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Di cosa parliamo in questa pagina.
La sindaca emerita Perlita Serra Bailo porta a Curno tre manifestazioni di Molte Fedi e nel contempo farà la guida turistica per visite alla città.
RI-Nazionalizzare le autostrade (e qualcosa d'altro)?
Un'idea geniale. prima lo Stato ha svenduto un bidone dalle uova d'oro e adesso se lo vuole riprendere. Con la certezza che andremo sempre peggio visto che alla fine nesusno controlla nulla.
Mega intervista trans-oceanica della Gruber al Dibba.
Ma Bersani le fa le scarpe come share dalla Palombelli su R4.
Un Dibba noioso che fa il doppio gioco sia verso l'elettorato grillino che per l'alleato Salvini: ma gli ascoltatori crediamo proprio l'habbiano sgamato.
La fotografia. Stiamo sempre "smaltendo" il dolore dell11 settembre. Ancora adesso non ci crediamo.

































LA SCALATA DELLA SINDACA EMERITA PERLITA SERRA BAILO


Finalmente la nostra sindaca emerita Perlita Serra Bailo ha assunto un ruolo di notevole importanza adeguato all sua statura nel consesso creatore ed organizzatore di Molte Fedi ecc. ecc. Non più solo un filmato pubblicitario per il programma su youtube. Farà da guida per le visite cittadine, con alle spalle il fortunato volume «alle porte di Città Alta» integrato nelle settimane scorse dall’inserto «dalle porte di Città Alta» La sindaca emerita porterà nel paese «bello da vivere» tre iniziative del programma. Della prima tacciamo per carità di patria (è una versione politicamente corretta della prova del cuoco). Delle altre due ... ergot le mei che negot. Questo spiega la ragione per cui addirittura il programma c.d. culturale di cinque mesi sia stato approvato con largo anticipo. In sfida anche al buondio ed agli straventi in quel di Curno dove per la gioventù crollano i solai delle rogge oppure scodellano le pignatte delle scuole medie. Vedremo quanto  costeranno al Comune di Curno le tre iniziative «comprate e importate» da Molte Fedi e intanto leggiamo che le visite guidate della guida Perlita Serra Bailo costeranno sette euro a ciascun partecipante. Senza nemmeno un aperitivo: ma ci sono le fontanelle in zona. Esattamente come per i Maestri del Paesaggio che agli inizi suscitavano un coro di «ma che schifo!» mentre una volta verificato che l’insieme funziona ha visto parecchie adesioni facendolo diventare -tranne una discreta parte- una fiera da strapaese bello da vivere per sciori e sciurette in SUV ammortizzato al 140% con industria 4.0. Idem Molte Fedi dove a furia di allargarsi nello spazio e negli argomenti è diventato una sorta di wikipedia. A strafare si sbaglia sempre.  Noi di Curno siamo sempre tra quelli che comprano altrove la manifestazione e la piazzano in piazza. Dove non hanno neppure i soldi per mettere la vernice al legno. Dalla giunta Morelli in avanti,  specie le giunte c.d. di centrosinistra, o si affidano all’oratorio ed alle sue varie declinazioni finto-laiche oppure chiamano gli amici degli amici degli amici che sono anche  miei amici e comperano lo spettacolino, la conferenza, la banda il tutto politicamente correttissimo e palloso vecchio come la Maresana. E quando c’era qualcosa che dava fastidio agli amici degli amici che sono miei amici, hanno provveduto in fretta a chiuderlo. Il cinema estivo. I concerti di musica colta. Un teatro che non fosse il pupazzetto per i ragazzini. Cancellato tutto: basta accontentarsi di quel che fanno i miei amici dei miei amici dei tuoi amici in città, che volete di più nel paese bello da vivere? Possiamo? Vaffa!. P.S.: Sindaca emerita Perlita Serra Bailo non sente  odore di qualche conflitto d’interessi? Così, tanto per gradire.
IL DOPPIO GIOCO DEL DIBBA



