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Di cosa parliamo in questa pagina.
Diamo i "numeri" della produzione di petrolio e di gas in Libia nel 2017 tra quelli dell'ENI  e quella della Total francese. I numeri servono per capire  una parte delle ragioni fondamentali dello scontro tra Italia e Francia in terra libica e più a sud della Libia nel Ciad dove abbiamo anche un nostro piccolo contingente per "cercare di governare" i flussi dal centroAfrica occidentale. E dove la Francia la vuole fare da padrone  assieme agli USA.
Mah. L'unico modo per  ridurre le fazioni libiche alla ragionevolezza é smettere di  importare petrolio e gas dalla Libia (anche se il contrabbando esiste ed esisterà sempre). Vuol dire per l'Italia trovare un 10% delle risorse energetiche che ci sono necessarie altrove e pagarle a prezzo pieno, magari senza fare il giochetto dell'importazione di contrabbando). Hai voglia!.
Va detto senza peli sulla lingua: oggi la Libia messa com'é messa va bene a tutti. Sostanzialmente è una nazione occupata perchè le nazioni c.d. avanzate la saccheggiano delle sue risorse e si fanno mantenere l'ordine minimo necessario per continuare a saccheggiarla.
Una vergogna internazionale.
Cucina nostrana.
Alla  giunta Gamba ed alla attuale maggioranza non va più bene  fare l'appalto per l'assegnazione della raccolta della monnezza e vuole-vorrebbe (dice pudicamente...) una società pubblica comunale.
Ha ragione! . La ragione si da sempre a tutti.
Il problema della cattiva manutenzione dei beni comunali -dalle lampadine rotte  nelle scuole a quelle nelle strade passando per le chiavi perse o i ciottoli d'oro di Largo Vittoria e le piastrelle che schizzano sul naso in viale Roma- deriva da un poderoso deficit professionale e culturale negli uffici competenti (e degli asssessori di riferimento) che le imprese esterne  conoscono benissimo da almeno cinque lustri e c'hanno saputo bene navigarci dentro. Ergo il paese non é bello da vivere ma fa leggermente schifo.
Ha svenduto le canne del metano. Ha svenduto i beni comuni. Ha svenduto l'impianto di pubblica illuminazione (chissà che fine ha fatto quell'appalto...???). Adesso "pubblicizza" la monnezza. Per farla meglio o per ragioni elettorali ?.Mille euro a chi indovina.
C'entra perchè se la politica fa dei mega piani per il diritto allo
studio -chissa perchè sempre votati dalla maggioranza e dalla minoranza: tranne forse pochi casi che in 40 anni stanno nemeno sulle dita di una mano- per pure ragioni clientelari, evidente che ti mancano quei centomila euro l'anno da destinare a SERIE e SEVERE manutenzioni dei beni comunali. Se in un quarto di secolo hai buttato in mille segmenti di piste ciclabili, nessun pezzo collegato all'altro-  impiegando  qualche milione di euro senza un risultato FINITO, vuol dire che i beni comunali si rottamano lentamente da soli.
Adesso la giunta Gamba scodella una "società pubblica mediante l’istituto dell’ in house providing". Delle due l'una. O quella che fa i lavori adesso non li ha fatti bene. Oppure c'é in aria un'operazione per la creazione di un solido bacino elettorale. Magari di livello superiore a quello del comune aderendo ad una società già esistente e incorporando quello che c'é già.
Una giunta minimamente trasparente avrebbe dovuto INFORMARE i cittadini sul sito web del Comune delle ragioni per cui ha preso questo orientamento e questa decisione. Invece te la infila dentro una determinazione scritta da una funzionaria.
Quanta palcia c'é in questo Comune!.






























LIBIA 1. FRANCIA E ITALIA IN CONCORRENZA
MA LA FRANCIA  NON MOLLA SUL SUO IMPERIALISMO

Libia: prima di tutto un po’ di numeri perché senza quelli non si comprende granche. ENI. La compagnia italiana rappresenta il 70% della produzione del Paese. Il concorrente francese TOTAL appena un decimo, ma sta cercando di espandersi. In mezzo il destino della società nazionale Noc. Parliamo di petrolio.

La prima è presente sul terreno dal 1959, la seconda è arrivata addirittura cinque anni prima: correva l'anno 1954. Ma mentre Eni produce in Libia quasi 400 mila barili di petrolio al giorno – 384mila barili secondo gli ultimi dati del Sole 24 Ore - la francese Total si fermava nel 2017 ad appena 31mila. Se c'è chi guadagna o perde dal conflitto libico e dalle milizie l'un contro l'altra armate, sono le compagnie petrolifere.

L’anno scorso IL GASDOTTO GREENSTREAM –di proprietà identica tra ENI e NOC (la compagnia dell’energia  libica) proveniente dalla Libia a Mellith ed arriva a Gela in Italia:  ha trasportato da 46,7 milioni di metri cubi/giorno, lungo un percorso di 520 km.

