Cda RAI: e chi paga il canone perchè non c'é nel Cda?
Freccero ebbe a definire la Rai come una sorta di welfare all’italiana.
Non si comprese bene se per chi pagava il canone oppure per chi ci
lavorava. L’introduzione dell’obbligo di pagare il canone RAI in
bolletta elettrica, introdotto da Renzi due anni or sono (una delle
cause delle sconfitte elettorali del PD specie nel centro sud) e che
nelle sue ultime battute sopravvivenziali ha proposto di abolire
sostenendo che consentirebbe alla TV pubblica di incassare di più dalla
raccolta pubblicitaria, innalzando i limiti del cosiddetto
“affollamento” pubblicitario. Grazie al balzello imposto a tutte le
famiglie italiane, Viale Mazzini ha raccolto dalle tasche degli utenti
qualcosa come 2 miliardi di euro nel 2016, ovvero il 75% del proprio
fatturato totale. Dalla pubblicità, invece, ha incassato “solo” 700
milioni, poco più di un terzo dei 2,058 miliardi di Mediaset, pari al
77% del fatturato di quest’ultima.
Detto questo lo statuto della Rai stabilisce che due consiglieri
debbano essere eletti dalla Camera e due dal Senato. Altri due
consiglieri sono nominati dal governo, mentre il settimo viene scelto
dai dipendenti della Rai. I consiglieri vranno scelti tra i candidati
che hanno inviato il loro curriculum per partecipare alla selezione
pubblica. Le candidature pervenute per il CDA 2018 sono più di duecento
. Tra gli altri, avevano presentato la candidatura i giornalisti
Michele Santoro, Giovanni Minoli e Fabrizio Del Noce, Dino Giarrusso
(l’ex inviato delle Iene e candidato non eletto del Movimento 5 Stelle
alle ultime elezioni) e quasi tutti i componenti del precedente
consiglio, escluso Guelfo Guelfi: quindi Rita Borioni, Carlo Freccero,
Arturo Diaconale, Giancarlo Mazzuca e Franco Siddi.
Quanta acqua è passata sotto i ponti da quando il 13 giugno 2013 Grillo
scriveva su suo blog che: Il finanziamento pubblico ai partiti, più
pubblico che non si può, non sono i 46 milioni di euro trattenuti dal
pdmenoelle, non i 38 trattenuti dal pdl, ma la Rai. Infatti, la
cosiddetta televisione pubblica è, come sanno anche gli uscieri di via
Teulada, in realtà proprietà dei partiti. Propaganda gratis a spese di
chi paga il canone e di tutti i contribuenti italiani che hanno, grazie
alle loro tasse, ripianato la perdita di 200 milioni di euro del 2012.
Senza questa Rai i partiti si estinguerebbero in una settimana. Le
palle raccontate dai loro galoppini a tutte le ore non infetterebbero
più le menti degli italiani. Il cielo diventerebbe sempre più blu. Il
costo della Rai dovrebbe essere addebitato integralmente ai tesorieri
di partito. E’ il loro megafono, la loro ragione di esistenza. I
telegiornali sono consigli per gli acquisti per il partito di
riferimento. Ogni giornalista che si rispetti ha il suo partito di
riferimento, la sua stella polare. Se lavori in Rai non puoi essere un
giornalista libero e se sei un giornalista libero non puoi lavorare in
Rai. La Rai è, di fatto, un finanziamento occulto ai partiti che la
usano come strumento di consenso. Se la usano, allora se la paghino.
Perché un cittadino deve sorbirsi i sermoni pro pdmenoelle di Fazio,
Floris, Berlinguer o quelli pro pdl di Vespa e doverli pure pagare”.
E dopo tanto chiasso siamo arrivati al cda 2018 col presidente Marcello
Foa trombato dalla “Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e
la vigilanza dei servizi radiotelevisivi” che “per puro caso” è anche
consigliere anziano e quindi deputato a presiedere l’organo in mancanza
del presidente. Il quale Foa, oltre a una storia politica pregressa
niente affatto cristallina nei suoi intendimenti e rapporti
istituzionali, si è affrettato a prendere possesso della stanza e della
poltrona “da presidente” salvo fessbuccare che –per decidersi- aspetta
le decisioni del ministro Tria.
Pure Marcello Foa tiene famiglia. Mentre il giornalista sponsorizzato
da Matteo Salvini, e bocciato alla presidenza Rai dalla commissione di
Vigilanza, per il momento dichiara che «continuerà a coordinare il cda
come consigliere anziano», suo figlio 24enne lavora proprio nello staff
della Comunicazione del ministro dell'Interno e vicepremier. A
scoprirlo è stato l'Espresso spulciando il profilo Linkedin di Leonardo
Foa. E dire che il 31 luglio, il candidato salviniano alla presidenza
di Viale Mazzini assicurava il suo «impegno a garantire l'autonomia dei
giornalisti per un'informazione di servizio pubblico» che fosse
«autorevole, indipendente e autenticamente pluralista. La Rai è una
risorsa per il Paese e non solo per l'informazione», aggiungeva
convinto, «risorsa che va onorata e difesa nell'interesse esclusivo dei
cittadini. Le logiche della partitocrazia sono estranee ai miei valori
e alla mia cultura che, invece, contemplano un solo impegno
incrollabile: quello nei confronti di un giornalismo libero,
trasparente e intellettualmente onesto, senza pregiudizi ideologici».
