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Di cosa parliamo in questa pagina.
Man mano che il tempo passa emergono nuove informazioni sul progetto e la storia del viadotto Morandi.
Vedi alla pagina: https://www.ingenio-web.it/
Purtroppo finora non si sono trovati i progetti originali firmati da Riccardo Morandi.
La fine del viadotto era ampiamente descritta e prevedibile nella storia degli interventi e degli esami che via via, anche in tempi  antichi: 1991, 1993 erano stati effettutati.
Al di la delle responsabilità per via del dio soldo, emerge  sopratutto una differenza culturale nel prendere in esame i problemi tra una generazione di tecnici di vecchia scuola (dotati di scarsissimi mezzi e informazioni) e  quelli della scuola attuale che nemmeno sono stati un grado di leggere e capire -se davvero sono stati sempre e soli onesti-  che già il progettista originario, parlando della "sua" opera, aveva già ben descritto e prescritto da fare.
Crollato un viadotto, se ne fa un altro! Questo é adesso il grido di battaglia di politici tecnici imprese e via cantando mirando ai cento duecento quattrocento milioni necessari. Alla grande: i dobloni girano per aria.
Hanno invece ragione quelli che sostengono di restaurare la gran parte rimasta e ricostruire identica la parte crollata. Con la capacità di calcolo attuale e la tecnologia disponibile, tutto questo é fattibile e con minori costi rispetto alla demolizione del  tutto e ricostruzione dei 1280 metri del viadotto.
A favore della ricostruzione  gira anche una questione etica. Potranno tornare anche quelli oggi sloggiati. Quando i genovesi poseranno l'occhio su quel viedotto se vedranno un "ponte nuovo" si troveranno sbattuta in faccia ogni volta la tragedia.
Se vedranno ancora il "ponte vecchio" saranno aiutati a dimenticare.
E il paese, con quel restauro, tornerà ad essere un grande Paese.
Noi ci crediamo. Assieme a molti altri. No ad un nuovo viadotto. Si al restaurare e rifare quello caduto.



AVVERTENZA: il primo articolo a sinistra è riportato completo nella parte di testo in fondo pagina
























VIADOTTO MORANDI
IL GENIO DI UN'OPERA FRUTTO DI UN'ALTRA EPOCA
QUELLA ATTUALE NON HA NEMMENO VISTO IL PERICOLO


Da quello che finora appare dalle immagini e articoli pubblicati soprattutto da https://www.ingenio-web.it/– finora i progetti originali del ponte non sono stai trovati- emerge con chiarezza che il manufatto fu bene progettato (tendo conto che allora i conti si facevano a mano o col regolo calcolatore o con calcolatrici alfanumeriche… a pedali) ed anche bene costruito. Che poi i materiali dell'esecuzione non fossero all'altezza soprattutto quando le condizioni dell'inquinamento della zona si fecero davvero feroci questo apparve evidente fin dal 1981 allo stesso progettista che dette alcune indicazioni di intervento  però mai eseguite. Fino al 1992-'93 quando venne eseguito l'intervento radicale sugli stralli della pila 11 –quella più ad est- perché gli agganci al vertice erano risultati davvero danneggiati rispetto ai confratelli sulla 10 e 9.
