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Di cosa parliamo in questa pagina.
Nella sua prima conferenza stampa dopo tre mesi di governio il PdC Conte ha usato solo verbi declinati al... futuro. Segno che finora non ha combinato nulla.
L'ass. Conti e quei suoi colleghi che credono alle sue bubbole ha sprecato oltre un milione di euro per eseguire piste ciclabili che... non vanno da nessuna parte. Non si comprende se le abbia fatte per fare lavorare progettisti e imprese, per fare bella figura (inutile), o semplicmenete perchè non sa quello che dovrebbe fare come assessore: non sprecare i denari dei cittadini.
Come se chi le fa le facesse come una onlus!.
Da Trump a Salvini passando per Erdogan o Putin fino in Siria o Iran tutti e solo maschi hanno in mano il nuovo potere. Per vedicarsi delle donne.
































La conferenza stampa di Conte non ha chiarito nulla di nulla, su nulla.

La conferenza stampa del Presidente del Consiglio arriva dopo settimane di dichiarazioni col contagocce e comunicazioni ridotte al minimo. Eppure, in oltre un’ora Conte è riuscito a non dire praticamente nulla di concreto, né sui contenuti della manovra, né sulle principali questioni all’ordine del giorno.

“Non ho assunto una posizione specifica su questo tema”. Probabilmente è questa la frase simbolo della conferenza stampa pre-ferie del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, un evento solitamente molto atteso e commentato, che quest’anno è invece scivolato via senza particolare clamore. Con buona ragione, va detto, perché davvero è andata in scena un’ora abbondante di “stiamo studiando”, “ci stiamo lavorando”, “stiamo analizzando i dossier”, “ne stiamo discutendo”. In sostanza, aiutato dalla ricorsività delle domande dei giornalisti (vaccini, Iran, Trump a raffica) e dalla formula che non prevedeva alcun contraddittorio (come ormai abitudine, non solo del “governo del cambiamento”), Conte è riuscito a non dire praticamente nulla di concreto, né sui contenuti della manovra e dunque su cosa intende portare a Bruxelles, né su TAV ("deciderà il governo"… E chi altrimenti?) e TAP, ma neanche su RAI, Ilva, Alitalia e via discorrendo. Reddito di cittadinanza? Flat tax? Aumento Iva selettivo? Pace fiscale? Quota 100? Nulla. Le sole eccezioni sono state rappresentate dal compiacimento sulla gestione dell'immigrazione e dalla smentita di retroscena che lo davano "irritato" con Salvini.Il Presidente del Consiglio si è tenuto sul “generico”, accompagnando ogni risposta a lunghe spiegazioni di senso (cos’è la Consob, a che punto sono i lavori del TAP) oppure ad amare constatazioni (“per quanto di mia competenza”, “ questo è il governo del cambiamento ma non può inventare gli strumenti della manovra economica”). Anche quando ha parlato di un piano organico da affiancare alla manovra si è limitato a un elenco di cose da fare, senza dire come, secondo quale logica, quali impegni e quali obiettivi: sburocratizzazione, riforma del codice degli appalti, revisione delle tax expenditures, riforma dei processi eccetera.Era lecito attendersi qualche risposta più chiara alla vigilia di una legge di bilancio fra le più complesse degli ultimi anni. Era lecito attendersi maggiore incisività da chi si è presentato al Parlamento sulle ali della retorica della rivoluzione in atto, ponendosi come l’uomo in grado di cambiare le forme e i modi della politica, trovare una nuova legittimazione popolare, portando i processi decisionali alla luce del sole, fuori dalle stanze dei palazzi del potere. Siamo invece al politicismo puro, al non detto, al governo a colpi di retroscena e indiscrezioni, alla religione dello spot, della frase a effetto. Siamo al rinvio costante e continuo a un "contratto di governo" che (per forza di cose) non può contenere tutte le risposte. Siamo al differimento delle decisioni "ad altri incontri", a "tavoli tecnici", a "valutazioni successive". Siamo al "cambiamo tutto e subito" che, di colpo, è diventato un "dobbiamo fare i conti con la realtà".Ma soprattutto, oltre due mesi dopo la formazione del governo, a oltre 5 mesi dalle elezioni, siamo ancora a: “L’Italia è il paese più bello del mondo, fra i ministri c’è un clima di lavoro molto buono, faremo di tutto per rendere gli italiani orgogliosi di questo cambiamento”.