Cinque milioni di abitanti (all'epoca) per due milioni di barili di petrolio prodotti al giorno. Ma a cinque anni di distanza, il Paese sembra ripiombato nel caos. E ancora una volta le parti in conflitto si contendono la linfa vitale del Paese e soprattutto mettono in discussione la sola istituzione statale che ha retto l'onda d'urto della guerra senza venire spezzata e divisa tra le diverse fazioni: la National Oil company. Dai proventi della produzione del petrolio dipende il 60% del Pil della Libia, oltre l'80% delle esportazioni. E se c'è dunque una qualche istituzione che rappresenta la Libia e la sua sovranità è proprio la sua compagnia petrolifera che attraverso controllate come la Waha Oil company o la Zuetina Oil company, è proprietaria della metà dei pozzi libici.

La produzione dello Stato che fu di Muhammar Gheddafi non è mai ritornata ai picchi raggiunti negli Anni 70, ma nemmeno è rimasta agli abissi del 2013, quando l'intero Paese riusciva ad estrarre dai propri giacimenti appena 300mila barili, meno di quello che oggi fa l'Eni da sola. Entro il 2023 la Noc progetta di accrescere le attività fino a 2,2 milioni, sostenendole con cospicui investimenti (circa 18 miliardi). E però tra la crisi di ieri e i sogni di domani, ci sono i conflitti del presente: a giugno la società è stata costretta a chiudere i terminal petroliferi dopo che il suo controllo sui pozzi è stato messo in discussione con ripetuti attacchi soprattutto nell'Est, tanto da portare le Nazioni Unite a lanciare un appello per ristabilirne l'autorità.

Dietro ai tentativi di aggirare la Noc, ci sono i progetti neanche tanto velati di spezzare il controllo dei pozzi esattamente come l'autorità statuale tra le tre diverse regioni libiche: Tripolitania, Cirenaica e Fezzan. O in ogni caso di sottrarle il tesoro. Le mire dei nemici della Noc sono state sicuramente aiutate dalla competizione tra Francia Italia e dai rispettivi interessi nazionali, a cui del resto si affiancano anche quelli delle compagnie americane e della russa Gazprom. E visto che gli attacchi all'esecutivo di Tripoli sono parte della grande offensiva del generale filo francese, Total potrebbe avere tutto da guadagnare.

La società francese sta cercando di aumentare i propri investimenti in Nord Africa e Medio Oriente e a marzo ha annunciato di aver preso possesso di una quota pari al 16,3% della concessione per lo sfruttamento del campo di Waha, acquistando per 450 milioni di euro diritti che prima erano della società americana Marathon Oil. Solo il giacimento di Waha può fruttare a Total 50mila barili al giorno sui 300mila totali. Ma le prospettiva sono in forte crescita, se gli analisti stimanto che in dieci anni si potrebbe arrivare a 400mila barili con una crescita del 33%. Total ha inoltre acquisito diritto di esplorazione nel bacino di Sirte. Tra i suoi possedimenti storici invece c'è il 37,5% del giacimento in mare di Al Jurf e una partecipazione del 27% del giacimento occidentale di El Sharara. E ha pure quote del campo orientale di Mabrouk.

Nel frattempo però anche Eni continua ad aumentare le sue attività: a inizio luglio la compagnia italiana ha annunciato di aver avviato la seconda fase della produzione dal giacimento di gas off shore di Bahr Essalam, il più grande dello Stato africano. Controllato da una joint venture tra Eni e la Noc, Bahr Essalam si trova a 120 chilometri a Nord Ovest di Tripoli. Nei piani del Cane a sei zampe il progetto dovrebbe completarsi a ottobre quando dovrebbero entrare in funzione altri sette nuovi pozzi. In tutto le riserve in gioco sono pari a 260 miliardi di metri cubi di gas.

Poco ad est della Libia Eni ha dichiarato di puntare all’incremento della produzione nel giacimento di gas naturale Zohr fino a 1,2 miliardi di barili al giorno a maggio e di volerla innalzare a 2 miliardi di barili entro la fine del 2018. A tre anni dalla scoperta del mega giacimento sottomarino di gas Zohr, lungo le coste egiziane, l’Eni ne ha individuato un altro di una portata tale da poter far definitivamente esplodere la diatriba mediterranea sulle riserve offshore. Noor (luce, in arabo) conterebbe riserve tre volte più ampie di Zohr. A rivelarlo sono state fonti del ministero del Petrolio egiziano all’Egypt Independent. La conferma è arrivata ieri, dall’ufficio del ministro al-Molla: il consiglio dei ministri ha già stanziato 105 milioni di dollari per avviare l’esplorazione nell’area di mare di fronte al Sinai del Nord. Eni per ora non commenta; di certo si sa che sabato scorso l’ad del cane a sei zampe Descalzi ha visto al-Molla a cui ha ricordato che all’Egitto va il 70% degli investimenti esteri della compagnia. Se Zohr, scoperto nel 2015, ha una portata accertata di 850 miliardi di metri cubi di gas, per Noor se ne stimano tre volte tanti. L’esplorazione dovrebbe iniziare tra due mesi nell’area di Shorok, data al 60% in concessione all’Eni, presente nel paese dal 1954.

