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la numerazione delle pile nella foto qui sopra è coerente con quella del testo













Di cosa parliamo in questa pagina.
La numerazione delle pile nella foto iniziale é coerente con quella del testo. In realtà le pile sono una di meno.
Nel 1992-1994 vennero sostituiti gli stralli della pila 12 del viadotto Morandi con dei cavi esterni.
Benche anche  gli stralli delle pile 10 (quella crollata) e 11 fossero altrettanto malmessi ne l'ANAS nei cinque anni successivi ne l'ASPI nei 18 anni  di concessione decisero di sostituire gli otto stralli delle pile 10 e 11.
Il costo era sui 20 milioni di euro per ogni pila (valore 2018).
L'ANAS quando vide all'orizzonte le concessioni decise di "risparmiare" e l'ASPI risparmiò a sua volta per 18 anni fino al crollo di ferragosto 2018.
Come abbiamo già scritto, in buona sostanza venne dato in concessione un viadotto che "non stava per nulla in buone condizioni" nel silenzio dell'ANAS che sbolognava via una rogna costosa da risolvere e nella furba posizione di un concessionario che badava sopratutto alla cassa che i pedaggi gli mettevano a disposizione.
Poi c'era sempre da sperare che l'italico stellone non dimenticasse Genova "la superba".
Cinque anni perduti dall'ANAS e 18 o 19 persi dall'ASPI fanno 43 vittime e qualche miliardo di danni.
E adesso chissà quanti si stanno fregando le zambe in vista dei prossimi appalti.
VIVA L'ITALIA!





























LE FRASI FAMOSE


« Nel 2016 i ' signori delle autostrade' hanno fatturato quasi 7 miliardi. Di essi, 5,7 miliardi derivano dai pedaggi autostradali. Allo Stato sono tornati appena 841 milioni ». Mentre gli investimenti si sono ridotti dai due miliardi degli anni 2000 ai 950 milioni del 2017. « Un immenso business dell'asfalto», denuncia il ministro. «In Italia - dice si è deciso di privatizzare senza far mercato, senza fare concorrenza».

Un altro fronte è quello temporale. La Procura vuole capire a quando risalgano le prime consapevolezze, se non del rischio di crollo, perlomeno dello stato di avanzato deterioramento — sottolineato da diversi studi — sia del calcestruzzo che dei cavi di acciaio in esso inglobati.
Molto importante, in questo senso è la figura di Donferri, che nel 1993, in occasione dei lavori di rinforzo ai tiranti della pila 11, nella sua qualità di ingegnere di Autostrade segue non solo i lavori ma addirittura cofirma uno studio che verrà presentato nel 1994 in un convegno sui ponti a Shangai. All'epoca Donferri fissava al 2030 " la condizione limite di degrado", ossia il fine vita del ponte Morandi.

I rendimenti garantiti al 10%
Il dato più significativo è quello relativo alla remunerazione del capitale. La convenzione concede ad Autostrade una percentuale di remunerazione del capitale del 10,21% lordo, che tolte le tasse diventa il 6,85%. Una percentuale considerata troppo alta dall'Unione Europea che nel 2017 aveva negoziato con Del Rio nuove condizioni per prorogare la concessione fino al 2042: per tutti i “nuovi investimenti programmati” dal 2017 e fino alla fine del “periodo regolatorio” la remunerazione del capitale sarebbe dovuta essere tra il 4 e il 6% lordo. Tra il 2013 e il 2017, Aspi ha incassato 4,05 miliardi di utili.

I ricavi per Aspi e quelli per lo Stato
Autostrade corrisponde allo Stato un canone di concessione del 2,40% sui ricavi dai pedaggi. Nel 2016, considerata anche Tinflazione, i ricavi da pedaggi sono stati 2 miliardi e 730 milioni; nel 2017 2 miliardi e 855 milioni. Il piano finanziario 2013 prevede che crescano ogni anno superando i 4 miliardi nel 2027.
Il testo mostra anche il livello - decrescente - degli investimenti per interventi sulla rete, quelli previsti dal piano del 1997, dall'atto aggiuntivo del 2012, da altre delibere del Cipe: si passa da 1 miliardo e 67 milioni del 2016 a 773 milioni del 2017, ai 740 del 2018.

Gli aumenti previsti per gli investimenti
Gli investimenti sono di due tipi. Nel primo caso, i concessionari li devono realizzare senza forme di remunerazione aggiuntiva. Poi ci sono quelli per i quali viene riconosciuto un premio sul capitale utilizzato. Di questa categoria, fanno parte gli interventi per terze o quarte corsie, svincoli e gallerie. Nei documenti desecretati, per esempio, si legge di un piano per la messa in sicurezza delle gallerie che prevede aumenti dell'1,1% all'anno tra il 2006 e il 2021. In totale, si prevedono aumenti del 24,6% delle tariffe dal 2013 al 2028.

