ARROSTO DI CASALINO
Cambiano i protagonisti ma la trama della telenovela è la stessa. Anche
il contorno di polemiche é sempre lo stesso. Casalino pagherà cara la
cacchiata che ha combinato perché se fino ieri i giornalisti non
potevano metterlo nel tritacarne per via del maschio esotico con
cui convive obbedendo al politically correct, adesso la luna di miele
coi media é finita. Cominciò a finire quando uscì la notizia che il suo
stipendio era superiore a quello del presidente del consiglio. Lui
sottovalutò quell’accusa. Va anche detto che questo tipo di accuse ai
grandi dirigenti del MEF ci sono sempre state come ci sono sempre state
delle purghe più o meno discrete da parte di tutti i presidenti del
consiglio. Tranne qualcuno sempre di numero minore delle dita della
mano di un falegname in pensione e maggioranze. Ai ministeri, alla Rai,
nei giornali. Tutto il resto della polemica su Casalino ha il
sapore puzzolente di un «già visto e sentito».
LA MANOVRA UNO
Purtroppo in questa fase, oltre il tiramolla nella maggioranza e nelle
beghine nella spartizione delle sottilissime fette di torta (neanche)
disponibili, non si è sentita la minoranza PD mettere sul tavolo alcuni
numeri. Per esempio in quanti anni mirare a recuperare i 100
miliardi di tasse evase. In quanti anni cercare di ridurre al
fisiologico i 30 miliardi di evasione contributiva. In quanti anni
cercare di ridurre i 36 miliardi di IVA evasa. Come e in quanto tempo
abbattere almeno della metà i 75 miliardi di sconti fiscali derivati da
636 occasioni legali che finiscono quasi tutti a chi non ne ha
bisogno. Non occorre la calcolatrice per verificare come
abbattendo del 50% la mostruosa somma qui sopra, il Paese disporrebbe
di quasi 50 miliardi ogni anno di entrate in più. IlPD dall’opposzione
non ci ha detto come abbattere il caporalato sotto qualsiasi
forma,visto che c’é ancora. Non ha detto neppure come tagliare di dieci
punti il costo del lavoro. Come rimettere a posto il casino della
«buona scuola» combinato dalla maggioranza di Renzi&Alfano. Alfano
c’era anche lui: mai dimenticarlo. Come rimettere a posto la storia
degli 80 euro senza obbligare un milione di cittadini a rimborsare il
riscosso senza imbroglio.
Poi alcuni dettagli sulle tariffe pubbliche in particolare abolire del
tutto le legnate ai consumatori dei padroni delle reti
energetiche: come la tassazione sulla tassazione in bolletta.
LA MANOVRA DUE
Visco ha spiegato in altre occasioni che per ridurre il debito, che
oggi sta intorno al 132% del Pil al 100%, bisognerebbe avere un avanzo
primario di bilancio (entrate meno spese, al netto della spesa per
interessi) pari al 4% del Pil per dieci anni. Ma ora l'avanzo primario
viaggia intorno al 2% e il prodotto interno lordo dovrà essere corretto
al ribasso. Insomma, non c'è spazio per programmi faraonici di spesa o
per tagli drastici delle tasse.
La Germania (previsioni Ue) stima di avere nel 2018 un Pil di 3,4
milioni di milioni di euro* mentre l’Italia ne stima uno di 1,8*e la
Francia uno di 2,4*. L’avanzo primario tedesco è stimato in 67,7*
mentre quello italiano in 35,3*. Il saldo francese è negativo per 14* e
quello spagnolo attivo di 1,2*. La Germania e la Ue «amano»
particolarmente la Francia per quel segno meno davanti all’avanzo
primario: si fa ma non si dice.
L’idea-suggerimento di Draghi di passare ad un avanzo primario
perlomeno doppo dell’attuale (sarebbe sempre minore del 4% da lui
indicato come ottimale) non è pensabile-possibile in ambito Ue e
internazionale prima di tutto per le politiche di Trump e
secondariamente perché da gennaio il Paese è fermo e senza una
guida che non sia la singola volontà dell’industriale A o B. A
nostro avviso o c’è un governo capace di misure abbastanza
drastiche oppure ci dovremo accontentare di navigare a vista vendendo
sempre all’orizzonte la terra promessa senza raggiungerla mai. Visto
che nessuno vuole remare per arrivarci.
