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Di cosa parliamo in questa pagina.
Finora non si comprende ne la politica industriale ne quella delle infrastrutture del governo SalviMaio. Il che mette in allarme le imprese e l'Ue.
Salvini rincorre gli immigrati clandestini del mare e dimentica il caporalato sulla terraferma.Ovvio! Questi servono per essere sfruttati dai padroncini che lo votano.
Onestà! Onestà! grida il custode delLa Latrina di Nusquamia. Intanto mette su google un testo antico senza pagare i diritti alla biblioteca e copiandolo in maniera illegale.





































Previsioni del tempo del governo SalviMaio

Scrive Stefano Folli /Corriere della Sera che “È sempre più chiaro che il "contratto", ossia la pietra angolare programmatica su cui si fonda il governo giallo-verde, non può reggere a lungo. Non può, in altri termini, sostenere il patto bicolore senza un costante intervento correttivo e una guida politica che deve essere garantita dal premier Conte e solo da lui. Il "contratto" è costruito intorno all'idea, o meglio all'illusione, che il programma della Lega e quello dei Cinque Stelle siano sommabili in modo quasi meccanico. Per un punto rivendicato da Salvini ce n'è un secondo imposto da Di Maio: la "flat tax" e il reddito di cittadinanza, il freno all'immigrazione e le grandi opere cancellate o ridiscusse, l'abolizione della legge Fornero e il superamento del "Jobs Act"; e così via, un mattoncino accanto all'altro. I compromessi sono stati cercati a monte, durante la trattativa fra i due leader. Poi, una volta firmato, il patto è stato consegnato al presidente del Consiglio Conte — che ha partecipato all'ultima fase della messa a punto — con l'incarico di attuarlo. Naturalmente la realtà si è presa la sua rivincita, nel senso che la semplice somma di interessi diversi non funziona e, a quanto se ne sa, non ha mai funzionato nemmeno altrove”.
In parallelo scrive Dario Di Vico (sempre sul Corriere) che “La prima vera crepa dentro il governo bicolore si è aperta, dunque, sulle grandi opere. Ed è interessante analizzarla perché ha una valenza che va al di là del tema, pur rilevante, in discussione. Sembra dimostrare come il contratto di governo non fosse la sintesi dei programmi dei due partiti vincitori del 4 marzo ma una sorta di «somma al lordo» degli impegni presi con i rispettivi elettorati o meglio con le varie constituency, piccole e grandi, che li componevano. Una «somma al lordo» perché non sceglieva le priorità in base a un obiettivo condiviso e perché teneva al di fuori di quell'elaborazione il sacrosanto principio di realtà. Per dirla in soldoni la crepa sulle grandi opere dimostra come l'esecutivo presieduto da Giuseppe Conte non abbia un'idea comune sullo sviluppo italiano e pur presentandosi come governo di legislatura non ha in mente cosa debba essere, pur a grandi linee, l'Italia del 2023”.
E se Stefano Folli conclude che “Sulla legge di bilancio e sulla ricerca di nuove risorse per gli investimenti (e per finanziare il programma: dalla "flat tax" alle misure anti-povertà) si deciderà non tanto la stabilità del governo, quanto il futuro stesso dell'esperimento giallo-verde. Si avverte non solo il nervosismo dei mercati, ma soprattutto una crescente ostilità in Europa” Dario di Vico conclude che “ mentre il teatrino della politica privilegia il dibattito con le tribù dei No-Tav e dei No-Tap l'economia reale non sta ferma. Quello che abbiamo definito «il nuovo triangolo industriale» Treviso-Bologna-Milano chiama politiche innovative che abbraccino logistica, integrazione dei mercati del lavoro (per evitare il disallineamento tra domanda e offerta), un nuovo rapporto tra le cittadelle del sapere e i distretti manifatturieri. Ma c'è di più: la rivoluzione delle filiere non ha riguardato (ovviamente) solo i flussi nazionali ma sta ridisegnando i rapporti tra i sistemi economici nazionali. Quanta parte del nostro Nord è inserita in quella che semplificando possiamo chiamare «l'area economica tedesca allargata»?.