 

In questo quadro in Libia è riesplosa la guerra. Ore 15.30 circa del primo lunedì di settembre: a Palazzo Chigi inizia il primo Consiglio dei ministri dopo la pausa estiva. A Tripoli invece si spara. Ma nella riunione del governo italiano non se ne parla: non una parola, riferiscono più fonti di governo. Eppure il caos scoppiato in questi giorni in Libia tocca direttamente gli interessi italiani: quelli strategici in Africa, quelli legati ai flussi migratori. Ed è un caos allarmante perché di fatto potrebbe mettere fine all'esperienza di Fayez al-Serraj alla guida dell'unico governo riconosciuto dalla comunità internazionale e sostenuto soprattutto dall'Italia. Ma a Roma il caos libico spiazza il governo, lo ammutolisce nelle sedi deputate alle decisioni, come il primo consiglio dei ministri dopo l'estate, dove però mancano sia il premier Giuseppe Conte (in vacanza a New York) sia il vicepremier Luigi Di Maio (al tavolo sul caporalato a Foggia). Governo spiazzato: esclude categoricamente l'intervento militare, prende fiato con la polemica politica. Contro Emmanuel Macron. Il primo ad accusare la Francia è Matteo Salvini: lo fa da due mesi, oggi ritorna sull'argomento. "Sono molto preoccupato per la Libia. Evidentemente c'è dietro qualcuno", dice il leader leghista dopo aver lasciato a metà la riunione del consiglio dei ministri per recarsi alla festa patronale di Santa Rosa a Viterbo. "Nulla succede per caso. Il mio timore è che qualcuno, per motivi economici nazionali, metta a rischio la stabilità dell'intero Nord Africa e conseguentemente dell'Europa'' sibila Salvini. Spiazzato da una situazione che non si aspettava. Salvini ha sempre considerato la Libia il porto sicuro dove rimandare i migranti respinti in Italia. Adesso gli scontri di Tripoli gli tolgono argomenti. Libia porto sicuro? "Chiedetelo a Parigi", risponde. Si può anche chiedere all'Eliseo, ma sul campo la situazione resta preoccupante e svantaggiosa per l'Italia.

 

Poi arriva il martedi 4 settembre. Giuseppe Conte convoca vertice sulla Libia : nel pomeriggio a Palazzo Chigi confronto fra Interno, Esteri e Difesa sugli sviluppi.

Palazzo Chigi è rimasto spiazzato per il precipitare degli eventi, con Tripoli scenario di combattimenti e in stato d'emergenza, che rischiano di mettere fine all'esperienza di Fayez al-Serraj alla guida dell'unico Governo riconosciuto dalla comunità internazionale e sostenuto soprattutto dall'Italia. Ma in Libia sono enormi gli interessi italiani, economici e di sicurezza.

In pratica, in vista delle elezioni che Macron ha fissato per il 10 dicembre (senza consultare nessuno…), si sono rimessi in azione tutti i clan in lotta tra loro in Libia, è l'analisi dell'intelligence italiana. Tripoli in pratica è diventata loro territorio di conquista: occupata, quartiere per quartiere, dai clan provenienti da fuori città, da Misurata, Tobruk e gli altri centri abitati del paese. Tutti vogliono influenzare il processo elettorale, vogliono contare, prendere il potere: come se a Tripoli non ci fosse un governo a tenere l'ordine. Come se non ci fosse al-Serraj. Come se l’Italia contasse zero.

Questa lotta senza quartiere ha praticamente azzerato gli ultimi due anni di lavoro diplomatico del governo al-Serraj. In pratica è come se il suo governo non ci fosse stato.




