LIBIA 1. FRANCIA E ITALIA IN CONCORRENZA
MA LA FRANCIA NON MOLLA SUL SUO IMPERIALISMO
Libia:
prima di tutto un po’ di numeri perché senza quelli non si comprende
granche. ENI. La compagnia italiana rappresenta il 70% della produzione
del
Paese. Il concorrente francese TOTAL appena un decimo, ma sta cercando
di
espandersi. In mezzo il destino della società nazionale
Noc. Parliamo di
petrolio.
La prima è presente sul terreno dal
1959, la seconda è arrivata addirittura cinque anni prima: correva l'anno 1954.
Ma mentre Eni produce
in Libia quasi
400 mila barili di petrolio al
giorno – 384mila barili secondo gli ultimi dati del Sole 24 Ore -
la francese Total si
fermava nel 2017 ad appena 31mila. Se c'è chi guadagna o perde dal conflitto libico e
dalle milizie l'un
contro l'altra armate, sono le compagnie petrolifere.
L’anno scorso IL GASDOTTO GREENSTREAM –di
proprietà identica tra ENI e NOC (la compagnia dell’energia libica) proveniente dalla Libia a Mellith ed
arriva a Gela in Italia: ha trasportato
da 46,7 milioni di metri cubi/giorno, lungo un percorso di 520 km.
Cinque milioni di abitanti (all'epoca)
per due milioni di barili di
petrolio prodotti al giorno. Ma a cinque anni di distanza, il Paese sembra
ripiombato nel caos. E ancora una volta le parti in conflitto si contendono la
linfa vitale del Paese e soprattutto mettono in discussione la sola istituzione
statale che ha retto l'onda d'urto della guerra senza venire spezzata e divisa
tra le diverse fazioni: la National Oil
company. Dai proventi della produzione del petrolio dipende
il 60% del Pil della Libia, oltre l'80% delle esportazioni. E se c'è dunque una qualche
istituzione che rappresenta la Libia e la sua sovranità è proprio la sua
compagnia petrolifera che attraverso controllate come la Waha Oil company o
la Zuetina Oil company,
è proprietaria della metà dei pozzi libici.
La produzione dello Stato che fu di
Muhammar Gheddafi non
è mai ritornata ai picchi raggiunti negli Anni 70, ma nemmeno è rimasta agli
abissi del 2013, quando l'intero Paese riusciva ad estrarre dai propri giacimenti appena
300mila barili, meno di quello che oggi fa l'Eni da sola. Entro il 2023
la Noc progetta
di accrescere le attività fino a 2,2 milioni, sostenendole con cospicui
investimenti (circa 18 miliardi). E però tra la crisi di ieri e i sogni di
domani, ci sono i conflitti del presente: a giugno la società è stata costretta
a chiudere i terminal petroliferi
dopo che il suo controllo sui pozzi è stato messo in discussione con
ripetuti attacchi soprattutto
nell'Est, tanto da portare le Nazioni
Unite a lanciare un appello per ristabilirne
l'autorità.
Dietro ai tentativi di aggirare la Noc,
ci sono i progetti neanche tanto velati di spezzare il controllo dei pozzi
esattamente come l'autorità statuale tra le tre diverse regioni libiche: Tripolitania, Cirenaica e Fezzan.
O in ogni caso di sottrarle il tesoro. Le mire dei nemici della Noc sono state
sicuramente aiutate dalla competizione tra Francia e Italia e dai rispettivi interessi nazionali, a
cui del resto si affiancano anche quelli delle compagnie americane e della
russa Gazprom.
E visto che gli attacchi all'esecutivo di Tripoli sono parte della grande
offensiva del generale filo francese, Total potrebbe avere tutto da guadagnare.
La società francese sta
cercando di aumentare i propri investimenti in Nord Africa e
Medio Oriente e
a marzo ha annunciato di aver preso possesso di una quota pari al 16,3% della
concessione per lo sfruttamento del campo di Waha, acquistando per 450 milioni di euro
diritti che prima erano della società americana Marathon Oil. Solo il giacimento di Waha può
fruttare a Total 50mila barili al giorno sui 300mila totali. Ma le prospettiva
sono in forte crescita, se gli analisti stimanto che in dieci anni si potrebbe
arrivare a 400mila barili con una crescita del 33%. Total ha inoltre acquisito
diritto di esplorazione nel bacino di Sirte. Tra i suoi possedimenti storici invece
c'è il 37,5% del giacimento in mare di Al Jurf e una partecipazione del 27% del
giacimento occidentale di El Sharara.
E ha pure quote del campo orientale di Mabrouk.
