Ponte
Morandi, l'ingegnere che lo riparò 25 anni fa: 'Salvare le parti
integre, così ci vuole un quarto del tempo per riaprirlo'. Pensare al
caos viabilistico per l’asporto delle macerie.
L'ingegnere Gabriele Camomilla, direttore della Ricerca e Manutenzione
di Autostrade fino al 2005 e autore della ristrutturazione della pila
11 negli Anni Novanta, è contrario alla demolizione delle parti di
viadotto sopravvissute al crollo: "Ci sono 650 metri di ponte,
passatemi la provocazione, in ottime condizioni. Dove faranno passare
tonnellate di macerie? Nel traffico di Genova?". Critiche ai tempi: "Se
lo buttano giù, ci vorrà il quadruplo per avere un ponte nuovo"
“Devono innanzitutto spiegare come porteranno via tonnellate e
tonnellate di macerie. Da dove? Lei lo sa? Passeranno nel traffico di
Genova?”. L'ingegnere Gabriele Camomilla, direttore della Ricerca e
Manutenzione di Autostrade fino al 2005 e autore del restauro della
pila 11 del Ponte Morandi negli Anni Novanta, non vuole proprio sentir
parlare di demolizionedi quel che è rimasto in piedi del viadotto,
crollato il 14 agostoprovocando 43 morti.
“Ci sono 650 metri di ponte, passatemi la provocazione, in ottime
condizioni. La maggior parte dei ponti italiani è messo peggio di quel
che è rimasto del Morandi. Perché si devono buttare giù? Lei ha sentito
qualcuno capace di dirlo in maniera ragionevole?”, si interroga al
telefono l'ingegnere che racconta di aver “fatto manutenzione su oltre
200 ponti italiani”. Accento romano, linguaggio schietto e senza
fronzoli, idee chiare: ciò che è sopravvissuto al collasso va salvato.
Per una ragione, innanzitutto. I tempi: “Se lo buttano giù, ci vorrà il
quadruplo per avere un ponte nuovo”.
Perché? Partiamo dalle ragioni tecniche.
“Senza considerare le fondazioni da rifare, e parliamo di piloni di più
metri di diametro e 40 metri di profondità, esistono 650 metri di ponte
intatti o riparabili. Si potrebbe lavorare con una tecnica in parallelo
tra messa in sicurezza e ricostruzione. Se demoliscono, bisognerà
invece lavorare “in serie”: ovvero prima buttare tutto giù e poi
ricostruire. E poi dove passano le tonnellate di macerie? Nel traffico
di Genova?”.
Tra la sua idea e quella della demolizione-ricostruzione qual è la differenza in termini di tempo?
“Non si tratta di una stima precisa, ovviamente, perché non ho i
dettagli. Ma allo stesso modo non lo sono neanche i tempi prospettati
da chi sostiene il contrario. Esiste un rapporto ottimistico di uno a
quattro tra i tempi necessari per dei lavori che prevedano demolizione
e ricostruzione rispetto a recupero dell'esistente e ricostruzione
della parte crollata. Insomma, se lo buttano giù, ci vorrà il
quadruplo”.
C'è chi dice che il ponte contiene amianto.
“Cado dalle nuvole, eppure avrei tutto l'interesse a dirle che sì, è
proprio così, perché la presenza di amianto avvalora la mia tesi visto
che si disperderebbe durante la fase di demolizione. Invece mi chiedo
come fa ad esserci amianto in un ponte di calcestruzzo”.
Lo denunciarono a fine agosto i vigili del fuoco che lavoravano tra le macerie.
“Loro sanno quel che hanno visto e sanno riconoscerlo. Ma sono certo
che parliamo al massimo di qualche tubo di alleggerimento o di qualche
mattone forato. Tutti elementi che oggi sono in plastica e all'epoca
probabilmente erano di amianto”.
Bisogna salvare anche la pila 11, quella che trovaste in cattive condizioni e riparaste negli Anni Novanta?
“Quella pila, dopo gli interventi fatti tra il 1993 e il 1994, ha 48
stralli. Qua-ran-tot-to (lo scandisce, nda). E sono sostituibili uno a
uno se dovessero danneggiarsi”.
E la pila 10, quella più vicina all'area del crollo?
“È necessaria una valutazione ad oggi. Quali sono le reali condizioni?
Leggo che sono stati applicati i sensori – a proposito, chi si è
occupato dell'intervento? Quali sensori sono stati installati? – e
quindi ora sapremo con certezza com'è messo”.
C'è poi la parte senza stralli, quella più vicina all'area industriale.
“Gli stralli, vorrei ricordarlo, sono l'unica specifica di quel ponte.
