VIADOTTO MORANDI
IL GENIO DI UN'OPERA FRUTTO DI UN'ALTRA EPOCA
QUELLA ATTUALE NON HA NEMMENO VISTO IL PERICOLO
Da quello che finora appare dalle immagini e articoli pubblicati
soprattutto da https://www.ingenio-web.it/– finora i progetti originali
del ponte non sono stai trovati- emerge con chiarezza che il manufatto
fu bene progettato (tendo conto che allora i conti si facevano a mano o
col regolo calcolatore o con calcolatrici alfanumeriche… a pedali) ed
anche bene costruito. Che poi i materiali dell'esecuzione non fossero
all'altezza soprattutto quando le condizioni dell'inquinamento della
zona si fecero davvero feroci questo apparve evidente fin dal 1981 allo
stesso progettista che dette alcune indicazioni di intervento
però mai eseguite. Fino al 1992-'93 quando venne eseguito l'intervento
radicale sugli stralli della pila 11 –quella più ad est- perché gli
agganci al vertice erano risultati davvero danneggiati rispetto ai
confratelli sulla 10 e 9.
L'idea di creare degli stralli di calcestruzzo che chiudevano al loro
interno delle corde-trefoli così descritti da Morandi: “Ogni singolo
tirante è costituito da 352 trefoli ai quali vanno aggiunti altri 112
trefoli uguali e paralleli ai precedenti impiegati per la
precompressione della guaina di calcestruzzo” nasceva non tanto da una
questione estetica (pure molto importante nell'insieme e
nell'inserimento ambientale) ma per risolvere un problema statico molto
importante. Leggiamo cosa scrive Morandi: "Se avessi previsto dei
semplici tiranti di acciaio mi sarei imbattuto, per il passaggio dei
carichi accidentali (penso in particolare a quelli severissimi
ferroviari) in due serie difficoltà: la prima che l'allungamento dei
tiranti dovuti al suddetto passaggio dei carichi avrebbe lesionato
qualsiasi guaina in calcestruzzo gettata a loro protezione e che
l'allungamento stesso sarebbe stato di tale entità da disturbare
addirittura il transito dei veicoli ferroviari sul ponte
(l'abbassamento della sede stradale sarebbe stato di circa 1 metro). Ho
pensato quindi che se i cavi di acciaio fossero stati pretesi in
maniera tale che una guaina di calcestruzzo preventivamente disposta
intorno ad essi fosse risultata compressa, il passaggio dei carichi
avrebbe operato su di essa soltanto una diminuzione di compressione,
senza mai raggiungere il valore zero, per cui fossero da escludersi
concettualmente le fessurazioni e le deformazioni sarebbero state
ridotte dal rapporto tra modulo elastico dell'acciaio e quello del
calcestruzzo. E' da considerare inoltre che la componente orizzontale
della reazione, in corrispondenza del punto di innesco del tirante
della travata orizzontale, costituisce uno sforzo di autocompressione
della travata che contribuisce sensibilmente alla buona risoluzione
economica del problema."
Che tradotto significa: “se gli stralli fossero fatti soltanto da
trefoli metallici, l'allungamento di questi qualora fosse passato sul
ponte un carico pesante (come un carro ferroviario trasportato da un
rimorchio) avrebbe indotto un movimento verticale di un metro, creando
problemi di stabilità e sicurezza viste le luci in esame. Oltre a
questo gli stralli fatti di cavi con trefoli non avrebbe potuto
controllare i movimenti orizzontali con relative conseguenze per la
sicurezza”. La precompressone dei cavi e il loro fissaggio dentro il
cemento degli stralli avrebbe assorbito in massima parte il movimento
verticale ed avrebbe praticamente annullato la possibilità di
ondeggiamento sotto carico passante. Idea complessiva del tutto
corretta ed originale nella soluzione (difatto brevettata dal Morandi
stesso).
Detto questo il viadotto dopo la costruzione venne abbandonato a se
stesso e il monitoraggio effettuato alla meno peggio forse per soldi ma
–pensiamo noi- soprattutto per una carenza intellettuale di chi ne
aveva il compito, certamente non in grado nemmeno lontanamente di
capire la portata delle parole scritte nel lontano 1981 dallo stesso
Morandi, è naturalmente arrivato a fine corsa il 14 agosto 2018.
Nell'ultimo biennio-triennio –per quello che si sa adesso- quella
avvertenza del pericolo non era presente nel segno dell'italica
fellonia per cui “tutte le carte sono in ordine ma il ponte è crollato”.