Nel frattempo però anche Eni continua ad
aumentare le sue attività: a inizio luglio la compagnia italiana ha
annunciato di aver avviato la seconda fase della produzione dal giacimento
di gas off shore di Bahr Essalam, il più grande dello
Stato africano. Controllato da una joint venture tra Eni e la Noc, Bahr Essalam
si trova a 120 chilometri a Nord Ovest di Tripoli. Nei piani del Cane a sei zampe il
progetto dovrebbe completarsi a ottobre quando dovrebbero entrare in funzione
altri sette nuovi pozzi. In tutto le riserve in gioco sono pari a 260 miliardi
di metri cubi di gas.
Poco ad est della Libia Eni ha
dichiarato di puntare all’incremento della produzione nel giacimento di gas
naturale Zohr fino a 1,2 miliardi di barili al giorno a maggio e di volerla
innalzare a 2 miliardi di barili entro la fine del 2018.
A tre anni dalla scoperta del mega giacimento sottomarino di gas Zohr, lungo le
coste egiziane, l’Eni ne ha individuato un altro di una portata tale da poter
far definitivamente esplodere la diatriba mediterranea sulle riserve offshore. Noor
(luce, in arabo) conterebbe riserve tre volte più ampie di Zohr. A rivelarlo
sono state fonti del ministero del Petrolio egiziano all’Egypt Independent.
La conferma è arrivata ieri, dall’ufficio del ministro al-Molla: il consiglio
dei ministri ha già stanziato 105 milioni di dollari per avviare l’esplorazione
nell’area di mare di fronte al Sinai del Nord. Eni per ora non commenta; di
certo si sa che sabato scorso l’ad del cane a sei zampe Descalzi ha visto
al-Molla a cui ha ricordato che all’Egitto va il 70% degli investimenti esteri
della compagnia. Se Zohr, scoperto nel 2015, ha una portata accertata di 850
miliardi di metri cubi di gas, per Noor se ne stimano tre volte tanti.
L’esplorazione dovrebbe iniziare tra due mesi nell’area di Shorok, data al 60%
in concessione all’Eni, presente nel paese dal 1954.
In questo quadro in Libia è riesplosa la
guerra. Ore 15.30 circa del primo lunedì di settembre: a Palazzo Chigi inizia il
primo Consiglio dei ministri dopo la pausa estiva. A Tripoli invece si spara. Ma nella riunione del governo italiano non se ne parla:
non una parola, riferiscono più fonti di governo. Eppure il caos scoppiato in
questi giorni in Libia tocca direttamente gli interessi italiani: quelli
strategici in Africa, quelli legati ai flussi migratori. Ed è un caos
allarmante perché di fatto potrebbe mettere fine all'esperienza di Fayez
al-Serraj alla guida dell'unico governo riconosciuto dalla comunità
internazionale e sostenuto soprattutto dall'Italia. Ma a Roma il caos libico
spiazza il governo, lo ammutolisce nelle sedi deputate alle decisioni, come il
primo consiglio dei ministri dopo l'estate, dove però mancano sia il premier
Giuseppe Conte (in vacanza a New York) sia il vicepremier Luigi Di Maio (al
tavolo sul caporalato a Foggia). Governo spiazzato: esclude categoricamente
l'intervento militare, prende fiato con la polemica politica. Contro Emmanuel
Macron. Il primo ad accusare la Francia è Matteo Salvini: lo fa da due mesi, oggi ritorna sull'argomento. "Sono molto
preoccupato per la Libia. Evidentemente c'è dietro qualcuno", dice il
leader leghista dopo aver lasciato a metà la riunione del consiglio dei
ministri per recarsi alla festa patronale di Santa Rosa a Viterbo.
"Nulla succede per caso. Il mio timore è che qualcuno, per motivi
economici nazionali, metta a rischio la stabilità dell'intero Nord Africa e
conseguentemente dell'Europa'' sibila Salvini. Spiazzato da una
situazione che non si aspettava. Salvini ha sempre considerato la Libia il
porto sicuro dove rimandare i migranti respinti in Italia. Adesso gli scontri
di Tripoli gli tolgono argomenti. Libia porto sicuro? "Chiedetelo a
Parigi", risponde. Si può anche chiedere all'Eliseo, ma sul campo la
situazione resta preoccupante e svantaggiosa per l'Italia.
Poi arriva
il martedi 4 settembre. Giuseppe Conte convoca vertice sulla Libia : nel pomeriggio
a Palazzo Chigi confronto fra Interno, Esteri e Difesa sugli sviluppi.
