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Di cosa parliamo in questa pagina.
Tria chiama la sua «prima linea»: con quelle frasi offende e minaccia. Poi la stoccata: le scelte sulle risorse sono della politica.
Questi non sono gli Stati Uniti, dove un anonimo tecnocrate scrive sul New York Times che fa del suo meglio per far cadere nel vuoto gli ordini della Casa Bianca. E Roma non è Washington, dove un funzionario si offre di registrare di nascosto le conversazioni con il capo del governo per spingerlo alle dimissioni. Qui accade il contrario: le registrazioni catturate (in apparenza) in segreto escono dal cuore del potere politico, la presidenza del Consiglio, per far dimettere le figure di vertice di una struttura tecnica accusata semplicemente di rispettare il proprio ruolo.

ARROSTO DI CASALINO
Cambiano i protagonisti ma la trama della telenovela è la stessa. Anche il contorno di polemiche é sempre lo stesso. Casalino pagherà cara la cacchiata che ha combinato perché se  fino ieri i giornalisti non potevano metterlo nel tritacarne  per via del maschio esotico con cui convive obbedendo al politically correct, adesso la luna di miele coi media é finita. Cominciò a finire quando uscì la notizia che il suo stipendio era superiore a quello del presidente del consiglio. Lui sottovalutò quell’accusa. Va anche detto che questo tipo di accuse ai grandi dirigenti del MEF ci sono sempre state come ci sono sempre state delle purghe più o meno discrete da parte di tutti i presidenti del consiglio. Tranne qualcuno sempre di numero minore delle dita della mano di un falegname in pensione e maggioranze. Ai ministeri, alla Rai, nei giornali.  Tutto il resto della polemica su Casalino ha il sapore puzzolente di un «già visto e sentito».

PER LA SINDACA GAMBA E LA SINDACA EMERITA SERRA

TUTTI ZITTI PARLO SOLO IO
Fabio Bogo
Interpretando in maniera decisa il proprio ruolo, il vicepremier, Luigi Di Maio ha inaugurato la seconda stagione dei No.
Dopo aver messo paletti alla Gronda, allaTav, alTap, il leader pentastellato ha respinto tutte le critiche ai suoi programmi economici, invitando istituzioni nazionali e internazionali a stare alla larga dall'Italia e dai progetti di riforma in cantiere: il Paese deve rispondere solo agli input deH'autoproclamatosi pardto-Stato, l'unico autorizzato a parlar e. Le obiezioni non solo non sono gradite (cosa legittima e comprensibile), ma non sono neppure ammesse (cosa invece quantomeno poco elegante). Ecco quindi che deve applicarsi l'aurea regola del silenzio all'Ocse (organizzazione internazionale di cui l'Italia fa parte), che nella sua periodica analisi sull'andamento dell'economia mondiale segnala il rischio di un rallentamento e avverte che - dati alla mano - per l'Italia può essere pericoloso abbassare l'età pensionabile cambiando la riforma Fornero: "L'Ocse non si intrometta - avverte Di Maio - nelle scelte di un Paese sovrano. Due terzi degli italiani sono con noi, i burocrati se ne facciano una ragione”.
I burocrati sono un'ossessione per Di Maio, forse perché molti di loro sono abituati a ragionare in base ai numeri che vedono, e quindi a parlare di cose concrete. Nel mirino finiscono pertanto anche i tecnici del Tesoro, in testa quel Daniele Franco che di mestiere fa il Ragioniere Generale dello Stato, c la cui colpa è quella di attenersi spesso all'articolo 81 della Costituzione, quello che stabilisce che "ogni legge che importi nuovi o maggiori spese deve indicare i mezzi con cui farvi fronte”. Da cui discende che la "bollinatura” deve essere negata se mancano i presupposti per farlo. Bavaglio anche in questo caso e lista di proscrizione già pronta, grazie all'uso dello Spoils System: “I tecnici - dice il vicepremier - rispondono agli input della politica”. Input che, evidentemente, possono non tenere conto dell'aritmetica.
E gli strali non risparmiano neppure il Coni, che non avrebbe dovuto scegliere tre località per le Olimpìadi invernali ma evidentemente privilegiare solo la Torino guidata dalla sindaca grillina Chiara Appendino (come poi ha candidamente sostenuto il ministro Toninelli). E infine l'Europarlamento, accusato di aver censurato la libertà del web con il recente voto sul copyright, che tutela il diritto d'autore. Ma le lob by del Parlamento verranno "spazzate via", ha detto Di Maio, che ha evocato un complotto da Grande Fratello di Orwell. Per inciso, ma il Grande Fratello non era quello che teneva gli individui sotto controllo dell'Autorità?




