Quanto si spende per la manutenzione
Dai documenti desecretati si legge come il gruppo Atlantia si sia impegnato a far crescere l'impegno di spesa nella manutenzione dai 284 milioni del 2013 ai 291,9 milioni a fine 2038. Sul tema, ci sono sempre state numerose polemiche perché la maggior parte dei lavori è affidata a società controllate dagli stessi concessionari, invece di essere assegnata attraverso gare a evidenza pubblica, favorendo la concorrenza nel settore, così come chiede la Ue. Nel caso di Autostrade per l'Italia, la società utilizzata è la Pavimental.

"La trasparenza è finalizzata a favorire forme diffuse di controllo sull'utilizzo delle risorse pubbliche".A gennaio i concessionari si sono opposti. E a marzo il dicastero si è schierato al loro fianco, facendo scudo al segreto.
Rileggere oggi la replica scritta dall'Anac a metà aprile è raccapricciante, perché punta il dito sulla questione degli investimenti per la sicurezza dei cittadini: "La sana gestione della rete autostradale, principale obiettivo del sistema delle concessioni, è resa possibile proprio attraverso il controllo degli eventi che riguardano il concessionario e che in nessun caso devono arrecare pregiudizio all'interesse pubblico alla gestione dell'autostrada in piena sicurezza per gli utenti e con la realizzazione dei necessari investimenti di mantenimento e sviluppo della rete". Dalle Infrastrutture hanno risposto ancora di no. E Cantone è tornato alla carica con un'intimazione: "Non consentire la consultazione viola un principio cardine del nostro ordinamento".
Cantone

Eppure secondo il governo, e non solo, è una concessione squilibrata a favore del privato.
«Non si può dimenticare che la società fu privatizzata nel 1999 a un valore complessivo di otto miliardi di euro, oltre quattro volte il valore di libro, in base a una gara intemazionale. Commisurato a quell'investimento, il rendimento è stato in linea con il mercato. Un rendimento, non dimentichiamolo, che termina nel 2038. E rispetto al presunto squilibrio della concessione ritengo che il via libera della Commissione europea alla proroga, dopo un'istruttoria di oltre un anno focalizzata su eventuali condizioni di privilegio perii concessionario, dimostri esattamente il contrario».
Ma la concessione stabilisce un tasso di remunerazione del capitale investito di oltre il 6,85% netto, superiore al 10 % lordo. Le sembra un trattamento di mercato?
«C'è un grande fraintendimento, che a volte sembra creato ad arte. Il numero a cui lei fa riferimento è il rendimento fissato nel 2012 quando i Btp garantivano un rendimento netto del 5%, al culmine della crisi. E si riferisce solo a investimenti richiesti dopo il 2008, ad oggi ancora in fase autorizzativa. Quindi è un rendimento applicato solo marginalmente e già rivisto per il prossimo quinquennio fortemente al ribasso, in base alle direttive Cipe e grazie alla riduzione degli spread. Ma ripeto, sono le modalità standard di calcolo del rendimento del capitale per tutte le utility».
intervista di Roberto Mania a Giovanni Castellucci-Atlantia

È una periferia complessa, che da più di cent'anni viene usata per fare e disfare lo sviluppo di Genova, e ha stratificato epoche industriali di espansione e di crisi distruggendo il tessuto umano e sociale. Difficile da “rammendare”, per usare un termine a lei caro...
«Le città fanno questo, crescono costruendo sul costruito. È un grande tema che non è associato soltanto al ponte crollato. Il paradosso è che per questa periferia c'era un progetto finanziato, ma il Parlamento con il Milleproroghe ha rinviato al 2020 i fondi stanziati per il piano nazionale delle periferie».
Renzo Piano