Palazzo Chigi è rimasto spiazzato per il precipitare
degli eventi, con Tripoli scenario di
combattimenti e in stato d'emergenza, che
rischiano di mettere fine all'esperienza di Fayez al-Serraj alla guida
dell'unico Governo riconosciuto dalla comunità internazionale e sostenuto
soprattutto dall'Italia. Ma in Libia sono enormi gli interessi italiani, economici
e di sicurezza.
In pratica, in vista delle elezioni che Macron ha
fissato per il 10 dicembre (senza consultare nessuno…), si sono rimessi in
azione tutti i clan in lotta tra loro in Libia, è l'analisi dell'intelligence
italiana. Tripoli in pratica è diventata loro territorio di conquista:
occupata, quartiere per quartiere, dai clan provenienti da fuori città, da
Misurata, Tobruk e gli altri centri abitati del paese. Tutti vogliono
influenzare il processo elettorale, vogliono contare, prendere il potere: come
se a Tripoli non ci fosse un governo a tenere l'ordine. Come se non ci fosse
al-Serraj. Come se l’Italia contasse zero.
Questa
lotta senza quartiere ha praticamente azzerato gli ultimi due anni di lavoro
diplomatico del governo al-Serraj. In pratica è come se il suo governo non ci
fosse stato.
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LIBIA 2. FRANCIA E TITALIA IN CONCORRENZA
IL COMMENTO
Fossero solo il petrolio e il gas libici i motivi della contesa
italo-francese sarebbero già una bella grana anche se l’ENI ha le
spalle più grandi di qualsiasi governo. Perlomeno (l’ENI) sa fare
politica economica ed estera meglio dei suoi governi. Ma i francesi non
sono degli sprovveduti in fatto di politica estera. Naser Ali Aoun al
comando della Settima Brigata, la milizia che con la sua offensiva
verso il centro di Tripoli ha sconvolto i fragili equilibri del potere
libico dichiara a Florian Buklfon di Repubblica che ««La Settima
Brigata è uscita dall’area di Tarhuna per pulire Tripoli della
corruzione. Siamo militari, alcuni rimasti sempre in servizio, altri
richiamati dal congedo. Il nostro obiettivo è mettere fine alla
corruzione del cartello di milizie che sostengono il governo di Fayez
Al Serraj, milizie che si sono arricchite e hanno conquistato un potere
incontrollato. I cittadini libici vivono una situazione allo stremo,
manca persino la liquidità: non ci sono le banconote per fare la spesa
perché nessuno le stampa. Non ce la facciamo più a vivere in questo
caos». Scrive Massimo Nava sul Corriere che «Una volta riaccesi i
riflettori su responsabilità e tatticismi francesi, serve tuttavia a
poco accusare Parigi e adombrare complotti e serve ancora meno
aspettarsi sponde a Washington o improvvisi sussulti di «voce unica»
dell’Europa, tanto più dopo schermaglie e polemiche di queste settimane
sulle questioni dei migranti e dei contributi comunitari. Piaccia o
meno, conviene un dialogo non pregiudiziale con Parigi, mettendo da
parte battute ostili ma pretendendo un gioco a carte scoperte fra Paesi
amici. E conviene ricostruire un solido rapporto con l’Egitto di
Al-Sisi, nonostante le scorie dolorose del caso Regeni. L’Egitto
sostiene il generale Haftar ed è però anche il Paese in cui l’Eni opera
da decenni e in cui ha recentemente scoperto il più grande giacimento
di gas naturale del Mediterraneo. Non c’è un minuto da perdere. Le
milizie l’una contro l’altra armate possono azzerare i fragili sforzi
del governo Serraj e mettere in difficoltà lo stesso Haftar, forte sì,
ma non in grado di assicurare un minimo di ordine in tutto il Paese.
Considerando le sue condizioni di salute, non è affatto detto che
Parigi punti soltanto su questo cavallo. Intanto le prigioni ribollono,
migliaia di terroristi dell’Isis potrebbero rientrare nella partita,
scafisti e trafficanti non si aspettano di meglio per rilanciare i
flussi di disperati. Da sola, l’Italia non può farcela e la Comunità
internazionale ha troppi altri fronti aperti. Meglio alzare il
telefono, ripassare le regole della diplomazia, scegliere amici e
alleati che più convengono, anche se si tratta dei soliti francesi,
«nazionalisti e arroganti». A noi pare che la Francia abbia uno sguardo
che mira più lontano dell’oggi e del destino di chi sta (malissimo) in
Libia oggi. Mira alle elezioni europee del 2019. Riuscire a far
ripartire i barconi degli immigrati verso l’Italia vuol dire mettere in
croce quello che oggi - proprio perché la l’Italia è la terza-quarta
nazione europea il più pericoloso dei governi europei e il suo futuro.
