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Di cosa parliamo in questa pagina.
In tutta la vicenda della nomina  del nuovo CdA della RAI manca il tassello più importante: perchè il CdA della RAI non é eletto dalle associazioni dei consumatori che sono quelli che  pagando il canonene garantiscono il 70% delle entrate RAI?
Comunicato dell'assessora Rota che annuncia l'approvazione del Piano del Diritto allo Studio 2018-2019. Un ottimo piano per garantire occupazione (ai soliti noti?) e spese delle famiglie in cambio del tenere fuori casa il più possibile dei pargoli. Sarebbe ora, visto l'insieme di inziative  per i ragazzi nel periodo scolastico e quello estivo che "il tutto" venisse inglobato in un unico progetto di undici mesi e da mettere sotto controllo di una società che ne certifichi efficacia e qualità. Per adesso si spende e si spande senza che nessuno dica se sono soldi investiti o buttati. E questo lo si deduce facilamente dal voto "unanime" di maggioranza ed opposizione.





























Cda RAI: e chi paga il canone perchè non c'é nel Cda?
Freccero ebbe a definire la Rai come una sorta di welfare all’italiana. Non si comprese bene se per chi pagava il canone oppure per chi ci lavorava. L’introduzione dell’obbligo di pagare il canone RAI  in bolletta elettrica, introdotto da Renzi due anni or sono (una delle cause delle sconfitte elettorali del PD specie nel centro sud) e che nelle sue ultime battute sopravvivenziali ha proposto di abolire sostenendo che consentirebbe alla TV pubblica di incassare di più dalla raccolta pubblicitaria, innalzando i limiti del cosiddetto “affollamento” pubblicitario. Grazie al balzello imposto a tutte le famiglie italiane, Viale Mazzini ha raccolto dalle tasche degli utenti qualcosa come 2 miliardi di euro nel 2016, ovvero il 75% del proprio fatturato totale. Dalla pubblicità, invece, ha incassato “solo” 700 milioni, poco più di un terzo dei 2,058 miliardi di Mediaset, pari al 77% del fatturato di quest’ultima.
Detto questo lo statuto della Rai stabilisce che due consiglieri debbano essere eletti dalla Camera e due dal Senato. Altri due consiglieri sono nominati dal governo, mentre il settimo viene scelto dai dipendenti della Rai. I consiglieri vranno scelti tra i candidati che hanno inviato il loro curriculum per partecipare alla selezione pubblica. Le candidature pervenute per il CDA 2018 sono più di duecento . Tra gli altri, avevano presentato la candidatura i giornalisti Michele Santoro, Giovanni Minoli e Fabrizio Del Noce, Dino Giarrusso (l’ex inviato delle Iene e candidato non eletto del Movimento 5 Stelle alle ultime elezioni) e quasi tutti i componenti del precedente consiglio, escluso Guelfo Guelfi: quindi Rita Borioni, Carlo Freccero, Arturo Diaconale, Giancarlo Mazzuca e Franco Siddi.
Quanta acqua è passata sotto i ponti da quando il 13 giugno 2013 Grillo scriveva su suo blog che: Il finanziamento pubblico ai partiti, più pubblico che non si può, non sono i 46 milioni di euro trattenuti dal pdmenoelle, non i 38 trattenuti dal pdl, ma la Rai. Infatti, la cosiddetta televisione pubblica è, come sanno anche gli uscieri di via Teulada, in realtà proprietà dei partiti. Propaganda gratis a spese di chi paga il canone e di tutti i contribuenti italiani che hanno, grazie alle loro tasse, ripianato la perdita di 200 milioni di euro del 2012. Senza questa Rai i partiti si estinguerebbero in una settimana. Le palle raccontate dai loro galoppini a tutte le ore non infetterebbero più le menti degli italiani. Il cielo diventerebbe sempre più blu. Il costo della Rai dovrebbe essere addebitato integralmente ai tesorieri di partito. E’ il loro megafono, la loro ragione di esistenza. I telegiornali sono consigli per gli acquisti per il partito di riferimento. Ogni giornalista che si rispetti ha il suo partito di riferimento, la sua stella polare. Se lavori in Rai non puoi essere un giornalista libero e se sei un giornalista libero non puoi lavorare in Rai. La Rai è, di fatto, un finanziamento occulto ai partiti che la usano come strumento di consenso. Se la usano, allora se la paghino. Perché un cittadino deve sorbirsi i sermoni pro pdmenoelle di Fazio, Floris, Berlinguer o quelli pro pdl di Vespa e doverli pure pagare”.
