schermata 2000 pixels














































SALVINI E DI MAIO IL RESTO È UN DESERTO

Stefano Folli _ La Repubblica

Il sondaggio Ipsos di Pagnoncelli pubblicato ieri dal Corriere dimostra che i due soci della maggioranza giallo-verde, Salvini e Di Maio, non hanno perso contatto con l’opinione pubblica. Anzi. Nonostante le tragedie del mare e le aspre polemiche sulla spinta a destra della coalizione (sui temi cari alla Lega), il consenso complessivo al duopolio supera il 62 per cento, con lieve prevalenza dei Cinque Stelle (31,5 contro 31). È un dato imponente che colpisce in quanto certifica la trasformazione in atto dell’assetto politico: un movimento nato cinque anni fa, il M5S, e un partito ricostruito dalle fondamenta da Salvini su base nazionalista, esercitano una sorta di egemonia senza contrasti in un paese che ha o aveva fino a ieri tutt’altre tradizioni politiche e culturali.

Questa forza elettorale per ora risulta ancora in fase espansiva, ossia non conosce la crisi imposta di solito dalle responsabilità di governo. In fondo sono quasi due mesi che l’esecutivo Conte ha giurato e non si può certo dire che l’agenda governativa abbia prodotto granché. Eppure, a quanto pare, la luna di miele prosegue, nel senso che una maggioranza non ristretta di italiani si accontenta, soddisfatta che l’impatto con la realtà sia stato posticipato a dopo l’estate, quando verranno al pettine i nodi della legge di bilancio. Fino ad allora prevarrà l’idea, o meglio la vaga impressione, che sia in corso una sorta di "rivoluzione": il cambiamento — non meglio identificato — che punisce il vecchio regime con la simbologia dei vitalizi soppressi. E se qualcuno ha dubbi, ecco Casaleggio che ripropone la prospettiva della "democrazia diretta" — qualunque cosa voglia dire — nella quale dissolvere presto o tardi il Parlamento e con esso l’obsoleta "democrazia rappresentativa".

È fin troppo evidente che l’intervento di Casaleggio (intervista a La Verità), insieme all’eco mediatica del "decreto dignità", serve a rilanciare l’immagine dei Cinque Stelle offuscata per settimane dal dinamismo di Salvini. È un’immagine "di sinistra" o che tale pretende di raffigurarsi. La guerra ai vitalizi come premessa per delegittimare una volta di più il Parlamento (peraltro oggi monopolizzato da un’ampia maggioranza giallo-verde che si preoccupa poco o nulla di farlo funzionare). Il decreto dignità che riassume tutte le contraddizioni di una politica sociale già sperimentata in passato e non certo con successo.

Sforzandosi di tornare alle loro origini, i Cinque Stelle sperano di aver trovato la strada per scrollarsi di dosso l’impronta destrorsa di Salvini.

L’operazione, almeno a breve termine, sembra funzionare, se è vero che il sondaggio Ipsos vede il movimento in recupero rispetto ad altre rilevazioni.

Ciò che conta, tuttavia, è dove Casaleggio e Di Maio prendono i loro voti: nell’area del centrosinistra, dove il Pd scenderebbe al 17 per cento, un inquietante minimo storico. Il che conferma la realtà sotto gli occhi di tutti: quel che resta del Pd non ha alcuna capacità di incidere sulla dinamica politica. Messo ai margini, esso si preoccupa di inseguire i rituali di ieri: un congresso tradizionale da fare con calma, le primarie. Un anziano osservatore come Emanuele Macaluso, che conosce bene la sinistra, è quasi sconvolto da questo processo di autodissoluzione. Ma è un mondo che scompare. Sull’altro versante anche la candela di Forza Italia ormai si sta spegnendo. Fagocitati da Salvini, gli amici di Berlusconi sono ridotti al 7 per cento. L’Italia giallo-verde è di fatto priva di un’opposizione.