Non ci vuole molta immaginazione nel prevedere cosa accadrebbe del
governo SalviMaio se alle porte d’Italia iniziassero a comparire mille,
cinquemila, diecimila immigrati per un governo che finora in Europa
viene trattato a pesci in faccia.
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Con l'espressione "in house providing" si fa
riferimento all'istituto, nato nel diritto giurisprudenziale comunitario, per
cui un'Amministrazione aggiudicatrice dello Stato possa, per lo svolgimento dei
compiti relativi alla realizzazione di opere pubbliche o alla gestione di
servizi pubblici, derogare alle regole della concorrenza per il mercato
decidendo di provvedervi in proprio, avvalendosi di una società esterna, ovvero
di un ente soggettivamente separato, che però presenti delle caratteristiche
tali da poter essere considerato alla stregua di una longa manus
dell'Amministrazione stessa.
Un primo orientamento, affermatosi in sede di
giurisprudenza di legittimità, ritiene che queste non siano dei veri e propri
soggetti giuridici mancando, di fatto, il requisito dell'alterità soggettiva
rispetto all'Amministrazione pubblica: si evidenzia, infatti, come ciò che
davvero è difficile conciliare la configurazione della società di capitali,
intesa quale persona giuridica autonoma e distinta dai soggetti che in essa
agiscono e per il cui tramite essa stessa agisce, con la completa assenza di un
potere decisionale suo proprio, in conseguenza del totale assoggettamento dei
suoi organi al potere gerarchico dell'ente pubblico titolare della
partecipazione sociale. Ne consegue che
la società in house non pare in grado di collocarsi come un'entità posta al di
fuori dell'ente pubblico, il quale ne dispone come di una propria articolazione
interna: essa altro non è che una longa manus della pubblica amministrazione,
al punto che l'affidamento pubblico mediante in house contract neppure consente
veramente di configurare un rapporto contrattuale intersoggettivo (ex multis
Cassazione civ., Sez. Unite, 25 novembre 2013, n. 26283).
1. Premessa
Con il termine affidamenti in house (o in house providing) viene indicata la fattispecie in cui un soggetto tenuto all’obbligo di
evidenza pubblica, derogando al principio di carattere generale dell’obbligo di
indire una gara pubblica, invece di procedere all’affidamento all’esterno di
determinate prestazioni, provvede in proprio (ossia in house) all’esecuzione delle stesse, affidando l’esecuzione dell’appalto o la
titolarità del servizio ad altra entità giuridica senza gara.
Negli affidamenti in house non vi è, quindi, l’attribuzione di compiti o servizi a operatori
economici privati, da ciò la circostanza che le regole sulla concorrenza,
applicabili agli appalti pubblici e agli affidamenti dei pubblici servizi a
terzi, non vengono in rilievo.
Si tratta, in definitiva, di un modello organizzativo in cui la P.A.
provvede da sé al perseguimento degli scopi pubblici.
Invero, quanto detto deve essere subito coordinato con una considerazione
di fondo: il termine in house providing indica una situazione ben precisa, ossia la situazione in cui che fra
P.A. appaltante e appaltatore (o concessionario) non vi sia alcuna reale
alterità.
In altri termini, un affidamento in house è tale soltanto se l’entità giuridica a cui viene attribuita la
titolarità del servizio sia legata alla stazione appaltante da vincoli talmente
serrati da non rendere esistente, nella sostanza, una duplicità di soggetti fra
P.A. e affidatario. In una tale situazione, l’obbligo di indire una gara a
evidenza pubblica viene meno in quanto la P.A. non affida il servizio a un
terzo, ma a se stessa, o meglio a una propria articolazione che, pur assumendo
una veste formale di soggetto terzo, rimane inscindibilmente legata alla
stazione appaltante.
La locuzione “affidamento in house” presuppone quindi una particolare situazione: quella di un legame
strettissimo fra affidante e affidatario. E tale legame consente (o, meglio, in
alcuni casi può consentire) a un legittimo affidamento diretto dell'appalto o
del servizio.
La locuzione “in house” attiene, in primo luogo, alla struttura del rapporto che si crea fra P.A.
affidante e affidatario (anch’esso pubblico) e non alla legittimità
dell’affidamento diretto. Tale eventuale legittimità, ossia la possibilità che
la P.A. non proceda ad indire una gara, ma affidi direttamente il servizio, è
una conseguenza dell’esistenza del rapporto in house.