LIBIA 2. FRANCIA E TITALIA IN CONCORRENZA
IL COMMENTO

Fossero solo il petrolio e il gas libici i motivi della contesa italo-francese sarebbero già una bella grana anche se l’ENI ha le spalle più grandi di qualsiasi governo. Perlomeno (l’ENI) sa fare politica economica ed estera meglio dei suoi governi. Ma i francesi non sono degli sprovveduti in fatto di politica estera. Naser Ali Aoun al comando della Settima Brigata, la milizia che con la sua offensiva verso il centro di Tripoli ha sconvolto i fragili equilibri del potere libico dichiara a Florian Buklfon di Repubblica che ««La Settima Brigata è uscita dall’area di Tarhuna per pulire Tripoli della corruzione. Siamo militari, alcuni rimasti sempre in servizio, altri richiamati dal congedo. Il nostro obiettivo è mettere fine alla corruzione del cartello di milizie che sostengono il governo di Fayez Al Serraj, milizie che si sono arricchite e hanno conquistato un potere incontrollato. I cittadini libici vivono una situazione allo stremo, manca persino la liquidità: non ci sono le banconote per fare la spesa perché nessuno le stampa. Non ce la facciamo più a vivere in questo caos». Scrive Massimo Nava sul Corriere che «Una volta riaccesi i riflettori su responsabilità e tatticismi francesi, serve tuttavia a poco accusare Parigi e adombrare complotti e serve ancora meno aspettarsi sponde a Washington o improvvisi sussulti di «voce unica» dell’Europa, tanto più dopo schermaglie e polemiche di queste settimane sulle questioni dei migranti e dei contributi comunitari. Piaccia o meno, conviene un dialogo non pregiudiziale con Parigi, mettendo da parte battute ostili ma pretendendo un gioco a carte scoperte fra Paesi amici. E conviene ricostruire un solido rapporto con l’Egitto di Al-Sisi, nonostante le scorie dolorose del caso Regeni. L’Egitto sostiene il generale Haftar ed è però anche il Paese in cui l’Eni opera da decenni e in cui ha recentemente scoperto il più grande giacimento di gas naturale del Mediterraneo. Non c’è un minuto da perdere. Le milizie l’una contro l’altra armate possono azzerare i fragili sforzi del governo Serraj e mettere in difficoltà lo stesso Haftar, forte sì, ma non in grado di assicurare un minimo di ordine in tutto il Paese. Considerando le sue condizioni di salute, non è affatto detto che Parigi punti soltanto su questo cavallo. Intanto le prigioni ribollono, migliaia di terroristi dell’Isis potrebbero rientrare nella partita, scafisti e trafficanti non si aspettano di meglio per rilanciare i flussi di disperati. Da sola, l’Italia non può farcela e la Comunità internazionale ha troppi altri fronti aperti. Meglio alzare il telefono, ripassare le regole della diplomazia, scegliere amici e alleati che più convengono, anche se si tratta dei soliti francesi, «nazionalisti e arroganti». A noi pare che la Francia abbia uno sguardo che mira più lontano dell’oggi e del destino di chi sta (malissimo) in Libia oggi. Mira alle elezioni europee del 2019. Riuscire a far ripartire i barconi degli immigrati verso l’Italia vuol dire mettere in croce quello che oggi - proprio perché la l’Italia è la terza-quarta nazione europea il più pericoloso dei governi europei e il suo futuro. Non ci vuole molta immaginazione nel prevedere cosa accadrebbe del governo SalviMaio se alle porte d’Italia iniziassero a comparire mille, cinquemila, diecimila immigrati per un governo che finora in Europa viene trattato a pesci in faccia.

Con l'espressione "in house providing" si fa riferimento all'istituto, nato nel diritto giurisprudenziale comunitario, per cui un'Amministrazione aggiudicatrice dello Stato possa, per lo svolgimento dei compiti relativi alla realizzazione di opere pubbliche o alla gestione di servizi pubblici, derogare alle regole della concorrenza per il mercato decidendo di provvedervi in proprio, avvalendosi di una società esterna, ovvero di un ente soggettivamente separato, che però presenti delle caratteristiche tali da poter essere considerato alla stregua di una longa manus dell'Amministrazione stessa.

 

Un primo orientamento, affermatosi in sede di giurisprudenza di legittimità, ritiene che queste non siano dei veri e propri soggetti giuridici mancando, di fatto, il requisito dell'alterità soggettiva rispetto all'Amministrazione pubblica: si evidenzia, infatti, come ciò che davvero è difficile conciliare la configurazione della società di capitali, intesa quale persona giuridica autonoma e distinta dai soggetti che in essa agiscono e per il cui tramite essa stessa agisce, con la completa assenza di un potere decisionale suo proprio, in conseguenza del totale assoggettamento dei suoi organi al potere gerarchico dell'ente pubblico titolare della partecipazione sociale. Ne consegue che la società in house non pare in grado di collocarsi come un'entità posta al di fuori dell'ente pubblico, il quale ne dispone come di una propria articolazione interna: essa altro non è che una longa manus della pubblica amministrazione, al punto che l'affidamento pubblico mediante in house contract neppure consente veramente di configurare un rapporto contrattuale intersoggettivo (ex multis Cassazione civ., Sez. Unite, 25 novembre 2013, n. 26283).

 

1. Premessa

Con il termine affidamenti in house (o in house providing) viene indicata la fattispecie in cui un soggetto tenuto all’obbligo di evidenza pubblica, derogando al principio di carattere generale dell’obbligo di indire una gara pubblica, invece di procedere all’affidamento all’esterno di determinate prestazioni, provvede in proprio (ossia in house) all’esecuzione delle stesse, affidando l’esecuzione dell’appalto o la titolarità del servizio ad altra entità giuridica senza gara.