La conclusione potrebbe essere quella prospettata dal loro collega Massimo Riva:
“Per uscire dall'Unione europea non c'è solo la strada maestra intrapresa dai britannici, seguendo la via prevista all'uopo nei Trattati. Un altro possibile percorso è quello del procedere con una serie di singoli passi — ciascuno dei quali di peso circoscritto — fino a creare una massa critica di devianze tale da rendere l'abbandono dell'Ue un dato di fatto, anche senza che subentri la sanzione politica formale. Si tratta di una strada più subdola di quella britannica, ma che nel tempo può rivelarsi non meno risolutiva. Ed è quella verso la quale oggi sembra sotterraneamente inclinare l'attuale governo grillo-leghista in Italia.”.
Vero è che sottovalutare l'avversario  in politica è sempre un errore ma non pensiamo che il governo Salvimaio abbia al suo interno un'intelligenza politica di tale livello. Pare che il problema principale di questi sia quello di occupare tutte le caselle ed accumulare i vantaggi che ne derivano –poi vediamo com'è finita la Lega…- senza un disegno complessivo salvo quello di raccontare balle a tutto spiano –si leggano le ultime esternazioni del DiMaio sui costi della TAV, del tutto inventate- facendole passare per verità dopo l'occupazione della RAI. Perfino col “decreto mille proroghe” anziché prorogarne il meno possibile e stimolare così crescita e occupazione si rimanda tutto di uno o due anni senza verificare quanti siano pronti a investire e quanti se ne siano stati seduti ad aspettare. Scrive il SalviMaio: Sarà infatti possibile sbloccare 140 milioni di euro per l'anno 2018, 320 milioni di euro per l'anno 2019, 350 milioni di euro per l'anno 2020 e 220 milioni di euro per l'anno 2021 grazie a un Fondo per favorire gli investimenti degli Enti locali attraverso l'utilizzo dei risultati di amministrazione degli esercizi precedenti”. Ma è una balla dal momento che le risorse usate ora sarebbero state «sottratte dal bando periferie fatto dal governo pd». Inoltre lo sblocco non sarebbe una scelta politica, ma un atto obbligato dalla sentenza 247 del dicembre 2017, con la quale la Consulta stabilisce che il vincolo di pareggio del bilancio vale a livello non di singolo comune, ma di comparto (l'insieme dei comuni).
Stendiamo poi un silenzio pietoso sull'ILVA e sull'Alitalia dove ormai appare certa l'intenzione di farle tornare tra le aziende statali.

De ortu et progressu artis typographicae dissertatio historica: ovvero come fare i soldi coi beni di tutti

Il custode delLa Latrina di Nusquamia, l'ing. Claudio Piga, sardAgnolo abduano con ascendenze garibaldine dalla Valcamonica che ha fatto –dice lui- il liceo dai preti a Cagliari (fe­licemente annusando le pozzette lasciate in aula  da Antonio Gramsci) e il Politecnico di Milano con la mitica Ajroldi Vasconi a insegnargli analisi matematica, deve ricordarsi che non ha uno straccio di cacata carta m forma di laurea che lo autorizzi a fare l'esperto di composizione tipografica. E' uno dei tanti bulletti autodidatti che circolano in rete.
Il nostro ne ha combinata un'altra delle sue. Scrive da qualche parte della Latrina di Nusquamia: Anni fa, dovendo preparare una conferenza sulla storia dell'arte tipografica, (quindi ricevendone un compenso…) mi recavo alla Biblioteca Angelo Mai. Il libro che dovevo consultare era una “cinquecentina”, come si dice, di un certo pregio: ovviamente non solo non era disponibile al prestito, ma dovevo leggerlo, e prendere appunti, in una stanza a parte, sotto gli occhi del responsabile della Biblioteca, com'è giusto. In via eccezionale, ebbi il permesso di fotografarne alcune pagine: munito di una macchina fotografica russa e lenti addizionali, riprendevo le pagine del libro posato su una seggiola disposta su un terrazzino, opportunamente orientata dietro una porta-finestra che dà su Piazza Vecchia. Oggi quel libro si trova in Internet, si veda De ortu et progressu artis typographicae dissertatio historica.”