Con una mega intervista transcontinentale dal Gautemala (il Guatemala sta in America Centrale immediatamente a sud del Messico, per chi crede che stia in Puglia piuttosto che Basilicata…) l'altoatesina Lilli Gruber ha mandato in onda una pseudo intervista del Dibba che ha recitato per l'ennesima volta il profluvio di cazzate che l'uno vale uno (ma io valgo più di voi: tiè!)  conosce perfettamente.  Il giorno dopo si scopre che alla prima sfida diretta per Palombelli (Rete4)  con1.236mila spettatori con il 5.2% di share, contro il 1.166mila, con il 4.9% della Gruber il prodotto cinque stelle non tira  più come una volta. Cosa è successo? Barbara Palombelli ha il programma diviso in due parti, prima c'era Pierluigi Bersani ( con Ferruccio de Bortoli e Alessandro Sallusti), poi via a una riedizione ai giorni nostri del celebre match tv tra Roberto D'Agostino e Vittorio Sgarbi: non dicono nulla ma almeno divertono. La scelta contrapposta di Gruber era però di quelle impegnative: ovvero quaranta minuti di collegamento con il Guatemala dove con piglio assai centramericano si ergeva al centro della scena Alessandro Di Battista, camicia bianca e auricolari in tinta: e qui si faceva, come usa dire, l'agenda politica ( povera agenda…) nel senso che le dichiarazioni di Dibba erano già da alcune ore in primissimo piano e su tutti i siti principali di informazione ( nonché i Tg della sera) nella complicata dialettica tra grillini di governo e leghisti idem, con tutto quello che ne consegue. L'aspetto interessante è stato che uno dei vecchi del PD – Bersani- ha fatto le scarpe al Dibba. Il quale ha mostrato di staccarsi dalla posizione penta stellata in ordine ai 49 milioni che la Lega è chiamata da una sentenza a restituire agli italiani, non mancando di dare del ladro a chi aveva riscosso ed usato  correttamente i fondi dei rimborsi elettorali. Ladri e onesti sono tutti identici tranne che lui che è onesto a prescindere. La posizione del Dibba è stata subitaneamente qualificata come opinione personale da parte di giacchettina DiMaio ma a mio avviso invece quello del Dibba è un gioco di squadra tutto interno ai penta stellati. Un gioco abbastanza evidente perché mira a raccogliere i consensi di una parte della sinistra ondivaga mentre i 5S lo usano per lanciare un messaggio al socio di
NAZIONALIZZARE SI O NO? PRIMA HANNO (S)VENDUTO UN BIDONE (DALLE UOVA D'ORO) E ADESSO VOGLIONO RIPRENDERSELO

Nazionalizzare le autostrade non serve. Meglio fare le gare per appaltare pedaggi e manutenzione
Andrea Sparaciari   

