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Di cosa parliamo in questa pagina.
Pubblicata la delibera consigliare di approvazione della convenzione per lo spostamento del centro islamico. Un malloppone a futura memoria e grandezza delle donne in giunta.
Due opinioni sull'alta velocità/alta capacità e sul destino dell'ILVA.
Il titolo. Salvini nega ma le sue parole sono pallottole dritte dritte nelle schiene degli immigrati.





























A distanza di due mesi dall'approvazione da parte del Consiglio Comunale (il 24 maggio 2018) viene pubblicata la delibera di approvazione della «Convenzione, ai sensi dell'art. 70 comma 2 ter della legge regionale 12/2005, per il trasferimento del Centro Culturale Islamico nella sede di via Manzu' 11. La delibera allega le sei pagine delle dichiarazioni di voto dei tre gruppi consigliari,  il  Verbale della pallosissima assemblea pubblica per la presentazione della convenzione tra Comune di Curno e l'associazione Unione Comunità Islamiche per il trasferimento della sede del centro culturale islamico di Curno del 17 maggio 2018, la copia della Convenzione vera e propria ed altri verbali utili solo per la storia patria dei quattro gatti protagonisti di questa “battaglia” contro l'invasione musulmana in terra orobica. Quasi che il signor  Arroub Aziz fosse IL novello sultano Solimano il Magnifico che anziché assediare  Vienna nel lontano 1683, volesse conquistare il Paese  Bello da Vivere nientemeno che nel 2018. Magari per concupire la fasciofemminista consigliera Carrara  e condurla prigioniera nel proprio harem.
Non c'è nulla di peggio quando le forze politiche si sentono obbligate a mettere in scena una rappresentazione per marcare i rispettivi territori, di cui importa niente a nessuno. Vediamo che i verbali delle riunioni sono stati redatti dalla capogruppo Serra di Vivere Curno e firmati anche dalla sindaca Gamba. Ci saremmo piuttosto attesi che fossero firmati ANCHE dal signor Arroub Aziz, rappresentante della comunità islamica di Curno. Ma si sa che dove naviga la coppia Serra&Gamba, vige il principio del “qui comando io ecc. ecc.”.
La lettura dell'iter come rappresentato dai verbali e dagli interventi fa pensare che la maggioranza abbia affrontato il problema proprio perché ne era obbligata e quindi ha messo in campo tutta la sceneggiata necessaria per pararsi da accuse di poco coinvolgimento ed ascolto del mondo curnese. Di contro il trio della minoranza di destra Locatelli Carrara e  Paolo Cavagna hanno celebrato la propria opposizione sapendo che era tempo perduto in partenza, ulteriore sconfitta dopo quella elettorale «anche» per merito della legge regionale maroniana sulle moschee. Sostenere che in una provincia con 59 centri islamici quello di di Curno sarà-sarebbe una maxi moschea provinciale (anche per togliere le castagne dal fuoco al sindaco Gori)  non è stato un atto di coraggio come non è un atto di coraggio sostenere che l'ampliamento produrrà  maggior caos alla circolazione. Ormai la via Bergamo, con l'apertura dei due centri commerciali “food” all'altezza di via Fermi-Meucci è diventata impraticabile e resterà tale nonostante il bel disegno del c.d. piano TS2 per ridisegnarne il destino.
Questa storia del centro culturale islamico è l'ennesimo casino combinato dalle forze politiche curnesi. Intanto che  destra e sinistra si punzecchiavano come scolaretti capricciosi su “maximoscheaSI-maximoscheaNO” gli aderenti al centro islamico hanno comprato il capannone sopra l'attuale sede ed hanno messo tutti davanti al fatto compiuto, nonostante le cazzate maroniane della lex regionale in merito per ritardarne o impedirne la costruzione. Alla fine della fiera quelli  si faranno il nuovo centro islamico alla faccia di centrodestra e centrosinistra lasciandoli ciascuno a cuocere nella propria cacca. Letteralmente. Oltretutto non c'era nulla da fare di diverso: quand'anche fosse diventato sindaco Locatelli, il peggio che poteva accadere era che il Comune subisse di essere commissariato per dare le autorizzazioni alla creazione del nuovo centro. Con un paccone di euro da versare alla comunità islamica come danni e spese.
La politica a Curno, anziché lasciare andare per la propria strada la comunità islamica (che ha fatto i propri interessi e ciao stai bene) avrebbe fatto meglio a collaborare perché invece di assestarsi in quel posto, l'insieme si fosse spostato in altro posto meglio dotato viabilisticamente e come parcheggi. Così non è stato e ancora una volta la politica ha calato le braghe davanti anche al meno peggio degli operatori sul territorio. Comunque operatore ci sia di mezzo e chiunque governi a Curno, la politica si cala sempre le braghe. Bene bravi.
Opinione uno (in breve).
Alta velocità / alta capacità.
