estranei alla storia
Alberto Asor Rosa
Fra le molteplici ambiguità, contraddizioni, zone oscure, pericolosità
nascoste dichiarate, minacce distribuite urbi et orbi, che
contraddistinguono il Movimento 5 Stelle e la Lega, e che la loro
partecipazione al governo centuplica ed esalta, c'è n'è una che a me
sembra sottovalutata e che invece potrebbe risultare decisiva.
Movimento 5 Stelle e Lega hanno in comune, anche se con qualche
differenziazione, la totale estraneità alla storia dell'Italia
repubblicana, dalle origini ( 1945- 1946) fin quasi a vent'anni fa,
quando il sopravanzare di Silvio Berlusconi contribuì potentemente a
mettere in crisi quel sistema, pur tuttavia senza arrivare a
cancellarlo del tutto (per l'esistenza di un'opposizione ancora forte,
culture antagonistiche diffuse, ecc. ecc.).
Voglio dire, in parole povere: per grillini e leghisti, lotta di
resistenza al fascismo e al nazismo, nascita altamente conflittuale
della Repubblica, "invenzione" della Costituzione repubblicana, e
l'immagine, la "forma", che in seguito a tutto questo ha assunto lo
Stato repubblicano italiano, con i suoi peculiari attributi, e di
conseguenza ha caratterizzato la nostra storia nazionale per
cinquant'anni, non significano più nulla: nulla.
Questo è un collante poderoso per chi sta attualmente nel governo: i
due sono diversi, ma stanno dalla stessa parte. Difficile pensare che
si dividano su questioni anche importanti, visto che condividono questo
tratto comune.
Non è difficile allargare a questo punto il discorso. Si può dire che
per grillini e leghisti l'ignoranza più totale, anzi il più o meno
dichiarato rifiuto, di riallacciarsi a quella tradizione resistenziale,
antifascista e costituzionale, significhi anche il più o meno
dichiarato rifiuto di quella forma politico- istituzionale che
solitamente si definisce " democrazia rappresentativa"? Certo. Si può
dire: anzi, questo è il punto. Le ultime dichiarazioni in proposito dei
due inamovibili " proprietari" del Movimento 5 Stelle, Grillo e
Casaleggio, non lasciano dubbi. Ogni sparata di Salvini va in questa
direzione. Naturalmente, la "democrazia rappresentativa" è in crisi un
po' dappertutto nel mondo. Questo però non fa che aumentare il valore
del bene di cui stiamo parlando, e l'esigenza di una risposta nel
merito tutta italiana. Per pensarla e predisporla, bisogna secondo me
prendere coscienza del fatto che ciò di cui stiamo parlando non è
puramente e semplicemente quel che si definisce un normale "conflitto
politico": è un "conflitto di sistema", che contrappone — o dovrebbe
contrapporre — antagonisti che sentono d'ispirarsi a due diverse, anzi
contrapposte, "visioni del mondo".
Cioè: non basta più, per tornare a contare, mostrare i muscoli o
ridurre l'opposizione a un confronto punto per punto (necessario,
certo, ma utile e produttivo, solo se inserito in quel quadro più
generale). A questo ha già pensato Matteo Renzi, riducendo in frantumi
il partito da lui diretto (è un fatto positivo che qualcosa se ne sia
salvato, se cambia radicalmente il proprio orientamento). Con queste
metodologie, grillini e leghisti sono inattaccabili. Hanno tutti e due
il grande vantaggio di muoversi su di un terreno ( più) amico. Ciò di
cui stiamo parlando non avrebbe alcun senso, se le condizioni sociali
del paese fossero rimaste quelle della "vecchia" Repubblica, alla quale
una certa identità popolare forniva un chiaro sostegno a quel tipo di
scelte politico-istituzionali, di cui abbiamo parlato. Ora questa
identità popolare, questo " popolo", sono scomparsi, vittime
incolpevoli della grande crisi nazionale: ed è subentrato un nuovo
assetto sociale, il cui protagonista fondamentale è la cosiddetta "
massa". Non si può non riconoscere il rapporto che lega "massa" e
partiti di governo, e quindi anche la loro fortuna elettorale. Questo
vuol dire che anche presso la " massa" la " democrazia rappresentativa"
è ignorata, vilipesa e accantonata?