Tornando alla perizia tecni­ca stilata dall'ingegnere si leg­ge ancora "... una degradazio­ne della struttura in cemento armato molto rapida in alcune parti... molto di più di quanto ci si potesse aspettare...”. In particolare, “...gli scarichi dell'acqua e le infiltrazioni (nell'81 l'asfalto non era imper­meabile e drenante, ndr) agi­scono sui giunti... si riflettono con lesioni trasversali più visto­se verso il mare... creano pro­blema sulla staticità dell'opera...”
Dalla relazione tecnica con­segnata ad Autostrade non si comprende bene quale sia la ra­gione di un degrado così acce­lerato, anche se Morandi “aldi­là del tipo di opera e di tecnica utilizzata”, fa riferimento “all'ubicazione (in linea d'aria distante 500 metri dal mare, ndr) e all'aumento di traffico”. Va ricordato che nel 1964 (data di progetto) sul viadotto transi­tavano 6000 veicoli al giorno, nell'81 già 60mila, oggi vi passa­no 160mila auto e 13mila tir.
Questa documentazione va ad incrociarsi con le prime ipo­tesi dei consulenti della Procu­ra circa la dinamica del crollo. Gli stralli, ovvero i tiranti di cal­cestruzzo sono i principali so­spettati. E in particolare si deli­nea un possibile scenario. Una bolla d'aria interna al tirante di calcestruzzo, un difetto nella fase di “iniezione” del cemento che ingloba i trefoli, i cavi di ac­ciaio, che si sarebbero così ar­rugginiti e deteriorati con il passare degli anni.
Giuseppe Filetti Marco Preve

UN BIDONE COSTATO 43 MORTI


Ieri era programmata (di pomeriggio: era lunedì… bisogna fare arrivare a Roma gli onorevoli…) l’audizione del ministro penta stellato delle infrastrutture e dei trasporti il capellone Toninelli ed al mattino quei faccioni di Autostrade per l’Italia (ASPI) hanno reso noto la Convenzione Unica con il Concedente (da ottobre 2012 Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, già ANAS S.p.A.), con gli atti aggiuntivi e tutti gli allegati vigenti. E maliziosamente aggiunge che “La gran parte di questi documenti era stata già pubblicata sul sito web del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti il 2 febbraio 2018, mentre la totalità dei documenti stessi era stata già resa disponibile nella scorsa legislatura (maggio 2017) ai membri della Commissione Lavori Pubblici del Senato per consultazione.” Il tutto ha costretto i giornalisti a leggersi in fretta qualche migliaio di pagine e trarne le prime osservazioni per guadagnarsi la pagnotta con l’articolo. Nella colonna di destra cogli asterischi ci sono dei pezzi tratti dagli articoli.
 
Il primo scandalo che viene colto è che nel 2016 i “signori delle autostrade” hanno fatturato quasi 7 miliardi. Di essi, 5,7 miliardi derivano dai pedaggi autostradali. Allo Stato sono tornati appena 841 milioni. Più avanti: “il dato più significativo è quello relativo alla remunerazione del capitale. La convenzione concede ad Autostrade una percentuale di remunerazione del capitale del 10,21% lordo, che tolte le tasse diventa il 6,85%. Una percentuale considerata troppo alta dall'Unione Europea che nel 2017 aveva negoziato con Delrio nuove condizioni per prorogare la concessione fino al 2042: per tutti i “nuovi investimenti programmati” dal 2017 e fino alla fine del “periodo regolatorio” la remunerazione del capitale sarebbe dovuta essere tra il 4 e il 6% lordo. Tra il 2013 e il 2017, Aspi ha incassato 4,05 miliardi di utili”.
Dove stia lo scandalo è difficile da vedere dal momento che se hanno incassato lordi 5.700 milioni e ne hanno versato allo Sato 841 milioni di canone concessorio (14,75%) qualunque proprietario di un appartamento sarebbe contento di affittare il proprio  con quel rendimento. Difficile credere che un appartamento di 100mila euro renda 14.750 euro  di affitto all’anno. Perché su quei 14.750 euro… lo Stato non deve pagare le tasse mentre il normale cittadino si.
 
Ovvio che disporre in media di 15-16 milioni di incassi al giorno e ipotizzando pagamenti dei debiti a 60 giorni, ne viene che la società poteva disporre di un gruzzoletto prossimo al miliardo da giocare ogni giorno sui mercati finanziari: e hai voglia che fila di players ci fosse alla porta per partecipare al gioco.
 