Scrive il sito Italferr di RFI che «Il Sistema Alta Velocità/Alta Capacità costituisce una grande opportunità di sviluppo per l'economia del Paese: accresce il livello di produttività generale e la competitività del sistema Italia sul mercato internazionale. Si sviluppa per circa 1.250 km di binari lungo gli assi ferroviari a maggior traffico del nostro Paese: la trasversale Torino-Venezia e la dorsale Milano-Napoli, con la sua antenna verso il porto di Genova. Il sistema inoltre interessa ulteriori 2.200 km circa di linee, in parte nuove e in parte esistenti e da adeguare lungo i collegamenti transfrontalieri e quelli con il Mezzogiorno, tra Napoli, Bari e Reggio Calabria, fino a Palermo». L’oste che loda il proprio vino? Non sono contrario per principio alle ferrovie ad alta capacità (quindi non solo alta velocità) ma c’è un MA grande come una casa. Da un rapporto della Corte dei conti europea, secondo il quale nel nostro Paese ogni chilometro di linea super veloce realizzato finora è costato 28 milioni di euro, contro i 13 dei tedeschi, i 15 dei francesi e i 14 degli spagnoli. Non solo, ma da noi i costi stanno anche aumentando più velocemente: se consideriamo anche le linee in via di costruzione (esclusi il Brennero e la Torino-Lione), il costo sale a 33 milioni, con una dinamica più rapida rispetto agli altri. E’ italiana la seconda linea ad alta velocità più costosa tra questi quattro Paesi: la Milano-Venezia, costata 87,1 milioni al chilometro, seconda solo alla Stoccarda-Monaco, che è venuta a costare 114 milioni al chilometro. Fosse solo una questione di costi ci sarebbe già da creare una commissione d’inchiesta europea per spiegare le ragioni (semmai esistono). Basta aprire google earth e fissare l’attenzione sulle nuove linee- per capire l’enrome spreco e distruzione di territorio per fare passare queste infrastrutture. Un paese densamente abitato come il nostro questo progetto AV/AC doveva essere redatto con un bulino ed invece é stato redatto con una squadra facendolo pagare come cesellato -appunto- da un bulino. Il lettore dia uno sguardo al nodo di Novara oppure al nodo di Cassano per verificare quanto spazio sia stato inutilmente distrutto e mai più ricostruito. Immagino cosa hanno combinato in ValdiSusa.

Opinione due (in breve).
ILVA a Taranto.
L’impianto di Taranto è il primo grande progetto di creare industria al Sud, la localizzazione viene decisa nel 1959 dall’ente che gestiva l’industria pubblica, l’Iri. Per preparare l’area vengono abbattuti 20.000 alberi di ulivo e antiche masserie, la produzione del primo altoforno comincia nel 1964.Per vendere l’ex Italsider di Taranto, nel 1993, il gruppo Iri guidato da Romano Prodi crea una nuova società, l’Ilva Laminati piani, ripulita dalla zavorra dei debiti, circa 7000 miliardi di vecchie lire che restano nella vecchia Ilva messa in liquidazione alla fine del 1993. Con l’Ilva Riva entra in possesso di un gruppo con impianti nuovi che in seguito al boom dei prezzi produce utili al ritmo di 100 miliardi di lire al mese. Per tutto questo Riva paga un prezzo di 1460 miliardi di lire «salvo conguaglio» stabilisce il contratto messo a punto dopo un serrato braccio di ferro con lo Stato venditore rappresentato dall’Iri, dove nel frattempo è tornato come presidente Michele Tedeschi. Dentro l’Ilva ci sono anche debiti finanziari netti per 1500 miliardi di lire, un indebitamento basso rispetto alle dimensioni della società, e il fatturato è di quasi 9000 miliardi di lire. Con l’acquisizione il gruppo Riva triplica la produzione e quadruplica il giro d’affari a circa 11.500 miliardi.
Sono assolutamente convinto che tutto il mondo politico e sindacale sapesse che -sottintese- tra le condizioni di vendita ci fosse quella per cui lo stabilimento avrebbe «tirato avanti» fin dove possibile. Oggi lo stabilimento ILVA di Taranto ha una superficie di 15 milioni di metri quadri che corrisponde  al doppio dello spazio urbanizzato del Città di Taranto. Google earth a proposito  basta ed avanza per farlo comprendere. Secondo quanto riportato dall’Ilva nel 2013, il consumo di acqua del Sinni si è attestato a circa 7 milioni di metri cubi. Secondo i dati riportati nell’AIA del 2011, nel 2005 erano 16,6 milioni di metri cubi che scendono a 13,6 milioni nel 2007. La diminuzione fu spiegata da Ilva in questo modo: “Gli impianti sono raffreddati in modo indiretto con acqua di mare (prelevata dal Mar Piccolo tramite le idrovore). L’acqua del Sinni viene utilizzata come acqua di processo tal quale o dopo trattamento di demineralizzazione. Da tempo il consumo di acqua del Sinni si è ridotto sempre più in quanto, in alternativa, ILVA effettua la dissalazione dell’acqua dei pozzi interni autorizzati che hanno un contenuto salino elevato“.
In un quadro come questo,  lo stabilimento ILVA  non può che essere chiuso e smantellato.