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Di cosa parliamo in questa pagina.
Quattro riflessioni sulle tragedie di Bologna e Genova.
Riporto l'incipit dell'ultima.
Un'altra riflessione nasce da un'osservazione che possono fare tutti. Oggi se uno finisce in ospedale per qualche acciacco chi lo va a trovare lo consola con la frase di ritto “oggi la scienza ha fatto tali progressi che puoi stare sicuro”. Abbiamo una fiducia spropositata nella scienza e nella chimica nonostante che sia in corso da una decina d'anni una pericolosissima polemica contro i vaccini.
Invece “La sequenza di crolli di infrastrutture stradali italiane sta assumendo, da alcuni anni, un carattere di preoccupante regolarità“. Lo sottolinea in una nota l'Istituto di tecnologia delle costruzioni (Itc) del Cnr. “L'elemento in comune è l'età (media) delle opere: gran parte delle infrastrutture viarie italiane (i ponti stradali) ha superato i 50 anni di età, che corrispondono alla vita utile associabile alle opere in calcestruzzo armato realizzate con le tecnologie disponibili nel secondo dopoguerra (anni '50 e '60)”, continua l'Istituto. In pratica”decine di migliaia di ponti in Italia hanno superato, oggi, la durata di vita per la quale sono stati progettati e costruiti”.


































Non ci sono altre parole da aggiungere a quelle che la stampa ha già messo nero su bianco in queste ore ma nei prossimi giorni (forse…) leggeremo delle riflessioni più approfondite del nostro (nostro come cittadini del mondo) modo di intendere il progresso la scienza la produzione (anche costruire un ponte è una produzione). Stavo leggendo la pagina web di Repubblica quando è apparsa la notizia del crollo e –chissà perché: non me lo sono ancora spiegato, ci vorranno giorni perché lo capisca) mi è venuto in mente che l'incidente di Bologna “era stato ben peggiore”. Numericamente NON è vero: a Bologna si contarono “solo” un morto e 68 feriti. A Genova potrebbero esserci anche a 50 caduti. Un incidente tipo Bologna è possibile dappertutto ogni giorno se è vero che per esempio nella sola bergamasca circolano secondo gli ultimi dati disponibili relativi al 2017, circa 650 cisterne di gpl all'anno. Si prendono i consumi, che tra rete ed extra rete, indicano un quantitativo di 16.137 tonnellate all'anno di gpl e si dividono per i mezzi che li trasportano: nel caso di cisterne da 25 tonnellate l'una, il conto è presto fatto. Ma il trasporto può avvenire anche su mezzi più piccoli, senza contare che su gomma viaggiano altre sostanze comunque infiammabili o pericolose. Benzina per esempio.