E dopo tanto chiasso siamo arrivati al cda 2018 col presidente Marcello Foa trombato dalla “Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi” che “per puro caso” è anche consigliere anziano e quindi deputato a presiedere l’organo in mancanza del presidente. Il quale Foa, oltre a una storia politica pregressa niente affatto cristallina nei suoi intendimenti e rapporti istituzionali, si è affrettato a prendere possesso della stanza e della poltrona “da presidente” salvo fessbuccare che –per decidersi- aspetta le decisioni del ministro Tria.
Pure Marcello Foa tiene famiglia. Mentre il giornalista sponsorizzato da Matteo Salvini, e bocciato alla presidenza Rai dalla commissione di Vigilanza, per il momento dichiara che «continuerà a coordinare il cda come consigliere anziano», suo figlio 24enne lavora proprio nello staff della Comunicazione del ministro dell'Interno e vicepremier. A scoprirlo è stato l'Espresso spulciando il profilo Linkedin di Leonardo Foa. E dire che il 31 luglio, il candidato salviniano alla presidenza di Viale Mazzini assicurava il suo «impegno a garantire l'autonomia dei giornalisti per un'informazione di servizio pubblico» che fosse «autorevole, indipendente e autenticamente pluralista. La Rai è una risorsa per il Paese e non solo per l'informazione», aggiungeva convinto, «risorsa che va onorata e difesa nell'interesse esclusivo dei cittadini. Le logiche della partitocrazia sono estranee ai miei valori e alla mia cultura che, invece, contemplano un solo impegno incrollabile: quello nei confronti di un giornalismo libero, trasparente e intellettualmente onesto, senza pregiudizi ideologici». Ai giornalisti che gli chiedevano se la scelta di Leonardo Foa fosse imbarazzante Salvini ha risposto «assolutamente no». C’è da credergli che non sia imbarazzato: ne ha dette a fatte di peggio.
La coincidenza però potrebbe fare storcere il naso ai tanti supporter di Marcello Foa, giornalista «sovranista» e dalla «schiena dritta» sulla cui nomina Salvini ha ingaggiato una vera e propria battaglia di principio (un po' come accadde con Paolo Savona) tanto da arrivare a far scricchiolare il centrodestra. E forse creerà qualche maldipancia ai sostenitori del Movimento 5 stelle, quelli che fino all'altro ieri gridavano contro la politica in Rai, le parentopoli, le raccomandazioni e contro la mancanza di meritocrazia. Una cosa però è certa. Questo governo del cambiamento dà effettivamente spazio ai giovani. Il ministro dello Sviluppo economico e del Lavoro Luigi Di Maio per esempio ha nominato a capo della segreteria dei suoi ministeri la giovane Assia Montanino da Pomigliano D'Arco. Brillante 26enne con una laurea in Economia, nessuna esperienza e tanta onestà, Montanino - che già aveva tentato di essere eletta col M5s nella sua città senza riuscirci - guadagnerà oltre 70 mila euro l'anno.