L'idea di creare degli stralli di calcestruzzo che chiudevano al loro interno delle corde-trefoli così descritti da Morandi: “Ogni singolo tirante è costituito da 352 trefoli ai quali vanno aggiunti altri 112 trefoli uguali e paralleli ai precedenti impiegati per la precompressione della guaina di calcestruzzo” nasceva non tanto da una questione estetica (pure molto importante nell'insieme e nell'inserimento ambientale) ma per risolvere un problema statico molto importante. Leggiamo cosa scrive Morandi: "Se avessi previsto dei semplici tiranti di acciaio mi sarei imbattuto, per il passaggio dei carichi accidentali (penso in particolare a quelli severissimi ferroviari) in due serie difficoltà: la prima che l'allungamento dei tiranti dovuti al suddetto passaggio dei carichi avrebbe lesionato qualsiasi guaina in calcestruzzo gettata a loro protezione e che l'allungamento stesso sarebbe stato di tale entità da disturbare addirittura il transito dei veicoli ferroviari sul ponte (l'abbassamento della sede stradale sarebbe stato di circa 1 metro). Ho pensato quindi che se i cavi di acciaio fossero stati pretesi in maniera tale che una guaina di calcestruzzo preventivamente disposta intorno ad essi fosse risultata compressa, il passaggio dei carichi avrebbe operato su di essa soltanto una diminuzione di compressione, senza mai raggiungere il valore zero, per cui fossero da escludersi concettualmente le fessurazioni e le deformazioni sarebbero state ridotte dal rapporto tra modulo elastico dell'acciaio e quello del calcestruzzo. E' da considerare inoltre che la componente orizzontale della reazione, in corrispondenza del punto di innesco del tirante della travata orizzontale, costituisce uno sforzo di autocompressione della travata che contribuisce sensibilmente alla buona risoluzione economica del problema."
Che tradotto significa: “se gli stralli fossero fatti soltanto da trefoli metallici, l'allungamento di questi qualora fosse passato sul ponte un carico pesante (come un carro ferroviario trasportato da un rimorchio) avrebbe indotto un movimento verticale di un metro, creando problemi di stabilità e sicurezza viste le luci in esame. Oltre a questo gli stralli fatti di cavi con trefoli non avrebbe potuto controllare i movimenti orizzontali con relative conseguenze per la sicurezza”. La precompressone dei cavi e il loro fissaggio dentro il cemento degli stralli avrebbe assorbito in massima parte il movimento verticale ed avrebbe praticamente annullato la possibilità di ondeggiamento sotto carico passante. Idea complessiva del tutto corretta ed originale nella soluzione (difatto brevettata dal Morandi stesso).
Detto questo il viadotto dopo la costruzione venne abbandonato a se stesso e il monitoraggio effettuato alla meno peggio forse per soldi ma –pensiamo noi- soprattutto per una carenza intellettuale di chi ne aveva il compito, certamente non in grado nemmeno lontanamente di capire la portata delle parole scritte nel lontano 1981 dallo stesso Morandi, è naturalmente arrivato a fine corsa il 14 agosto 2018. Nell'ultimo biennio-triennio –per quello che si sa adesso- quella avvertenza del pericolo non era presente nel segno dell'italica fellonia per cui “tutte le carte sono in ordine ma il ponte è crollato”.
Se pensiamo ai mezzi tecnici limitati in possesso nel 1963-1965 per progettare l'opera (calcoli fatti a mano) e poi fino a dieci anni or sono (calcolatori potentissimi e mezzi di diagnosi altrettanto) ci si rende conto che questo crollo se in se è un mero fatto tecnico in realtà è la metafora di un Paese. Non per nulla Morandi aveva frequentato certe scuole con certi programmi e certi ordinamenti nonostante la limitatezza dei mezzi tecnici con cui avrebbe dovuto  operare professionalmente. Mentre quei suoi colleghi usciti dalla scuola media obbligatoria, dalla scuola con mille modifiche revisioni aggiornamenti non sono stati più in grado di  vedere e fare il proprio mestiere. Salvo corruzione: ma questo lo dirà la magistratura.
VIADOTTO MORANDI
RICOSTRUIAMOLO COM'ERA PRIMA
ERA UNA GRANDE OPERA
UGUALE CANCELLERA'LA TRQAGEDIA

“No alla demolizione precipitosa. Sì all’analisi costi benefici”. Si intitola così la petizione lanciata da Antonino Saggio, architetto che insegna progettazione architettonica e urbana all'Università La Sapienza di Roma. Una petizione che è stata trasmessa anche in procura, firmata da molti professionisti di primo piano come Edoardo Cosenza, ingegnere che insegna all'Università Federico II di Napoli e fa anche parte del consiglio superiore lavori pubblici del  Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.  Tra i firmatari anche l'architetto ligure Gianluca Peluffo, autore di tanti progetti in Italia tra cui la sede Bnl alla stazione Tiburtina di Roma.