Lì non ci sono e, a maggior ragione, mi chiedo perché debba essere
abbattuta. C'è del “degrado corticale”? È come avere una leggera acne,
si può sanare facilmente. Di acne non è mai morto nessuno. Temono gli
“appoggi ai giunti”? Si cambiano, come le scarpe. Oltretutto senza
traffico è ancora più semplice”.
Andrea Tundo
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Ponte Morandi: dopo la tragedia, evitare lo scempio
Comunicato-stampa IN/ARCH sul silenzio del Ministero dei Beni e delle
Attività Culturali sulla minacciata demolizione dell’intero Ponte
Morandi.
A un mese di distanza dal crollo del ponte sul Polcevera, siamo stupiti
dal silenzio del MiBAC – che ha una Direzione Arte e Architettura
Contemporanee e Periferie Urbane – di fronte alla purtroppo
concretissima minaccia di distruzione di un’opera architettonica di
grande rilevanza come il viadotto autostradale di Genova progettato da
Riccardo Morandi. Una distruzione destinata a portare con sè la
demolizione di almeno 150 appartamenti nell’area sottostante questa
infrastruttura.
Con un comunicato-stampa del 23 agosto u.s. – e poi con una lettera
aperta al Ministro dei Trasporti, al Governatore della Liguria e al
Sindaco di Genova del 3 settembre u.s. – l’Istituto Nazionale di
Architettura (IN/ARCH) ha denunciato questa minaccia e proposto, in
alternativa, il consolidamento di quanto resta del viadotto genovese –
operazione, della cui fattibilità, numerosi esperti di strutture in
cemento armato hanno dato pubblicamente conferma – e l’introduzione,
sul sedime della parte collassata, di un nuovo ponte squisitamente
contemporaneo.
Un’ipotesi fondata sui criteri metodologici più avanzati in materia di
restauro messi a punto nel nostro paese, che fungono da guida agli
interventi di salvaguardia dei beni culturali anche a livello
internazionale.
Un’ipotesi che garantirebbe semplificazione delle procedure, tempi più
rapidi e costi di realizzazione più contenuti e, non ultima, la
salvaguardia di un’opera straordinaria, del cui crollo qualcuno ha
avuto l’ardire di attribuire la responsabilità non alla cattiva
gestione, ma all’insufficiente competenza professionale di Riccardo
Morandi.
L’IN/ARCH, che da 59 anni è impegnata nella coniugazione di cultura del
progetto, cultura d’impresa e cultura istituzionale, sta mettendo a
disposizione la sua lunga esperienza al fine di costruire un percorso
di progettazione e realizzazione capace partorire una risposta rapida e
qualificata alla tragedia del 14 agosto. In questa direzione l’IN/ARCH
ha registrato le dichiarazioni di alcuni dei più qualificati ingegneri
strutturisti italiani sulla fattibilità del consolidamento delle
strutture esistenti del Ponte Morandi.
Forte di queste dichiarazioni, l’IN/ARCH sta dando ulteriore sviluppo
alla consultazione, raccogliendo dagli stessi professionisti proposte
in ordine alla metodologia di consolidamento ritenuta più idonea da
ciascuno di loro, per consentire a chi dovrà procedere alla decisione
operativa finale di farlo con la massima consapevolezza, grazie alla
disponibilità di un ventaglio di impostazioni tecniche e progettuali.
Nel corso del lunghissimo mese trascorso dalla tragedia siamo rimasti
in attesa di una parola da parte del MiBAC, responsabile istituzionale
della tutela dei Beni Culturali italiani, in difesa di questa
testimonianza d’eccellenza della “rivoluzione industriale italiana”.
Oggi, prima che alla tragedia del crollo faccia seguito l’ “esecuzione
sommaria” di un’opera insigne – che non è “geneticamente sbagliata”, ma
vittima di mancate manutenzioni e insufficienti adeguamenti – l’IN/ARCH
fa appello al senso di responsabilità del MiBAC con l’obiettivo di
invertire un processo disastroso per la comunità di Genova – che
vedrebbe centinaia di cittadini perdere definitivamente le proprie case
e attenderebbe per anni il ripristino del sistema della mobilità urbana
– e per la storia e la cultura italiane.
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E QUESTO SAREBBE UN UOMO D'ONORE?