Le opposizioni nel deserto: né leader né idee

di Antonio Polito _ Corriere della Sera

 

«Con questi dirigenti non vinceremo mai». Dov’è finito Nanni Moretti? Avrebbe ancor più ragione oggi, a lanciare l’urlo che scosse il centrosinistra nel 2002. Ma anche lui si è ritirato a vita privata. Ormai del Pd non importa quasi più a nessuno: è un corpo esangue, il renzismo l’ha prosciugato di tutte le sue forze, si è trasfuso tutta la sua linfa vitale. Come negli amori di Ovidio, i democratici non possono più vivere con Renzi, ma neanche senza. Forza Italia sta messa, se possibile, anche peggio. Con quel partito neanche Berlusconi vincerà mai più.

L’ha talmente identificato con se stesso che l’inevitabile declino del suo fascino elettorale sta portando a fondo l’ultimo presidio moderato ed europeista del centrodestra italiano, ridotto alla metà dei consensi in sei mesi.

Ma il deserto delle opposizioni non è solo colpa di chi le guida. È proprio l’acqua che manca. Le due forze che sono al governo, l’una da sinistra e l’altra da destra, stanno infatti captando le sorgenti che nutrivano i partiti tradizionali, lasciandoli senza radici, svuotandoli dei loro elettorati. Basta guardare all’imbarazzo con cui il Pd cerca di contestare il «decreto Dignità» mentre la sua base e metà del gruppo dirigente vorrebbero che lo votasse, per smentire le scelte del governo Renzi, cui viene attribuita la disfatta. Oppure basta ascoltare l’assordante silenzio-assenso con cui Forza Italia, alleata della Merkel nel Partito popolare europeo, assiste alle politiche contro l’immigrazione di Salvini con l’aria di dire a se stessa: ah, se l’avessimo fatto noi.

Così oggi, sommando i ceti medi spaventati dai mercati globali e dalle migrazioni, e i figli dei ceti medi angosciati dalla disoccupazione di massa e dal precariato, Lega e Cinquestelle fanno asso pigliatutto, superando il 60% dei consensi. È un caso senza precedenti nella Seconda repubblica, quando una possibile maggioranza alternativa, in Parlamento e nel Paese, è sempre esistita, anche in momenti drammatici come la crisi del debito nel 2011; oggi invece le due opposizioni sommate arrivano appena a un quarto dei consensi, il che le priva della legittimazione popolare per proporsi come un’alternativa. Una situazione di democrazia bloccata che alla lunga presenta pericoli anche per l’ordine liberale: non a caso Davide Casaleggio s’arrischia ad annunciare che, in un prevedibile futuro, del Parlamento non ci sarà più bisogno.

Anche se i partiti di governo hanno gli italiani dalla loro, non vuol dire però che faranno il bene dell’Italia. La storia ci insegna che la somma degli interessi particolari non dà per forza il totale dell’interesse generale. Non si può escludere perciò che prima o poi (per esempio a novembre, con la legge di Bilancio) la gloriosa macchina da guerra giallo-verde incontri il suo vero e unico nemico: il vincolo esterno, quel limite che non si può superare senza recare un danno grave all’Italia nel suo complesso, e per molti anni a venire. Ogni aumento sostanziale del prezzo che paghiamo sul nostro debito si mangerebbe infatti con gli interessi qualsiasi beneficio fiscale o assistenziale che il governo possa finanziare in deficit: il ministro Tria lo sa bene, ma sa anche che non basterà dirlo per fermare la fame di consenso di Di Maio e Salvini.

Il paradosso della situazione italiana è che le opposizioni non possono nemmeno auspicarsi che questa contraddizione esploda. Per la semplice ragione che, a causa della loro debolezza, non sfocerebbe in una normale crisi di governo, ma piuttosto in una vera e propria crisi di sistema: i due partiti populisti, ancora forti del sostegno dell’opinione pubblica, la scaglierebbero contro le regole europee, contro i mercati, contro i poteri forti e i «mandarini» di Stato che non li lasciano lavorare. Uno scenario che nessuno con la testa sulle spalle si può davvero augurare, perché metterebbe gli italiani contro la storia stessa dell’Italia repubblicana, democratica ed europea, fondata sull’economia sociale di mercato.

