IL TONINELLI A SUA INSAPUTA
IL SALVINI A SUO NON RICORDO
Quando abbiamo letto il primo articolo di Fabrizio Gatti sull’Espresso
rispetto alla strage di Genova ci colpirono due aspetti. Il primo
quello di natura burocratica tecnica: “La strage del ponte Morandi a
Genova non può essere una sorpresa. Il ministero delle Infrastrutture,
la Direzione generale per la vigilanza sulle concessionarie
autostradali a Roma e il Provveditorato per le opere pubbliche di
Piemonte-Valle d'Aosta-Liguria a Genova, insieme con Autostrade per
l'Italia della famiglia Benetton, conoscevano perfettamente la gravità
del degrado del viadotto collassato la mattina di martedì 14 agosto,
provocando la morte di 43 persone. Almeno sette tecnici, cinque dello
Stato e due dell'azienda di gestione, sapevano infatti che la
corrosione alle pile 9 (quella crollata) e 10 aveva provocato una
riduzione fino al venti per cento dei cavi metallici interni agli
stralli, i tiranti di calcestruzzo che sostenevano il sistema
bilanciato della struttura. E che nel progetto di rinforzo presentato
da Autostrade erano stati rilevati «alcuni aspetti discutibili per
quanto riguarda la stima della resistenza del calcestruzzo». Nonostante
queste conclusioni, in sei mesi da allora né il ministero né la società
concessionaria hanno mai ritenuto di dover limitare il traffico,
deviare i mezzi pesanti, ridurre da due a una le corsie per
carreggiata, abbassare la velocità.
Nell’articolo ci apparve immediatamente come il groviglio di tecnico
pubblici e privati che erano stati al capezzale del viadotto poneva
parecchi problemi di conflitti di interessi tra tecnici publici e
privati gli uni che di volta in volta collaboravano con gli altri ,che
l’articolo stesso manteneva in un qualche modo defilati.
Ed ecco l’articolo due di Gatti in cui si legge che “Sul crollo del
ponte Morandi a Genova indaga un dirigente del ministero delle
Infrastrutture pagato fino al 2013 per prestazioni professionali da
“Autostrade per l'Italia”, la società di gestione accusata dal governo
di essere responsabile della strage. Bruno Santoro, 50 anni, ingegnere,
è tra gli ispettori scelti di persona dal ministro Danilo Toninelli per
formare la commissione che da giorni sta conducendo l'inchiesta tecnica
e amministrativa sul disastro. La singolarità è doppia perché dal 2015,
cioè appena due anni dopo la fine del rapporto con Autostrade, al 2018
Santoro è anche direttore della “Divisione 3 – Qualità del servizio
autostradale” nella Direzione generale per la vigilanza sulle
concessionarie autostradali, cioè il massimo organismo di sorveglianza.
E dal marzo di quest'anno è direttore della “Divisione 1 – Vigilanza
tecnica e operativa della rete autostradale in concessione”, nella
stessa Direzione generale del ministero”. Sono quindi tre su sei i
commissari nominati da Toninelli direttamente testimoni dei rapporti
dello Stato con società Autostrade o delle procedure che non hanno
impedito il disastro: un eufemismo per dire che prima o poi dovranno
esaminare anche il proprio operato. Il primo dei tre è il presidente
della commissione ispettiva, l'architetto Roberto Ferrazza. Il secondo
è il professore associato della facoltà di ingegneria dell'Università
di Genova, Antonio Brencich. Ferrazza e Brencich il primo febbraio
scorso, rispettivamente da presidente e da relatore esperto, hanno
firmato il verbale del comitato tecnico amministrativo che ha approvato
il progetto di ristrutturazione del ponte Morandi : pur consapevoli
della “riduzione d'area totale dei cavi dal 10 al 20 per cento” e
rilevando “alcuni aspetti discutibili per quanto riguarda la stima
della resistenza del calcestruzzo”, né loro due né altri componenti del
comitato hanno ritenuto di dover prescrivere misure di sicurezza come
la deviazione del traffico pesante e la riduzione delle corsie di
marcia in attesa del completamento dei lavori”. Il terzo tra i sei
commissari è, come si scopre oggi ma per ragioni diverse, il dirigente
della Direzione generale per la vigilanza sulle concessionarie
autostradali. L'ingegner Santoro, insieme con numerosi altri colleghi,
appare nell'elenco del ministero delle Infrastrutture per gli
“Incarichi autorizzati e conferiti ai dipendenti nel corso dell'anno
2009”. La sua è una prestazione professionale per “Direzione e
coordinamento lavori, collaudo e manutenzione opere pubbliche”.