2. Il generale obbligo di trasparenza e
imparzialità
L'affidamento in house costituisce un'eccezione all'affidamento mediante procedura ad
evidenza pubblica. Procedura, quest'ultima, imposta alla P.A. al fine di
rispettare i principi di trasparenza e di imparzialità derivanti da una ampia
serie di disposizioni normative.
Sinteticamente, può dirsi che tale obbligo deriva, in primo luogo, dal
dettato costituzionale: l’art. 97 Cost. testualmente dispone infatti che “I pubblici uffici sono organizzati
secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e
l'imparzialità dell'amministrazione.
Invero, anche in tempi antecedenti all’emanazione della carta
costituzionale, la legislazione pre-repubblicana conosceva tale principio, e,
in particolare in tema di contrattualistica pubblica (ossia in tema di
appalti), sussistevano le previsioni (in parte ancora vigenti) del Regio
Decreto n. 827 del 1924, il quale, all’art. 37, prevede che “Tutti i contratti
dai quali derivi entrata o spesa dello Stato debbono essere preceduti da
pubblici incanti, eccetto i casi indicati da leggi speciali e quelli previsti
nei successivi articoli.
Detto ciò, è di rilievo constatare come attraverso il processo di
integrazione europea, e quindi attraverso all’ascesa del ruolo delle
istituzioni comunitarie, la materia in oggetto ha trovato fonte di ulteriore
arricchimento nelle disposizioni normative di origine comunitaria, le quali,
sotto vari profili, hanno condotto ad un’importante conseguenza in capo agli
stati membri: essi sono obbligati a dettare una disciplina normativa che, in
definitiva, incentivi la concorrenza fra privati. In quest’ottica, quindi,
l'ordinamento comunitario veicola la necessità che, in linea generale, le amministrazioni
pubbliche procedano – in conformità ai suesposti principi di trasparenza e
imparzialità ad affidare l’esecuzione di contratti di appalto e di servizi
pubblici (servizi di interesse generale, nella terminologia comunitaria)
tramite gara ad evidenza pubblica.
L'evoluzione della normativa comunitaria – e l'evoluzione dell'ordinamento
interno, sospinta anche dal recepimento delle fonti normative comunitarie e
dagli impulsi della giurisprudenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea
– ha però condotto all'individuazione di specifiche deroghe al principio di
concorrenza, e fra di esse il modello dell'in house
providing costituisce
senz'altro un rilevante punto di snodo.
3. Deroghe al principio dell’evidenza
pubblica
Come visto, in linea generale, sussiste l’obbligo di affidare l’esecuzione
di contratti di appalto o l’esecuzione di servizi pubblici tramite gara a
evidenza pubblica. Tuttavia, sia l’ordinamento comunitario che l’ordinamento
nazionale conoscono deroghe a tale principio.
Alcune ipotesi di tale deroga sono, per così dire, specifiche, riguardando
fattispecie del tutto peculiari, come la sussistenza di oggettive ragioni di
urgenza (ovviamente non imputabili a ritardi della P.A. nell’indizione della
gara), o al fatto che una prima gara a evidenza pubblica sia andata deserta, o,
ancora, che si tratti di attività segretate, in quanto rendere pubblica una
certa attività metterebbe a rischio la sicurezza della nazione.
Ma al di là di tali ipotesi residuali è prevista una particolare ipotesi di
affidamento diretto che risulta legittima sia rispetto all’ordinamento
comunitario sia (sebbene con alcune eccezioni) rispetto all’ordinamento
nazionale: si tratta appunto dell’istituto dell’in house
providing.
Tale modalità di affidamento consiste, come si è già parzialmente avuto
modo di dire, nell’affidamento di una data attività a un soggetto che, solo
apparentemente - ossia solo nelle forme, ma non nella sostanza - si distingue
dall’amministrazione che affida il servizio.
In altri termini – cercando di semplificare quanto più possibile il
meccanismo e la logica dell’in house - è l’ipotesi in cui un soggetto pubblico
controlla stringentemente un altro soggetto, e quindi, data la sostanziale
inesistenza di una distinzione fra i due enti, il primo può legittimamente
affidare l’esecuzione dell’attività al secondo, senza obbligo di gara, in
quanto, in realtà è sempre lui stesso che svolge il servizio.