Comunque siano andate le cose, in Italia vige il principio per cui se pubblichi qualcosa che appartiene al patrimonio nazionale (pubblichi per fare soldi), devi avere una autorizzazione (del custode del bene) e pagare dei diritti stabiliti dal regolamento interno (della Biblioteca Angelo May in questo caso). L'”innocente” pubblicazione da parte del custode delLa Latrina di Nusquamia di quel testo, oltre a fargli incassare (più che probabile) un quid per ogni pagina vista a chi ha postato il testo (quindi al custode delLa Latrina di Nusquamia) è accompagnata dalla pubblicità di google e dalla profilazione da parte di google del visitatore.
Oltre all'evidente illecito di avere fotografato tutto il testo (lui dice con la benevola complicità del funzionario), siccome il custode delLa Latrina di Nusquamia ha fatto il classico, sapeva e sa benissimo l'uso malefico che google fa di tutto quel che gli striscia sotto il naso. Il regolamento interno della A.May prevede espressamente “Il rimborso relativo alla pubblicazione integrale a fini di lucro di un bene librario o archivistico verrà stabilito dal Dirigente, previo parere del Responsabile della Biblioteca, in base al progetto scientifico presentato.” Ancora: “l'utente ha facoltà di riprodurre digitalmente con mezzi propri i documenti chiesti in consultazione, nei limiti stabiliti dalla normativa vigente (Codice dei beni culturali e del paesaggio, Dlg del 22/01/2004 n. 42)”. Per fortuna che la pagina delLa Latrina di Nusquamia che ospita questa gabola parte col titolo: “Onestà, onestà…”.
Dov'é Salvini nella lotta al caporalato?
Vede solo gli immigati clandestini sul mare?

Intanto che il neoministro dell'interno Salvini combatte la sua battaglia contro quattro striminziti immigrati via mare, nelle campagne del Meridione d'Italia i caporali scorazzano impuniti per fornire manodopera a costo stracciato alle aziende agricole che debbono far arrivare i pomodori all'industria e la frutta alla GDO. Anziché pensare di trovare un salvacondotto per le aziende che continuano ad operare in nero, mediante il ripristino dei voucher, il Governo dovrebbe  attuare tutti gli strumenti possibili per sostenere il pieno rispetto dei contratti di lavoro e delle leggi. Bisogna intensificare i controlli sulle strade, non è pensabile che le foto dei furgoni rubati, carichi di braccianti irregolari, assoldati da caporali a disposizione di aziende compiacenti, facciano il giro del mondo sul web, ma gli stessi furgoni siano invece invisibili ai controlli degli organi preposti, sempre ammesso che i controlli sulle strade siano sufficienti. Di questo Salvini non si preoccupa nonostante tocchi a lui vigilare con le varie forze dell'ordine sul rispetto della legalità.
Quattro braccianti sono rimasti vittime dello scontro frontale il 4 agosot tra un tir carico di pomodori e un furgone. L'incidente è avvenuto sulla strada provinciale 105 tra Ascoli Satriano e Castelluccio dei Sauri nel Foggiano. Nel furgone c'erano in tutto otto persone: tutti braccianti stranieri che avevano appena terminato di lavorare nei campi proprio per la raccolta dei pomodori. Gli altri quattro sono tutti rimasti gravemente feriti e sono stati trasportati agli Ospedali Riuniti di Foggia, dove è anche ricoverato il conducente del tir, ferito solo lievemente.
Si chiamavano  Amadou Balde (Guinea Bissau), 20 anni, Aladjie Ceesay (Gambia) 23, Moussa Kande (Guinea Bissau) 27, Ali Dembele (Mali), il più vecchio, 30 anni.