Negli affidamenti in house non vi è, quindi, l’attribuzione di compiti o servizi a operatori economici privati, da ciò la circostanza che le regole sulla concorrenza, applicabili agli appalti pubblici e agli affidamenti dei pubblici servizi a terzi, non vengono in rilievo.

Si tratta, in definitiva, di un modello organizzativo in cui la P.A. provvede da sé al perseguimento degli scopi pubblici.

Invero, quanto detto deve essere subito coordinato con una considerazione di fondo: il termine in house providing indica una situazione ben precisa, ossia la situazione in cui che fra P.A. appaltante e appaltatore (o concessionario) non vi sia alcuna reale alterità.

In altri termini, un affidamento in house è tale soltanto se l’entità giuridica a cui viene attribuita la titolarità del servizio sia legata alla stazione appaltante da vincoli talmente serrati da non rendere esistente, nella sostanza, una duplicità di soggetti fra P.A. e affidatario. In una tale situazione, l’obbligo di indire una gara a evidenza pubblica viene meno in quanto la P.A. non affida il servizio a un terzo, ma a se stessa, o meglio a una propria articolazione che, pur assumendo una veste formale di soggetto terzo, rimane inscindibilmente legata alla stazione appaltante.

La locuzione “affidamento in house” presuppone quindi una particolare situazione: quella di un legame strettissimo fra affidante e affidatario. E tale legame consente (o, meglio, in alcuni casi può consentire) a un legittimo affidamento diretto dell'appalto o del servizio.

La locuzione “in house” attiene, in primo luogo, alla struttura del rapporto che si crea fra P.A. affidante e affidatario (anch’esso pubblico) e non alla legittimità dell’affidamento diretto. Tale eventuale legittimità, ossia la possibilità che la P.A. non proceda ad indire una gara, ma affidi direttamente il servizio, è una conseguenza dell’esistenza del rapporto in house.

 

2. Il generale obbligo di trasparenza e imparzialità

L'affidamento in house costituisce un'eccezione all'affidamento mediante procedura ad evidenza pubblica. Procedura, quest'ultima, imposta alla P.A. al fine di rispettare i principi di trasparenza e di imparzialità derivanti da una ampia serie di disposizioni normative.

Sinteticamente, può dirsi che tale obbligo deriva, in primo luogo, dal dettato costituzionale: l’art. 97 Cost. testualmente dispone infatti che “I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione.

Invero, anche in tempi antecedenti all’emanazione della carta costituzionale, la legislazione pre-repubblicana conosceva tale principio, e, in particolare in tema di contrattualistica pubblica (ossia in tema di appalti), sussistevano le previsioni (in parte ancora vigenti) del Regio Decreto n. 827 del 1924, il quale, all’art. 37, prevede che “Tutti i contratti dai quali derivi entrata o spesa dello Stato debbono essere preceduti da pubblici incanti, eccetto i casi indicati da leggi speciali e quelli previsti nei successivi articoli.

Detto ciò, è di rilievo constatare come attraverso il processo di integrazione europea, e quindi attraverso all’ascesa del ruolo delle istituzioni comunitarie, la materia in oggetto ha trovato fonte di ulteriore arricchimento nelle disposizioni normative di origine comunitaria, le quali, sotto vari profili, hanno condotto ad un’importante conseguenza in capo agli stati membri: essi sono obbligati a dettare una disciplina normativa che, in definitiva, incentivi la concorrenza fra privati. In quest’ottica, quindi, l'ordinamento comunitario veicola la necessità che, in linea generale, le amministrazioni pubbliche procedano – in conformità ai suesposti principi di trasparenza e imparzialità ad affidare l’esecuzione di contratti di appalto e di servizi pubblici (servizi di interesse generale, nella terminologia comunitaria) tramite gara ad evidenza pubblica.

L'evoluzione della normativa comunitaria – e l'evoluzione dell'ordinamento interno, sospinta anche dal recepimento delle fonti normative comunitarie e dagli impulsi della giurisprudenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea – ha però condotto all'individuazione di specifiche deroghe al principio di concorrenza, e fra di esse il modello dell'in house providing costituisce senz'altro un rilevante punto di snodo.

 

3. Deroghe al principio dell’evidenza pubblica

Come visto, in linea generale, sussiste l’obbligo di affidare l’esecuzione di contratti di appalto o l’esecuzione di servizi pubblici tramite gara a evidenza pubblica. Tuttavia, sia l’ordinamento comunitario che l’ordinamento nazionale conoscono deroghe a tale principio.

Alcune ipotesi di tale deroga sono, per così dire, specifiche, riguardando fattispecie del tutto peculiari, come la sussistenza di oggettive ragioni di urgenza (ovviamente non imputabili a ritardi della P.A. nell’indizione della gara), o al fatto che una prima gara a evidenza pubblica sia andata deserta, o, ancora, che si tratti di attività segretate, in quanto rendere pubblica una certa attività metterebbe a rischio la sicurezza della nazione.