Adriano Biondi
LE INUTILI PISTE CICLABILI DELL'ASS. CONTI

i di costruzione dell'enne sima inutile bretellina di pista ciclopedonale in via Fermi davanti al centro sportivo privato presso il passaggio a livello. Questa bretella parte dall'incrocio tra via Fermi-Donizetti ed arriva a piegare dentro via Marconi. In via Donizetti si collega con un altro pezzettino di bretella che fiancheggia tutto il centro sportivo e si interrompe circa a metà di via Donizetti davanti al fabbro. La più antica –quella su via Donizetti-non è mai stata utilizzata tranne da qualche pedone che…ci salta dentro per evitare di essere arrotato da qualche mezzo che sfreccia sulla via. Viene normalmente inondata ad ogni temporale in quanto funziona da scarico delle acque piovane della strada. Non si comprende come verrà collegata con quella di via Marconi vista la strettoia di via Mascagni alla nota “Casa Farina” sull'incro cio tra via Marconi-Natta.
Come non si comprende come sarà collegabile la pista che adesso gira di pochi metri da via Fermi dentro via Marconi in direzione del centro paese visto che un tratto di quella strada c'è un senso unico “in uscita” dal paese, cioè in senso contrario alla pista ciclopedonale. La nuova bretellina è stata finanziata dall'intervento per la creazione del compendio ex Bossong ed è pagata dalla ditta che ha realizzato il compendio di cui.
Questi due tratti di pista dimostrano (ancora una volta) lo spreco di risorse che l'ass. Conti e quegli ingenui di amministratori che gli danno ascolto compiono in danno dei curnesi dal momento che in questo modo sottraggono ENORMI quantità di risorse per fare opere che da decenni e per decenni non saranno utilizzabili perché… non vanno da nessuna parte. Nessuna delle piste ciclopedonali di Curno –tutte targate Conti- parte da un punto ed arriva in un altro posto che abbia un senso e un significato. Una concreta utilità. Sono mille bretelline fatte per spendere soldi (i cittadini NON hanno mai saputo quanto costino al metro quadrato: per esempio) ed alla fine oggi come oggi probabilmente Curno ha perso oltre un milione e passa di euro per dei pezzetti di piste che… non vanno da nessuna parte. Tanto valeva tenere ferme le aree, investire i soldi nelle opere NON finite (magari una scuola materna comunale…) e quando le aree disponibili consentivano la realizzazione di percorsi “finiti”, investire quel che era necessario sot
Sovranismo di genere
Da Trump a Salvini
Tutti maschi, solo maschi il nuovo potere si vendica delle donne