Conclusione. Non si comprende come mai una RAI che sopravvive col 70-75% del canone versato da tutti i cittadini abbia il CdA nominato nel modo indicato dalla legge. Perlomeno la maggioranza del CdA dovrebbe essere eletta da chi versa il canone con delle liste proposte dalle associazioni consumatori (non dai partiti!) . Siccome però la figura più importante rimane però quella di amministratore delegato, che resta in carica per tre anni. In virtù della riforma varata nel 2015 dal governo Renzi, infatti, Salini potrà nominare direttamente i direttori di rete e delle testate giornalistiche come i telegiornali. Inoltre, potrà assumere e promuovere dirigenti senza dover consultare il cda. Il consiglio, da parte sua, ha il potere di sfiduciare l'amministratore delegato. Quindi il CdA eletto dai chi paga il canone dovrebbe avere la nomina del presidente e dell’amministratore delegato.
Forse (ma ancora: forse) in questo modo si toglie dalle ,ami dei partiti  un po’ di RAI.

Piano del diritto allo Studio: una interminabile sequenza di iniziative che ormai tra estate e periodo scolastico vanno ripensate UNITARIAMENTE anziché metterle assieme come un puzzle. Per tenere la scuola aperta davvero 11 mesi l’anno.

IL COMMENTO
La prima certezza sui risultati dei Piani del Diritto allo Studio approvati dai comuni è che sono un potente incentivo all’occu pazione soprattutto nel mondo delle cooperative e onlus di ogni colore. Invece non si sono MAI viste le buste paga di chi presta lavoro (per i comuni). Si parte dal principio che tutto quel che si fa per i pargoli lo si fa per il loro bene e siccome chi lo fa ha tanto di diploma, ragione per cui... dopo mezzo secolo di PdS il Comune di Curno non ha mai fatto un’inchiesta ad hoc per verificare la reale efficacia di questa spesa o questo investimento.
Si legge: Due nuovi progetti sono previsti nel Piano di Diritto allo Studio per l'a.s. 2018/2019: una è la scuola di formazione per i genitori, -un percorso dedicato alla fascia 0-13, che vedrà un calendario di incontri organizzato dalle varie agenzie educative del territorio, affiancate da psicologi e pedagogisti per accompagnare e agevolare i genitori nel loro compito educativo per la crescita dei bambini e dei ragazzi della nostra comunità; l'altro è il progetto educativo integrativo “Oltre la Scuola”, diretto ai bambini che frequenteranno le future classi prime della scuola primaria, e che si svolgerà nei pomeriggi di martedì, giovedì e venerdì, non più coperti da attività scolastiche in seguito alla variazione di assetto orario deliberata dall'Istituto Comprensivo nel dicembre del 2017.

E già qui si vedono girare i dobloni da distribuire a qualche coop e onlus che presenteranno -forse li hanno già presentati- progetti ad hoc.
L’abbiamo letto da qualche parte ma non abbiamo più i collegamenti. E non si parla solo di scuole sempre aperte (che esistono e sono anche un po’ finanziate dal 2016). Ormai «dovrebbe» esistere un progetto UNICO che combina lungo TUTTO l’anno (quindi non solo l’anno scolastico o le vacanze estive) in modo che tutte le strutture scolastiche sportive e del tempo libero dei comuni funzionino integrando la spesa pubblica (stato-regione) e quella del comune assieme a quella delle famiglie non per collegare pezzi o spezzoni di iniziative ma per dare al tutto un senso compiuto. L’idea  di primo acchito fa venire un colpo perché si pensa a tempi niente affatto positivi ma come sempre vale la pena di vedere come si declina.
Insomma è arrivato il momento di dare il benservito ai diversi piani e progetti che si allacciano collegano solo temporalmente per qualcosa di meglio strutturato lungo undici mesi che non siano solo di galera scolastica per i ragazzi e di libertà per i genitori.
Poi ci sono quelli delle superiori e quelli dell’università, che il PdS sostanzialmente dimentica se non per briciole. Ma su questo nessun comune ci sente perché li ormai lo scambio politico elettorale comincia a non funzionare più e quindi che s’arrangino.