LA SCALATA DELLA SINDACA EMERITA PERLITA SERRA BAILO
Finalmente la nostra sindaca emerita Perlita Serra Bailo ha assunto un
ruolo di notevole importanza adeguato all sua statura nel consesso
creatore ed organizzatore di Molte Fedi ecc. ecc. Non più solo un
filmato pubblicitario per il programma su youtube. Farà da guida per le
visite cittadine, con alle spalle il fortunato volume «alle porte di
Città Alta» integrato nelle settimane scorse dall’inserto «dalle porte
di Città Alta» La sindaca emerita porterà nel paese «bello da vivere»
tre iniziative del programma. Della prima tacciamo per carità di patria
(è una versione politicamente corretta della prova del cuoco). Delle
altre due ... ergot le mei che negot. Questo spiega la ragione per cui
addirittura il programma c.d. culturale di cinque mesi sia stato
approvato con largo anticipo. In sfida anche al buondio ed agli
straventi in quel di Curno dove per la gioventù crollano i solai delle
rogge oppure scodellano le pignatte delle scuole medie. Vedremo
quanto costeranno al Comune di Curno le tre iniziative «comprate
e importate» da Molte Fedi e intanto leggiamo che le visite guidate
della guida Perlita Serra Bailo costeranno sette euro a ciascun
partecipante. Senza nemmeno un aperitivo: ma ci sono le fontanelle in
zona. Esattamente come per i Maestri del Paesaggio che agli inizi
suscitavano un coro di «ma che schifo!» mentre una volta verificato che
l’insieme funziona ha visto parecchie adesioni facendolo diventare
-tranne una discreta parte- una fiera da strapaese bello da vivere per
sciori e sciurette in SUV ammortizzato al 140% con industria 4.0. Idem
Molte Fedi dove a furia di allargarsi nello spazio e negli argomenti è
diventato una sorta di wikipedia. A strafare si sbaglia sempre.
Noi di Curno siamo sempre tra quelli che comprano altrove la
manifestazione e la piazzano in piazza. Dove non hanno neppure i soldi
per mettere la vernice al legno. Dalla giunta Morelli in avanti,
specie le giunte c.d. di centrosinistra, o si affidano all’oratorio ed
alle sue varie declinazioni finto-laiche oppure chiamano gli amici
degli amici degli amici che sono anche miei amici e comperano lo
spettacolino, la conferenza, la banda il tutto politicamente
correttissimo e palloso vecchio come la Maresana. E quando c’era
qualcosa che dava fastidio agli amici degli amici che sono miei amici,
hanno provveduto in fretta a chiuderlo. Il cinema estivo. I concerti di
musica colta. Un teatro che non fosse il pupazzetto per i ragazzini.
Cancellato tutto: basta accontentarsi di quel che fanno i miei amici
dei miei amici dei tuoi amici in città, che volete di più nel paese
bello da vivere? Possiamo? Vaffa!. P.S.: Sindaca emerita Perlita Serra
Bailo non sente odore di qualche conflitto d’interessi? Così,
tanto per gradire.
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IL DOPPIO GIOCO DEL DIBBA
Con una mega intervista transcontinentale dal Gautemala (il Guatemala
sta in America Centrale immediatamente a sud del Messico, per chi crede
che stia in Puglia piuttosto che Basilicata…) l'altoatesina Lilli
Gruber ha mandato in onda una pseudo intervista del Dibba che ha
recitato per l'ennesima volta il profluvio di cazzate che l'uno vale
uno (ma io valgo più di voi: tiè!) conosce perfettamente.
Il giorno dopo si scopre che alla prima sfida diretta per Palombelli
(Rete4) con1.236mila spettatori con il 5.2% di share, contro il
1.166mila, con il 4.9% della Gruber il prodotto cinque stelle non
tira più come una volta. Cosa è successo? Barbara Palombelli ha
il programma diviso in due parti, prima c'era Pierluigi Bersani ( con
Ferruccio de Bortoli e Alessandro Sallusti), poi via a una riedizione
ai giorni nostri del celebre match tv tra Roberto D'Agostino e Vittorio
Sgarbi: non dicono nulla ma almeno divertono. La scelta contrapposta di
Gruber era però di quelle impegnative: ovvero quaranta minuti di
collegamento con il Guatemala dove con piglio assai centramericano si
ergeva al centro della scena Alessandro Di Battista, camicia bianca e
auricolari in tinta: e qui si faceva, come usa dire, l'agenda politica
( povera agenda…) nel senso che le dichiarazioni di Dibba erano già da
alcune ore in primissimo piano e su tutti i siti principali di
informazione ( nonché i Tg della sera) nella complicata dialettica tra
grillini di governo e leghisti idem, con tutto quello che ne consegue.