La portata del fenomeno dell'in house providing, vi è da dire, è infine sfociata nella constatazione che esso – pur
costituendo una deroga al principio dell'evidenzia pubblica – non costituisce
un modello eccezionale di affidamento di appalti e servizi, essendo, invece, un
modello organizzative che le pubbliche amministrazioni possono assumere
in via ordinaria. Vi è cioè una deroga al principio dell'evidenza pubblica, ma
la possibilità di operare tramite affidamenti in house non risulta (oramai più)
una fattispecie eccezionale.
4. Origini dell'istituto
Il meccanismo dell’in house ha origine in ambito comunitario e in riferimento al settore degli
appalti pubblici.
Infatti, è stata la giurisprudenza della Corte di Giustizia a individuare i
presupposti in ragione dei quali possa dirsi sussistente quello strettissimo
legame fra soggetto affidante e soggetto affidatario che, in definitiva, fa
ritenere che non si tratti di due soggetti distinti.
I criteri individuati dalla giurisprudenza comunitaria hanno poi trovato
una consacrazione a livello di “diritto scritto” nell’ambito del settore dei
servizi pubblici locali.
A seguito delle modifiche intervenute all’art. 113 del d.lgs. 267/2000 nel corso del 2003, esso prevedeva, fino all'abrogazione di tale disposizione,
al comma 5, lett. c), che un servizio pubblico locale possa essere direttamente
affidato “a società a capitale interamente pubblico a condizione che l'ente o
gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un
controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società
realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti
pubblici che la controllano”.
Il legislatore nazionale aveva quindi trasfuso all’interno della disciplina
dei servizi pubblici locali il portato della giurisprudenza comunitaria in tema
di in house. (Disposizioni, quelle sui servizi pubblici locali, che sono venute
meno a seguito dell'emanazione di una serie di norme volte a ridefinire
l'intera materia dei servizi pubblici locali, poi anch'esse venute meno a
seguito del referendum del 2011).
Sul punto, tuttavia, occorre evidenziare che la stessa giurisprudenza
comunitaria ha proceduto, in tempi più recenti, a meglio circoscrivere il
fenomeno dell’in house, stabilendo, in sintesi, che tale fenomeno sussiste (e quindi è legittimo
un affidamento diretto) solo se:
·
il capitale
dell’affidatario sia totalmente pubblico, e sia statutariamente esclusa la
possibilità di un ingresso di capitale privato nella compagine societaria;
·
il “controllo analogo” si
estrinsechi in forme di condizionamento ulteriori e più incisive rispetto ai
“normali” poteri di un socio di maggioranza (rimanendo semmai da verificare in
che cosa si estrinsechino tali forme di condizionamento ulteriori).
5. I requisiti tradizionali per
l'instaurazione del rapporto di in house providing
Fino a prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. 50/2016 l'istituto dell''in house providingnon aveva alcuna fonte di diritto positivo. In particolare, non vi erano
espresse disposizioni che ne disciplinassero con esattezza sia l'ambito di
applicazione quanto le principale caratteristiche strutturali.
Tuttavia, il sistema si era assestato sull'idea che un rapporto di in house
providing potesse dirsi correttamente instaurato al ricorrere tre requisiti:
·
l'affidatario deve essere
un soggetto a esclusivo capitale pubblico;
·
tra affidatario e
affidante devono intercorrere rapporti tali per cui l'affidante sia in grado di
controllare l'affidatario in modo analogo a come controllerebbe un proprio
ufficio interno;
·
l'affidatario non deve
svolgere attività ulteriori rispetto a quelle affidate in via diretta se non in
via del tutto marginale.
Al di là di tali requisiti, deve poi dirsi che l'ordinamento interno
conosce ulteriori meccanismi volti a limitare la possibilità di instaurazione
di rapporti in house, ovvero volti a limitare la possibilità di costituire
società da parte delle pubbliche amministrazioni ovvero, ancora, volti ad
evitare, in particolari settori, che l'affidatario svolga qualsivoglia
ulteriore attività rispetto a quella affidata in via diretta.
Infatti, sotto un primo profilo rileva che in alcuni settori specifici (in
particolare in riferimento ad alcuni servizi rientranti nella nozione di
servizio pubblico locale) il legislatore nazionale ha espressamente escluso la
possibilità di affidamenti in house.
Sotto un secondo profilo risulta che negli ultimi anni vi è stata una
copiosa produzione normativa volta a limitare la possibilità per le
amministrazioni pubbliche, ed in particolare per gli enti locali, di costituire
o mantenere partecipazioni societarie, con previsione di specifici obblighi di
dismissione: ciò, sebbene indirettamente, comporta una maggiore limitazione
all'uso dello strumento dell'in house providing, in quanto, l'amministrazione potrebbe vedersi impossibilitata a
costituire (o mantenere la partecipazione) di un soggetto a cui poi affidare il
servizio, ovvero costretta a dismettere partecipazioni già detenute.