Dodici persone - tutti braccianti agricoli migranti - sono morte in un incidente stradale il 6 agosto avvenuto sulla strada statale 16, nella località Ripalta, nel territorio di Lesina, nel Foggiano, nel pomeriggio di lunedì. A quanto si è saputo, lo scontro si è verificato, per cause in corso di accertamento, tra un furgone con targa bulgara che trasportava numerosi braccianti agricoli, tutti migranti, che tornavano dalle campagne dove avevano raccolto pomodori, ed un tir. Secondo la prima ricostruzione a bordo del mezzo erano in 14, probabilmente viaggiavano in piedi, stipati in un furgoncino che poteva trasportare al massimo otto persone e che si è capovolto sull'asfalto dopo lo schianto. Finora sono stati identificate 7 delle 12 vittime: sono tutti migranti regolari.
«Se non muori nei campi, ti succede per strada. E devi pagare anche 5 euro per frarti trasportare dai furgoncini della morte». Yvan Sagnet, il camerunense di 33 anni che nel 2011, a Nardò, si ribellò ai caporali, conosce bene le campagne di Puglia. E il lungo filo rosso che le unisce, dal Salento alla Capitanata. Il rosso non è solo quello delle angurie e dei pomodori che in estate si raccolgono nell'entroterra della regione più conosciuta per le spiagge del Salento e del Gargano che per la piaga del caporalato. Il rosso è anche quello del sangue.
«Anche i 16 morti sulle strade di Capitanata di questi giorni — ed eccolo il punto di arrivo della striscia — sono conseguenza di un sistema marcio che si fonda sull'illegalità e lo sfruttamento». Prima ancora che lo stabiliscano i giudici, per lui i 16 giovani neri e bianchi tutti arrivati in Italia per morire nel Tavoliere delle Puglie, sono vittime del caporalato: lo scontro frontale sull'asfalto rovente dell'estate 2018 è solo una conseguenza. «Viaggiano su mezzi di trasporto insicuri, di terza e a volte anche di quarta mano, spesso non assicurati, difettosi e su strade pericolose, soprattutto in questo periodo in cui i Tir sono dappertutto».
Per raggiungere i campi di raccolta, i braccianti pagano anche un «biglietto» di 5 euro. «E così non dovrebbe essere, perché il trasporto andrebbe regolamentato e cofinanziato dalle aziende e dallo Stato», denuncia Sagnet.
Nel Tavoliere delle Puglie, il caporalato parte proprio dai furgoncini. Il listino prezzi, per braccianti africani e neo-comunitari (20 mila nella provincia di Foggia, 400 mila a livello nazionale) è identico: il trasporto con il furgone costa, appunto, 5 euro a testa e per ogni cassone da tre quintali di pomodori — pagato quattro euro e mezzo — il caporale trattiene 50 centesimi. E visto che nei furgoni si stipano anche in venti e che ogni bracciante riesce a riempire fino a quindici cassoni, il caporale incassa per ogni trasporto 250 euro al giorno. Spesso riesce a farne due e arriva a 500 euro. E se il lavoro abbonda, paga un autista 50 euro e per ogni viaggio aggiuntivo incassa altri 200 euro.
Il contratto nazionale, inoltre, prevederebbe vitto e alloggio a carico del datore di lavoro ma invece i braccianti continuano a vivere nei ghetti e nei casolari di campagna, con l'unica eccezione di Casa Sankara, una struttura che può ospitare fino a 250 braccianti, a San Severo. Per il resto, il Gran Ghetto di Rignano, non appena chiuso dopo un devastante incendio nel 2017 (nel quale morirono due migranti), è stato sostituito da un altro adiacente, con meno braccianti (dai precedenti 2 mila si è passati a mille) ma in continua crescita. E a sud di Foggia continua a prosperare il ghetto di Borgo Mezzanone, dove lungo una vecchia pista di atterraggio abitano altri 1.500 immigrati.
A Foggia è arrivato il pdC Conte, inutile, ma non s'è visto Salvini e nemm