Antonino Saggio, in un post sulla propria pagina Facebook ha scritto: «Ho trasmesso la petizione “No alla demolizione precipitosa Sì all’analisi costi benefici”, che ha raggiunto 650 firmatari ed ha autorevoli promotori, alla Procura della Repubblica. Le stesse forze che hanno portato all’incuria e al crollo e ne sono corresponsabili moralmente se non penalmente oggi sono schierate per l’immediata demolizione. Ma è la legge italiana che prevede una analisi costi-benefici ed è quello che chiede la petizione. Vista la tecnica costruttiva modulare del viadotto la parte rimanente non è stata lesionata dal crollo di un pilone, inoltre esistono tecniche del tutto ragionevoli illustrate al massimo livello, per esempio dal professor Edoardo Cosenza, Università di Napoli, Consiglio superiore lavori pubblici, che indicano la completa plausibilità del recupero. La petizione dice “No alla demolizione precipitosa Sì all’analisi costi benefici” e agli estensori e ai firmatari sembra una posizione di semplicemente “ovvia” ragionevolezza».
Edoardo Cosenza: «Qualunque sia lo stato di degrado della parte  rimanente, a mio parere il recupero si può fare»
E proprio l'ingener Edoardo Cosenza dell'università di Napoli ha parlato anche di "Ponte della memoria" con un lungo post sulla propria pagina Facebook in cui ha spiegato il suo punto di vista: «Qualunque sia lo stato di degrado della rimanente parte del Ponte Morandi di Genova, a mio parere il recupero si può fare. E se potessi decidere io: si deve fare. Nulla in generale contro gli abbattimenti e le ricostruzioni, anzi in Italia si usano pochissime volte ed è un male. Anche le strutture si possono e a volte si devono rottamare. Ma la struttura di Riccardo Morandi nella sua semplicità si presta a qualunque rinforzo. E a tornare a nuova vita».
E poi prosegue cercando di fornire le risposte ad alcune delle principali criticità: «Le pile (diciamo in generale gli elementi subverticali della struttura) sono degradate? Si rimuove il calcestruzzo superficiale, si trattano le armature che credo siano solo esterne, si ripristina il tutto con malte e a mio parere si rinforza pure significativamente con materiali fibrorinforzati, soprattutto per aumentare il confinamento. Più resistente e più durevole. Problemi agli stralli rimanenti? Non credo perché sono stati cambiati di recente. Se ricordo male e invece qualcuno non è stato ancora sostituito, lo si può fare tranquillamente. Problemi nelle travate e nelle solette? Sono casi comuni, direi interventi standard. Le stesse vanno irrigidite per problemi dinamici? Anche questo non è complicato, specie con il ponte non in esercizio. Il Ponte deve rimanere per ricordo della grande ingegneria e dei problemi dell'ingegneria, della manutenzione. E in memoria delle povere vittime. E anche per non sprecare altro denaro. Che certo deve andare per altre opere, non per far risparmiare il concessionario. Poi sulla parte da ricostruire, anche spazio alla fantasia ingegneristica, oppure che lo si rifaccia uguale ma con tecniche modernissime. Per me su questo va bene qualunque idea. Questo è il mio modesto pensiero. Abbattere solo per abbattere? Come simbolo politico? Per me: no grazie. A me piacerebbe che rimanesse come il Ponte della Memoria».

