, nuova rete civica d'ispirazione cattolica ( ma non solo), che ha ben esordito alle regionali del Lazio con Zingaretti e ora vuol diventare grande. Gente che rifiuta i diktat sovranisti, assiste sgomenta all'escalation di annunci e violenza verbale di cui son piene le cronache, vive l'ansia di un Paese ferito dalle diseguaglianze, impaurito dagli slogan xenofobi. E decisa ora a far sentire la sua voce, a candidarsi alle prossime elezioni, se necessario. A « mettersi in cammino » per arginare «l'ondata populista che rischia di contagiare l'Europa».
Due i padrini d'eccezione, e certo non per caso: il fondatore di Sant'Egidio Andrea Riccardi e l'ex premier Paolo Gentiloni. Speaker di un mondo finora costretto al silenzio, sovrastato dalle «parole d'odio sui social», dalla «polemica continua a cui è ridotta la politica»: dalle Acli all'Azione Cattolica, dalla Comunità Exodus alla Giovanni XXIII, dall'associazione nazionale delle Ong al Centro italiani rifugiati, una miriade di volontari, tutti lì per dire che «questo è il momento di muoversi, di mobilitarsi», esorta il consigliere regionale di Demos Paolo Ciani, promotore insieme all'ex viceministro Mario Giro.
All'incirca duemila persone stufe di una politica che i cattolici vogliono tornare a fare da protagonisti. «Non ci piacciono le semplificazione del leaderismo, della polarizzazione permanente, della politica twittata o dell'autore- ferenzialità » , accusa Ciani.
Ma quando dalla platea, prima che Gentiloni prenda la parola, si alza il grido: « Basta con Matteo Renzi!», diventa chiaro che il bersaglio non sono solo Salvini e Di Maio. Ad aver stancato è un certo modo di star dentro le istituzioni, a destra come a sinistra. «Tutto si consuma in fretta, in chiacchiere e risse continue, senza spessore e senza memoria » , incalza Ciani, « generando smarrimento e assenza di punti di riferimento». Un precipizio aggravato dal «vento impetuoso della globalizzazione » , che «ha affermato un modello di società separata e divisa tra vincenti e scarti. Io contro gli altri: il Nord contro il Sud; giovani contro anziani; periferici contro radical chic; popolo contro élite; italiani contro immigrati. Diciamolo chiaramente: per noi la divisione è una sconfitta. Qui vogliamo proporre un'altra idea di società, quella del mettere assieme, dello stare insieme».
La chiama « connessione » Andrea Riccardi, è di questo che « la nostra politica ha urgente necessità, riallacciare le relazioni sociali, opera che in questo momento nessuno compie perché sembra troppo lenta e inutile » . Una politica oggi «carente di visioni», di progetto, di futuro: si preferisce vivere « un eterno presente» in cui «governare diviene mostrarsi, apparire immediatamente e ininterrottamente. È il regime assoluto del presentismo ». Col risultato che «la realtà si appiattisce, diviene cronaca, azione e reazione, mentre la politica democratica avrebbe bisogno di riflessione e di tempo per svilupparsi. "Conoscere per deliberare" diceva Einaudi: pare una follia in quest'epoca di velocità. Lasciando la sensazione che molte decisioni siano non solo affrettate ma anche improvvisate. Lentezza e riserbo sono ormai denigrate » . Balsamo per Gentiloni: del resto a Palazzo Chigi lo chiamavano " er moviola". « Nel momento in cui nasce una proposta nuova non dobbiamo mettergli fretta, né etichette » avverte l'ex premier. «Abbiamo bisogno di tutti per costruire quel risveglio democratico che serve all'Italia. C'è una politica popolare che non coincide con il nazional populismo», ragiona Gentiloni facendo un parallelo con « i sonnambuli del 1913, la fine della bella époque», sfociata poi « nella guerra più sanguinosa del '900». È quel che rischia oggi il Paese: « Un laboratorio, insieme agli Usa, dei futuri destini del mondo». Ecco perché « essere qui, ciascuno con la propria storia, è importante ». Per combattere questo «governo Penelope che sfascia tutto quanto fatto prima, isola l'Italia sul piano internazionale, la incattivisce». Il motivo per cui i cattolici sono tornati in campo.