6. La nuova disciplina dell'in house
providing nel D.Lgs. 50/2016
Con l'entrata in vigore delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE
la materia ha trovato una nuova fonte normativa. Il legislatore comunitario ha
infatti voluto inserire in disposizioni di diritto positivo quello che era il
portato della stratificazione giurisprudenziale emersa sul tema.
Il legislatore italiano, da parte sua, nel recepire le nuove direttive in
materia di appalti pubblici, ha inserito anch'esso all'interno del D.Lgs. 50/2016 una specifica
disciplina dell'istituto – ricalcando fedelmente quanto già stabilito dalle
direttive comunitarie.
Al riguardo, occorre sottolineare come gli articoli del D.Lgs. 50/2016 dedicati all'in house
providing siano due: l'art. 5
(che definisce le tipologie di in house providing possibili e ne precisa i requisiti) e l'art. 192 (il quale prevede
l'istituzione di uno specifico registro a cura di ANAC nel quale debbano essere
iscritte le stazioni appaltanti che si avvalgono di affidamento in house).
Per quanto riguarda le tipologie di
affidamenti in house, l'art. 5 citato prevede adesso in modo espresso che possa
darsi seguito ad affidamenti in house:
·
da parte di una
amministrazione aggiudicatrice a favore di un soggetto da essa controllato;
·
da parte del soggetto controllato
a favore dell'amministrazione che lo controlla;
·
da parte di una
amministrazione aggiudicatarice a favore di un soggetto indirettamente
controllato;
·
da parte del soggetto
controllato a favore di un altro soggetto controllato dalla medesima amministrazione
aggiudicatrice.
Viene inoltre sancito espressamente che
il controllo può essere "condiviso" da più amministrazioni le quali
controllino congiuntamente il medesimo soggetto affidatario.
Per quanto riguarda i requisiti che debbano sussistere per aversi un
corretto affidamento in house vengono ripetuti i tre "tradizionali"
requisiti del capitale pubblico, dello svolgimento di attività prevalentemente
per gli enti controllanti e del "controllo analogo". Tuttavia
sussistono due importanti novità rispetto al passato, ossia che:
·
è ammessa la
partecipazione, sebbene in modo estremamente limitato, di capitali privati
nella compagine societaria dell'affidatario;
·
viene individuata nella
soglia del 20% il volume massimo di attività che l'affidatario può svolgere a
favore di soggetti terzi senza perdere la qualificazione di affidatario in
house.
7. Normativa di riferimento e
giurisprudenza minime
Le disposizioni normative rilevanti sono le seguenti:
· artt. 5 e 192 D.L.gs. 50/2016
Le pronunce giurisprudenziali rese sul tema dell'in house
providing sono moltissime; di
seguito, senza pretesa di esaustività, se ne indicano alcune di particolare
rilevanza:
·
Corte di Giustizia
sentenza Teckal C-107/98
·
Corte di Giustizia
sentenza C-26/03 Stadt Halle
·
Corte di Giustizia sentenza C-458/03 Brixen
·
Corte di Giustizia
sentenza C-220/05
·
Cons. Stato Sez. V n.
5/2007
·
Cons. Stato, Ad. Plen., n. 1/2008
|
LA GIUNTA GAMBA VUOLE CREARE UNA SOCIETA' COMUNALE PER LA MONNEZZA?
O E' UNA SOCIETA' ELETTORALE?
Quadro iniziale. La raccolta dell’immondizia nel comune di Curno viene effettuata da una
associazione temporanea di impresa che vede associati la “Servizi Comunali spa
di Sarnico” e “Ecosvilppo cooperativa sociale onlus” di Stezzano. L’appalto
sarebbe terminato col mese di agosto 2018 e Mozzo ha deciso di prorogarlo fino
alla fine di quest’anno e pure Curno ha fatto la medesima scelta. Fin qui
niente di particolare.
Quadro intermedio. Qualcuno dice che il popolo abbia sempre
ragione. Anche quando appende qualcuno ad una corda coi piedi penzoloni e l’osso
del collo rotto. La variante democratica di questa orribile battuta è che l’elettore
ha sempre ragione. Un mattina al bar –qualche anno or sono- dove prendevo il
caffè sono entrati due dipendenti dell’azienda nettezza urbana a Curno per farsi anche loro il debito caffè.
Quando uscirono una signora ad alta voce proclamò: questi qui fra qualche anno
saranno dipendenti del comune. Nessuno comprese la battuta. Anzi: parve fuori
luogo.