Affrontare questa nuova dinamica è, sarà difficilissimo. Con un
vantaggio di chiarezza, almeno in prospettiva. In un "conflitto di
sistema" chi sta di là sta di là; chi sta di qua sta di qua. Per
intenderci, sindacati e Confindustria in questo momento stanno in
Italia dalla stessa parte: perché rappresentano interessi democratici,
contro l'onda che cancella tutto. Insieme con il confrontarsi e
contendere, bisogna che la linea di confine sia, da tutte le forze che
rispondono a quella logica e a quel passato, difesa e tenuta. E intanto
cominciare seriamente a discutere e pensare cosa sia e cosa sia
augurabile che sia una "democra
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ASTERISCHI
Ieri e giovedì i segni tipici del ritorno di uno «short» sull'Italia si
sono visti tutti. Non tanto e non solo nel rendimento del titolo di
Stato a 10 anni, pure salito a metà mattinata oltre il 3%. Sono state
soprattutto le obbligazioni pubbliche in scadenza tra due anni a
rivelare la presenza dei ribassisti. I loro prezzi sono crollati, a
causa di vendite massicce, e i rendimenti sono raddoppiati dall0 0,73%
di martedì a una punta di 1,35% alle 16 di ieri.
Basta prendere come punto di riferimento il Target2, il sistema europeo
di pagamento. A giugno il saldo per l'Italia aveva toccato 480,9
miliardi di euro. Sono i soldi usciti dalle banche italiane verso
quelle del resto d'Europa. Il mese precedente, maggio, quel dato era
già salito da 426 a 464 miliardi dopo una fase di stabilizzazione. In
due mesi hanno quindi lasciato i confini dell'Italia quasi 60 miliardi.
E questo solo se si calcola il circuito europeo. Se si aggiunge il
resto del mondo, la cifra è ben più alta. Non a caso molti degli
analisti e degli investitori presenti all'incontro con Bagnai hanno
parlato di un esodo che si aggira complessivamente sui 100 miliardi al
mese (l'equivalente di tre o quattro leggi Finanziarie), se si
computano tutti i fattori di investimento.
E' però la prima volta, dopo la crisi del 2011, che il Target2 registra
un'impennata del genere. Solo nei mesi a cavallo tra il 2011 e il 2012
si è infatti assistito ad un balzo percentuale tanto intenso (nel 2011
l'esodo fu di 190 miliardi). E le previsioni relative a luglio - il
saldo sarà reso noto la prossima settimana - non sono certamente più
accomodanti, a a causa amche della contrazione decisa dalla Bce del
Quantitative easing Basta poi leggere il rapporto di Merril Lynch (il
Fund Manager Survey) relativo ai mesi di giugno e luglio per cogliere
l'aria che tira. Il 36 per cento dei gestori europei dichiara di voler
ridurre la propria esposizione sul mercato italiano e di volerla
accentuare in Germania e in Francia. Il primo effetto lo si può già
vedere sullo spread tra i Bund tedeschi e i Btp italiani che ieri ha
toccato l'allarmante quota 270. Quasi il doppio rispetto agli ultimi
mesi del governo Gentiloni (solo questo fattore sta portando ad un
spesa per interessi superiore per oltre 6 miliardi di euro). La
quotazione di larga parte di Btp o Bot già emessi risulta in flessione.
E le statistiche su quanti bond emessi dallo Stato passano di mano ne
sono il segno. Tra maggio e giugno il volume si è dimezzato.
Il deficit è solo uno dei problemi della politica economica di Lega e 5
Stelle. A mancare è un progetto di sviluppo per l'Italia, che incoraggi
investimenti e creazione di posti di lavoro. Nelle ultime settimane
abbiamo assistito alla confusa stesura del decreto Di Maio, approvato
giovedì sera alla Camera. In corso d'opera, il governo ha scelto di
mantenere l'impianto di mercato del lavoro costruito dal Partito
democratico, rifiutandosi di ripristinare l'Articolo 18 e confermando
gli sgravi contributivi per i più giovani. Tuttavia, altri elementi del
provvedimento, come la reintroduzione delle causali sui contratti a
tempo determinato, confermano che questo governo è poco interessato
alle difficoltà di chi fa impresa. Dalla Tap, alla Tav, all'Ilva, gli
imprenditori chiedono certezze. Per l'esecutivo, invece, è meglio non
decidere.