Giovanna Vitale
Torna la puzza di sacrestia
L'alleanza tra sigle cattoliche e Ong
Gentiloni battezza Demos i civici targati Sant'Egidio lanciano la sfida nazionale


COMMENTO.
Non è bastata all’Italia lo scout Renzi e la sua eccessiva corte per condurre il partito democratico -inteso non come PD ma come insieme del elettori democratici antifascisti di matrice socialista e comunista- ad essere il terzo partito inutile nel paese e nel parlamento italiano. Bisogna tornare agli oratori ed alla DC. La DC di sinistra. Quella che poggia su mille onlus che inventano giorno dopo giorno necessità e bisogni e suggeriscono alle amministrazione le soluzioni che poi s’accaparra- no. Quelli che si sono privatizzati scuola, servizi sociali, alloggio e manutenzione dei migranti secondo la logica per cui «noi facciamo del bene»  a prescindere e quindi tutti muti gli altri. Invece di fare funzionare bene se non meglio il pubblico, primi a suggerire la sostituzione col privato sociale salvo che nessuno ha mai visto il foglio paga di chi lavora per loro. No. Molto del popolo del PD, quello inteso in senso largo come detto sopra- non vuole trasformare lo Stato, le Regioni, le Provincie i Comuni in una sorta di Caritas  o OnLus nazionali. Al mondo c’é posto per tutti ma ciascuno DEVE stare al proprio posto. Del resto l’infinita tirititela del fenomeno migratorio è sopportato stato proprio da quel mondo per merito di un ragionamento senza testa ne coda. Il progressivo aumento del debito pubblico idem come sopra: inuluttabile. Non, non c’è bisogno ne di una nuova DC di sinistra ne di trasformare il Paese in una grande Caritas. Basta la Costituzione italiana.

SPIGOLATURE DALLA STAMPA QUOTIDIANA




UN PAESE INDEBITATO non è libero di fare tutto ciò che vuole e lui (PdC Conte) da giurista lo sa bene. Dica qualche volta — e anche pubblicamente — no ai suoi due azionisti di maggioranza, li richiami al rispetto delle forme. A una certa sobrietà negli atteggiamenti. Al rispetto delle istituzioni. Anche chi ha molto consenso e il vento dei sondaggi a favore non occupa le istituzioni come fossero «aule sorde e grigie», le rappresenta. Metta sul tavolo, se necessario, le proprie dimissioni. Dia finalmente spessore e lineamenti al proprio volto politico.

CIÒ CHE RIVELA MOLTE RAGIONI dell'esplodere dello spread negli ultimi giorni è in un dettaglio: unicamente i cds emessi negli ultimi anni assicurano non solo contro il rischio di default, ma anche contro quello che un debito venga onorato in una nuova moneta nazionale svalutata (non più in euro). Dunque la differenza di costo per poter avere le vecchie e le nuove polizze rivela quanto gli investitori temano per i conti pubblici di per sé oppure quanto invece temano proprio che l'Italia esca dall'euro. Più sale quella differenza, più il timore di rottura della moneta è evidente. COMMENTO. Ma DiMaio e Salvini sanno cos’è lo spread e i cds?
DUE GIORNI FA È ENTRATO A FAR PARTE DEL PARCO mezzi di Trenord un convoglio composto da sei carrozze Media distanza (compresa una semipilota) e da un locomotore E464. Non un treno nuovo, come già si sapeva: ha una trentina d'anni. Inoltre, a dare manforte al personale di Trenord ci sono venti dipendenti di Trenitalia che — dicono i ben informati — svolgono turni i n service dai depositi piemontesi di Domodossola e Alessandria e garantiscono il servizio su 22 treni al giorno. Secondo l'accordo, da qui a fine mese in Lombardia dovrebbero arrivare altri otto treni. Saranno un gemello del convoglio già consegnato, cinque Ale 582 (di 23 anni) e due Vivalto (con 8 anni e mezzo di servizio). Un aiuto al trasporto ferroviario locale, non certo la soluzione alle difficoltà che i pendolari lombardi subiscono quotidianamente. COMMENTO. Non si sa se ridere o piangere di fronte all’idea che Trenitalia non disponga di un congruo numero di treni per eventuali necessità e quindi li possa immettere in funzione. Del resto basta vedere i convogli (e non certo per l’età) per capire che non sanno nemmeno costruire e comperare treni: paiono ancora come carrozze dell’west. In Lombardia c’è un ponte da rifare (fprse una decina) e non sanno che fare ed occorrerebbero almeno cento treni per cambiare i rottami in funzione. Ghè mia i solcc!.