Il viadotto Morandi ha un andamento est-ovest a cavallo del fiume Polcevera (che corre in direzione nord>sud. Ad est c’è il quartiere di Sampierdarena (sotto il viadotto un imponente scalo ferroviario ed il resto residenziale) mentre ad ovest c’è Cornigliano (zona industriale con la presenza di una grande acciaieria ed altri siti industriali).
Va detto che il disegno delle tre pile del viadotto (10-11-12) si inseriscono molto bene nel paesaggio urbano e –basta vedere il filmato di Riccardo Morandi dove spiega  i criteri statici secondo i quali è stato ideato progettato e costruita ogni pila- per comprendere come quello non fu solo un ponte progettato da un ingegnere, ma il “disegno” era congruo col paesaggio. Magari era meno congruo il resto del viadotto, quello con le pile da 1 a 9. In via Fillak pensi di trovare una 600 di 50 anni or sono piuttosto che una Yaris di oggi. Osservando le immagini del viadotto ci si rende conto di quanto fosse “corrosiva” l’aria che lo lambiva per l’estrema pulizia che presenta il cemento.
Dalla spiegazione di Morandi nel filmato si coglie l’estrema semplicità della statica delle tre pile  “incriminate” e dell’insieme del piano di scorrimento dei veicoli. Ovviamente bisogna tenere conto che venne ideato e progettato dal 1960 al 1965 e costruito entro il 1967.
I dodici stralli incriminati a mio avviso non contenevano-contengono cavi tesi come quelli delle travi precompresse (come si legge sulla stampa) ma Morandi non volendo creare “uno zoccolo e una scarpa” cioè un ponte di calcestruzzo tenuto su da cavi a vista, decise che i cavi fossero annegati dentro gli stralli di calcestruzzo e per fare agli stessi (stralli) un disegno  di maggiore eleganza e leggerezza, questi partivano dall’ancoraggio al vertice della pila in un monoblocco e terminavano alla base in due sezioni distinte. Poiché il calcestruzzo resiste zero alla trazione, i cavi dentro gli stralli erano isolati dal contenitore di calcestruzzo con del materiale che in breve tempo si consumerà esponendo in questo modo i cavi ai fenomeni corrosivi  del pessimo ambiente che nel frattempo si stava creando (in primis l’acciaieria e la salsedine).Nel 1994 lo scrive lo stesso Riccardo Morandi:Le superfici esterne delle strutture, ma soprattutto quelle esposte verso il mare e quindi più direttamente attaccate dai fumi acidi dei camini, iniziano a mostrare fenomeni di aggressione di origine chimica. È in atto una perdita di resistenza superficiale del calcestruzzo". Morandi quindi suggerisce l'impiego di elastomeri e resine per proteggere le parti soggette a corrosione”.
 
 
Nel numero di luglio/settembre 1994 della rivista “Autostrade” viene pubblicato un articolo che illustra il procedimento di verifica dei 12 stralli delle pile 10-11-12 (il 12 è quello più vicino al monte mentre il 10 è quello crollato). Di questo articolo adesso noi possediamo solo alcune pagine (fotografate con un cellulare) e fra qualche giorno dovremmo riceverlo intero.
Le condizioni dei cavi inseriti nella cassaforma di calcestruzzo venne provata con la misurazione della corrente passante. Minore era la sezione e minore era la conducibilità rilevata. Il più compromesso risultò subito lo strallo numero 11 che era nella pila verso Sampierdarena (est) mentre la pila 10 è quello verso Cornigliano (ovest).
Siccome non si potevano demolire gli stralli esistenti venne presa la decisione di affiancare a quello esistente un fascio di cavi posti all’esterno e tenuti fermi attraverso un telaio di contorno dello strallo esistente. Venne anche istallato un impianto elettrico per misurare stando in basso lo stato dei cavi vecchi e nuovi sempre attraverso misurazione della conducibilità. Per ragioni costruttive tutti gli stralli della pila 12 vennero rinforzati nel 1993-94 mentre per gli altri non venne fatto nulla. Nel 1999 il ponte verrà dato in concessione alla nuova società. Per adesso non si conosce la spesa della re imbragatura dei 4 stralli della pila 12 all’epoca dei lavori.
Però si conosce che l’intervento (sugli stralli della pila 10: quella crollata) di cui si stava procedendo all’appalto era di 20 milioni (di oggi).
Non ci vuole molto a concludere che per cinque anni l’ANAS  non decise di investire 20 milioni (di euro) per  mettere in sicurezza gli altri otto stralli (delle pile 10-11) così come neppure l’ASPI dal 1999 ad oggi non ha investito un euro per quell’operazione.
Come abbiamo già scritto, in buona sostanza  venne dato un concessione un viadotto che “non stava per nulla in buone condizioni” nel furbo silenzio dell’ANAS che sbolognava via una rogna costosa da risolvere e nella furba posizione di un concessionario che badava soprattutto alla enorme quantità di cassa che i pedaggi gli mettevano a disposizione e poi … c’era da pensare che l’italico stellone non dimenticasse Genova la superba.
Cinque anni perditi dall’ANAS e 19 persi dall’Aspi fanno 43 vittime e qualche miliardi di danni. Viva l’Italia.