Se pensiamo ai mezzi tecnici limitati in possesso nel 1963-1965 per
progettare l'opera (calcoli fatti a mano) e poi fino a dieci anni or
sono (calcolatori potentissimi e mezzi di diagnosi altrettanto) ci si
rende conto che questo crollo se in se è un mero fatto tecnico in
realtà è la metafora di un Paese. Non per nulla Morandi aveva
frequentato certe scuole con certi programmi e certi ordinamenti
nonostante la limitatezza dei mezzi tecnici con cui avrebbe
dovuto operare professionalmente. Mentre quei suoi colleghi
usciti dalla scuola media obbligatoria, dalla scuola con mille
modifiche revisioni aggiornamenti non sono stati più in grado di
vedere e fare il proprio mestiere. Salvo corruzione: ma questo lo dirà
la magistratura. |
VIADOTTO MORANDI
RICOSTRUIAMOLO COM'ERA PRIMA
ERA UNA GRANDE OPERA
UGUALE CANCELLERA'LA TRQAGEDIA
“No alla demolizione precipitosa. Sì all’analisi costi benefici”. Si
intitola così la petizione lanciata da Antonino Saggio, architetto che
insegna progettazione architettonica e urbana all'Università La
Sapienza di Roma. Una petizione che è stata trasmessa anche in procura,
firmata da molti professionisti di primo piano come Edoardo Cosenza,
ingegnere che insegna all'Università Federico II di Napoli e fa anche
parte del consiglio superiore lavori pubblici del Ministero delle
Infrastrutture e dei Trasporti. Tra i firmatari anche
l'architetto ligure Gianluca Peluffo, autore di tanti progetti in
Italia tra cui la sede Bnl alla stazione Tiburtina di Roma.
Antonino Saggio, in un post sulla propria pagina Facebook ha scritto:
«Ho trasmesso la petizione “No alla demolizione precipitosa Sì
all’analisi costi benefici”, che ha raggiunto 650 firmatari ed ha
autorevoli promotori, alla Procura della Repubblica. Le stesse forze
che hanno portato all’incuria e al crollo e ne sono corresponsabili
moralmente se non penalmente oggi sono schierate per l’immediata
demolizione. Ma è la legge italiana che prevede una analisi
costi-benefici ed è quello che chiede la petizione. Vista la tecnica
costruttiva modulare del viadotto la parte rimanente non è stata
lesionata dal crollo di un pilone, inoltre esistono tecniche del tutto
ragionevoli illustrate al massimo livello, per esempio dal professor
Edoardo Cosenza, Università di Napoli, Consiglio superiore lavori
pubblici, che indicano la completa plausibilità del recupero. La
petizione dice “No alla demolizione precipitosa Sì all’analisi costi
benefici” e agli estensori e ai firmatari sembra una posizione di
semplicemente “ovvia” ragionevolezza».
Edoardo Cosenza: «Qualunque sia lo stato di degrado della parte rimanente, a mio parere il recupero si può fare»
E proprio l'ingener Edoardo Cosenza dell'università di Napoli ha
parlato anche di "Ponte della memoria" con un lungo post sulla propria
pagina Facebook in cui ha spiegato il suo punto di vista: «Qualunque
sia lo stato di degrado della rimanente parte del Ponte Morandi di
Genova, a mio parere il recupero si può fare. E se potessi decidere io:
si deve fare. Nulla in generale contro gli abbattimenti e le
ricostruzioni, anzi in Italia si usano pochissime volte ed è un male.
Anche le strutture si possono e a volte si devono rottamare. Ma la
struttura di Riccardo Morandi nella sua semplicità si presta a
qualunque rinforzo. E a tornare a nuova vita».
E poi prosegue cercando di fornire le risposte ad alcune delle
principali criticità: «Le pile (diciamo in generale gli elementi
subverticali della struttura) sono degradate? Si rimuove il
calcestruzzo superficiale, si trattano le armature che credo siano solo
esterne, si ripristina il tutto con malte e a mio parere si rinforza
pure significativamente con materiali fibrorinforzati, soprattutto per
aumentare il confinamento. Più resistente e più durevole. Problemi agli
stralli rimanenti? Non credo perché sono stati cambiati di recente. Se
ricordo male e invece qualcuno non è stato ancora sostituito, lo si può
fare tranquillamente. Problemi nelle travate e nelle solette? Sono casi
comuni, direi interventi standard. Le stesse vanno irrigidite per
problemi dinamici? Anche questo non è complicato, specie con il ponte
non in esercizio. Il Ponte deve rimanere per ricordo della grande
ingegneria e dei problemi dell'ingegneria, della manutenzione. E in
memoria delle povere vittime. E anche per non sprecare altro denaro.
Che certo deve andare per altre opere, non per far risparmiare il
concessionario. Poi sulla parte da ricostruire, anche spazio alla
fantasia ingegneristica, oppure che lo si rifaccia uguale ma con
tecniche modernissime. Per me su questo va bene qualunque idea. Questo
è il mio modesto pensiero. Abbattere solo per abbattere? Come simbolo
politico? Per me: no grazie. A me piacerebbe che rimanesse come il
Ponte della Memoria».