Chi abbia a cuore la ricostituzione di una sana dialettica politica, e di una opposizione in grado di incalzare e condizionare il governo, deve dunque sperare che nasca presto qualcosa di nuovo. Qualcosa che possa contrastare i vincitori delle elezioni senza il livore dei perdenti. Qualcuno che non sia così ingenuo da attaccare i nuovi potenti gridando, ad ogni scandaletto o inchiesta giudiziaria: ecco, vedete, sono come gli altri, senza accorgersi che «gli altri» sono loro. Un nuovo movimento politico che sappia mettere l’Italia al primo posto senza dimenticare gli italiani, due terzi dei quali non hanno alcuna voglia di ricominciare da dove i vecchi partiti si sono interrotti.

 

Antonio Polito sul Corriere della Sera e Stefano Folli su La Repubblica si sono telefonati per scrivere l’articolo sullo stesso tema. Naturalmente la nostra è una illazione. Una battuta. Però fin dal titolo: “Le opposizioni nel deserto: né leader né idee” (Polito) e “Salvini e Di Maio il resto è un deserto” (Folli) il reciproco richiamo è abbastanza evidente. Polito scrive che “Ma il deserto delle opposizioni non è solo colpa di chi le guida. È proprio l’acqua che manca. Le due forze che sono al governo, l’una da sinistra e l’altra da destra, stanno infatti captando le sorgenti che nutrivano i partiti tradizionali, lasciandoli senza radici, svuotandoli dei loro elettorati. (…) Così oggi, sommando i ceti medi spaventati dai mercati globali e dalle migrazioni, e i figli dei ceti medi angosciati dalla disoccupazione di massa e dal precariato, Lega e Cinquestelle fanno asso pigliatutto, superando il 60% dei consensi. È un caso senza precedenti nella Seconda repubblica, quando una possibile maggioranza alternativa, in Parlamento e nel Paese, è sempre esistita, anche in momenti drammatici come la crisi del debito nel 2011; oggi invece le due opposizioni sommate arrivano appena a un quarto dei consensi, il che le priva della legittimazione popolare per proporsi come un’alternativa.” Per concludere che “Il paradosso della situazione italiana è che le opposizioni non possono nemmeno auspicarsi che questa contraddizione (i vincoli deficit/PIL) esploda. Per la semplice ragione che, a causa della loro debolezza, non sfocerebbe in una normale crisi di governo, ma piuttosto in una vera e propria crisi di sistema: i due partiti populisti, ancora forti del sostegno dell’opinione pubblica, la scaglierebbero contro le regole europee, contro i mercati, contro i poteri forti e i «mandarini» di Stato che non li lasciano lavorare.”

Folli invece decolla :” Il sondaggio Ipsos di Pagnoncelli pubblicato ieri dal Corriere dimostra che i due soci della maggioranza giallo-verde, Salvini e Di Maio, non hanno perso contatto con l’opinione pubblica. Anzi. Nonostante le tragedie del mare e le aspre polemiche sulla spinta a destra della coalizione (sui temi cari alla Lega), il consenso complessivo al duopolio supera il 62 per cento, con lieve prevalenza dei Cinque Stelle (31,5 contro 31). È un dato imponente che colpisce in quanto certifica la trasformazione in atto dell’assetto politico: un movimento nato cinque anni fa, il M5S, e un partito ricostruito dalle fondamenta da Salvini su base nazionalista, esercitano una sorta di egemonia senza contrasti in un paese che ha o aveva fino a ieri tutt’altre tradizioni politiche e culturali.”

Prosegue Folli: Eppure, a quanto pare, la luna di miele prosegue, nel senso che una maggioranza non ristretta di italiani si accontenta, soddisfatta che l’impatto con la realtà sia stato posticipato a dopo l’estate, quando verranno al pettine i nodi della legge di bilancio. Fino ad allora prevarrà l’idea, o meglio la vaga impressione, che sia in corso una sorta di "rivoluzione": il cambiamento — non meglio identificato — che punisce il vecchio regime con la simbologia dei vitalizi soppressi. E se qualcuno ha dubbi, ecco Casaleggio che ripropone la prospettiva della "democrazia diretta" — qualunque cosa voglia dire — nella quale dissolvere presto o tardi il Parlamento e con esso l’obsoleta "democrazia rappresentativa".