ARROSTO DI CASALINO




Cambiano i protagonisti ma la trama della telenovela è la stessa. Anche il contorno di polemiche é sempre lo stesso. Casalino pagherà cara la cacchiata che ha combinato perché se  fino ieri i giornalisti non potevano metterlo nel tritacarne  per via del maschio esotico con cui convive obbedendo al politically correct, adesso la luna di miele coi media é finita. Cominciò a finire quando uscì la notizia che il suo stipendio era superiore a quello del presidente del consiglio. Lui sottovalutò quell’accusa. Va anche detto che questo tipo di accuse ai grandi dirigenti del MEF ci sono sempre state come ci sono sempre state delle purghe più o meno discrete da parte di tutti i presidenti del consiglio. Tranne qualcuno sempre di numero minore delle dita della mano di un falegname in pensione e maggioranze. Ai ministeri, alla Rai, nei giornali.  Tutto il resto della polemica su Casalino ha il sapore puzzolente di un «già visto e sentito».

LA MANOVRA UNO
Purtroppo in questa fase, oltre il tiramolla nella maggioranza e nelle beghine nella spartizione delle sottilissime fette di torta (neanche) disponibili, non si è sentita la minoranza PD mettere sul tavolo alcuni numeri. Per esempio in quanti anni  mirare a recuperare i 100 miliardi di tasse evase. In quanti anni cercare di ridurre al fisiologico i 30 miliardi di evasione contributiva. In quanti anni cercare di ridurre i 36 miliardi di IVA evasa. Come e in quanto tempo abbattere almeno della metà i 75 miliardi di sconti fiscali derivati da 636 occasioni legali che finiscono quasi tutti a chi non ne ha bisogno.  Non occorre la calcolatrice  per verificare come abbattendo del 50% la mostruosa somma qui sopra, il Paese disporrebbe di quasi 50 miliardi ogni anno di entrate in più. IlPD dall’opposzione non ci ha detto come abbattere il caporalato sotto qualsiasi forma,visto che c’é ancora. Non ha detto neppure come tagliare di dieci punti il costo del lavoro. Come rimettere a posto il casino della «buona scuola» combinato dalla maggioranza di Renzi&Alfano. Alfano c’era anche lui: mai dimenticarlo. Come rimettere a posto la storia degli 80 euro senza obbligare un milione di cittadini a rimborsare il riscosso senza imbroglio.
Poi alcuni dettagli sulle tariffe pubbliche in particolare abolire del tutto le legnate  ai consumatori dei padroni delle reti energetiche: come la tassazione sulla tassazione in bolletta.

LA MANOVRA DUE
Visco ha spiegato in altre occasioni che per ridurre il debito, che oggi sta intorno al 132% del Pil al 100%, bisognerebbe avere un avanzo primario di bilancio (entrate meno spese, al netto della spesa per interessi) pari al 4% del Pil per dieci anni. Ma ora l'avanzo primario viaggia intorno al 2% e il prodotto interno lordo dovrà essere corretto al ribasso. Insomma, non c'è spazio per programmi faraonici di spesa o per tagli drastici delle tasse.
La Germania (previsioni Ue) stima di avere nel 2018 un Pil di 3,4 milioni di milioni di euro* mentre l’Italia ne stima uno di 1,8*e la Francia uno di 2,4*. L’avanzo primario tedesco è stimato in 67,7* mentre quello italiano in 35,3*. Il saldo francese è negativo per 14* e quello spagnolo attivo di 1,2*. La Germania e la Ue «amano» particolarmente la Francia per quel segno meno davanti all’avanzo primario: si fa ma non si dice.
L’idea-suggerimento di Draghi di passare ad un avanzo primario  perlomeno doppo dell’attuale (sarebbe sempre minore del 4% da lui indicato come ottimale) non è pensabile-possibile in ambito Ue e internazionale prima di tutto per le politiche di Trump e secondariamente perché da gennaio il Paese è fermo e senza una guida  che non sia la singola volontà dell’industriale A o B. A nostro avviso o c’è un governo capace di misure  abbastanza drastiche oppure ci dovremo accontentare di navigare a vista vendendo sempre all’orizzonte la terra promessa senza raggiungerla mai. Visto che nessuno vuole remare per arrivarci.
Tria chiama la sua «prima linea»: con quelle frasi offende e minaccia. Poi la stoccata: le scelte sulle risorse