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POLEMICHE VECCHIE
PIAZZA VECCHIA E I MAESTRI DEL PAESAGGIO
TUTTO COME PREVISTO
Non avessimo già scritto :Sui maestri del paesaggio occorrerebbe
un discorso molto lungo (vi partecipa anche l'OBI di Curno che come al
solito ha voluto strafare mettendo in piazza di tutto e di più). In una
città che ha il peggior verde pubblico e privato (ma ipocriticamente si
sbrodola del Parco dei Colli o dell'Orto della Nonna ad Astino: ad uso
delle massaie e degli insegnati ignoranti) «sbattere in faccia»
alle sciurette dell'apericena le «erbacce della valletta di Colle
Aperto» ha sortito un effetto divertente. Cominciano a comprendere che
perfino la Phalaenopsis Amabilis «usa e getta» che ormai comprano
dappertutto anche dal macellaio è... una erbaccia. Non poteva mancare i
DiDiTi (leggasi D.T. del Corriere) con due pezzi nella stessa pagina a
suonare due campane per non deludere nessun potenziale
inserzionista (OBI in primis). Nel caso non abbiamo a che fare con la
sciuretta che all'ora dell'apericena scopre la piazza vecchia riempita
di erbacce della valletta di Colle Aperto ma con due figure
fondamentali della bergamasca. Oltretutto dare voce a due maschi è
sempre conveniente sotto il profilo del politicamente corretto. Così
l'esimio Piero Rodeschini, dirigente d'azienda e bergamasco doc,
capitana il fronte della «green delusion». Varrebbe la pena che il
Piero Rodeschini pubblicasse dieci pagine su Vogue o su Chi? le
foto del suo giardino, per verificare un po' come stiamo a gusto e
culturale personale in fatto di erbacce. Dubitiamo visto quel che si
vede in città e dintorni. Non poteva mancare il dissenso totale
dell'altrettanto esimio pitur Mario Donizetti, uno che deve avere
problemi di allagamento in casa visto che la sua sciura viaggia sempre
cogli stivali anche il 31 luglio mentre ribadisce ancora e fin dalla
prima ora «la purezza spoglia di una Piazza che è bellezza in se
stessa”. Uela!. Dev'essere come certe pagine internet di cui occorre
fare il refresch altrimenti ti esce ancora la pagina del 1860 ed invece
siamo nel 2018. Piazza Vecchia è così malridotta, dalla pavimentazione
alle facciate, che le uniche cose che si salvano sono il palazzo della
biblioteca, la fontana e l'illuminazione: il resto é un cesso
maltenuto. Poi viene l'intellettuale moderno. Oddio: l'hanno pensionato
ma siccome è uno degli inventori di un programma tivù di successo,
merita la debita attenzione. Stefano Salvi, giornalista, l'ex Gabibbo
della prima Striscia: «Sono andato anche sul Campanone per cercare una
prospettiva diversa. Magari da lassù avrei potuto cogliere un aspetto
che dal basso sfugge, ma anche a cinquanta metri d'altezza ho visto un
ammasso di sterpaglie mezze bruciacchiate. Inutili in una piazza che,
come una bella donna, non ha bisogno di imbellettarsi troppo.
Poetico e pragmatico invece ol diretur dell'orto Botanico, pater
putativo anche dell'Orto della Nonna ad Astino: «L'uso delle piante
perenni è apprezzabile ed innovativo allo stesso tempo perché va nella
direzione di una sostenibilità con cui anche i giardini di domani
dovranno essere certificati. Sono piante cangianti, che necessitano di
poca manutenzione e poca acqua, quindi con un bassissimo impatto
ambientale che le posiziona nella giusta direzione. Ci rivelano una
dimensione più intimistica della Natura, meno esplosiva ma ugualmente
piena di fascino e, per certi versi, miracolosa».
Che è poi il successo internazionale da venticinque anni di Piet
Oudolf, magari solo per ridurre i costi di manutenzione e mantenimento
dei giardini laddove i giardini davvero li fanno e non si limitano a
chiacchierarne. Leggasi: Bergamo.
Così si incontrano-scontrano la naturale complessità di Piet
Oudulf col sovraccarico di offerta commerciale degli espositori di
Piazza Mascheroni che è ancora “il modello” di troppi paesaggisti e
giardinieri italiani che mirano a riempire di piante (e
ingrassare le fatture) il giardino della sciuretta da esibire alle
amiche col trofeo dell'architetto paesaggista e la sua foto su
Gardenia. Poi giri per la città e getti un'occhiata al verde pubblico
ed ai giardini privati e corri al cesso.
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