E conclude: Ciò che conta, tuttavia, è dove Casaleggio e Di Maio prendono i loro voti: nell’area del centrosinistra, dove il Pd scenderebbe al 17 per cento, un inquietante minimo storico. Il che conferma la realtà sotto gli occhi di tutti: quel che resta del Pd non ha alcuna capacità di incidere sulla dinamica politica. Messo ai margini, esso si preoccupa di inseguire i rituali di ieri: un congresso tradizionale da fare con calma, le primarie” Con qualche amarezza:” Un anziano osservatore come Emanuele Macaluso, che conosce bene la sinistra, è quasi sconvolto da questo processo di autodissoluzione. Ma è un mondo che scompare. Sull’altro versante anche la candela di Forza Italia ormai si sta spegnendo. Fagocitati da Salvini, gli amici di Berlusconi sono ridotti al 7 per cento. L’Italia giallo-verde è di fatto priva di un’opposizione”.

 

A NOI PARE CHE QUESTO GOVERNO SIA UN GOVERNO DELL’AMMUINA. E questo spiega come mai l’elettorato italiano in fondo ncontinui a premiarlo: sostanzialmente –a parte qualche eccesso mediatico- prosegue sostanzialmente nella linea dei precedenti governi. Cambiano le persone ma sostanzialmente non è cambiata la linea di governo rispetto al precedente: si chiamasse Renzi o Gentiloni. Tutto il can can attorno al Decreto Dignità è solo qualcosa di mediatico agitato da una stampa che non ha grandi alternative. A parte i tweet di Trump, i ragazzini tailandesi costretti nella grotta o la fake news sulle unghie pitturate dell’immigrata salvata l’altroieri. Una stampa che –complice col governo- riesce addirittura a  raccontare in maniera fasulla la proposta migliorativa dei piddini sul DD, salvo buttarsi subito dopo sulle ultime ore di Marchionne. Che ti passa. Dov’è la flat tax? Dov’è il salario minimo garantito ? Dov’è il reddito di cittadinanza? Dov’è la pensione di cittadinanza? Dove sono ì 60+40alla facciaccia della Fornero? E cos’é cambiato per il mezzo milione e passa di immigrati che lo stato ha abbandonato in mezzo al resto degli italiani? Cos’è cambiato rispetto ai 35 euro riscossi ogni giorno? Cos’é cambiato nei ghetti dove stanno gli schiavi della nostra agricoltura DOP? E cosa ha cavato Salvini dai suoi amici di Visegrad?: un pernacchione. Finora l’unica cosa che gli italiani hanno visto cambiare è un minimo minimo di aumento degli interessi sul debito della stato a seguito delle (provvide o improvvide? Involontarie o volontarie?)  dichiarazioni del duo SalviMaio. E tutto il gran casino del Salvini versus le  navi ONG e la redistribuzione degli immigrati com’è finito? ‘Na pompata mediatica utile solo alle elezioni e poi paffete: svanito tutto.  I 450 sbarcati  sono ancora qui in Italia e chissà quando verranno redistribuiti 50 a te, 50 a me, 20 a lui ecc. ecc. Intanto non li prende nessuno e restano ancora qui in mano alle varie caritas. Però i media hanno fatto credere al popolo che stanno già in Francia Spagna Portogallo Germania Irlanda. A palmadiMiorca perché no? A godersi la pacchia perdinci!.

L’univa novità che accompagna il nuovo governo non deriva dallo stesso ma dai dazi che Trump ha cominciato a mazzolare addosso al resto del mondo e che costeranno non meno di un punto di PiL quest’anno e negli anni a venire.