L'incarico, iniziato il 30 ottobre 2009 e terminato il 30 ottobre 2012,
è stato retribuito al dirigente da “Autostrade per l'Italia” con un
importo di cinquantamila euro. A questo si aggiunge un secondo
conferimento che appare nella lista delle autorizzazioni del ministero
per il 2010. Si tratta di un incarico analogo per direzione e collaudo
dal 13 gennaio 2010 al 13 gennaio 2013 per un ulteriore compenso di
ventimila euro. Un totale di settantamila euro in quattro anni”. In
base alla normativa attuale nessuno di questi tre ha commesso un reato
o anche un semplice illecito amministrativo.
Ricordare che la classe politica penta stellata non sia all’altezza del
compito pare una battuta noiosa ma questi errori del ministro Toninelli
non possono essere imputati alla burocrazia del suo ministero che “lo
ha fatto a sua insaputa” dal momento che la prima responsabilità di un
ministro è politica ed anche alla casalinga di Voghera, nel frangete,
sarebbe venuta in mente una raccomandazione: non inserite nella
commissione nessuno che abbia avuto anche il minimo rapporto con
ASPI”. La massaia è più avveduta del ministro.
Una seconda osservazione che viene in mente è contro questo cucinare le
faccende sempre nel pollaio domestico. Fossi stato in Toninelli Conte e
i due vice –visto che stiamo nell’Unione Europea- proprio per non
cadere al primo passo in un mega conflitto d’interessi
avrei nominato un tecnico francese, tedesco, spagnolo ed anche
uno cinese tratti da quegli studi professionali che hanno nella loro
produzione progetti ed opere che hanno fatto la storia di questi
anni.
Invece siamo sempre agli amici degli amici ed ai colleghi che invidiano
i colleghi. Galli e galletti del pollaio universitario e professionale
italiano.
Quello spino di donna che è la Debora Serracchiani, che perlomeno ha al
suo attivo il governo di una regione (rispetto al trio Conte DiMaio e
Salvini che al massimo hanno governato il bilancio domestico, qualcuno
neppure quello perché ha ancora in bocca il latte di mamma) ha tuittato
lo screenshot di una votazione parlamentare della quale commenta: Nel
2008 Matteo Salvini votó a favore del cosiddetto "Salva Benetton", che
diede al gruppo le concessioni molto vantaggiose per Autostrade. (Il
PD, invece, votó in blocco contro questo decreto). Salvini Governava
con Berlusconi, ora non se lo ricorda più? Meglio rinfrescargli la
memoria.“ Salvini interrogato sulla vicenda –prima ha glissato
sulla difficoltà di ricordare tutti i fatti di dieci anni prima- ma poi
risponde "Sì ho firmato il Salva Benetton ma chi non ha vigilato deve
tacere". Nello screenshot della Serracchiani sotto al nome di Matteo
Salvini compare proprio quello di Giovanni Sanga che spiega: “Il
decreto salva Benetton di fatto modificava una norma che era stata
approvata nella legislatura precedente con Prodi (2006/2008) che
vincolava i concessionari a ulteriori adempimenti e in particolare a
delle verifiche periodiche. Con l’approva- zione di Lega e Berlusconi,
gli obblighi di questi controlli di fatto erano spariti. Poi è emerso
anche che i Benetton avevano versato alla Lega 150mila euro di
finanziamento elettorale in quegli anni. Sarà anche pura coincidenza ma
del resto noi viviamo un tempo in cui più che affrontare i problemi si
esasperano le situazioni: e allora da un lato abbiamo il vuoto di
memoria di Salvini e della Lega, dall’altro assistiamo all’incom-
petenza, per usare un eufemismo, del Movimento 5 Stelle e di Di Maio
che parlano di revoche contrattuali. Ma Di Maio quando mai ha visto un
contratto, una convenzione o una delibera in vita sua?
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ONESTA'
ONESTA'
Del custode delLa Latrina di Nusquamia, l'ing. Claudio Piga, sardAgnolo
di nascita ma oggi abduano con discendenze della Valcamonica, uno che
ha frequentato il classico in una scuola dei preti dove studiò pure
Antonio Gramsci di cui ne annusò le puzzette, è ferramente
incazzato nero con noi ed ha attivato anche la sua claque sostenitrice.
Pazienza.