Questi non sono gli Stati Uniti, dove un anonimo tecnocrate scrive sul New York Times che fa del suo meglio per far cadere nel vuoto gli ordini della Casa Bianca. E Roma non è Washington, dove un funzionario si offre di registrare di nascosto le conversazioni con il capo del governo per spingerlo alle dimissioni. Qui accade il contrario: le registrazioni catturate (in apparenza) in segreto escono dal cuore del potere politico, la presidenza del Consiglio, per far dimettere le figure di vertice di una struttura tecnica accusata semplicemente di rispettare il proprio ruolo. Tecnici in attesa che il governo, come gli compete, indichi con quali tagli di spesa e con quali aumenti delle tasse si debbano finanziare per dieci miliardi il «reddito di cittadinanza»; perché non tocca alla tecnostruttura stabilire vincenti e perdenti fra gli elettori di ogni decisione sul bilancio.
Se le dimissioni erano l'obietti vo di Rocco Casalino, il portavoce del presidente del Consiglio legato ai 5 Stelle, è improbabile che venga raggiunto. Le accuse nel suo audio sono chiaramente rivolte in primo luogo a tre uomini del ministero dell'Economia: il ragioniere generale dello Stato, Daniele Franco, il capo di gabinetto del ministro, Roberto Garofoli, e il direttore generale del ministero, Alessandro Rivera. Ma ieri mattina la rete di protezione attorno a loro si è aperta, a partire dal ministro dell'Economia. Giovanni Tria ha chiamato gli uomini di prima fila della sua struttura tecnica non appena ha sentito quell'audio del portavoce del premier che – avrebbe commentato Tria – offende e minaccia. In serata il ministero ha poi diffuso una nota che ha reso espliciti precisamente la fiducia nei tecnici che il premier Conte ieri aveva omesso di esprimere. Con un'aggiunta che rimanda al massimo livello di governo le responsabilità delle scelte sui sacrifici da distribuire nella legge di Bilancio per creare spazio ai nuovi sussidi: «L'attribuzione di risorse a determinate voci piuttosto che ad altre non spetta alle strutture tecniche dell'Economia, perché è una scelta politica — si legge — . Anche il reperimento delle coperture finanziarie rientra in questo stesso ambito». Del resto, continua la nota, «il bilancio dello Stato è pubblico ed è visionabile da tutti sui siti istituzionali».
In realtà le forze di governo in queste settimane avevano respinto ogni proposta per finanziare il «reddito di cittadinanza»: no al taglio del bonus da 80 euro del Matteo Renzi; no alla revisione degli sgravi fiscali più importanti, per esempio sul carburante di agricoltori o autotrasportatori; no allo spostamento di alcune classi di beni e servizi a Iva ridotta verso l'aliquota superiore; no al blocco degli aumenti automatici delle pensioni, che libererebbe tre miliardi di euro l'anno; no alla razionalizzazione nella sanità. Il sì da parte di M5S è arrivato solo al taglio di quelli che il vicepremier Luigi Di Maio chiama, senza mai precisare, «rami secchi»; ma la spesa dei ministeri è di circa 13 miliardi, una volta tolta quella per il personale, è improbabile che si possa ricavare molto. Nuovi tagli sono possibili, ma senza improvvisare e solo sulla base di un disegno preciso.
Si è giunti così al conflitto fra istituzioni. Franco, Garofoli e Rivera non si dimetteranno anche perché ieri alla struttura tecnica dell'Economia sono arrivati inviti a resistere da molti apparati dello Stato e dal settore privato. Anche persone vicine al Quirinale avrebbero fatto conoscere il loro sconcerto, benché la gaffe di un portavoce sia qualcosa su cui il capo dello Stato non vorrebbe intervenire.
Al ministero dell'Economia gli eventi di questi giorni vengono letti come la caccia di un capro espiatorio: M5S ha promesso sussidi per decine di miliardi prima delle elezioni e ha detto di sapere precisamente con quali tagli finanziarli; quindi ha chiesto a Tria di trovare quei tagli; infine cerca di scaricare sui tecnici la colpa se le vaste promesse elettorali andranno deluse. L'articolo 336 del Codice penale prevede il carcere per «chiunque (…) minaccia un pubblico ufficiale per costringerlo a fare un atto contrario ai propri doveri o a omettere un atto dell'ufficio». Ieri però Conte, il premier avvocato, ha osservato che il suo portavoce Casalino sarebbe vittima di un reato perché il suo audio inviato ad alcuni giornalisti è stato reso pubblico.

Federico Fubini