Ma al di là di tali ipotesi residuali è prevista una particolare ipotesi di affidamento diretto che risulta legittima sia rispetto all’ordinamento comunitario sia (sebbene con alcune eccezioni) rispetto all’ordinamento nazionale: si tratta appunto dell’istituto dell’in house providing.

Tale modalità di affidamento consiste, come si è già parzialmente avuto modo di dire, nell’affidamento di una data attività a un soggetto che, solo apparentemente - ossia solo nelle forme, ma non nella sostanza - si distingue dall’amministrazione che affida il servizio.

In altri termini – cercando di semplificare quanto più possibile il meccanismo e la logica dell’in house - è l’ipotesi in cui un soggetto pubblico controlla stringentemente un altro soggetto, e quindi, data la sostanziale inesistenza di una distinzione fra i due enti, il primo può legittimamente affidare l’esecuzione dell’attività al secondo, senza obbligo di gara, in quanto, in realtà è sempre lui stesso che svolge il servizio.

La portata del fenomeno dell'in house providing, vi è da dire, è infine sfociata nella constatazione che esso – pur costituendo una deroga al principio dell'evidenzia pubblica – non costituisce un modello eccezionale di affidamento di appalti e servizi, essendo, invece, un modello organizzative  che le pubbliche amministrazioni possono assumere in via ordinaria. Vi è cioè una deroga al principio dell'evidenza pubblica, ma la possibilità di operare tramite affidamenti in house non risulta (oramai più) una fattispecie eccezionale.

 

4. Origini dell'istituto

Il meccanismo dell’in house ha origine in ambito comunitario e in riferimento al settore degli appalti pubblici.

Infatti, è stata la giurisprudenza della Corte di Giustizia a individuare i presupposti in ragione dei quali possa dirsi sussistente quello strettissimo legame fra soggetto affidante e soggetto affidatario che, in definitiva, fa ritenere che non si tratti di due soggetti distinti.

I criteri individuati dalla giurisprudenza comunitaria hanno poi trovato una consacrazione a livello di “diritto scritto” nell’ambito del settore dei servizi pubblici locali.

A seguito delle modifiche intervenute all’art. 113 del d.lgs. 267/2000 nel corso del 2003, esso prevedeva, fino all'abrogazione di tale disposizione, al comma 5, lett. c), che un servizio pubblico locale possa essere direttamente affidato “a società a capitale interamente pubblico a condizione che l'ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti pubblici che la controllano”.

Il legislatore nazionale aveva quindi trasfuso all’interno della disciplina dei servizi pubblici locali il portato della giurisprudenza comunitaria in tema di in house. (Disposizioni, quelle sui servizi pubblici locali, che sono venute meno a seguito dell'emanazione di una serie di norme volte a ridefinire l'intera materia dei servizi pubblici locali, poi anch'esse venute meno a seguito del referendum del 2011).

Sul punto, tuttavia, occorre evidenziare che la stessa giurisprudenza comunitaria ha proceduto, in tempi più recenti, a meglio circoscrivere il fenomeno dell’in house, stabilendo, in sintesi, che tale fenomeno sussiste (e quindi è legittimo un affidamento diretto) solo se:

·                     il capitale dell’affidatario sia totalmente pubblico, e sia statutariamente esclusa la possibilità di un ingresso di capitale privato nella compagine societaria;

·                     il “controllo analogo” si estrinsechi in forme di condizionamento ulteriori e più incisive rispetto ai “normali” poteri di un socio di maggioranza (rimanendo semmai da verificare in che cosa si estrinsechino tali forme di condizionamento ulteriori).

5. I requisiti tradizionali per l'instaurazione del rapporto di in house providing

Fino a prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. 50/2016 l'istituto dell''in house providingnon aveva alcuna fonte di diritto positivo. In particolare, non vi erano espresse disposizioni che ne disciplinassero con esattezza sia l'ambito di applicazione quanto le principale caratteristiche strutturali.

Tuttavia, il sistema si era assestato sull'idea che un rapporto di in house providing potesse dirsi correttamente instaurato al ricorrere tre requisiti:

·                     l'affidatario deve essere un soggetto a esclusivo capitale pubblico;

·                     tra affidatario e affidante devono intercorrere rapporti tali per cui l'affidante sia in grado di controllare l'affidatario in modo analogo a come controllerebbe un proprio ufficio interno;

·                     l'affidatario non deve svolgere attività ulteriori rispetto a quelle affidate in via diretta se non in via del tutto marginale.

Al di là di tali requisiti, deve poi dirsi che l'ordinamento interno conosce ulteriori meccanismi volti a limitare la possibilità di instaurazione di rapporti in house, ovvero volti a limitare la possibilità di costituire società da parte delle pubbliche amministrazioni ovvero, ancora, volti ad evitare, in particolari settori, che l'affidatario svolga qualsivoglia ulteriore attività rispetto a quella affidata in via diretta.