Inizia così.” Anni fa, dovendo preparare una conferenza sulla storia
dell'arte tipografica, in particolare sui suoi inizi avventurosi (…),
mi recavo ogni giorno, tranne quelli di chiusura, per venti giorni di
seguito alla Biblioteca Angelo Mai. Il libro che dovevo consultare era
una “cinquecentina”, come si dice, di un certo pregio: ovviamente non
solo non era disponibile al prestito, ma dovevo leggerlo, e prendere
appunti, in una stanza a parte, sotto gli occhi del responsabile della
Biblioteca, com'è giusto. In via eccezionale, ebbi il permesso di
fotografarne alcune pagine: munito di una macchina fotografica russa e
lenti addizionali, riprendevo le pagine del libro posato su una
seggiola disposta su un terrazzino (non esiste terrazzini ndr ),
opportunamente orientata dietro una porta-finestra che dà su Piazza
Vecchia.” Del tutto casualmente l’opera risulterà pubblicata in
googlebook: ma non è colpa sua, asserisce.
Più avanti nella polemica scrive che “tenni gratuitamente la
conferenza, in occasione di una sessione delle Feriae latinae
organizzate da Clément Desessard, (…)”.
Fin qui la furbata del nostro non era-è evidente ai più e la
confessione completa arriva più avanti quando per contestare la nostra
affermazione che Pinocchio non era in possesso di “uno straccio di
cacata carta in forma di laurea che [lo] autorizzi a fare l'esperto di
composizione tipografica». (…) viene al dunque: tutti possono occuparsi
di arte tipografica e, ovviamente, ci sarà chi ne capisce di più e chi
meno. Fra coloro che ne capiscono di più ci siamo noi che abbiamo avuto
un'educazione sia umanistica, sia tecnica. Quanto al mio caso
particolare, al tempo in cui preparai quella conferenza ero titolare di
uno studio editoriale a ciclo completo, specializzato nella produzione
di libri scientifici e filosofici. Tra i miei clienti c'erano la Bruno
Mondadori e il Saggiatore”.
La gatafresusa la fa i migni orb dicono i bergamaschi. Sintetizzando:
nel momento in cui Pinocchio si mette a frequentare per venti giorni
consecutivi (giorni di chiusura della biblioteca esclusa: sic!) la
biblioteca per studiare l'opera e poi va in Costa Azzurra a fare la
conferenza “aggratis”, Pinocchio si dichiara titolare di uno studio
editoriale a ciclo completo, specializzato nella produzione di libri
scientifici e filosofici. Vale a dire uno destina un mese di
lavoro ed anche parecchie spese (basti pensare ai 50 km quotidiani di
AR + l'autostrada ed al viaggio fino in Costa Azzurra) per
recarsi a fare una conferenza di arte tipografica lui che in quel
momento è “titolare di uno studio editoriale a ciclo completo,
specializzato nella produzione di libri scientifici e filosofici. Tra i
miei clienti c'erano la Bruno Mondadori e il Saggiatore”.
Pinocchio nega la nostra osservazione che in quel frangente, proprio
per la natura della conferenza e la sua attività professionale , si
trattava di autopromozione (della propria attività) fatta sfruttando un
testo di tutti gli Italiani senza pagarne i diritti d'utilizzo.
Ma questo svicolare furbescamente dai propri doveri di contribuente non
ha nella carriera del nostro Pinocchio questo solo evento. Come abbiamo
già scritto, qualche anno or sono c’era (e c’è ancora?) un sito
internet della coppia Angelo Gandolfi e Claudio Piga dal marchio
DAEDALUS LAB di Angelo Gandolfi e Claudio Piga che propone per la
clientela progetti e comunicazione per le imprese, per la cultura, per
le persone. Il Laboratorio viene indicato in via Tullio Buelli 8 -
24035 Curno. Che è il negozio di fiorista del padre del Gandolfi.
Questa impresa del duo Piga&Gandolfi aveva tre caratteri: il primo
era la bassa qualità dei prodotti esposti come modelli (sembravano più
delle carteglorie da altare che dei volantini pubblicitari: chissà se
poi erano davvero delle aziende sui flayer…). L'impresa –nonostante i
precedenti professionali esibiti- chiuse in fretta i battenti. Il
secondo era che nella pagina web dove si propagandava l'impresa…
mancava la partita iva e l'iscrizione alla camera di commercio. Vero
che non sono dati obbligatori da esporre sul web, ma le imprese “vere”
lo fanno tutte. Loro invece no. Il terzo aspetto era che l'impresa
aveva sede… nel negozio di fiorista del padre dell'ex sindaco. Fatto
che configurava perlomeno un illecito edilizio giocato alle spalle del
padre. Quando ha dichiarato sboronando di essere (stato) titolare di
uno studio editoriale a ciclo completo, specializzato nella produzione
di libri scientifici e filosofici chissà come mai Daedalus Lab era una
cosetta clandestina senza partita IVA?. Non s'è nemmeno accorto che le
balle hann0 lo scroto corto.
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