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Tria chiama la sua «prima linea»: con quelle frasi offende e minaccia. Poi la stoccata: le scelte sulle risorse
Questi non sono gli Stati Uniti, dove un anonimo tecnocrate scrive sul
New York Times che fa del suo meglio per far cadere nel vuoto gli
ordini della Casa Bianca. E Roma non è Washington, dove un funzionario
si offre di registrare di nascosto le conversazioni con il capo del
governo per spingerlo alle dimissioni. Qui accade il contrario: le
registrazioni catturate (in apparenza) in segreto escono dal cuore del
potere politico, la presidenza del Consiglio, per far dimettere le
figure di vertice di una struttura tecnica accusata semplicemente di
rispettare il proprio ruolo. Tecnici in attesa che il governo, come gli
compete, indichi con quali tagli di spesa e con quali aumenti delle
tasse si debbano finanziare per dieci miliardi il «reddito di
cittadinanza»; perché non tocca alla tecnostruttura stabilire vincenti
e perdenti fra gli elettori di ogni decisione sul bilancio.
Se le dimissioni erano l'obietti vo di Rocco Casalino, il portavoce del
presidente del Consiglio legato ai 5 Stelle, è improbabile che venga
raggiunto. Le accuse nel suo audio sono chiaramente rivolte in primo
luogo a tre uomini del ministero dell'Economia: il ragioniere generale
dello Stato, Daniele Franco, il capo di gabinetto del ministro, Roberto
Garofoli, e il direttore generale del ministero, Alessandro Rivera. Ma
ieri mattina la rete di protezione attorno a loro si è aperta, a
partire dal ministro dell'Economia. Giovanni Tria ha chiamato gli
uomini di prima fila della sua struttura tecnica non appena ha sentito
quell'audio del portavoce del premier che – avrebbe commentato Tria –
offende e minaccia. In serata il ministero ha poi diffuso una nota che
ha reso espliciti precisamente la fiducia nei tecnici che il premier
Conte ieri aveva omesso di esprimere. Con un'aggiunta che rimanda al
massimo livello di governo le responsabilità delle scelte sui sacrifici
da distribuire nella legge di Bilancio per creare spazio ai nuovi
sussidi: «L'attribuzione di risorse a determinate voci piuttosto che ad
altre non spetta alle strutture tecniche dell'Economia, perché è una
scelta politica — si legge — . Anche il reperimento delle coperture
finanziarie rientra in questo stesso ambito». Del resto, continua la
nota, «il bilancio dello Stato è pubblico ed è visionabile da tutti sui
siti istituzionali».
In realtà le forze di governo in queste settimane avevano respinto ogni
proposta per finanziare il «reddito di cittadinanza»: no al taglio del
bonus da 80 euro del Matteo Renzi; no alla revisione degli sgravi
fiscali più importanti, per esempio sul carburante di agricoltori o
autotrasportatori; no allo spostamento di alcune classi di beni e
servizi a Iva ridotta verso l'aliquota superiore; no al blocco degli
aumenti automatici delle pensioni, che libererebbe tre miliardi di euro
l'anno; no alla razionalizzazione nella sanità. Il sì da parte di M5S è
arrivato solo al taglio di quelli che il vicepremier Luigi Di Maio
chiama, senza mai precisare, «rami secchi»; ma la spesa dei ministeri è
di circa 13 miliardi, una volta tolta quella per il personale, è
improbabile che si possa ricavare molto. Nuovi tagli sono possibili, ma
senza improvvisare e solo sulla base di un disegno preciso.
Si è giunti così al conflitto fra istituzioni. Franco, Garofoli e
Rivera non si dimetteranno anche perché ieri alla struttura tecnica
dell'Economia sono arrivati inviti a resistere da molti apparati dello
Stato e dal settore privato. Anche persone vicine al Quirinale
avrebbero fatto conoscere il loro sconcerto, benché la gaffe di un
portavoce sia qualcosa su cui il capo dello Stato non vorrebbe
intervenire.
Al ministero dell'Economia gli eventi di questi giorni vengono letti
come la caccia di un capro espiatorio: M5S ha promesso sussidi per
decine di miliardi prima delle elezioni e ha detto di sapere
precisamente con quali tagli finanziarli; quindi ha chiesto a Tria di
trovare quei tagli; infine cerca di scaricare sui tecnici la colpa se
le vaste promesse elettorali andranno deluse. L'articolo 336 del Codice
penale prevede il carcere per «chiunque (…) minaccia un pubblico
ufficiale per costringerlo a fare un atto contrario ai propri doveri o
a omettere un atto dell'ufficio». Ieri però Conte, il premier avvocato,
ha osservato che il suo portavoce Casalino sarebbe vittima di un reato
perché il suo audio inviato ad alcuni giornalisti è stato reso pubblico.
Federico Fubini
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