Quadro attuale. Quella battuta –di tre anni or sono- non era
fuori luogo.
Lo si legge nella DETERMINAZIONE N. 433 DEL 03-09-2018 a
cura della RESPONSABILE SETTORE
URBANISTICA AMBIENTE ECOLOGIA . La determinazione in via formale decide di prorogare
–preso atto della disponibilità dell’attuale gestore a proseguire sino al 31/12/2018
in proroga tecnica dei servizi di igiene urbana, comunicata dalla A.T.I.
Servizi Comunali S.p.a. di Sarnico ed Ecosviluppo coop. sociale onlus di Stezzano
– di prorogare dall’01 settembre 2018 al 31 dicembre 2018 l’appalto alle medesime condizioni economiche
attuali come previsto dal Capitolato Speciale d’Appalto.
Ad un certo punto nel
testo di questa determinazione si legge la “chiave di volta” della “trovata”
che sta per mettere in atto la giunta Gamba.
Ecco cosa si prevede nella determinazione 433: DATO ATTO che
l’amministrazione comunale di Curno sta valutando la possibilità di affidare i
servizi in oggetto a società Pubblica mediante l’istituto dell’ in house
providing; CONSIDERATI, pertanto, i tempi necessari per effettuare ogni
valutazione utile e
propedeutica a tale scelta nonché i tempi legati
all’espletamento della procedura prevista per
un eventuale affidamento in house del servizio, così come
previsti dalla normativa vigente
(in particolare dal Decreto Legislativo n. 175/2016 e dal
D.L. n. 179/2012),(…).
La giunta Gamba pare quindi abbai in mente di creare una
società pubblica per la raccolta delle
nettezza urbana comunale.
Potrebbe aderire
alla “Servizi Comunali S.p.a. di Sarnico” che è già una società pubblica che fa
lo stesso lavoro ed ha come motto un verso di Fabrizio DeAndrè: "Dai diamanti non nasce niente, dal letame
nascono i fiori" che non è proprio male salvo far venire il latte alle
ginocchia. La Servizi Comunali
S.p.A. è una società
a capitale interamente pubblico detenuto da 74 enti soci: 73 comuni e una
comunità montana. Nata nel 1997 con le modalità previste dall’art. 22 - comma
3°, lett. e) della legge 08.06.1990 n. 142, che individuava le forme di
gestione dei servizi pubblici locali, oggi la società eroga servizi per 81
comuni, soci e non soci, raggruppando a diverso titolo 350.000 cittadini
serviti.
Ma potrebbe
essere anche una società pubblica intercomunale (Curno e Mozzo) che assorbe la Ecosviluppo coop. sociale onlus
di Stezzano.
Ecosviluppo è una Cooperativa sociale
di tipo B senza fine di lucro che svolge attività
d’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati dal 1995,
anno della sua fondazione. Nel corso degli anni, ha maturato una solida
esperienza nella gestione di un numero crescente di persone svantaggiate,
strutturandosi per la realizzazione di percorsi d’inserimento
lavorativo dedicati a persone con disabilità psichica e fisica, persone con
problemi di dipendenza da sostanze psicotrope
(tossicodipendenza, alcool dipendenza) e persone sottoposte a misure
di restrizione della libertà (detenuti ed ex detenuti,
affidati dall’autorità giudiziaria, persone sottoposte a provvedimenti di
detenzione alternativa).
Grazie agli investimenti effettuati in mezzi,
macchinari e risorse umane, la Cooperativa ha acquisito negli anni la gestione
di oltre 30
servizi appaltati e sottoscritto convenzioni con
Amministrazioni Comunali per un totale di oltre 50 affidamenti nelle Province
di Bergamo e Milano. E’ così potuta arrivare nel 2013 a un fatturato di
oltre 6 milioni di euro, 138 dipendenti e 68 automezzi, che
hanno permesso di offrire opportunità di integrazione
al lavoro a 320 persone svantaggiate ai sensi dell’Art. 4 della legge 381/91
nel corso di 18 anni. Le persone svantaggiate sono state
immesse al lavoro nei servizi in cui Ecosviluppo si è specializzata: raccolta e
trasporto di rifiuti solidi urbani, differenziazione dei rifiuti, gestione di
piattaforme ecologiche/centri di raccolta e spazzamento meccanizzato e
manuale delle strade.
Fatto questo quadro la domanda è: perché
la giunta Gamba vuole creare (o aderire a) una società pubblica per questo
servizio? Sottintende che finora le cose sono andate così così e quindi occorre
migliorare?
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