Infatti, sotto un primo profilo rileva che in alcuni settori specifici (in particolare in riferimento ad alcuni servizi rientranti nella nozione di servizio pubblico locale) il legislatore nazionale ha espressamente escluso la possibilità di affidamenti in house.

Sotto un secondo profilo risulta che negli ultimi anni vi è stata una copiosa produzione normativa volta a limitare la possibilità per le amministrazioni pubbliche, ed in particolare per gli enti locali, di costituire o mantenere partecipazioni societarie, con previsione di specifici obblighi di dismissione: ciò, sebbene indirettamente, comporta una maggiore limitazione all'uso dello strumento dell'in house providing, in quanto, l'amministrazione potrebbe vedersi impossibilitata a costituire (o mantenere la partecipazione) di un soggetto a cui poi affidare il servizio, ovvero costretta a dismettere partecipazioni già detenute.

6. La nuova disciplina dell'in house providing nel D.Lgs. 50/2016

Con l'entrata in vigore delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE la materia ha trovato una nuova fonte normativa. Il legislatore comunitario ha infatti voluto inserire in disposizioni di diritto positivo quello che era il portato della stratificazione giurisprudenziale emersa sul tema.

Il legislatore italiano, da parte sua, nel recepire le nuove direttive in materia di appalti pubblici, ha inserito anch'esso all'interno del D.Lgs. 50/2016 una specifica disciplina dell'istituto – ricalcando fedelmente quanto già stabilito dalle direttive comunitarie.

Al riguardo, occorre sottolineare come gli articoli del D.Lgs. 50/2016 dedicati all'in house providing siano due: l'art. 5 (che definisce le tipologie di in house providing possibili e ne precisa i requisiti) e l'art. 192 (il quale prevede l'istituzione di uno specifico registro a cura di ANAC nel quale debbano essere iscritte le stazioni appaltanti che si avvalgono di affidamento in house).

Per quanto riguarda le tipologie di affidamenti in house, l'art. 5 citato prevede adesso in modo espresso che possa darsi seguito ad affidamenti in house:

·                     da parte di una amministrazione aggiudicatrice a favore di un soggetto da essa controllato;

·                     da parte del soggetto controllato a favore dell'amministrazione che lo controlla;

·                     da parte di una amministrazione aggiudicatarice a favore di un soggetto indirettamente controllato;

·                     da parte del soggetto controllato a favore di un altro soggetto controllato dalla medesima amministrazione aggiudicatrice.

Viene inoltre sancito espressamente che il controllo può essere "condiviso" da più amministrazioni le quali controllino congiuntamente il medesimo soggetto affidatario.

Per quanto riguarda i requisiti che debbano sussistere per aversi un corretto affidamento in house vengono ripetuti i tre "tradizionali" requisiti del capitale pubblico, dello svolgimento di attività prevalentemente per gli enti controllanti e del "controllo analogo". Tuttavia sussistono due importanti novità rispetto al passato, ossia che:

·                     è ammessa la partecipazione, sebbene in modo estremamente limitato, di capitali privati nella compagine societaria dell'affidatario;

·                     viene individuata nella soglia del 20% il volume massimo di attività che l'affidatario può svolgere a favore di soggetti terzi senza perdere la qualificazione di affidatario in house.

7. Normativa di riferimento e giurisprudenza minime

Le disposizioni normative rilevanti sono le seguenti:

·                     artt. 5 e 192 D.L.gs. 50/2016

Le pronunce giurisprudenziali rese sul tema dell'in house providing sono moltissime; di seguito, senza pretesa di esaustività, se ne indicano alcune di particolare rilevanza:

·                     Corte di Giustizia sentenza Teckal C-107/98

·                     Corte di Giustizia sentenza C-26/03 Stadt Halle

·                     Corte di Giustizia sentenza C-458/03 Brixen

·                     Corte di Giustizia sentenza C-220/05

·                     Cons. Stato Sez. V n. 5/2007

·                     Cons. Stato,  Ad. Plen., n. 1/2008





LA GIUNTA GAMBA VUOLE CREARE UNA SOCIETA' COMUNALE PER LA MONNEZZA?
O E' UNA SOCIETA' ELETTORALE?

Quadro iniziale. La raccolta dell’immondizia  nel comune di Curno viene effettuata da una associazione temporanea di impresa che vede associati la “Servizi Comunali spa di Sarnico” e “Ecosvilppo cooperativa sociale onlus” di Stezzano. L’appalto sarebbe terminato col mese di agosto 2018 e Mozzo ha deciso di prorogarlo fino alla fine di quest’anno e pure Curno ha fatto la medesima scelta. Fin qui niente di particolare.