di Michele Serra

Maschi di razza bianca tra i venti e i quaranta – l’età della guerra – quasi tutti con i capelli cortissimi, giubbotti di pelle, felpe nere e occhiali neri, l’atteggiamento muscolare/marziale di chi presidia un territorio per allontanare un pericolo, respingere un nemico. Sono gli attivisti argentini di Pro Vida che manifestano contro la legalizzazione dell’aborto (foto pubblicata ieri su questo giornale), fronteggiando, falange di uomini, un corteo di donne. Ma per capire dove siamo, e di quale gruppo umano si tratta, ci vuole la didascalia.
Perché potrebbero benissimo essere, al primo sguardo, manifestanti polacchi o ungheresi o austriaci in supporto ai loro governi nazionalisti, o ultras di una delle tante curve di destra che, con poche eccezioni, governano negli stadi europei. Si tratta di un’antropologia piuttosto uniforme: etnicamente monocolore e maschile quasi in purezza, con sparutissime femmine a fare da supporter – mai, comunque, da leader.
A un colpo d’occhio vincolato alle tradizioni novecentesche parrebbe un’antropologia fascista, o fascistoide. In Europa abbiamo imparato a chiamarli "sovranisti", e le debite differenze storiche, territoriali, politiche, se non si vuole cadere nel luogo comune, vanno sicuramente fatte. Ma alcuni ingredienti ideologici si ritrovano ovunque, tra i supporter di Trump come tra quelli di Putin, di Orban, di Salvini. Il mito del Popolo come entità innocente corrotta dalle élite borghesi, la Nazione come fonte di purezza contaminata dal cosmopolitismo, la religione cristiana intesa come omaggio alle tradizioni, non certo come impegno solidaristico, una sempre meno malcelata omofobia, un diffuso antisemitismo, un vigoroso, quasi festoso antifemminismo, come se qualcuno avesse finalmente levato il coperchio al pentolone ribollente della frustrazione maschile.
Questo ultimo aspetto – il revanscismo maschile – è esplicito nel caso di Pro Vida e di tutti i movimenti analoghi, per i quali l’autonomia del corpo femminile è un attentato non "alla vita" – come dice una propaganda che di fronte all’aborto clandestino non ha mai fatto una piega - ma all’ordine patriarcale. Ma sarebbe il caso di considerarlo più estesamente, più attentamente, come una delle componenti fondamentali della grande revanche della destra politica (comunque la si voglia chiamare) in tutto l’Occidente.
È certamente lecito domandarsi quanto un’onda reazionaria di queste dimensioni attinga dagli errori delle democrazie, e/o dalla rigidità dogmatica di certi sbocchi del politicamente corretto: basti
pensare alla scia non sempre limpida del movimento #MeeToo e allo zelo persecutorio contro molestie sessuali forse non così efferate da meritare la riesumazione venti o anche trent’anni dopo. Ma le dimensioni e la compattezza del neo maschilismo di destra sono tali da far capire che non possono essere, a nutrirlo, i codicilli e le fumisterie di quell’imponente corpus di libertà e giustizia che è il processo di autodeterminazione delle donne. C’è, evidentemente, qualcosa di molto più profondo e molto più sostanziale, a provocare tutte queste adunate di maschi in posa da maschi: e questo qualcosa è l’autodeterminazione delle donne in sé, della quale l’interruzione di gravidanza è una delle pagine più complicate e più inevitabili, con la legalizzazione a fare da discrimine secco tra un prima di sottomissione e un dopo nel quale le scelte della femmina contano, scandalosamente, tanto quanto quelle del maschio.
Se vale l’ipotesi che siano l’insicurezza del maschio e la sua disperata voglia di rivincita, uno dei motori delle nuove destre in marcia, allora andrebbe percentualmente ridimensionata l’influenza che la crisi economica ha sull’aggressività montante da un lato; e sulla crisi della democrazia dall’altro. È un’influenza oggettiva, quella della crisi economica, e di grande rilievo: ma se ne parla sempre come dell’unica benzina che alimenta il motore delle destre nazionaliste, insieme all’additivo, potente, della paura dello straniero. Molto meno si parla del brusco processo di respingimento, sia esso cosciente o istintivo, che le donne subiscono all’interno degli assetti del nuovo potere. Del trionfo di quella quintessenza del maschio alfa che sono i nuovi leader populisti, i Trump, i Putin, gli Erdogan, giù giù fino a Orban e Salvini; della pallida presenza femminile (anche a sinistra...) negli ultimi scorci – così decisivi – della politica italiana; degli undici maschi su undici nello staff social di Matteo Salvini; della presenza marginale, e quasi mai menzionata, delle donne nel nuovo agone mediatico, che sembra costruito a misura di maschio a partire dalla vocazione all’insulto, alla sopraffazione, alla prova di forza che soppianta ogni dialettica e ogni riflessione. Di più "maschile", nel novero dei paesaggi sociali e dei passaggi storici, rimane solamente la guerra: alla quale, per linguaggio, per atteggiamento, perfino per abbigliamento, sembrano in qualche modo predisporsi i manipoli di giovani maschi già bene addestrati, in lunghi decenni di imbelle assenza dei governi (questo sì, un errore fatale della democrazia), nelle curve degli stadi di tutta Europa. E ade