IL CONTRATTO DI GOVERNO prevedeva misure per un costo totale di circa 125 miliardi di euro, tra cui, ad esempio un sistema fiscale a due aliquote (15% e 20%). Cosa è rimasto di tanta gloria? L'eredità della mitologica "flat tax" è uno sgravio fiscale, soltanto per i lavoratori autonomi, del valore di un paio di miliardi. Ai sussidi alla povertà verranno destinati forse 8-10 miliardi, la metà di quanto promesso nel contratto, limitando fortemente la platea di beneficiari. E visto che il deficit non potrà superare il 2,4%, Lega e 5 Stelle dovranno trovare comunque tagli alla spesa e aumenti delle tasse se vorranno completare questo già minimo programma. La rivoluzione giallo-verde si è fermata ancora prima di iniziare. COMMENTO ad hoc. Cazzi loro per chi l’ha bevuta e li ha votati. Peccato che lo saranno anche per noi ma per altre ragioni.

L'OBBLIGO DI SCONTRINO ELETTRONICO entrerà in vigore dal luglio dell'anno prossimo per i contribuenti con un volume d'affari superiore ai 400 mila euro, e dall'inizio del 2020 per tutti gli altri esercenti. Obiettivo, maggiore trasparenza e riduzione dell'evasione fiscale. COMMENTO.Basta leggere lo scontrino di un supermercato (che NON è scontrino fiscale) e capire dove vanno a parare. Non arriverà mai perché la Lega perderebbe metà dei voti.  

QUESTE FREQUENZE 5G sono distribuite in tre bande dell'etere: la pregiatissima 3,7 (subito disponibile); la 2,7 (offerta dallo Stato a prezzi di saldo); infine l'eccellente banda 700 che però sarà utilizzabile soltanto nel 2022 quando le attuali affittuarie, le tv nazionali, la libereranno. Il problema — a vedere le cose con gli occhi di Palazzo Chigi — è che tutto questo denaro non entrerà nei forzieri dello Stato in una sola soluzione. La vecchia legge di Bilancio, l'ultima dell'era Gentiloni, concede alle società una dilazione nei pagamenti. Per cui lo Stato incasserà subito, nel 2018, 1.250 milioni. Già l'anno prossimo le entrate si ridurranno ad appena 50 milioni; nel 2020 a 300; nel 2021 a 150. Poi nel 2022 lo Stato avrà la maxi-rata finale. Ora, l'emendamento M5S-Lega si basa su un ragionamento. Queste rate sono state previste dalla passata legge di Bilancio immaginando che l'asta avrebbe prodotto un gettito di 2,5 miliardi. Invece il gettito finale è stato più alto spingendosi martedì fino a 6,55 miliardi. Proprio questo gettito maggiorato autorizza dunque ad aumentare le rate dei vari anni in modo proporzionale. Lo Stato avrebbe diritto così a 131 milioni l'anno prossimo (invece dei vecchi 50), poi a 786, infine a 393 nel 2021. COMMENTO. Ci deve essere qualcosa che non quadra. Non si capiscono le ragioni per cui tra cinque anni in Italia il 100% degli Italiani dovrebbero disporre sia della fibra oltre i 50Mb/secc e del 5G. Se in casa ti serve una panda, perché ne compri due? Tra cinque anni ci sarà ancora il digital divide come adesso, appena appena temperato.

SEMBRANO AVER SCELTO LE PAROLE INSIEME, Di Maio e Salvini. «Questa Commissione ha sei mesi di vita, è finita, nemmeno alziamo i toni con loro, saranno licenziati da 500 milioni di cittadini», dicono i due vicepremier in un coro a due voci che non si sentiva da un po' di settimane. Linea dura, durissima, contro la prima lettera mandata venerdì sera dai commissari "economici" dell'Ue Moscovici e Dombrovskis, nella quale si esprimeva «seria preoccupazione» per il Def appena varato da Roma. Uno scontro che ha portato a ipotizzare che il governo potesse adottare un "piano-B", ovvero la correzione delle stime macroeconomiche e delle misure della manovra durante l'iter parlamentare. «No, non arretriamo, non c'è nessun piano-B nemmeno se lo spread arriva a 400», assicura Di Maio. Poi, però, il vicepremier si fa carico di far capire che dopo il "blitz" del Def il governo è pronto ad aprire un negoziato per «spiegare» la nuova politica economica. «Ci prenderemo questo fine settimana per discutere di questa lettera a mezzo stampa - è l'accenno polemico -, ma apprezziamo che sia arrivata a mercati chiusi. Ci aspettavamo che la manovra non piacesse a Bruxelles». COMMENTO. Un bel di vedremo.