Ai giornalisti che gli chiedevano se la scelta di Leonardo Foa fosse
imbarazzante Salvini ha risposto «assolutamente no». C’è da credergli
che non sia imbarazzato: ne ha dette a fatte di peggio.
La coincidenza però potrebbe fare storcere il naso ai tanti supporter
di Marcello Foa, giornalista «sovranista» e dalla «schiena dritta»
sulla cui nomina Salvini ha ingaggiato una vera e propria battaglia di
principio (un po' come accadde con Paolo Savona) tanto da arrivare a
far scricchiolare il centrodestra. E forse creerà qualche maldipancia
ai sostenitori del Movimento 5 stelle, quelli che fino all'altro ieri
gridavano contro la politica in Rai, le parentopoli, le raccomandazioni
e contro la mancanza di meritocrazia. Una cosa però è certa. Questo
governo del cambiamento dà effettivamente spazio ai giovani. Il
ministro dello Sviluppo economico e del Lavoro Luigi Di Maio per
esempio ha nominato a capo della segreteria dei suoi ministeri la
giovane Assia Montanino da Pomigliano D'Arco. Brillante 26enne con una
laurea in Economia, nessuna esperienza e tanta onestà, Montanino - che
già aveva tentato di essere eletta col M5s nella sua città senza
riuscirci - guadagnerà oltre 70 mila euro l'anno.
Conclusione. Non si comprende come mai una RAI che sopravvive col
70-75% del canone versato da tutti i cittadini abbia il CdA nominato
nel modo indicato dalla legge. Perlomeno la maggioranza del CdA
dovrebbe essere eletta da chi versa il canone con delle liste proposte
dalle associazioni consumatori (non dai partiti!) . Siccome però la
figura più importante rimane però quella di amministratore delegato,
che resta in carica per tre anni. In virtù della riforma varata nel
2015 dal governo Renzi, infatti, Salini potrà nominare direttamente i
direttori di rete e delle testate giornalistiche come i telegiornali.
Inoltre, potrà assumere e promuovere dirigenti senza dover consultare
il cda. Il consiglio, da parte sua, ha il potere di sfiduciare
l'amministratore delegato. Quindi il CdA eletto dai chi paga il canone
dovrebbe avere la nomina del presidente e dell’amministratore delegato.
Forse (ma ancora: forse) in questo modo si toglie dalle ,ami dei partiti un po’ di RAI.
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Piano
del diritto allo Studio: una interminabile sequenza di iniziative che
ormai tra estate e periodo scolastico vanno ripensate UNITARIAMENTE
anziché metterle assieme come un puzzle. Per tenere la scuola aperta
davvero 11 mesi l’anno.
IL COMMENTO
La prima certezza sui risultati dei Piani del Diritto allo Studio
approvati dai comuni è che sono un potente incentivo all’occu pazione
soprattutto nel mondo delle cooperative e onlus di ogni colore. Invece
non si sono MAI viste le buste paga di chi presta lavoro (per i
comuni). Si parte dal principio che tutto quel che si fa per i pargoli
lo si fa per il loro bene e siccome chi lo fa ha tanto di diploma,
ragione per cui... dopo mezzo secolo di PdS il Comune di Curno non ha
mai fatto un’inchiesta ad hoc per verificare la reale efficacia di
questa spesa o questo investimento.
Si legge: Due nuovi progetti sono previsti nel Piano di Diritto allo
Studio per l'a.s. 2018/2019: una è la scuola di formazione per i
genitori, -un percorso dedicato alla fascia 0-13, che vedrà un
calendario di incontri organizzato dalle varie agenzie educative del
territorio, affiancate da psicologi e pedagogisti per accompagnare e
agevolare i genitori nel loro compito educativo per la crescita dei
bambini e dei ragazzi della nostra comunità; l'altro è il progetto
educativo integrativo “Oltre la Scuola”, diretto ai bambini che
frequenteranno le future classi prime della scuola primaria, e che si
svolgerà nei pomeriggi di martedì, giovedì e venerdì, non più coperti
da attività scolastiche in seguito alla variazione di assetto orario
deliberata dall'Istituto Comprensivo nel dicembre del 2017.
E già qui si vedono girare i dobloni da distribuire a qualche coop e
onlus che presenteranno -forse li hanno già presentati- progetti ad hoc.
L’abbiamo letto da qualche parte ma non abbiamo più i collegamenti. E
non si parla solo di scuole sempre aperte (che esistono e sono anche un
po’ finanziate dal 2016). Ormai «dovrebbe» esistere un progetto UNICO
che combina lungo TUTTO l’anno (quindi non solo l’anno scolastico o le
vacanze estive) in modo che tutte le strutture scolastiche sportive e
del tempo libero dei comuni funzionino integrando la spesa pubblica
(stato-regione) e quella del comune assieme a quella delle famiglie non
per collegare pezzi o spezzoni di iniziative ma per dare al tutto un
senso compiuto. L’idea di primo acchito fa venire un colpo perché
si pensa a tempi niente affatto positivi ma come sempre vale la pena di
vedere come si declina.
Insomma è arrivato il momento di dare il benservito ai diversi piani e
progetti che si allacciano collegano solo temporalmente per qualcosa di
meglio strutturato lungo undici mesi che non siano solo di galera
scolastica per i ragazzi e di libertà per i genitori.
Poi ci sono quelli delle superiori e quelli dell’università, che il PdS
sostanzialmente dimentica se non per briciole. Ma su questo nessun
comune ci sente perché li ormai lo scambio politico elettorale comincia
a non funzionare più e quindi che s’arrangino.
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