Addirittura mentre il governo SalviMaio invocava che l’UE riconoscesse il Mediterraneo come suo confine Francia, Germania, Belgio, Danimarca, Olanda, Estonia, Spagna e Portogallo — c’è anche il Regno Unito che pure sta con un piede fuori dalla Ue- hanno messo le basi per un esercito comune europeo che finora è sempre stato un punto interrogativo esattamente come la politica estera Ue. Al contrario del precedente, l’attuale governo grillo-leghista ha scelto di tenere l’Italia fuori dall’accordo a nove sulla difesa europea. Banale incapacità di guardare oltre il cortile di casa o servile piaggeria verso Trump e Putin?. Niente di tutto questo: non ci ha nemmeno preso: gli è proprio scappato di mano.

 

Certo, hanno ragione Folli e Polito nel preconizzare che con questo livello di consenso di 5S (31,5%) e Lega (30%) e la quasi scomparsa di PD (17%) e FI (7%) non si può nemmeno immaginare una “normale” crisi di governo con la formazione di una nuova maggioranza e di conseguenza una più che certa radicalizzazione dello scontro tra il SalviMaio e l’Ue.

Il problema resta in tre numerini: 2330miliardi di debito pubblico, 4500 miliardi di ricchezza finanziaria privata e nei 450 miliardi di debito pubblico in mano allo “straniero”. Banche, fondi e assicurazioni italiane italiane detengono circa il 50% del debito. Se la politica e gli italiani non hanno il coraggio di fare i conti con questi numeri, ogni governo non può fare che un’ammuina.

LE VERE RAGIONI DELL’EMIGRAZIONE AFRICANA: IL FURTO DELLA TERRA


L’Unione europea ha appena deciso di triplicare i fondi per la gestione dei migranti: la somma messa a bilancio passerà dagli attuali 13 miliardi di euro (anni 2014-2021) ai futuri 35 miliardi di euro (anni 2021-2027).
Prima di compiere l’analisi dei costi preventivati, dove i soldi vanno, per fare cosa, dobbiamo sapere cosa noi prendiamo dall’Africa, e cosa restituiamo all’Africa. Se noi aiutiamo loro oppure se loro, magari, danno una mano a noi.
Conviene ripetere e magari ripubblicare. Quindi partire dalle basi, dai luoghi in cui i migranti partono.
Roberto Rosso, l’uomo che dai jeans ha ricavato un mondo che ora vale milioni di euro, ha domandato: “Come mai spendiamo 34 euro al giorno per ospitare un migrante se con sei dollari al dì potremmo renderlo felice e sazio a casa sua?”.


Già, come mai? E perchè non li aiutiamo a casa loro?
Casa loro? Andiamoci piano con le parole. Perchè la loro casa è in vendita e sta divenendo la nostra. Per dire: il Madagascar ha ceduto alla Corea del Sud la metà dei suoi terreni coltivabili, circa un milione e trecentomila ettari. La Cina ha preso in leasing tre milioni di ettari dall’Ucraina: gli serve il suo grano. In Tanzania acquistati da un emiro 400mila ettari per diritti esclusivi di caccia. L’emiro li ha fatti recintare e poi ha spedito i militari per impedire che le tribù Masai sconfinassero in cerca di pascoli per i loro animali. La loro vita.


E gli etiopi che arrivano a Lampedusa, quelli che Salvini considera disgraziati di serie B, non accreditabili come rifugiati, giungono dalla bassa valle dell’Omo, l’area oggetto di un piano di sfruttamento intensivo da parte di capitali stranieri che ha determinato l’evacuazione di circa duecentomila indigeni. E tra i capitali stranieri molta moneta, circa duecento milioni di euro, è di Roma. Il governo autoritario etiope, che rastrella e deporta, è l’interlocutore privilegiato della nostra diplomazia che sostiene e finanzia piani pluriennali di sviluppo. 

 

Anche qui la domanda: sviluppo per chi?