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IL GOVERNO DEL CAMBIAMENTO DI OPINIONE
Si dice che solo i cretini non cambiano mai idea. Motivo per il quale i
politici italiani, da tempo immemore, tendono ad essere prossimi al
puro genio. Per fare emergere questa intelligenza superiore in tutta la
sua geometrica potenza di fuoco, è sufficiente qualche minuto ed un
archivio di agenzia di stampa.
Prendete ad esempio la ormai celeberrima flat tax, che i leghisti
vorrebbero dare all’Italia. E pazienza che si tratti di qualcosa che
con la flat tax nulla c’entra, avendo due aliquote e quattro scaglioni.
Abbiamo già letto poderose scemenze relative non tanto al fatto che
andrebbe resa progressiva (quello deriva da dettato costituzionale), ma
che “qualcuno” (chessò, un Di Maio a caso) vorrebbe utilizzarla per
beneficiare i redditi più bassi. Cosa ovviamente impossibile, date le
aliquote previste.
Su questo tema, e non solo, oggi vi proponiamo l’autorevole opinione
(passata) del ministro per le Riforme a la cosiddetta democrazia
diretta, il pentastellato Riccardo Fraccaro. Il quale, a gennaio, di
fronte alla proposta dell’allora alleato di Matteo Salvini, sentenziava
in questi termini:
«Berlusconi è ormai una macchietta. Parla di una flat tax che
rischierebbe di far saltare i conti pubblici, oltre a essere
incostituzionale, e vorrebbe coprire le minori entrate con una
fantomatica lotta all’evasione. È involontariamente comico che una
ricetta del genere arrivi da un condannato definitivo per frode
fiscale, sembra una delle sue barzellette che non fanno ridere». Lo
afferma Riccardo Fraccaro di M5S. «In realtà sappiamo che i governi
Berlusconi hanno avuto il solo effetto di inasprire la pressione
fiscale e deprimere la crescita del Paese, condannandolo alla
stagnazione anche durante i primi anni 2000, cioè prima che scoppiasse
la crisi economica globale», conclude Fraccaro (Ansa, 15 gennaio 2018)
Quasi commovente, l’attenzione che Fraccaro poneva sui conti pubblici
ed il deficit. Ed anche la giusta stigmatizzazione del tentativo di
trovare coperture a minori entrate permanenti a mezzo di nuove entrate
incerte, come la leggendaria “lotta all’evasione”. Ma come siamo messi,
sei mesi dopo? Che “qualcuno” prima ha parlato di finanziare la flat
tax con un bel condono, a “saldo e stralcio”, mentre ora di quello
neppure si parla più mentre il condono servirebbe invece a “chiudere i
conti col passato” e permettere alle famigliole felici di ripartire con
serenità. Degli effetti distributivi regressivi della corrente ipotesi
di flat tax si è detto, ma non ci pare che qualche gemello di Fraccaro
abbia nel frattempo obiettato, come invece fatto a gennaio.
Nel frattempo, prendete e prendiamo atto del fatto che uno dei gemelli
Fraccaro ci informa che «Non c’è alcuna intenzione di presentare
una proposta costituzionale per introdurre il vincolo di mandato.
L’orientamento politico non è limitare la libertà del parlamentare
soggetto al capo politico o capo bastone». Lo ha detto il ministro per
le riforme Riccardo Fraccaro in audizione davanti alle Commissioni
Affari costituzionali di Camera e Senato. «Vogliamo favorire – ha
proseguito – una certa civile rappresentazione della volontà dal basso.
In concreto non intendiamo evitare la libertà di espressione del
parlamentare ma evitare inaccettabili cambi di casacca, che nella
scorsa legislatura sono stati 566, una distorsione del sistema
rappresentativo. L’obiettivo si può tranquillamente raggiungere – ha
proseguito – senza modifiche costituzionali, ma con modifiche
regolamentari, come il regolamento del Senato che avete cambiato nella
scorsa legislatura». «Auspico che le forze politiche lavorino su
questo» ha concluso (Ansa, 24 luglio 2018)
Ma benedetti figlioli, perché non lo avete detto prima? Siete degli
incompresi o, più semplicemente, parlate di argomenti che non
padroneggiate? Ah, saperlo. Quindi, prendete nota: niente vincolo di
mandato, almeno per oggi. La soluzione c’era già, dalla scorsa
legislatura. Dalle bombe ai petardi ai peti, il passo a volte può
essere breve.
Paolo Seminerio / Phastidio.net
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