L'aspetto interessante è stato che uno dei vecchi del PD – Bersani- ha
fatto le scarpe al Dibba. Il quale ha mostrato di staccarsi dalla
posizione penta stellata in ordine ai 49 milioni che la Lega è chiamata
da una sentenza a restituire agli italiani, non mancando di dare del
ladro a chi aveva riscosso ed usato correttamente i fondi dei
rimborsi elettorali. Ladri e onesti sono tutti identici tranne che lui
che è onesto a prescindere. La posizione del Dibba è stata
subitaneamente qualificata come opinione personale da parte di
giacchettina DiMaio ma a mio avviso invece quello del Dibba è un gioco
di squadra tutto interno ai penta stellati. Un gioco abbastanza
evidente perché mira a raccogliere i consensi di una parte della
sinistra ondivaga mentre i 5S lo usano per lanciare un messaggio al
socio di
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NAZIONALIZZARE SI O NO? PRIMA HANNO (S)VENDUTO UN BIDONE (DALLE UOVA D'ORO) E ADESSO VOGLIONO RIPRENDERSELO
Nazionalizzare le autostrade non serve. Meglio fare le gare per appaltare pedaggi e manutenzione
Andrea Sparaciari
Business Insider Italia ha provato a dare una risposta andando a dare
un’occhiata a quanto ha fatto il pubblico negli ultimi vent’anni
durante i quali gli enti pubblici hanno vestito la casacca del gestore
autostradale.
Perché accanto a Benetton, Gavio e Toti, sono numerosi i concessionari
controllati dagli enti locali o da società miste Anas-Regioni. E i
risultati non sono stati per nulla differenti rispetto ai tratti
autostradali dati in concessione ai privati.
«Gli enti pubblici si sono comportati allo stesso modo dei privati.
Sono azionisti che hanno cercato di massimizzare i guadagni, facendoci
pagare più pedaggi. Inoltre il reddito assicurato sui capitali
investiti è stato applicato a tutti, sia ai privati che ai gestori
pubblici», spiega il professor Giorgio Ragazzi, già professore di
Economia Politica all’Università di Bergamo, ex membro del direttivo
della Banca Mondiale e autore del libro: “I signori delle autostrade”.
A leggere la relazione della Direzione Generale per la Vigilanza sulle
Concessionarie Autostradali 2016 (quella del 2017 non è ancora stata
pubblicata), infatti, si nota che gli enti pubblici non si sono
per nulla distinti dai privati sia in termini di aumenti tariffari
registrati negli anni, sia in termini di investimenti previsti dai
Piani economici finanziari e non ancora realizzati.
(La concessione CAS -autostrade siciliane). Le altre concessionarie pubbliche
Ma se il Cas è un caso limite, anche le altre concessionarie
“pubbliche” non hanno brillato: la Autovie Venete, per esempio, 72,9%
di proprietà di Friulia spa (a sua volta controllata da Regione Friuli
Venezia Giulia) e al 4% da Regione Veneto, tra il 2008 e il 2017 ha
innalzato le tariffe del 48,7%. In compenso all’appello mancano oltre
il 26% degli investimenti che si era impegnata a fare, nonostante un
utile di esercizio per il 2016 di 17,6 milioni di euro.
Stesso discorso per Concessioni Autostradali Venete (50% Anas, 50%
Regione Veneto): tariffe cresciute tra 2010 e 2017 del 18,4% a fronte
di mancati investimenti per oltre il 15% degli impegni presi.
Idem per l’Autobrennero, dove nonostante la presenza di azionisti
privati, il controllo è pubblico, essendo per il 32,2% della Regione
Trentino Alto Adige e per il 53% di altri enti pubblici. Qui la tariffa
è lievitata in nove anni del 15,82%, mentre mancano investimenti pari
al 36% di quelli previsti dal Piano economico finanziario.
Come si vede, quindi, “nazionalizzare” può non essere una risposta.