Business Insider Italia ha provato a dare una risposta andando a dare un’occhiata a quanto ha fatto il pubblico negli ultimi vent’anni durante i quali gli enti pubblici hanno vestito la casacca del gestore autostradale.
Perché accanto a Benetton, Gavio e Toti, sono numerosi i concessionari controllati dagli enti locali o da società miste Anas-Regioni. E i risultati non sono stati per nulla differenti rispetto ai tratti autostradali dati in concessione ai privati.
«Gli enti pubblici si sono comportati allo stesso modo dei privati. Sono azionisti che hanno cercato di massimizzare i guadagni, facendoci pagare più pedaggi. Inoltre il reddito assicurato sui capitali investiti è stato applicato a tutti, sia ai privati che ai gestori pubblici», spiega il professor Giorgio Ragazzi, già professore di Economia Politica all’Università di Bergamo, ex membro del direttivo della Banca Mondiale e autore del libro: “I signori delle autostrade”.
A leggere la relazione della Direzione Generale per la Vigilanza sulle Concessionarie Autostradali 2016 (quella del 2017 non è ancora stata pubblicata), infatti, si nota che gli enti pubblici  non si sono per nulla distinti dai privati sia in termini di aumenti tariffari registrati negli anni, sia in termini di investimenti previsti dai Piani economici finanziari e non ancora realizzati.
(La concessione CAS -autostrade siciliane). Le altre concessionarie pubbliche
Ma se il Cas è un caso limite, anche le altre concessionarie “pubbliche” non hanno brillato: la Autovie Venete, per esempio, 72,9% di proprietà di Friulia spa (a sua volta controllata da Regione Friuli Venezia Giulia) e al 4% da Regione Veneto, tra il 2008 e il 2017 ha innalzato le tariffe del 48,7%. In compenso all’appello mancano oltre il 26% degli investimenti che si era impegnata a fare, nonostante un utile di esercizio per il 2016 di 17,6 milioni di euro.
Stesso discorso per Concessioni Autostradali Venete (50% Anas, 50% Regione Veneto): tariffe cresciute tra 2010 e 2017 del 18,4% a fronte di mancati investimenti per oltre il 15% degli impegni presi.
Idem per l’Autobrennero, dove nonostante la presenza di azionisti privati, il controllo è pubblico, essendo per il 32,2% della Regione Trentino Alto Adige e per il 53% di altri enti pubblici. Qui la tariffa è lievitata in nove anni del 15,82%, mentre mancano investimenti pari al 36% di quelli previsti dal Piano economico finanziario.
Come si vede, quindi, “nazionalizzare” può non essere una risposta.
«A me non piace la nazionalizzazione, è uno spauracchio», commenta Ragazzi, «perché tutti i contratti prevedono che alla fine della concessione la struttura torni allo stato. È già scritto negli accordi che le autostrade debbano appartenere allo Stato. D’altra parte, oggi il pedaggio imposto dai gestori su strutture ampiamente ammortizzate è un’imposta. E anche questo è ingiusto».
Per Ragazzi la risposta è saltare a piè pari il regime concessorio e mettere manutenzione e riscossione a gara.
«Sembra che i concessionari chissà cosa facciano, ma in realtà non devono cercarsi i clienti, non hanno concorrenza, non sono esposti ai rischi della moda…. Di fatto, fanno due cose: incassano i pedaggi – e non credo che ci voglia grande capacità per farlo – ; e fanno manutenzione. Quindi basta che il pubblico gestisca le gare senza bisogno di nazionalizzare nulla».
Dello stesso avviso il professor Marco Ponti, già ordinario di Economia e pianificazione dei trasporti del Politecnico di Milano, oggi consulente per il ministero dei Trasporti:
«Si può abolire il sistema concessorio, come ha scritto l’Antitrust come moral suasion (non ha senso per un’infrastruttura così semplice, fare concessioni 40ennali), basta fare semplicissime gare per la costruzione, per i pedaggi e la manutenzione, con un soggetto pubblico che faccia il suo mestiere, cioè controlli e faccia pianificazione».
Inoltre, per Ponti, «i problemi delle reti stradali sono problemi al 90% locali. Quindi è meglio se si gestiscono localmente con normali gare periodiche per costruzione e manutenzione con controllo centralizzato. Un sistema di normalissime gare per tutta la rete stradale che vedrei in capo alle singole regioni, le quali però non devono essere gestori di reti. Se poi fanno gare sciamannate, sarà più facile per gli elettori giudicare l’operato dei politici».
Insomma, la nazionalizzazione non è così semplice come appare e il governo dovrà a breve decidere tra fare una vera rivoluzione, superando l’attuale sistema (come dice Toninelli), ingaggiando immani battaglie legali con i gestori in caso di ritiro delle concessioni, o per una restaurazione soft (come sostiene il premier Conte).
In ogni caso un primo passo per il vero cambiamento potrebbe essere semplice e immediato:
«Il discorso della revoca delle concessioni non so quanto costerebbe. Però dico: le autostrade che sono già scadute – Gavio ne ha due, la A21 Torino-Piacenza e la Ativa (Autostrada Torino–Ivrea–Valle d’Aosta ndr) – non c’è bisogno di rimetterle in gara. Se questo governo vuole cambiare veramente, dovrebbe semplicemente applicare il contratto, cioè riprendersi queste due autostrade», conclude Ragazzi.

IL COMMENTO.
Non mi pare che il problema sia solo tecnico economico ma abbia aspetti ben più seri per cui non basta fare buoni appalti e controllare l’esecuzione dei lavori. La questione è che nessuno sapeva esattamente la condizione dei beni da dare in concessione (e quindi, cosa chiedere?)  tanto è vero che inizialmente i Benetton che volevano costituire una cordata di acquirenti per percentuali del 4% alla fine si ritrovarono soli e dovettero acquistarne il 18%. Ritrovandosi di colpo il principale azionista della società. A quel punto o si pensa che ci sia stato un intrallazzo pubblico-privato per dare in mano tutto il bene (comunque dall’ASPI allo Stato rendono 850milioni l’anno...) oppure si prende atto che si mollava un osso senza sapere cosa fosse e cosa rendesse. Mai dimenticare che si è mollato per non fallire. Poi come s’è visto l’organismo che doveva controllare la concessione si é lentamente svuotato di competenze riducendosi a mera organizzazione burocratica che faceva ricorso, per gli aspetti tecnici, allo stesso personale che una volta serviva l’ASPI ed un’altra volta serviva il controllore. Tutto legalmente ed alla luce del sole, salvo che per  il ministro Toni Nelli  che ha messo in piedi una commissione e via via l’ha smontata e rimontata per tre quarti per via dei conflitti d’interesse dei componenti nominati dal ministro «(in)competente». Di che?