Rimasto disoccupato perché chi gli pagava lo stipendio mensile l'hanno
cacciato (prima i consiglieri e poi gli elettori) dal consiglio
comunale, il custode delLa Latrina di Nusquamia, tale ing. Claudio Piga
un abduano di origini sardAgnole con ascendenze garibaldine in
Valcamonica, uno che ha fatto il classico dai preti dove frequentò pure
l'Antonio Gransci di cui godette le auguste puzzette, ogni tanto ci
pizzica e quindi per dobbiamo rispondere. Il vecchietto, costretto a
mangiarsi un panino lattuga e broccoli seduto ai tavolini del bar
mentre lavora duramente (o vede dei filmini tre effe o tre ci?) su un
apple lui che aborre le mode, ha una elegante abitudine politicamente
(s)corretta: i suoi post iniziano –per esempio quello in corso-
nientepocodimeno che con una crocifissione masacciana cui seguono
auguste riflessioni sulle “tre F di Nusquamia indicano la Fica, la
Filosofia e la Fonolinguistica; in particolare, la Prima F vuol essere
uno sgarbo al “politicamente corretto” che imperversava nell'infelice
paese di Curno al tempo della tirannide serrana”. Se vi par poco, per
precisare subito appresso che “Se avessimo voluto essere politicamente
corretti, avremo posto Nusquamia all'insegna delle “Tre C”, cioè Culo
(inteso come culo maschile, da alcuni impropriamente chiamato culandro:
di qui il termine “culandra” per “ricchione”), Condivisione e
Cattoprogressismo. Ovviamente, ben ce ne siamo guardati”. Giusto per
via della privatezza. Il tutto ovviamente “con tocco leggero” com'è sua
specialità, assieme ai flayers senza pagare le tasse.
Prima di tutto gli chiediamo se ha pagato i diritti per lo sfruttamento
della cinquecentina della Angelo May sfruttata per una conferenza di
auto-promozione della sua attività prima nientemeno che per la
Mondadori (dice lui) e alla fine in una dittarella di famigerati
flayers- la Daedalus Lab- ospitata nel negozio di fiorista del padre
delsuo socio e sodale Angelo Gandolfi, che presentava un sito web dove
mancava l'indicazione della partita IVA e dell'iscrizione alla CCIA.
Dimenticanza? Elusione? Evasione?: ci dica ci spieghi si spieghi
dipingendo un'altra virgola di merda sulLa Latrina di Nusquamia. Non ci
lasci in ansia.
Attendiamo anche la pubblicazione della relazione del revisore dei
conti di quand'era sindaco il suo sodale Angelo Gandolfi che certifichi
che non lasciò un debito di qualche milione (zero virgola uno, uno,
cinque, dieci, quindici, venti ?) milioni di debito al comune al
momento in cui fui cacciato dalla sera alla mattina dal comune.
Noi per adesso abbiamo solo una telefonata di un assessore che fa
intendere diversamente. Cazzi vostri come dice il custode delLa Latrina
di Nusquamia, un autentico cultore del mezzo.
Attendiamo anche la pubblicazione della relazione del revisore dei
conti che certifichi la non disponibilità (che invece l'ufficio del
comune ha accertato esistere) per il Comune della somma
(300-400mila euro) per terminare i lavori della biblioteca da parte
della giunta Gandolfi (quella che gli pagava lo stipendio come
redattore del giornalino del comune prima fosse cacciato) visto che c'è
la certificazione che in quel momento tutte “le carte” necessarie per
finire l'opera erano complete e perfette.
Attendiamo anche che ci spieghi il mistero misterioso per cui l'augusto
operatore che doveva sganciare un paccone di milioni per il c.d.
“ecomostro” (non per bruttezza ma per volumetria), essendo segretario
provinciale del partito d(e)i Casini, mise l'Angelo Gandolfi in lista
per le politiche.
Al custode delLa Latrina di Nusquamia brucia che di tutte le palle che
sbologna sulLa latrina di Nusquamia per fabbricarsi un altarino su cui
collocarsi, noi gli si chieda conto. Come giustamente farebbe qualunque
cittadino quando s'avvede che un collaboratore del sindaco del proprio
paese, assieme al sindaco, hanno messo in piedi una dittarella per
sfornare flayers senza che sia indicata la partita IVA e l'iscrizione
alla CCIA (e daje!). Un conto che un cittadino signor nessuno non paghi
una multa o un diritto d'uso di beni pubblici, altro conto è che 'sta
stronzata la faccia un collaboratore e socio del sindaco. Ma sul tema
il custode delLa Latrina di Nusquamia pare abbia bisogno di un cornetto
acustico.
L'aspetto simpatico della incazzatura con noi del custode delLa Latrina
di Nusquamia l'ing. Claudio Piga è che fa esattamente il paio con
quella dell'amministrazione Serra ieri e della Gamba (con le quali
tenta ogni mezzo per mettersi in affari) a mezzo di forbiti dirigenti
che ci negano perfino la lettura delle delibere consigliari oppure
invocano pareri di ditte esterne che non esistono (i pareri, quanto
alle ditte si confondono coi nomi). Insomma gli sta sul cazzo che la
gggente chieda trasparenza. Ah!.prima di uscire dia una nettata
della merda che ha svir
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