«A me non piace la nazionalizzazione, è uno spauracchio», commenta
Ragazzi, «perché tutti i contratti prevedono che alla fine della
concessione la struttura torni allo stato. È già scritto negli accordi
che le autostrade debbano appartenere allo Stato. D’altra parte, oggi
il pedaggio imposto dai gestori su strutture ampiamente ammortizzate è
un’imposta. E anche questo è ingiusto».
Per Ragazzi la risposta è saltare a piè pari il regime concessorio e mettere manutenzione e riscossione a gara.
«Sembra che i concessionari chissà cosa facciano, ma in realtà non
devono cercarsi i clienti, non hanno concorrenza, non sono esposti ai
rischi della moda…. Di fatto, fanno due cose: incassano i pedaggi – e
non credo che ci voglia grande capacità per farlo – ; e fanno
manutenzione. Quindi basta che il pubblico gestisca le gare senza
bisogno di nazionalizzare nulla».
Dello stesso avviso il professor Marco Ponti, già ordinario di Economia
e pianificazione dei trasporti del Politecnico di Milano, oggi
consulente per il ministero dei Trasporti:
«Si può abolire il sistema concessorio, come ha scritto l’Antitrust
come moral suasion (non ha senso per un’infrastruttura così semplice,
fare concessioni 40ennali), basta fare semplicissime gare per la
costruzione, per i pedaggi e la manutenzione, con un soggetto pubblico
che faccia il suo mestiere, cioè controlli e faccia pianificazione».
Inoltre, per Ponti, «i problemi delle reti stradali sono problemi al
90% locali. Quindi è meglio se si gestiscono localmente con normali
gare periodiche per costruzione e manutenzione con controllo
centralizzato. Un sistema di normalissime gare per tutta la rete
stradale che vedrei in capo alle singole regioni, le quali però non
devono essere gestori di reti. Se poi fanno gare sciamannate, sarà più
facile per gli elettori giudicare l’operato dei politici».
Insomma, la nazionalizzazione non è così semplice come appare e il
governo dovrà a breve decidere tra fare una vera rivoluzione, superando
l’attuale sistema (come dice Toninelli), ingaggiando immani battaglie
legali con i gestori in caso di ritiro delle concessioni, o per una
restaurazione soft (come sostiene il premier Conte).
In ogni caso un primo passo per il vero cambiamento potrebbe essere semplice e immediato:
«Il discorso della revoca delle concessioni non so quanto costerebbe.
Però dico: le autostrade che sono già scadute – Gavio ne ha due, la A21
Torino-Piacenza e la Ativa (Autostrada Torino–Ivrea–Valle d’Aosta ndr)
– non c’è bisogno di rimetterle in gara. Se questo governo vuole
cambiare veramente, dovrebbe semplicemente applicare il contratto, cioè
riprendersi queste due autostrade», conclude Ragazzi.
IL COMMENTO.
Non mi pare che il problema sia solo tecnico economico ma abbia aspetti
ben più seri per cui non basta fare buoni appalti e controllare
l’esecuzione dei lavori. La questione è che nessuno sapeva esattamente
la condizione dei beni da dare in concessione (e quindi, cosa
chiedere?) tanto è vero che inizialmente i Benetton che volevano
costituire una cordata di acquirenti per percentuali del 4% alla fine
si ritrovarono soli e dovettero acquistarne il 18%. Ritrovandosi di
colpo il principale azionista della società. A quel punto o si pensa
che ci sia stato un intrallazzo pubblico-privato per dare in mano tutto
il bene (comunque dall’ASPI allo Stato rendono 850milioni l’anno...)
oppure si prende atto che si mollava un osso senza sapere cosa fosse e
cosa rendesse. Mai dimenticare che si è mollato per non fallire. Poi
come s’è visto l’organismo che doveva controllare la concessione si é
lentamente svuotato di competenze riducendosi a mera organizzazione
burocratica che faceva ricorso, per gli aspetti tecnici, allo stesso
personale che una volta serviva l’ASPI ed un’altra volta serviva il
controllore. Tutto legalmente ed alla luce del sole, salvo che
per il ministro Toni Nelli che ha messo in piedi una
commissione e via via l’ha smontata e rimontata per tre quarti per via
dei conflitti d’interesse dei componenti nominati dal ministro
«(in)competente». Di che?
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