L’Italia intera conta 31 milioni di ettari. La Banca mondiale ha stimato, ma il dato è fermo al 2009, che nel mondo sono stati acquistati o affittati per un periodo che va dai venti ai 99 anni 46 milioni di ettari, due terzi dei quali nell’Africa subsahariana. In Africa i titoli di proprietà non esistono (la percentuale degli atti certi rogitati varia dal 2 al 10 per cento). Si vende a corpo e si vende con tutto dentro. Vende anche chi non è proprietario. Meglio: vende il governo a nome di tutti. Case, villaggi, pascoli, acqua se c’è. Il costo? Dai due ai dieci dollari ad ettaro, quanto due chili d’uva e uno di melanzane al mercato del Trionfale a Roma. Sono state esaminate 464 acquisizioni, ma sono state ritenute certe le estensioni dei terreni solo in 203 casi. Chi acquista è il “grabbatore”, chi vende è il “grabbato”. La definizione deriva dal fenomeno, che negli ultimi vent’anni ha assunto proporzioni note e purtroppo gigantesche e negli ultimi cinque una progressione pari al mille per cento secondo Oxfam, il network internazionale indipendente che combatte la povertà e l’ingiustizia. Il fenomeno si chiama land grabbing e significa appunto accaparramento della terra.


I Paesi ricchi chiedono cibo e biocombustibili ai paesi poveri. In cambio di una mancia comprano ogni cosa. Montagne e colline, pianure, laghi e città. Sono circa cinquanta i Paesi venditori, una dozzina i Paesi compratori, un migliaio i capitali privati (fondi di investimento, di pensione, di rischio) che fanno affari. E’ più facile trasportare una tonnellata di cereali dal Sudan che le mille tonnellate d’acqua necessarie per coltivarle. E allora la domanda: aiutiamoli a casa loro? Siamo proprio sicuri che abbiano ancora una casa? Le cronache sono zeppe di indicazioni su cosa stia divenendo questo neocolonialismo che foraggia guerre e governi dittatoriali pur di sviluppare il suo business. In Uganda 22mila persone hanno dovuto lasciare le loro abitazioni per far posto alle attività di una società che commercia legname, l’inglese New Forest Company. Aveva comprato tutto: terreni e villaggi. I residenti sono divenuti ospiti ed è giunto l’avviso di sfratto… Dove non arriva il capitale pulito si presenta quello sporco. La cosiddetta agromafia. Sempre laggiù, nascosti dai nostri occhi e dai nostri cuori, si sversano i rifiuti tossici che l’Occidente non può smaltire. La puzza a chi puzza…

 

Chi ha fame vende. Anzi regala. L’Etiopia ha il 46 per cento della popolazione a rischio fame. E’ la prima a negoziare cessioni ai prezzi ridicoli che conosciamo. Seguono la Tanzania (il 44 per cento degli abitanti sono a rischio) e il Mali (il 30 per cento è in condizioni di “insicurezza alimentare”). Comprano i ricchi. Il Qatar, l’Arabia Saudita, la Cina, il Giappone, la Corea del Sud, anche l’India. E nelle transazioni, la piccola parte visibile e registrata della opaca frontiera coloniale, sono considerate terre inutilizzate quelle coltivate a pascolo.
Il presidente del Kenya, volendo un porto sul suo mare, ha ceduto al Qatar, che si è offerto di costruirglielo, 40mila ettari di terreno con tutto dentro. Nel pacco confezionato c’erano circa 150 pastori e pescatori. Che si arrangiassero pure!


L’Africa ha bisogno di acqua, di grano, di pascoli anzitutto. Noi paesi ricchi invece abbiamo bisogno di biocombustibile. Olio di palma, oppure jatropha, la pianta che – lavorata – permette di sfamare la sete dei grandi mezzi meccanici. E l’Africa è una riserva meravigliosa. In Africa parecchie società italiane si sono date da fare: il gruppo Tozzi possiede 50mila ettari, altrettanti la Nuova Iniziativa Industriale. 26mila ettari sono della Senathonol, una joint-venture italosenegalese controllata al 51 per cento da un gruppo italiano. Le rose sulle nostre tavole, e quelle che distribuiscono i migranti a mazzetti, vengono dall’Etiopia e si riversano nel mondo intero. Belle e profumate, rosse o bianche. Recise a braccia. Lavoratori diligenti, disponibili a infilarsi nelle serre anche con quaranta gradi. E pure fortunati perchè hanno un lavoro.
Il loro salario? Sessanta centesimi al giorno.

Antonello Caporale