POLEMICHE VECCHIE
PIAZZA VECCHIA E I MAESTRI DEL PAESAGGIO
TUTTO COME PREVISTO


Non avessimo già scritto :Sui maestri del paesaggio  occorrerebbe un discorso molto lungo (vi partecipa anche l'OBI di Curno che come al solito ha voluto strafare mettendo in piazza di tutto e di più). In una città che ha il peggior verde pubblico e privato (ma ipocriticamente si sbrodola del Parco dei Colli o dell'Orto della Nonna ad Astino: ad uso delle massaie e degli insegnati ignoranti)  «sbattere in faccia» alle sciurette dell'apericena le «erbacce della valletta di Colle Aperto» ha sortito un effetto divertente. Cominciano a comprendere che perfino la Phalaenopsis Amabilis «usa e getta» che ormai comprano dappertutto anche dal macellaio è... una erbaccia. Non poteva mancare i DiDiTi (leggasi D.T. del Corriere) con due pezzi nella stessa pagina a suonare due campane per non deludere nessun  potenziale inserzionista (OBI in primis). Nel caso non abbiamo a che fare con la sciuretta che all'ora dell'apericena scopre la piazza vecchia riempita di erbacce della valletta di Colle Aperto ma con due figure fondamentali della bergamasca. Oltretutto dare voce a due maschi è sempre conveniente sotto il profilo del politicamente corretto. Così l'esimio Piero Rodeschini, dirigente d'azienda e bergamasco doc, capitana il fronte della «green delusion». Varrebbe la pena che il Piero Rodeschini pubblicasse  dieci pagine su Vogue o su Chi? le foto del suo giardino, per verificare un po' come stiamo a gusto e culturale personale in fatto di erbacce. Dubitiamo visto quel che si vede in città e dintorni. Non poteva mancare il dissenso totale dell'altrettanto esimio pitur Mario Donizetti, uno che deve avere problemi di allagamento in casa visto che la sua sciura viaggia sempre cogli stivali anche il 31 luglio mentre ribadisce ancora e fin dalla prima ora «la purezza spoglia di una Piazza che è bellezza in se stessa”. Uela!. Dev'essere come certe pagine internet di cui occorre fare il refresch altrimenti ti esce ancora la pagina del 1860 ed invece siamo nel 2018. Piazza Vecchia è così malridotta, dalla pavimentazione alle facciate, che le uniche cose che si salvano sono il palazzo della biblioteca, la fontana e l'illuminazione: il resto é un cesso maltenuto. Poi viene l'intellettuale moderno. Oddio: l'hanno pensionato ma siccome è uno degli inventori di un programma tivù di successo, merita la debita attenzione. Stefano Salvi, giornalista, l'ex Gabibbo della prima Striscia: «Sono andato anche sul Campanone per cercare una prospettiva diversa. Magari da lassù avrei potuto cogliere un aspetto che dal basso sfugge, ma anche a cinquanta metri d'altezza ho visto un ammasso di sterpaglie mezze bruciacchiate. Inutili in una piazza che, come una bella donna, non ha bisogno di imbellettarsi troppo.
Poetico e pragmatico invece ol diretur dell'orto Botanico, pater putativo anche dell'Orto della Nonna ad Astino: «L'uso delle piante perenni è apprezzabile ed innovativo allo stesso tempo perché va nella direzione di una sostenibilità con cui anche i giardini di domani dovranno essere certificati. Sono piante cangianti, che necessitano di poca manutenzione e poca acqua, quindi con un bassissimo impatto ambientale che le posiziona nella giusta direzione. Ci rivelano una dimensione più intimistica della Natura, meno esplosiva ma ugualmente piena di fascino e, per certi versi, miracolosa».
Che è poi il successo internazionale da venticinque anni di Piet Oudolf, magari solo per ridurre i costi di manutenzione e mantenimento dei giardini laddove i giardini davvero li fanno e non si limitano a chiacchierarne. Leggasi: Bergamo.
Così si  incontrano-scontrano la naturale complessità di Piet Oudulf col sovraccarico di offerta commerciale degli espositori di Piazza Mascheroni che è ancora “il modello” di troppi paesaggisti e giardinieri italiani che mirano a riempire di piante (e  ingrassare le fatture) il giardino della sciuretta da esibire alle amiche col trofeo dell'architetto paesaggista e la sua foto su Gardenia. Poi giri per la città e getti un'occhiata al verde pubblico ed ai giardini privati e corri al cesso.