La prima riflessione riguarda anche il nostro paese. Ci volle una lunga campagna di stampa per far decidere al sindaco Bianchi di ordinare l'emissione di una ordinanza per impedire il transito dalle Crocette al quadrifoglio con la Dalmine/Almè degli autocarri di portata superiore ai 35 quintali. Correva il 03 gennaio 1997 quando una autocisterna portoghese carica di anilina (l'anilina è una sostanza velenosa con possibili effetti cancerogeni (frase di rischio R40) ) diretta dalla Briantea alla SIGMA di Mozzo-Pascoletto si rovesciò nella cunetta laterale la rotonda delle Crocette.
Adesso quell'ordinanza non viene mai rispettata e una parte del traffico è cambiato anche per via dell'apertura dell'asse interurbano.
La proposta di istallare una telecamera alle Crocette per la lettura delle targhe per rilevare il traffico abusivo non è stata gradita da nessuna maggioranza. Forse aspettano che una cisterna di benzina si schianti contro le spalle del ponte ferroviario e faccia saltare in aria mezzo paese fino alla Merena?.
L'anno scorso  in gran pompa la sindaca Serra (e Gamba qualche mese dopo) suonarono –assieme all'ass.Cavagna che aveva rischiato la rielezione- la grancassa dell' affidamento della manutenzione dei beni comunali  mediante appalto ad una ditta esterna partendo dall'assunto che in questo modo il servizio sarebbe stato più efficiente e meno costoso. Non importa se –mai s'è compreso il perché- all'appalto così generoso parteciparono SOLO tre aziende due delle quali non erano granche della partita. L'architetto che aveva confezionato il progetto e l'appalto era il medesimo che l'aveva confezionato per Filago. La ditta che aveva vinto a Filago sarà la stessa che vincerà a Curno.
In tema di manutenzione dei beni comuni, leggiamo oggi sulle gazzette a proposito della tragedia genovese che quella struttura: non sarebbe stato una grande opera bisognosa di continua manutenzione com'era e com'è nei “patti” non scritti che sono alla base dei lavori pubblici in questo disgraziato Paese, sia che si tratti di rotonde, che di autostrade, che di ponti.
Ma questa situazione è stata in qualche modo gestibile fino a che queste strutture, costruite con simili criteri,  sono rimaste all'interno della mano pubblica, dei suoi assetti produttivi, ma anche politici e per quanto ci riguarda da vicino nella tragedia genovese, in mano all'Iri. Poi sono cominciate le privatizzazioni che quando si parla di servizi universali non riproducibili, come quello della rete dei trasporti, cambiano completamente le carte in tavola perché mentre i profitti sono praticamente assicurati in qualsiasi condizione, le spese di manutenzione fanno scendere i dividendi e le azioni, sono dunque ridotti all'indispensabile, tanto che spesso poi – tramite ingegneria  contrattuale – è sempre lo Stato che deve intervenire per metterci una pezza.
Così quel ponte nel 1999 passò dalla Società autostrade del Gruppo Iri che pure in alcuni campi era stata un leader tecnologico, nelle mani di un cosiddetto gruppo Schemaventotto, il sotto questo nome inquietante, da golpe piduista, riuniva banche, fondazioni bancarie, società assicurative sotto la guida del maggior azionista spendibile presso il pubblico, ossia Benetton. Il crollo degli investimenti fu quasi immediato anche perché con quel potere dietro le spalle era possibile strappare pedaggi più alti a fronte di sole promesse di investimento, tanto che il governo Berlusconi tentò nel 2003 di confondere le acque con un lifting, ribattezzando la vecchia Società autostrade in Autostrade per l'Italia, come se questo fosse bastato a cambiare le cose”.
La domanda che  i cittadini e gli amministratori curnesi debbono porsi è se con questa privatizzazione della manutenzione dei beni non sia sostanzialmente la privatizzazione dei beni stessi senza indennizzo (almeno le autostrade resero qualche soldo al Paese) e… non ci esponga per un domani a breve scadenza  alle medesime conseguenze.
Ma tanto vale: la politica ragiona non in termini di 50 anni ma di dieci volte di meno.
Già immaginiamo la risposta intelligente della politica: ma a Curno non abbiamo affidato manutenzione di viadotti che … non abbiamo. E già.


Un'altra riflessione nasce da un'osservazione che possono fare tutti. Oggi se uno finisce in ospedale per qualche acciacco chi lo va a trovare lo consola con la frase di ritto “oggi la scienza ha fatto tali progressi che puoi stare sicuro”. Abbiamo una fiducia spropositata nella scienza e nella chimica nonostante che sia in corso da una decina d'anni una pericolosissima polemica contro i vaccini.
Invece “La sequenza di crolli di infrastrutture stradali italiane sta assumendo, da alcuni anni, un carattere di preoccupante regolarità“. Lo sottolinea in una nota l'Istituto di tecnologia delle costruzioni (Itc) del Cnr. “L'elemento in comune è l'età (media) delle opere: gran parte delle infrastrutture viarie italiane (i ponti stradali) ha superato i 50 anni di età, che corrispondono alla vita utile associabile alle opere in calcestruzzo armato realizzate con le tecnologie disponibili nel secondo dopoguerra (anni '50 e '60)”, continua l'Istituto. In pratica”decine di migliaia di ponti in Italia hanno superato, oggi, la durata di vita per la quale sono stati progettati e costruiti”.
E in moltissimi casi “i costi prevedibili per la manutenzione straordinaria che sarebbe necessaria a questi ponti superano quelli associabili alla demolizione e ricostruzione: le cifre necessarie per l'ammodernamento dei ponti stradali in Italia sarebbero espresse in decine di miliardi di euro”.
Vale a dire: non è vero che tutto è eterno. Quello che  per molto tempo l'abbiamo ritenuto tale in realtà ha un “suo” tempo di vita dopo di che bisogna decidere che fare.
Che è poi il ragionamento fatto per cinquant'anni anche dalle varie amministrazioni del  Comune di Curno rispetto ai beni comunali. Per loro bastava una manutenzione scarsa malfatta casuale ridotta al minimo sopravvivenziale per arrivare alla fine a dovere o abbandonare (vedi vecchia Rodari, vedi le case popolari di via Sant'Jesus, vedi i due CVI) o (s)vendere quei beni in cambio della manutenzione. O disfarsene del tutto come accadrà quasi sicuramente del viadotto Morandi  a Genova.