Quadro intermedio. Qualcuno dice che il popolo abbia sempre ragione. Anche quando appende qualcuno ad una corda coi piedi penzoloni e l’osso del collo rotto. La variante democratica di questa orribile battuta è che l’elettore ha sempre ragione. Un mattina al bar –qualche anno or sono- dove prendevo il caffè  sono entrati due dipendenti dell’azienda  nettezza urbana  a Curno per farsi anche loro il debito caffè. Quando uscirono una signora ad alta voce proclamò: questi qui fra qualche anno saranno dipendenti del comune. Nessuno comprese la battuta. Anzi: parve fuori luogo.

Quadro attuale. Quella battuta –di tre anni or sono- non era fuori luogo.

Lo si legge nella DETERMINAZIONE N. 433 DEL 03-09-2018 a cura della  RESPONSABILE SETTORE URBANISTICA AMBIENTE ECOLOGIA . La determinazione in via formale decide di prorogare –preso atto della disponibilità dell’attuale gestore a proseguire sino al 31/12/2018 in proroga tecnica dei servizi di igiene urbana, comunicata dalla A.T.I. Servizi Comunali S.p.a. di Sarnico ed Ecosviluppo coop. sociale onlus di Stezzano – di prorogare dall’01 settembre 2018 al 31 dicembre 2018  l’appalto alle medesime condizioni economiche attuali come previsto dal Capitolato Speciale d’Appalto.

Ad un certo punto  nel testo di questa determinazione si legge la “chiave di volta” della “trovata” che sta per mettere in atto la giunta Gamba.

Ecco cosa si prevede nella determinazione 433: DATO ATTO che l’amministrazione comunale di Curno sta valutando la possibilità di affidare i servizi in oggetto a società Pubblica mediante l’istituto dell’ in house providing; CONSIDERATI, pertanto, i tempi necessari per effettuare ogni valutazione utile e

propedeutica a tale scelta nonché i tempi legati all’espletamento della procedura prevista per

un eventuale affidamento in house del servizio, così come previsti dalla normativa vigente

(in particolare dal Decreto Legislativo n. 175/2016 e dal D.L. n. 179/2012),(…).

La giunta Gamba pare quindi abbai in mente di creare una società pubblica  per la raccolta delle nettezza urbana comunale.

Potrebbe aderire alla “Servizi Comunali S.p.a. di Sarnico” che è già una società pubblica che fa lo stesso lavoro ed ha come motto un verso di Fabrizio DeAndrè: "Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori" che non è proprio male salvo far venire il latte alle ginocchia. La Servizi Comunali S.p.A. è una società a capitale interamente pubblico detenuto da 74 enti soci: 73 comuni e una comunità montana. Nata nel 1997 con le modalità previste dall’art. 22 - comma 3°, lett. e) della legge 08.06.1990 n. 142, che individuava le forme di gestione dei servizi pubblici locali, oggi la società eroga servizi per 81 comuni, soci e non soci, raggruppando a diverso titolo 350.000 cittadini serviti. 

Ma potrebbe essere anche una società pubblica intercomunale (Curno e Mozzo) che assorbe la Ecosviluppo coop. sociale onlus di Stezzano.

Ecosviluppo è una Cooperativa sociale di tipo B senza fine di lucro che svolge attività d’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati dal 1995, anno della sua fondazione. Nel corso degli anni, ha maturato una solida esperienza nella gestione di un numero crescente di persone  svantaggiate, strutturandosi per la realizzazione di percorsi d’inserimento lavorativo dedicati a persone con disabilità psichica e fisica, persone con problemi di dipendenza da sostanze psicotrope (tossicodipendenza, alcool dipendenza) e persone sottoposte a misure di restrizione della libertà (detenuti ed ex detenuti, affidati dall’autorità giudiziaria, persone sottoposte a provvedimenti di detenzione alternativa).

Grazie agli investimenti effettuati in mezzi, macchinari e risorse umane, la Cooperativa ha acquisito negli anni la gestione di oltre 30 servizi appaltati e sottoscritto convenzioni con Amministrazioni Comunali per un totale di oltre 50 affidamenti nelle Province di Bergamo e Milano. E’ così potuta arrivare nel 2013 a un fatturato di oltre 6 milioni di euro, 138 dipendenti e 68 automezzi, che hanno permesso di offrire opportunità di integrazione al lavoro a 320 persone svantaggiate ai sensi dell’Art. 4 della legge 381/91 nel corso di 18 anni. Le persone svantaggiate sono state immesse al lavoro nei servizi in cui Ecosviluppo si è specializzata: raccolta e trasporto di rifiuti solidi urbani, differenziazione dei rifiuti, gestione di piattaforme ecologiche/centri di raccolta e  spazzamento meccanizzato e manuale delle strade.

Fatto questo quadro la domanda è: perché la giunta Gamba vuole creare (o aderire a) una società pubblica per questo servizio? Sottintende che finora le cose sono andate così così e quindi occorre migliorare?